Dalla finestra della cucina della casa di Federico le foglie dei platani mosse dal vento sono compagne di vita. Da tempo lui le osserva inquieto senza avere risposte, vero è che sta dove vuole stare e fa quello che vuole fare. Sotto il fiume Tevere, basso di siccità, è anche lui arido di risposte, se ne infischia di tutti i tormenti giovanili di Federico e della sua Dafne che ha fatto del rifiuto uno sport.
Federico lucido e consapevole nonostante la giovane età sceglie l’ultima carta rimasta, allontanarsi per un po’, viaggiare, partire possibilmente non da solo.
Un volo di corvi rasenta il fiume e si posa su un ramo giovane, curvo sotto il loro peso. Federico osserva quel ramo sofferente e tira su in modo brusco la sua schiena come per raddrizzarlo. Ai corvi arriva la comunicazione e riprendono il volo, il ramo si normalizza e pure Federico sembra più leggero, meno angosciato. Butta giù un probiotico preso in frigo, infila l’orologio e si siede al centro della cucina.
Quando la madre entra lui è già preparato.
- Vado a fare un giro, ma torno presto, mamma.
Lei sa che nessuno mai potrà fermarlo, ci tiene troppo a quella vacanza strana di cui parla da tempo, e si gira mostrando il suo silenzio di accettazione.
- Prendi i soldi nella busta del condominio, poi ce li rimetterò. A papà glielo dirò io che sei partito, sai che ha poco tempo per chiunque. E con chi andrai?
Federico tira fuori una voce nuova, più matura, che non sembra appartenergli.
- Andrò con Char, un compagno di classe, l’unico con cui vado d’accordo, un pezzo di pane.
- Se hai bisogno chiama, e fai attenzione.
Con il vestito a righe e le braccia dietro la schiena la donna sembra legata alla sedia.
L’albero di Natale lampeggia accanto alle pentole sul lavandino come un’automobile in panne.
Porta le braccia avanti per accogliere il vecchio maglione di Federico con i gomiti consumati. Federico ha gli occhi spiritati, è poco più di un adolescente e si lascia abbracciare. Si sente malconcio, ma libero, come dopo una delle sue forti febbri.
All’appuntamento Char ha indossato il giubbotto di jeans con l’imbottitura di lana e il cerchio della pace dietro le spalle, e uno zainetto scolorito.
- Hai sedici anni ma sei coglione come uno grande, non potevi vestirti più pesante? - Gli urla in faccia Federico carico a mille.
- Questo ho, e tu sembri la copia gratuita di uno scemo.
- Non ti offendere, così te la fai sotto per il freddo. Non possiamo permetterci febbri improvvise e fermate in albergo..
- Io non ho febbri improvvise, fammi capire, faremo i barboni?
- Se resta l’idea di girare l’Europa dobbiamo risparmiare e dormire dove capita, tu non puoi pensare di sopravvivere con il giubbotto della pace, a Praga.
- Allontaniamoci da casa, mi vergogno se mi vede fare l’autostop quell’ameba della vicina.
- Ma chi ci vede, è quasi sera, e poi uno può fare l’autostop pure per andare al cinema o a puttane.
- E al bar, ma vaffa bello mio, a me non piace fare la figura del morto di fame.
Federico è già diverso, l’arrivo di Char, l’autostop, e tutto quello che ne consegue gli hanno fatto dimenticare l’ angoscia per colpa di Dafne.
Char non mostra una briciola di salute, bianco in viso per il freddo sembra appena uscito da un ospedale.
- Non ho nemmeno fatto il pranzo per l’emozione, - dice.
- Tu che di solito mangi pure le ombre sul tavolo, mi pare strano. Il giubbotto mettilo su quella panchina e do fuoco a tutta la panchina.
- Ti è preso brutto. eh?
- Sto scherzando, coglione, - dice con stravagante tenerezza, e alza il dito.
Si ferma una Mini, mezza incidentata.
- Dove dovete andare ragazzi?
- In su, al nord.
- Io posso portarvi fino a Viterbo, devo rientrare in caserma.
E’ un fante o al massimo un caporale,non ha stellette sul cappotto.
- Va benissimo Viterbo, è sul nostro percorso.
- E dove arriva il vostro percorso.
- Se riusciamo a Praga.
- Dovranno essere parecchi a rendersi utili, saranno duemila chilometri.
Dopo avere studiato a fondo la lunghezza dei nostri capelli, con una specie di rancore dice:
- Tanto toccherà pure a voi la naia, prima poi.
- Non è più obbligatoria da un bel po’, mi sembra, e noi siamo pacifisti.
- Bè, godetevela finché potete, la pace.
Char dà un’occhiataccia a Federico, come se sentisse il bisogno di scendere.
Federico resiste, impassibile.
- Volete fumare?
- Io non fumo, grazie. - Io sì, - dice Federico, - ma che tabacco è?
- E’ una canna, tonto, - corregge Char.
- L’avevo capito.
- Sì proprio.
Ride Char, ride il fante. Federico no.
- Vi lascio il numero della fureria, se vi avanzerà qualche ragazza io ci sono.
Restano tutt’e due meravigliati dalla sua pittoresca generosità nel concedere loro successo con le ragazze.
Viterbo è una bella città, ma diventa un cimitero la sera e il traffico è scarso, solo dopo mezz’ora li prende su un autotreno. La sua velocità è tale e quale a quella che Federico tiene in bici, ma almeno li porterà fuori dal quel lago morto. L’autista gli confida che tra un po’ avrebbe preso l’autostrada, così andrà più veloce anche se dovrà fare un paio di deviazioni. Fa un freddo cane pure dentro la cabina. Alla sosta per il gabinetto, nella tasca del cappotto che gli ha prestato un suo amico Federico trova un pacchetto di sigarette e si accende la prima sigaretta vera della vita. Gli gira la testa, si siede sul cofano di un’auto parcheggiata. Char ride di cuore, sembra un tacchino albino.
- Non mi sembri un grande fumatore, - dice.
Federico fa finta di non sentire e prova a trovare l’ennesimo passaggio. Si ferma un carro attrezzi, piccolo e veloce. La diffusa presenza di macchie di grasso sul sedile impiccolisce il loro formato e catapulta la loro presenza all’angolo estremo del sedile per non sporcarsi. Ora conta fare più chilometri possibili e l’affondo dello sguardo sul paesaggio ne è consapevole. Passano case e chiese, passano luci e gente indaffarata.
La loro conversazione riesce a colonizzare ambienti asciutti e essenziali come la cabina dei camion, e il periodare da un mezzo all’altro diventa una collezione di battute recitate con sensibilità attoriale, estrapolate dalla loro passione per il teatro. In più documentarsi su oscuri camionisti diventa il loro passatempo preferito, ognuno ha qualcosa da raccontare. Federico prende appunti, ha imparato a scuola a farlo e non vuole perdere quell’abitudine. Farlo migliora la relazione con ogni camionista, lo fa sentire importante.
L’autotreno del momento si ferma in un grande autogrill con addobbi natalizi esagerati.
- Ragazzi dovete pagare la cena e ho pure molta fame, - dice il camionista con la sigaretta che gli pende dalle labbra.
Poi fa l’occhietto a tutt’e due e modifica le sue intenzioni.
- Per questa volta pago io, si vede da lontano che siete in bolletta.
- Non siamo in bolletta, replica Char offeso e con voce impostata comincia a recitare:
- Autogrill Cantagallo inaugurato da Fanfani nel 1961. Pregi: grandissimo parcheggio con annessa chiesa, grande varietà di prodotti del territorio. Difetti: prezzi elevati, quasi osceni, locali non proprio pulitissimi per colpa del grande afflusso di viaggiatori.
- Ma voi di che razza siete, qui parlano solo di sofferenze. Dice il camionista in un cattivo romanesco, meravigliato da quello sfoggio di cultura di Char.
- Pure noi soffriamo, dice Federico che improvvisamente sente venire a galla il volto di Dafne.
Char fa una smorfia buffa per mascherare una risata.
Dopo la cena il camionista comincia a sbadigliare e trova giusto fermarsi un po’ a dormire. I due ragazzi non si preoccupano più di tanto e si spostano oltre il distributore per essere a portata di un nuovo passaggio.
- Ragazzi qui non potete fare l’autostop, la Stradale s’incazza di brutto se vi vede, - dice la cameriera del bar uscita all’aperto con le maniche della camicia rivoltate e un seno complicato da nascondere, come fosse primavera. - Venite dentro, vi prego, e mi sentirò meno infelice.
Quelli che sembrano gli ultimi minuti di comunità li passano sorseggiando un assaggio del cocktail preparato dalla donna. Marcello, il cassiere, digita un po’ di numeri e poi modificando pure il suo aspetto fisico fa alzare il sipario. Appare esageratamente flessuoso e come un attore che si appresta a recitare, si colloca accanto al forno elettrico per preparare le pizze.
Sparge farina sul marmo con una certa dimestichezza, sembra un pizzaiolo di Posillipo per come è bravo a distendere le sfoglie e a farle roteare in alto.
Non fanno in tempo a osservare il frutto del suo lavoro che si avvicina la barista alle loro spalle sussurrando:
- Sono vecchia e racconto roba vecchia, ma quel simbolo che hai sulla schiena l’ho amato pure io e qualche altro milione di ragazzi.
- Brrr che freddo in questa sala, sembra di stare al palaghiaccio, - replica Char imbarazzato che non vuole far sapere che quel giubbotto è di suo padre e che lui di guerra e pace non se ne intende proprio.
- Che meta avete?
- Praga.
- Apperò! noi del bar abbiamo una stanzetta per cambiarci, potete dormire lì, ma domani mattina …tela!
- Va benissimo, grazie mille amica.
- Non sono tua amica, qui mi chiamano tutti Caipiroska per come sono brava a preparare quel drink e ho l’età giusta per poter essere vostra madre e sono un po’ preoccupata, due ragazzi così giovani in giro da soli, probabilmente senza denaro.
- Non siamo senza denaro.
- E non potevate prendere un bel treno per raggiungere la vostra Praga?
- Con il treno non c’è gusto.
- Voi siete pazzi. Di notte questo non è un posto raccomandabile, arriva certa gente che voi non avete idea. Andate nella stanza, è quella sotto le scale. C’è una targhetta verde e il mio soprannome per sfottò: Caipiroska.
- Perché come ti chiami ?
- Mi chiamo Celeste.
- A pensarci bene alla madonnina che sta nel presepe all’entrata un pochino ci somigli.
- Lascia perdere.
Troppo buona Celeste per non provocare sgomento in un’anima ingenua e sprovveduta come quella di Federico, che poi nemmeno a casa sono così protettivi con lui.
La stanzetta sembra lo studio di un odontotecnico, tutto è pulito e al suo posto, mancano solo le dentiere. Federico si sbraca su una sedia imbottita e girevole e si mette a leggere l’inserto del quotidiano che ha preso in prestito al bar. Char che muore dal sonno trova una coperta, l’annusa, profuma di Caipiroska, la ragazza del bar e di lei non si schifa, ci si avvolge e si sdraia su una catasta di cartoni di Buondì. In cinque minuti si addormenta sul morbido di quelle brioche.
Al mattino Federico è ancora seduto sulla sedia girevole con il suo solito sguardo spiritato.
- Non hai dormito Fed?
- Ho fatto la guardia e imparato a memoria l’inserto del giornale. Tu dormivi profondamente e non mi sono sentito di svegliarti per il cambio.
- Andiamo di sopra e ringraziamo Caipiroska per l’accoglienza, se è ancora da queste parti.
Il bancone del bar è una foresta di ciambelle e cornetti. Caipiroska di spalle si adopera alla macchina del caffè con frenesia professionale.
- Buongiorno principini, dormito bene?
‘ Benissimo’, si affretta a dire Federico con generosità verso Char.
- Coraggio che vi preparo il miglior cappuccino del mondo.
- Vado a fare lo scontrino.
- Non ti azzardare.
Federico, impaurito dalla sua determinazione, torna indietro.
Mangiano con appetito un paio di ciambelle inzuccherate con un occhio al personale diventato numeroso, quello è il più bello spazio vivo del viaggio.
Caipiroska incantandoli con il riflesso della Nivea sul viso aggiunge:
- Vi ho messo qualche Buondì negli zainetti.
Improvviso l’urlo di Char che stringe le guance paffute di colazioni di Federico.
- Che carino il cicciotto con i Buondì della bella Caipiroska!
Fanculo, mi fai male!
Fuori dal bar la nebbiolina e due giganteschi vasi di bucaneve in fiore rendono tutto più autentico.
Abbracciano Caipiroska, ha lo stesso odore della coperta della stanzetta ed è calda come lei.
Lei, la ’gemma’ di quel posto, non riesce a sorridere, si commuove e basta.
Ruote bollenti si fermano a far rifornimento, poi schioccano via elastiche e veloci, nere come liquirizia, con i ragazzi a bordo.
Tornano contenti a casa. Federico e Char.
Federico lucido e consapevole nonostante la giovane età sceglie l’ultima carta rimasta, allontanarsi per un po’, viaggiare, partire possibilmente non da solo.
Un volo di corvi rasenta il fiume e si posa su un ramo giovane, curvo sotto il loro peso. Federico osserva quel ramo sofferente e tira su in modo brusco la sua schiena come per raddrizzarlo. Ai corvi arriva la comunicazione e riprendono il volo, il ramo si normalizza e pure Federico sembra più leggero, meno angosciato. Butta giù un probiotico preso in frigo, infila l’orologio e si siede al centro della cucina.
Quando la madre entra lui è già preparato.
- Vado a fare un giro, ma torno presto, mamma.
Lei sa che nessuno mai potrà fermarlo, ci tiene troppo a quella vacanza strana di cui parla da tempo, e si gira mostrando il suo silenzio di accettazione.
- Prendi i soldi nella busta del condominio, poi ce li rimetterò. A papà glielo dirò io che sei partito, sai che ha poco tempo per chiunque. E con chi andrai?
Federico tira fuori una voce nuova, più matura, che non sembra appartenergli.
- Andrò con Char, un compagno di classe, l’unico con cui vado d’accordo, un pezzo di pane.
- Se hai bisogno chiama, e fai attenzione.
Con il vestito a righe e le braccia dietro la schiena la donna sembra legata alla sedia.
L’albero di Natale lampeggia accanto alle pentole sul lavandino come un’automobile in panne.
Porta le braccia avanti per accogliere il vecchio maglione di Federico con i gomiti consumati. Federico ha gli occhi spiritati, è poco più di un adolescente e si lascia abbracciare. Si sente malconcio, ma libero, come dopo una delle sue forti febbri.
All’appuntamento Char ha indossato il giubbotto di jeans con l’imbottitura di lana e il cerchio della pace dietro le spalle, e uno zainetto scolorito.
- Hai sedici anni ma sei coglione come uno grande, non potevi vestirti più pesante? - Gli urla in faccia Federico carico a mille.
- Questo ho, e tu sembri la copia gratuita di uno scemo.
- Non ti offendere, così te la fai sotto per il freddo. Non possiamo permetterci febbri improvvise e fermate in albergo..
- Io non ho febbri improvvise, fammi capire, faremo i barboni?
- Se resta l’idea di girare l’Europa dobbiamo risparmiare e dormire dove capita, tu non puoi pensare di sopravvivere con il giubbotto della pace, a Praga.
- Allontaniamoci da casa, mi vergogno se mi vede fare l’autostop quell’ameba della vicina.
- Ma chi ci vede, è quasi sera, e poi uno può fare l’autostop pure per andare al cinema o a puttane.
- E al bar, ma vaffa bello mio, a me non piace fare la figura del morto di fame.
Federico è già diverso, l’arrivo di Char, l’autostop, e tutto quello che ne consegue gli hanno fatto dimenticare l’ angoscia per colpa di Dafne.
Char non mostra una briciola di salute, bianco in viso per il freddo sembra appena uscito da un ospedale.
- Non ho nemmeno fatto il pranzo per l’emozione, - dice.
- Tu che di solito mangi pure le ombre sul tavolo, mi pare strano. Il giubbotto mettilo su quella panchina e do fuoco a tutta la panchina.
- Ti è preso brutto. eh?
- Sto scherzando, coglione, - dice con stravagante tenerezza, e alza il dito.
Si ferma una Mini, mezza incidentata.
- Dove dovete andare ragazzi?
- In su, al nord.
- Io posso portarvi fino a Viterbo, devo rientrare in caserma.
E’ un fante o al massimo un caporale,non ha stellette sul cappotto.
- Va benissimo Viterbo, è sul nostro percorso.
- E dove arriva il vostro percorso.
- Se riusciamo a Praga.
- Dovranno essere parecchi a rendersi utili, saranno duemila chilometri.
Dopo avere studiato a fondo la lunghezza dei nostri capelli, con una specie di rancore dice:
- Tanto toccherà pure a voi la naia, prima poi.
- Non è più obbligatoria da un bel po’, mi sembra, e noi siamo pacifisti.
- Bè, godetevela finché potete, la pace.
Char dà un’occhiataccia a Federico, come se sentisse il bisogno di scendere.
Federico resiste, impassibile.
- Volete fumare?
- Io non fumo, grazie. - Io sì, - dice Federico, - ma che tabacco è?
- E’ una canna, tonto, - corregge Char.
- L’avevo capito.
- Sì proprio.
Ride Char, ride il fante. Federico no.
- Vi lascio il numero della fureria, se vi avanzerà qualche ragazza io ci sono.
Restano tutt’e due meravigliati dalla sua pittoresca generosità nel concedere loro successo con le ragazze.
Viterbo è una bella città, ma diventa un cimitero la sera e il traffico è scarso, solo dopo mezz’ora li prende su un autotreno. La sua velocità è tale e quale a quella che Federico tiene in bici, ma almeno li porterà fuori dal quel lago morto. L’autista gli confida che tra un po’ avrebbe preso l’autostrada, così andrà più veloce anche se dovrà fare un paio di deviazioni. Fa un freddo cane pure dentro la cabina. Alla sosta per il gabinetto, nella tasca del cappotto che gli ha prestato un suo amico Federico trova un pacchetto di sigarette e si accende la prima sigaretta vera della vita. Gli gira la testa, si siede sul cofano di un’auto parcheggiata. Char ride di cuore, sembra un tacchino albino.
- Non mi sembri un grande fumatore, - dice.
Federico fa finta di non sentire e prova a trovare l’ennesimo passaggio. Si ferma un carro attrezzi, piccolo e veloce. La diffusa presenza di macchie di grasso sul sedile impiccolisce il loro formato e catapulta la loro presenza all’angolo estremo del sedile per non sporcarsi. Ora conta fare più chilometri possibili e l’affondo dello sguardo sul paesaggio ne è consapevole. Passano case e chiese, passano luci e gente indaffarata.
La loro conversazione riesce a colonizzare ambienti asciutti e essenziali come la cabina dei camion, e il periodare da un mezzo all’altro diventa una collezione di battute recitate con sensibilità attoriale, estrapolate dalla loro passione per il teatro. In più documentarsi su oscuri camionisti diventa il loro passatempo preferito, ognuno ha qualcosa da raccontare. Federico prende appunti, ha imparato a scuola a farlo e non vuole perdere quell’abitudine. Farlo migliora la relazione con ogni camionista, lo fa sentire importante.
L’autotreno del momento si ferma in un grande autogrill con addobbi natalizi esagerati.
- Ragazzi dovete pagare la cena e ho pure molta fame, - dice il camionista con la sigaretta che gli pende dalle labbra.
Poi fa l’occhietto a tutt’e due e modifica le sue intenzioni.
- Per questa volta pago io, si vede da lontano che siete in bolletta.
- Non siamo in bolletta, replica Char offeso e con voce impostata comincia a recitare:
- Autogrill Cantagallo inaugurato da Fanfani nel 1961. Pregi: grandissimo parcheggio con annessa chiesa, grande varietà di prodotti del territorio. Difetti: prezzi elevati, quasi osceni, locali non proprio pulitissimi per colpa del grande afflusso di viaggiatori.
- Ma voi di che razza siete, qui parlano solo di sofferenze. Dice il camionista in un cattivo romanesco, meravigliato da quello sfoggio di cultura di Char.
- Pure noi soffriamo, dice Federico che improvvisamente sente venire a galla il volto di Dafne.
Char fa una smorfia buffa per mascherare una risata.
Dopo la cena il camionista comincia a sbadigliare e trova giusto fermarsi un po’ a dormire. I due ragazzi non si preoccupano più di tanto e si spostano oltre il distributore per essere a portata di un nuovo passaggio.
- Ragazzi qui non potete fare l’autostop, la Stradale s’incazza di brutto se vi vede, - dice la cameriera del bar uscita all’aperto con le maniche della camicia rivoltate e un seno complicato da nascondere, come fosse primavera. - Venite dentro, vi prego, e mi sentirò meno infelice.
Quelli che sembrano gli ultimi minuti di comunità li passano sorseggiando un assaggio del cocktail preparato dalla donna. Marcello, il cassiere, digita un po’ di numeri e poi modificando pure il suo aspetto fisico fa alzare il sipario. Appare esageratamente flessuoso e come un attore che si appresta a recitare, si colloca accanto al forno elettrico per preparare le pizze.
Sparge farina sul marmo con una certa dimestichezza, sembra un pizzaiolo di Posillipo per come è bravo a distendere le sfoglie e a farle roteare in alto.
Non fanno in tempo a osservare il frutto del suo lavoro che si avvicina la barista alle loro spalle sussurrando:
- Sono vecchia e racconto roba vecchia, ma quel simbolo che hai sulla schiena l’ho amato pure io e qualche altro milione di ragazzi.
- Brrr che freddo in questa sala, sembra di stare al palaghiaccio, - replica Char imbarazzato che non vuole far sapere che quel giubbotto è di suo padre e che lui di guerra e pace non se ne intende proprio.
- Che meta avete?
- Praga.
- Apperò! noi del bar abbiamo una stanzetta per cambiarci, potete dormire lì, ma domani mattina …tela!
- Va benissimo, grazie mille amica.
- Non sono tua amica, qui mi chiamano tutti Caipiroska per come sono brava a preparare quel drink e ho l’età giusta per poter essere vostra madre e sono un po’ preoccupata, due ragazzi così giovani in giro da soli, probabilmente senza denaro.
- Non siamo senza denaro.
- E non potevate prendere un bel treno per raggiungere la vostra Praga?
- Con il treno non c’è gusto.
- Voi siete pazzi. Di notte questo non è un posto raccomandabile, arriva certa gente che voi non avete idea. Andate nella stanza, è quella sotto le scale. C’è una targhetta verde e il mio soprannome per sfottò: Caipiroska.
- Perché come ti chiami ?
- Mi chiamo Celeste.
- A pensarci bene alla madonnina che sta nel presepe all’entrata un pochino ci somigli.
- Lascia perdere.
Troppo buona Celeste per non provocare sgomento in un’anima ingenua e sprovveduta come quella di Federico, che poi nemmeno a casa sono così protettivi con lui.
La stanzetta sembra lo studio di un odontotecnico, tutto è pulito e al suo posto, mancano solo le dentiere. Federico si sbraca su una sedia imbottita e girevole e si mette a leggere l’inserto del quotidiano che ha preso in prestito al bar. Char che muore dal sonno trova una coperta, l’annusa, profuma di Caipiroska, la ragazza del bar e di lei non si schifa, ci si avvolge e si sdraia su una catasta di cartoni di Buondì. In cinque minuti si addormenta sul morbido di quelle brioche.
Al mattino Federico è ancora seduto sulla sedia girevole con il suo solito sguardo spiritato.
- Non hai dormito Fed?
- Ho fatto la guardia e imparato a memoria l’inserto del giornale. Tu dormivi profondamente e non mi sono sentito di svegliarti per il cambio.
- Andiamo di sopra e ringraziamo Caipiroska per l’accoglienza, se è ancora da queste parti.
Il bancone del bar è una foresta di ciambelle e cornetti. Caipiroska di spalle si adopera alla macchina del caffè con frenesia professionale.
- Buongiorno principini, dormito bene?
‘ Benissimo’, si affretta a dire Federico con generosità verso Char.
- Coraggio che vi preparo il miglior cappuccino del mondo.
- Vado a fare lo scontrino.
- Non ti azzardare.
Federico, impaurito dalla sua determinazione, torna indietro.
Mangiano con appetito un paio di ciambelle inzuccherate con un occhio al personale diventato numeroso, quello è il più bello spazio vivo del viaggio.
Caipiroska incantandoli con il riflesso della Nivea sul viso aggiunge:
- Vi ho messo qualche Buondì negli zainetti.
Improvviso l’urlo di Char che stringe le guance paffute di colazioni di Federico.
- Che carino il cicciotto con i Buondì della bella Caipiroska!
Fanculo, mi fai male!
Fuori dal bar la nebbiolina e due giganteschi vasi di bucaneve in fiore rendono tutto più autentico.
Abbracciano Caipiroska, ha lo stesso odore della coperta della stanzetta ed è calda come lei.
Lei, la ’gemma’ di quel posto, non riesce a sorridere, si commuove e basta.
Ruote bollenti si fermano a far rifornimento, poi schioccano via elastiche e veloci, nere come liquirizia, con i ragazzi a bordo.
Tornano contenti a casa. Federico e Char.