Il sole cercava di uscire dal letto di stelle in cui si era adagiato ma titubava, e il cielo cominciava a rischiarare, dando luce alla terra marchigiana. Un altro bel giorno si presentava, pur se con tipico freddo invernale, invitando la gente a ripartire per i propri doveri, dai campi alle officine e alle stamperie, passando per stalle e ovili.
Occhi sottili, palpebre pesanti, concentrazione al massimo possibile del momento, Egidio fissò con forza un ultimo bullone e guardò soddisfatto la propria opera, l’ennesima della serie.
A prima vista poteva apparire una semplice porta con relativi montanti, ma un occhio acuto avrebbe notato tutta una serie di minuscoli fori un po’ ovunque, e che da alcuni di questi spuntavano sottilissimi filamenti.
Caricò la pipa col suo tabacco aromatico, accese e contemplò in silenzio il risultato del proprio lavoro, chiedendosi a cosa potesse servire.
Come per molti altri macchinari che si trovavano nella sua abitazione, aveva ricevuto le istruzioni durante il sonno, senza conoscere il meccanismo che li faceva funzionare e a che scopo fossero destinati.
Parecchi li aveva poi sfruttati personalmente, una volta capitane l’utilità, ma di alcuni era ancora all’oscuro, e di questo non afferrava niente, almeno per ora.
Terminato il tabacco, svuotò il fornello, pulì e si diresse in cucina a preparare la colazione. Aveva lavorato quasi tutta la notte e sentiva un languorino particolare.
Preparò tutto anche per la moglie, che sarebbe arrivata a breve a fargli compagnia. Tolse alcuni pezzi surgelati dal congelatore, accese un forno e li infilò in quel caldo tunnel, attendendone la cottura. Udì un picchiettio alla finestra e sorrise vedendo il suo amico corvo.
Aprì l’anta, trovandosi così faccia a faccia: «Buongiorno, Joe, ancora qualche attimo di pazienza.»
Poco dopo gli spezzettò uno dei dolci sul davanzale: «Ecco qua. Ci vediamo più tardi, in laboratorio, sai che mia moglie non ti vuole a tavola.»
Il corvo lo ringraziò con un paio di versi e cominciò la colazione, Egidio chiuse la finestra e prese dal forno quanto vi era rimasto. Stava mettendo in tavola quando sentì la voce alle sue spalle: «Buongiorno, caro, che c’è di buono stamattina?»
«Buongiorno, stella. Brioche e latte caldo.»
Lo guardò con occhi torvi: «Quante volte devo dirti che non chiamo Stella?»
Egidio le sorrise: «Lo so, Alba, ma per me rimani una stella, giorno e notte» e le allungò le brioches, addolcendola.
Soddisfatti i desideri gastronomici mattutini, si spostarono nel salotto, adagiandosi sul sofà.
«Stanotte hai lavorato, vero?»
«Sì, infatti dovrei riposarmi un poco e farmi un bagno caldo» rispose Egidio ricaricando la pipa.
«Bene, tanto io devo accompagnare Mariella alle Terme di Acquasanta. Anzi, vado a prepararmi, visto che arriverà tra non molto.» Si alzò, dirigendosi alla scala che portava al piano superiore del casale, dove si trovavano le camere. Lui seguì con lo sguardo quel corpo morbido ed elegante, ma era troppo stanco per amarla, così si fermò al pensiero.
Terminò di fumare e si addormentò senza neppure rendersene conto.
Lo svegliò il cigolio di una carrozza nel cortile. Alba lo stava osservando e sorrideva: «Mariella è arrivata, ci vediamo questa sera, tesoro» gli disse dirigendosi alla porta. Egidio si alzò e l’accompagnò, aiutandola a salire e rimanendo poi a guardare il mezzo che si allontanava tra gli sbuffi di vapore. Rientrando, vide Joe che lo attendeva, poggiato su di una pietra sporgente dal muro. Con un doppio “cra”, si levò in volo e si fermò sulla spalla di Egidio.
Insieme andarono nel laboratorio, la stanza adiacente la cucina, dove si trovava l’ultima costruzione meccanica completata.
La contemplò per un certo tempo, poi decise di collegarla al circuito atomico del casale, pensando fosse l’unico modo per capire a che servisse.
Effettuato l’attacco, i filamenti presero a vibrare e lampeggiare, poi l’uscio scomparve, lasciando solo il montante. Si formò una nebbiolina dalla quale uscì un individuo, la porta tornò completa e si spense.
«Alla buon’ora, ce ne hai messo di tempo, che aspettavi?»
Egidio, accarezzandosi con le mani i capelli radi e riccioluti, rimase stupefatto a fissarlo: era vestito di un abito completamente aderente, quasi una seconda pelle, di colore tendente al blu.
«Sono un crono-fante sidereo, ti ho mandato io le istruzioni tramite il nostro ufficio onirico. Tu sei lord Byron, giusto? La faccia è quella, nonostante la bestiaccia che hai sulla spalla, tipo avvoltoio.»
Irritato, ribatté: «Si chiama Joe ed è mio amico, io sono Egidio Silvestro Stronato Della Canna, proprietario terriero e coltivatore di canapa. Sei in casa mia e credo tu mi debba qualche spiegazione.»
Il crono-fante rimase pensieroso qualche istante, tenendosi il mento tra le mani, poi annuì; «Sì, ti spiego tutto, ma ti chiedo una cortesia. Ho fame, non avresti qualcosa da offrirmi? Possiamo parlare a tavola.»
«Da casa mia nessuno è mai uscito affamato, così sarà anche per te. Seguimi, sono un cuoco provetto» e si diresse verso la cucina.
Il crono-fante rimase sbalordito a guardare la stanza super attrezzata e disse: «Ipertecnologica, vedo. Ma come funziona tutto quanto?»
«Con una semplice pila atomica.»
«Stai scherzando, vero?»
«Per niente.»
Sconsolato, lo straniero si sedette al tavolo in silenzio.
Joe si mise su di un trespolo appositamente installato ed Egidio preparò anche per il suo nero amico.
Una mezzora dopo si stavano gustando delle magnifiche bistecche.
L’uomo sidereo, che non aveva più detto nulla, gli fece i complimenti: «Carne ottima, gustosa e tenera. Non credevo si mangiasse così bene in questo tempo.»
«È del mio allevamento personale, comprende manzi, maiali e polli. Ma ora voglio sapere chi sei e cosa cerchi.»
Lo straniero si alzò dal tavolo e prese a girare per la cucina, osservando i vari componenti e infine si decise: «Sono un riparatore temporale, giro nello spazio-tempo per fermare i guastatori. Faccio parte del reparto di fanteria, per questo vengo definito crono-fante sidereo. Dovevo andare da lord Byron e sventare un attentato ai suoi danni, provocato appunto da un guastatore, ma devo aver sbagliato qualcosa nell’impostazione della macchina temporale. Qui dove siamo?»
«Nell’entroterra marchigiano, centro Italia.»
«Anno?»
«1907.»
«Non è possibile, nel 1907 non esisteva la pila atomica.»
«Non è possibile nemmeno che tu sia qui, se è per questo, eppure ci sei. La pila atomica ce l’abbiamo da quasi mezzo secolo, ormai, e fa funzionare più o meno ogni cosa.»
L’altro scosse il capo: «No, ci sono cose che non quadrano, ho sbagliato davvero troppo. E tutto perché mi dovevo basare su una semplice immagine del lord. Tu hai lo stesso viso, dai capelli al naso, identico.»
«Non credo tu me ne possa fare una colpa» ribatté Egidio caricando la pipa e accendendola.
«No, certo, però… che odore è questo? Mi sembra...»
«Tabacco aromatico delle mie coltivazioni.»
«Sicuro? Per me è cannabis.»
«Infatti, noi Della Canna coltiviamo canapa da tempo immemore e tra le varie piante ogni tanto ci sono pure queste, poco utili per altri scopi.»
Ridendo, il crono-fante sbottò: «Da tempo immemore, eh? Per forza, questa erbetta fa dimenticare tante cose, è uno degli effetti collaterali. Non ne hai un po’ per me?»
Non ci fu tempo per rispondere, in quanto Joe si mise a svolazzare per la stanza lanciando grida.
«Ho capito, ti faccio uscire subito» sbuffò Egidio andando ad aprire una finestra. Il corvo si fiondò fuori, dove si trovavano tanti suoi fratelli e sorelle.
«Qui mi pare pieno di corvi e cornacchie, o sbaglio?»
«Non sbagli. Joe era piccolo e ferito, l’ho curato e mi si è affezionato. Per questo viene in casa, anche se mia moglie non lo apprezza molto.»
Qualche minuto dopo, tirando di gusto da una pipa fornitagli dal padrone di casa, il crono-fante tornò a girare per la cucina.
«Questo è un frigorifero e a fianco c’è un freezer. Come puoi averli?»
«Li ho costruiti io. Ho un cervello capace, sai? Certo, spesso mi arrivano istruzioni notturne, come è stato per il tuo portale, evidentemente non sei l’unico che me li manda o forse sono molto ricettivo, ma alcuni pezzi li ho inventati di sana pianta. Qui, per esempio, c’è una lavapiatti, sempre a energia atomica, da me creata. Ho due forni, uno per il pane e uno per le carni o il pesce. E poi…»
«Ho capito, ho capito. Sono finito in un tempo parallelo, diverso da quello da cui provengo io, a quanto pare. Buona questa erba, comunque. Mi fai vedere la piantagione?»
«Siamo a fine febbraio, posso solo farti vedere i campi lavorati e pronti per la prossima semina. Oppure ti mostro le stalle con la mungitrice meccanica. Non vedi personale perché quasi non serve, ho pochi dipendenti.»
«No, niente stalle, voglio un poco di aria fresca.»
Egidio lo condusse all’aperto, attraversarono il cortile sotto l’occhio vigile dei corvi appollaiati ovunque, e gli mostrò la tenuta. Terra arata di fresco a perdita d’occhio, qualche filare di viti a sinistra del casale, il suono lontano del Tronto che scorreva, le prime gemme di bucaneve nel giardino accanto casa, un cielo limpido e spettacolare, fecero sì che il sidereo si commuovesse, esplodendo in un pianto dirotto.
Lo lasciò sfogare senza dire niente, poi lo prese per un braccio e lo ricondusse in casa, facendolo accomodare sul sofà, dove rimase in silenzio per un’oretta.
Ridestandosi dal torpore, lo straniero esclamò: «Byron! Vieni qui, per piacere.»
Capendone la confusione mentale, Egidio si avvicinò senza obiettare.
«Byron, devo tornare a casa, cambiare traiettoria e cercarti in un altro posto e tempo. Mi serve una mano.»
«A disposizione fin dove possibile, fante sidereo.»
«Crono-fante, ricordalo. Senti, per farmi tornare da dove vengo devi riattivare il portale restando distante qualche metro, altrimenti c’è il rischio che risucchi pure te. Se devo essere sincero, non mi spiacerebbe rimanere qui, ma ho un compito da svolgere e non posso esimermi da ciò. Se non smantelli il macchinario posso venirti a trovare qualche altra volta, che dici?»
Il padrone di casa non rispose subito, lasciandolo un poco sulle spine, andò in cucina, frugò dentro uno dei componibili e vi trasse qualcosa, poi andò ad aprire una finestra e fece entrare Joe, che subito si piazzò sulla sua spalla destra.
«Come si riattiva la porta? Io l’ho solo collegata alla rete, non ho fatto altro» disse, una volta tornato.
«Credo sia sufficiente staccarla e ricollegarla, non ci sono interruttori particolari.»
«Va bene, vieni con me e proviamo.»
«D’accordo, ma prima vorrei rivedere la cucina, sono colpito dalle funzionalità che hai creato.»
«Ci passiamo per forza, il portale è nella stanza accanto. Andiamo» concluse, avviandosi.
Di malincuore, il crono-fante lo seguì.
A pochi metri dal macchinario temporale, Egidio porse al viaggiatore il sacchetto di stoffa prelevato in cucina: «Qui c’è un po’ del mio tabacco aromatico, visto che ti è piaciuto tanto. Fanne buon uso.»
All’altro si illuminarono gli occhi: «Grazie, Silvestro Della Canna, grazie davvero. L’erba mi è sempre piaciuta.»
«Non è erba, è tabacco aromatico.»
«Adoro il tabacco aromatico, soprattutto quello marchigiano…»
«E ora agiamo, è l’ora.»
«Sì, certo, ma davvero voglio tornare a trovarti. È troppo bello, qui.»
Sbuffando, Egidio annuì: «Va bene, vedremo cosa ci aspetta. Ho scollegato la macchina, preparati.»
Con occhi tristi, il crono-fante si posizionò davanti alla porta.
«Sono pronto, riattacca pure.»
Mentre Egidio riconnetteva il circuito atomico, Joe si levò in volo, avvicinandosi al crono-fante senza che il padrone di casa se ne accorgesse.
I filamenti tornarono a vibrare e apparve la nebbia: «Arrivederci, Byron, tornerò.»
Volgendosi, Egidio vide la porta dissolversi e Joe sparire nella nebbia.
«No, Joe, no!»
Il viaggiatore scomparve, la porta tornò al suo posto.
Costernato, vi si avvicinò.
«Cra cra» esclamò il corvo svolazzando al di sopra.
«Joe… temevo fossi andato con lui. Meno male, meno male…»
L’uccello gli si posò sulla spalla destra, come sempre, e lui lo accarezzò, emozionato.
Poco dopo, aprì una cassetta e prese delle chiavi inglesi. Cominciò a smantellare il portale svitando un paio di bulloni, ma Joe continuò a disturbarlo, volandogli accanto e gracchiando senza sosta. Si fermò.
«Dici che devo lasciarla funzionante?»
«Cra.»
«Va bene, piccolo, avrai i tuoi motivi.»
Risistemò dadi e bulloni, depose gli attrezzi e tornò verso la cucina, cominciando ad armeggiare con i macchinari per il cibo. Il corvo lo accompagnò in silenzio.
Egidio fece un profondo respiro, accese il forno e disse: «Joe, ci vediamo domani. Tra non molto arriva mia moglie e voglio prepararle una cenetta che non potrà scordarsi. Ti spiace?»
«Cra» e si avvicinò alla porta del casale, aspettando che il padrone lo lasciasse andare dai suoi fratelli.
Al rientro, Alba trovò il marito addormentato sul sofà, come quando era uscita, ma il profumo proveniente dalla cucina le fece comprendere che non aveva dormito tutto il giorno.
Gli diede un bacio, risvegliandolo.