Alla fine come primo brano ho scelto un horror di lunghezza media, risale a ottobre 2021. Siate clementi.
Scavalco la recinzione, salto giù e il rumore della rete metallica riverbera nella notte come la catena di Cerbero. Mi volto e, mentre aspetto Mike, controllo che la pistola sia al suo posto.
Si arrampica fino in cima e si ferma a guardarmi.
«Sei sicuro che non verrà nessuno? Di solito anche posti come questo hanno dei guardiani notturni.»
«Tranquillo, non c'è pericolo. Dai, mi si sta ghiacciando il culo.»
Mentre si cala giù, mi guardo attorno. C'è un bagno chimico lungo il recinto: è ammaccato, sporco e per qualche motivo mi ricorda una cabina telefonica, antiquata e anacronistica. Il resto del terreno su cui sorge la vecchia costruzione è deserto e infestato da erbacce. Da dietro l'angolo dell'edificio sporgono un paio di vecchi container rugginosi. La costruzione su tre piani è tozza e l'intonaco cade a pezzi; dalla strada, la luce dei lampioni le conferisce un aspetto lugubre, che la fa apparire diversa rispetto alle ore diurne.
“Piantala di fare il cagasotto, è solo una fabbrica abbandonata.”
Mike mi raggiunge.
«Da che parte?»
«Vieni, ti faccio vedere.»
Lo conduco sul retro del lotto e mi fermo accanto a uno dei container.
«Forza, aiutami a salire.»
Uso le sue mani intrecciate per darmi la spinta, mi arrampico e attivo la torcia del telefono per illuminare la facciata. Sposto lo sguardo su di essa finché non trovo la finestra rotta. La faccio scorrere verso l'alto, stando attento alle schegge di vetro, poi aiuto Mike a salire.
Lui mi fa luce col cellulare mentre scavalco il davanzale.
«Chi ti ha detto come entrare?»
Una volta all'interno gli porgo la mano.
«Billy.»
Lui resta impalato a guardarmi.
«Aspetta, vuoi dire Billy “Weed”?»
«Conosci altri Billy? Dai, muoviti.»
Mike afferra la mano e mi raggiunge.
«Credevo che la tua regola numero uno fosse: “non fidarsi dei tossici”.»
Alzo due dita.
«Quella è la regola numero due. La numero uno è: “mai farsi con la roba che vendi”.»
Uso il cellulare per illuminare il corridoio del secondo piano: riccioli di polvere infestano ogni angolo, le pareti sono scrostate, c'è puzza di muffa e di carcassa di animale in decomposizione. Una siringa giace solitaria sul pavimento come una bizzarra opera d'arte.
Schiaccio l'interruttore della luce e un debole alone giallo si spande nell'ambiente. Quando Weed mi aveva detto che c'era ancora la corrente non gli avevo creduto… e come biasimarmi?
Ci incamminiamo per il corridoio e Mike sospira.
«Se Billy sa di questo posto, perché cazzo ci siamo venuti? Ti pare sensato mettere la roba dove un tossico e i suoi amici vengono a farsi? E se la trovano?»
Sogghigno e continuo a guardare in avanti.
«No che non la trovano, se la nascondiamo bene. Dimentichi un fatto fondamentale: il cervello dei drogati è come la pappa dei bambini.»
«Lo spero proprio. Allora, dove pensavi di metterla?»
Arrivati in fondo al corridoio gli faccio cenno di seguirmi giù per le scale.
«Nel seminterrato.»
Nonostante la puzza e l'atmosfera tetra della fabbrica, almeno siamo al riparo dal vento, ma c'è qualcosa in quel posto che continua a non piacermi. Per quanto ridicola, non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che un killer o un mostro sia in agguato, come in un film dell'orrore.
Arrivati al pianterreno accendo la luce anche lì, percorriamo un altro corridoio e ci ritroviamo in un ampio ambiente adibito a catena di montaggio. I macchinari sembrano bestie metalliche addormentate, pronte a tornare in vita per squartare gli intrusi nei modi più impensabili e cruenti. L'idea mi mette d'un tratto ancora più a disagio.
Continuiamo a esplorare finché non raggiungiamo un corridoio a T che conduce all'ingresso: lungo il passaggio di sinistra c'è una porta di metallo senza contrassegni. La indico a Mike, la raggiungiamo e provo la maniglia, trovandola ancora aperta.
Gli spedisco un ghigno.
«Lasciate ogni speranza, o voi ch'entrate.»
Lui imita l'ululato di un fantasma e ride mentre varchiamo la soglia. Accendo la luce. Una breve scalinata di cemento con una ringhiera gialla conduce poco più in basso, in una stanza quadrata con un vecchio ascensore sulla parete più lontana. Si tratta di uno di quegli elevatori vecchio stile, con la porta metallica a scorrimento, simili a gabbie. Un vero reperto archeologico.
Comincio a scendere i gradini, ma Mike non si muove.
«Aspetta, non vorrai salire su quel coso?»
«Il piano è quello. Comunque non preoccuparti, anche i modelli vecchi come questo dovrebbero avere il sistema di sicurezza in caso di caduta.»
Lui mette le mani sui fianchi.
«Dovrebbero, eh?»
«Poche storie. Nel seminterrato deve esserci il locale caldaie, o qualcosa del genere. Possiamo mettere la roba da qualche parte lì sotto e nessuno la troverà mai. Una volta chiusa la trattativa con Domingo, torniamo a prenderla.»
Mike si decide a raggiungermi.
«Continuo a non fidarmi di lui. Non è un onesto spacciatore, quello non ci pensa due volte a farti secco, se gli girano.»
Rido, afferro il cancelletto dell'ascensore e lo apro. Lo stridio metallico perfora il silenzio come l'urlo di una vergine sacrificata durante una messa nera.
«Quindi noi siamo “onesti spacciatori” eh… Cristo Mike, se non esistessi dovrebbero inventarti. Domani ti prenoto per una puntata del David Letterman Show. Vai lì e glielo spieghi, vedrai se non si pisciano sotto dalle risate.»
Ride anche lui e c'infiliamo in quella specie di vergine di ferro mobile. Alla mia destra ci sono solo due pulsanti, pianterreno e seminterrato; pigio il secondo. L'ascensore comincia a scendere con un sobbalzo che ci fa barcollare e una pioggia di ruggine ci fiocca tutt'intorno.
«Adam, non mi piace il rumore che fa.»
«Neanche a me, ma ormai siamo in ballo, perciò balliamo.»
La discesa è di una lentezza esasperante che mi fa quasi pentire della mia idea, ma mi tranquillizzo pensando che l'eroina sarà al sicuro come nel caveau di una banca. Lo sferragliare dell'ascensore è fastidioso quanto il pianto insistente di un neonato.
Mike mi lancia un'occhiata allarmata.
«La senti anche tu questa puzza?»
Annuso l'aria.
«Sembra zolfo. Dici che ci hanno scaricato qualche rifiuto tossico?»
«Spero proprio di no. Magari c'è un'altra spiegazione.»
L'attesa comincia a farsi snervante e prendo a battere il piede.
«Ma quanto cazzo è profondo?»
Mike ammicca.
«Magari è l'accesso a una caverna piena di mostri.»
Gli spedisco un'occhiataccia.
«Sì certo, come nel film che mi hai costretto a vedere quella volta… com'è che si chiamava?»
Lui sogghigna.
«Discesa nelle tenebre. Ti stai cagando sotto, vero? Sento già la puzza.»
Gli mostro medio, indice e anulare.
«Leggi tra le righe.»
Mike ride.
«E poi sono io quello che guarda troppi film… vero, Jack Black?»
Mi stringo nelle spalle con un sorrisetto e restiamo in silenzio per un po', ascoltando l'incessante stridio del macchinario. Mike comincia a dare segni di nervosismo.
«Forse avevi ragione, a quest'ora saremo scesi di almeno tre piani, è assurdo. Io dico di tornare su.»
«Ormai è in movimento, non possiamo salire finché non arriviamo in fondo, tanto vale mettersi l'anima in pace.»
Una parete rocciosa sostituisce poco a poco il cemento del pozzo dell'ascensore; rivoli d'acqua affiorano dalla pietra e qua e là dei depositi di salnitro mi fanno pensare a delle spolverate di cocaina.
«Mike, è una fottuta caverna… sotto una fabbrica.»
Lui si limita a guardarsi intorno, ma la sua espressione la dice lunga. Scommetto che sta ripensando a quel film, perché io lo sto facendo. Pigio a ripetizione il pulsante del pianterreno, ma senza risultato; il rumore dei cavi continua a perforare il silenzio. L'odore di zolfo intanto si è fatto più forte e mi fa ripensare alla mia citazione scherzosa della Divina Commedia. Non c'è forse lo zolfo all'inferno?
Mike mi rivolge la tipica espressione del cucciolo che l'ha appena fatta sul tappeto.
«Adam, ho una paura fottuta.»
Gli restituisco lo sguardo.
«Anch'io, ma se restiamo calmi possiamo affrontare questa situazione assurda. Come quella volta che ci ha quasi beccato la pula a El Pollo Loco, ti ricordi?»
Lui tira fuori un sorriso forzato.
«E chi se lo scorda. Quanto avevi sganciato al tipo là fuori per prestarti il costume da pollo?»
Sorrido.
«Venti dollari, ma ne è valsa la pena, considerato che abbiamo salvato il culo e tutta la partita.»
D'un tratto la luce tremolante si spegne e l'ascensore si blocca con uno scossone. Mike mi artiglia una spalla al buio.
«Saremo arrivati?»
Tiro fuori il cellulare, ma prima di poter attivare la torcia la luce si riaccende e l'elevatore si rimette in moto con uno stridio assordante. Le pareti di roccia sono scomparse e al loro posto… c'è uno strato di carne membranosa rosa scuro che pulsa, come se respirasse.
«Che cazzo è quella roba?»
«Adam, arrampichiamoci sui cavi. Me ne voglio andare da qui… ora!»
Mi rimetto il telefono in tasca; non riesco a distogliere lo sguardo da quell'ammasso informe ricoperto di bolle e pustole purulente.
«Lo sai quanto siamo scesi? Ti fotteresti braccia e gambe a metà strada. Io non voglio farmi un volo di qualche centinaio di metri, se posso evitarlo.»
Mike mi stringe più forte la spalla e mi fissa dritto negli occhi.
«E io non voglio vedere cosa c'è la sotto, mi hai capito?»
«Datti una calmata, siamo sulla stessa barca. L'ascensore è l'unico modo per risalire. Dobbiamo arrivare in fondo.»
Lui mi lascia andare e dà un calcio alla cabina.
«Cazzo!»
«Sta' a sentire, dobbiamo cercare di restare lucidi. Guarda qui.»
Si volta e gli metto sotto il naso la Ruger SR22.
«Se uno dei tuoi mostri si fa vivo, sta' sicuro che gli do il bacio della buonanotte.»
La pistola riesce a rassicurare entrambi e cerco di convincermi che ce la caveremo, qualunque cosa stia succedendo. L'elevatore comincia ad accelerare e la membrana di carne che ci circonda si espande poco a poco; si avviluppa intorno alla gabbia come se ci stesse sospingendo verso il basso, ricordandomi un gigantesco esofago.
È allora che un richiamo bizzarro e agghiacciante rimbomba nel pozzo dell'ascensore: è a metà tra un gorgoglio e uno strillo acuto.
Aumento la stretta sulla pistola e armo il cane.
«Abbiamo solo dieci colpi.»
Mike mi guarda, pallido.
«Allora è meglio se te li fai bastare.»
Passiamo il resto della discesa a scambiarci occhiate e a tendere l'orecchio, in attesa che il richiamo si ripeta, ma c'è solo il frastuono dei cavi a trapanarci i timpani. All'improvviso una scudisciata risuona sopra di noi e l'ascensore comincia a precipitare.
Finisco contro la gabbia e Mike mi cade addosso.
«Cazzo, non voglio morire!»
Pochi attimi di panico, poi lo schianto. La luce della cabina si spegne per qualche istante e riprende a sfarfallare, mentre tento di capire se sono ferito. Sembra tutto a posto, così cerco Mike con lo sguardo: è prono accanto a me.
«Ehi, stai bene?»
Lui alza la testa, sbatte le palpebre con un'espressione da cammello e deglutisce.
«Ho sbattuto gomiti e ginocchia, ma a parte quello penso di sì. Non avevi detto che doveva esserci un freno d'emergenza o qualcosa del genere?»
«Ho detto dovrebbe, se non ce l'ha non prendertela con me. Guarda il lato positivo: siamo caduti solo per una ventina di metri. Dobbiamo avere qualche santo in paradiso.»
La luce tremola un'ultima volta e si spegne, precipitandoci nel buio più completo. Infilo la mano in tasca alla ricerca del telefono.
«La cosa che ha emesso quel verso deve aver tagliato o sganciato i cavi.»
«Se è così siamo fottuti.»
Lo illumino con la torcia del cellulare.
«Vi presento Michael Connelly, il re dell'ottimismo.»
Lui si scherma il viso dalla luce.
«Piantala di fare il cazzone, c'è poco da scherzare. Come pensi di uscire da qui?»
«Forse c'è un'altra uscita, se è così dobbiamo trovarla.»
Mi alzo in piedi e lo aiuto a tirarsi su; apro il cancelletto e respiro a fondo. Un secondo richiamo echeggia nel pozzo dell'ascensore, dandomi un'altra buona ragione per allontanarmi da lì. Protendo il telefono in avanti e appoggio la pistola sul polso sinistro. Davanti a noi si apre un cunicolo fatto di quella sostanza simile a carne membranosa: si espande e si contrae come se respirasse e mi dà tanto i brividi quanto il voltastomaco.
Esco dalla cabina e avanzo senza fretta: il passaggio procede dritto. Mike mi affianca.
«Pensi che ce ne siano altri, qua sotto?»
Esibisco un sorriso che è più simile al ringhio di un pitbull.
«Sì, come in quel film che ti piace tanto. Non sei contento?»
«'Fanculo.»
Man mano comincio a procedere con più sicurezza, ma quel corridoio vivente sembra proseguire all'infinito. Siamo così immersi nel silenzio che avverto il suono appena percettibile della carne, che si agita intorno a noi: somiglia al lievissimo arricciarsi di un pezzo di carta, ma con un che di sgusciante che solo qualcosa di vivo può produrre. L'odore di zolfo si è fatto penetrante e mentre avanziamo, cerco di non pensare alla sua origine.
L'urlo gorgogliante si ripete alle nostre spalle, è più vicino adesso; dei tonfi rapidi rimbombano in lontananza. Mi volto d'istinto, ma il passaggio è ancora deserto. Segue un altro richiamo e i passi accelerano. Mike mi guarda a occhi sgranati.
«Corri!»
Prima che possa rispondergli, attiva la torcia del suo telefono e se la dà a gambe. La mia indecisione dura una frazione di secondo e mi lancio all'inseguimento.
«Aspetta! Mike!»
I nostri passi fanno da debole contrappunto a quelli della creatura che ci dà la caccia; la caverna vivente intorno a noi comincia a contrarsi ed espandersi più in fretta, come se fosse eccitata.
In quel momento, una certezza sfolgorante mi colpisce come un taser: che quel posto sia reale o meno, non può che essere una filiale dell'inferno.
Corro come se avessi una volante a sirene spiegate che mi tallona; la luce del cellulare sobbalza ma riesco comunque a vedere dove vado. Tengo gli occhi incollati sulla schiena di Mike, che non sembra avere intenzione di fermarsi. La cosa che ci insegue non desiste, ma non ho il coraggio di voltarmi a guardare; piuttosto aumento l'andatura.
Di colpo il passaggio si apre su un'enorme grotta di carne che si perde nelle tenebre. Ho l'impressione di aver calpestato qualcosa di molle, così abbasso la fonte di luce e grido: un occhio enorme spunta dal pavimento e mi guarda. Mi rendo conto che ce ne sono altri sparsi qua e là, anche sulle pareti.
“Cristo santo…”
Tiro indietro il piede e tendo le orecchie, ma il mostro che ci inseguiva, o qualunque cosa fosse, sembra aver abbandonato la caccia. Illumino a ventaglio l'area intorno a me.
«Mike, dove sei? Mike!»
L'unica risposta che ricevo è una lunga eco della mia voce che pare deridermi. Prendo ad avanzare con cautela, evitando di calpestare ancora gli occhi: la sensazione sotto la suola è stata a dir poco schifosa e non ci tengo a ripetere l'esperienza. È stato come camminare su un'escrescenza gelatinosa, ma con la consapevolezza che si tratta di qualcosa di vivo.
A un tratto raggiungo una polla e mi fermo a qualche passo dalla sponda. Contiene un liquido brunastro ribollente: ho trovato la fonte della puzza di zolfo. Prima di poter fare qualunque cosa, un urlo mi fa sobbalzare e mi viene la pelle d'oca.
Mi avvio di corsa in quella direzione.
«Mike!»
Imbocco un altro passaggio e lo percorro di volata, tanto che per poco non inciampo nei miei stessi piedi. Mi aspetto altre grida, ma il cunicolo è immerso nel silenzio.
«Dove sei?»
Una parentesi di silenzio assoluto, poi la sua voce risuona poco più in là.
«Sono qui!»
Il passaggio termina e sbuco in un'altra grotta più piccola; Mike se ne sta impalato all'imbocco e per poco non gli finisco addosso.
«Ti ho sentito urlare… cazzo, pensavo stessi morendo.»
Mi affianco a lui e mi indica qualcosa mentre lo illumina con la torcia. Per un attimo mi sento come se mi mancasse la terra sotto i piedi e mi si mozza il fiato, il che è un bene perché altrimenti avrei urlato anch'io.
Una moltitudine di resti umani è sparsa nell'ambiente; alcuni hanno ancora qualche brandello di carne attaccato alle ossa candide e mi fanno pensare all'ossobuco. Un conato comincia ad arrampicarmisi su per lo stomaco come un vecchio scalatore stanco, ma riesco a dominarlo.
Due creature al centro completano il quadro mostruoso: sono grosse il doppio di un uomo, le membra sono allungate e terminano in artigli uncinati; la testa è glabra e piena di bozzi. Le orecchie sono appiattite e a punta, il naso solo un paio di fori nella faccia; non hanno occhi. Le loro bocche piene di denti aguzzi masticano la carne della loro ultima vittima; di tanto in tanto fanno saettare tra le labbra una lingua biforcuta. Solo allora riconosco la faccia mezza divorata del cadavere tra le loro grinfie… Billy.
I mostri sembrano troppo impegnati a banchettare per curarsi di noi: se così non fosse stato, al mio arrivo avrei trovato Mike cadavere. Gli poso una mano sulla spalla.
«Leviamoci da qui… subito.»
Lui si limita ad annuire e cominciamo a indietreggiare. Ripercorriamo il corridoio a passo svelto e presto ci ritroviamo nella caverna grande. Mike mi guarda.
«Credi davvero che ci sia un'altra uscita?»
Ripongo il telefono e impugno la Ruger con entrambe le mani.
«C'è solo un modo per scoprirlo. Fammi luce e vediamo di squagliarcela.»
Ben presto scopriamo che ci sono molti altri passaggi che si riversano nella caverna centrale, come in un formicaio gigante. Troppi per esplorarli tutti. Ne scegliamo uno e lo imbocchiamo: Mike mi segue da vicino, illuminando il passaggio davanti a me mentre procedo con la pistola spianata. Non so quanti di quei cosi ci siano là sotto, ma dubito che un caricatore mi basterebbe.
Avanziamo per quella che mi pare un'eternità, finché non sbuchiamo in un'altra grotta su cui si aprono diversi passaggi. Nel mezzo c'è una dozzina di mostri sdraiati a terra, all'apparenza addormentati. Mi giro verso Mike e appoggio l'indice sulla bocca; lui annuisce e ci avviamo verso il cunicolo più vicino. Una delle creature emette un ringhio. Ci blocchiamo scambiandoci un'occhiata, ma si è solo agitata nel sonno. Tiro un sospiro di sollievo e riprendo ad avanzare.
D'un tratto Mike emette un urlo lacerante; mi volto giusto in tempo per vedere una bocca piena di denti aguzzi aperta nel pavimento, che gli ha azzannato la caviglia come una tagliola vivente e cerca di ingoiargli la gamba.
«Adam! Sparagli, sparagli!»
I mostri emettono un coro di strilli gorgoglianti. Prendo la mira e la deflagrazione rimbomba nella caverna. La bocca mostruosa molla Mike e mi affretto a sostenerlo. Ci lanciamo alla massima velocità possibile verso il passaggio, ma una delle creature compie un balzo e si mette tra noi e il cunicolo. Esplodo due colpi contro la cosa e i proiettili si conficcano nella sua pelle incartapecorita, stillando sangue nero. Il mostro batte in ritirata ma il resto dei suoi compagni converge su di noi. Mike inciampa e cadiamo a terra.
“Siamo morti.”
No, non posso arrendermi così. Mi libero del peso morto del mio amico, mi metto supino e sparo davanti a me alla cieca. Uno, due, tre, quattro. Al quarto proiettile mi fermo: a giudicare dalle urla devo averne colpito almeno qualcuno. Uno dei mostri balza fuori dall'oscurità e atterra sulla schiena di Mike, gli artiglia la carne e lo azzanna alla gola con un sibilo.
Mi alzo in piedi e mi lancio nella direzione da cui siamo venuti. Tiro fuori il telefono senza rallentare l'andatura e illumino la via davanti a me. Fuggo con il cuore che mi batte come quello di un criceto; l'adrenalina mi sostiene e mi spinge a correre più veloce. Alle mie spalle sento i richiami degli esseri che mi inseguono e, più distanti, gli schiocchi delle fauci di quelli che si sono fermati a divorare il mio migliore amico. Vorrei sentirmi in colpa per averlo abbandonato, ma la verità è che se avessi provato a salvarlo, sarei morto anch'io.
Mentre corro, mi dico che la mia unica possibilità è provare ad arrampicarmi su per il pozzo dell'ascensore, come aveva detto Mike. Preferisco rischiare di sfracellarmi che finire nello stomaco di quegli schifosi figli di puttana.
Attraverso di volata la grande caverna e, quando una di quelle bocche bastarde prova ad azzannarmi, la salto come se si trattasse di una pozzanghera d'acido. Imbocco il cunicolo che conduce all'ascensore col fiato corto, ma mi costringo a mantenere l'andatura. Il mostro che ci aveva spaventato all'inizio sbuca dal passaggio; mi fermo di botto e in quello stesso momento mi si lancia contro. Sparo tre colpi in rapida successione: il primo lo raggiunge a una spalla rallentandolo, il secondo al torace e l'ultimo alla testa. Stramazza a terra e rotola per un tratto in un groviglio di arti allungati, fermandosi a breve distanza da me.
Alle mie spalle posso sentire i richiami dei suoi compagni che si avvicinano. Scavalco il cadavere sotto il quale si allarga una pozza scura e mi lancio verso l'ascensore. Mi schianto contro la parete posteriore della gabbia e comincio ad armeggiare col portello sul tetto della cabina.
Uno strillo gorgogliante in avvicinamento mi fa sussultare. Abbasso lo sguardo senza smettere di lavorare con le dita: uno dei mostri sta correndo verso di me. Solo allora mi ricordo che non ho ancora chiuso il cancelletto metallico, ma ormai è troppo tardi. La creatura è a una decina di metri e si avvicina rapida. Estraggo la Ruger, prendo la mira e apro il fuoco.
Il grilletto scatta a vuoto.
Discesa nelle tenebre
Scavalco la recinzione, salto giù e il rumore della rete metallica riverbera nella notte come la catena di Cerbero. Mi volto e, mentre aspetto Mike, controllo che la pistola sia al suo posto.
Si arrampica fino in cima e si ferma a guardarmi.
«Sei sicuro che non verrà nessuno? Di solito anche posti come questo hanno dei guardiani notturni.»
«Tranquillo, non c'è pericolo. Dai, mi si sta ghiacciando il culo.»
Mentre si cala giù, mi guardo attorno. C'è un bagno chimico lungo il recinto: è ammaccato, sporco e per qualche motivo mi ricorda una cabina telefonica, antiquata e anacronistica. Il resto del terreno su cui sorge la vecchia costruzione è deserto e infestato da erbacce. Da dietro l'angolo dell'edificio sporgono un paio di vecchi container rugginosi. La costruzione su tre piani è tozza e l'intonaco cade a pezzi; dalla strada, la luce dei lampioni le conferisce un aspetto lugubre, che la fa apparire diversa rispetto alle ore diurne.
“Piantala di fare il cagasotto, è solo una fabbrica abbandonata.”
Mike mi raggiunge.
«Da che parte?»
«Vieni, ti faccio vedere.»
Lo conduco sul retro del lotto e mi fermo accanto a uno dei container.
«Forza, aiutami a salire.»
Uso le sue mani intrecciate per darmi la spinta, mi arrampico e attivo la torcia del telefono per illuminare la facciata. Sposto lo sguardo su di essa finché non trovo la finestra rotta. La faccio scorrere verso l'alto, stando attento alle schegge di vetro, poi aiuto Mike a salire.
Lui mi fa luce col cellulare mentre scavalco il davanzale.
«Chi ti ha detto come entrare?»
Una volta all'interno gli porgo la mano.
«Billy.»
Lui resta impalato a guardarmi.
«Aspetta, vuoi dire Billy “Weed”?»
«Conosci altri Billy? Dai, muoviti.»
Mike afferra la mano e mi raggiunge.
«Credevo che la tua regola numero uno fosse: “non fidarsi dei tossici”.»
Alzo due dita.
«Quella è la regola numero due. La numero uno è: “mai farsi con la roba che vendi”.»
Uso il cellulare per illuminare il corridoio del secondo piano: riccioli di polvere infestano ogni angolo, le pareti sono scrostate, c'è puzza di muffa e di carcassa di animale in decomposizione. Una siringa giace solitaria sul pavimento come una bizzarra opera d'arte.
Schiaccio l'interruttore della luce e un debole alone giallo si spande nell'ambiente. Quando Weed mi aveva detto che c'era ancora la corrente non gli avevo creduto… e come biasimarmi?
Ci incamminiamo per il corridoio e Mike sospira.
«Se Billy sa di questo posto, perché cazzo ci siamo venuti? Ti pare sensato mettere la roba dove un tossico e i suoi amici vengono a farsi? E se la trovano?»
Sogghigno e continuo a guardare in avanti.
«No che non la trovano, se la nascondiamo bene. Dimentichi un fatto fondamentale: il cervello dei drogati è come la pappa dei bambini.»
«Lo spero proprio. Allora, dove pensavi di metterla?»
Arrivati in fondo al corridoio gli faccio cenno di seguirmi giù per le scale.
«Nel seminterrato.»
Nonostante la puzza e l'atmosfera tetra della fabbrica, almeno siamo al riparo dal vento, ma c'è qualcosa in quel posto che continua a non piacermi. Per quanto ridicola, non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che un killer o un mostro sia in agguato, come in un film dell'orrore.
Arrivati al pianterreno accendo la luce anche lì, percorriamo un altro corridoio e ci ritroviamo in un ampio ambiente adibito a catena di montaggio. I macchinari sembrano bestie metalliche addormentate, pronte a tornare in vita per squartare gli intrusi nei modi più impensabili e cruenti. L'idea mi mette d'un tratto ancora più a disagio.
Continuiamo a esplorare finché non raggiungiamo un corridoio a T che conduce all'ingresso: lungo il passaggio di sinistra c'è una porta di metallo senza contrassegni. La indico a Mike, la raggiungiamo e provo la maniglia, trovandola ancora aperta.
Gli spedisco un ghigno.
«Lasciate ogni speranza, o voi ch'entrate.»
Lui imita l'ululato di un fantasma e ride mentre varchiamo la soglia. Accendo la luce. Una breve scalinata di cemento con una ringhiera gialla conduce poco più in basso, in una stanza quadrata con un vecchio ascensore sulla parete più lontana. Si tratta di uno di quegli elevatori vecchio stile, con la porta metallica a scorrimento, simili a gabbie. Un vero reperto archeologico.
Comincio a scendere i gradini, ma Mike non si muove.
«Aspetta, non vorrai salire su quel coso?»
«Il piano è quello. Comunque non preoccuparti, anche i modelli vecchi come questo dovrebbero avere il sistema di sicurezza in caso di caduta.»
Lui mette le mani sui fianchi.
«Dovrebbero, eh?»
«Poche storie. Nel seminterrato deve esserci il locale caldaie, o qualcosa del genere. Possiamo mettere la roba da qualche parte lì sotto e nessuno la troverà mai. Una volta chiusa la trattativa con Domingo, torniamo a prenderla.»
Mike si decide a raggiungermi.
«Continuo a non fidarmi di lui. Non è un onesto spacciatore, quello non ci pensa due volte a farti secco, se gli girano.»
Rido, afferro il cancelletto dell'ascensore e lo apro. Lo stridio metallico perfora il silenzio come l'urlo di una vergine sacrificata durante una messa nera.
«Quindi noi siamo “onesti spacciatori” eh… Cristo Mike, se non esistessi dovrebbero inventarti. Domani ti prenoto per una puntata del David Letterman Show. Vai lì e glielo spieghi, vedrai se non si pisciano sotto dalle risate.»
Ride anche lui e c'infiliamo in quella specie di vergine di ferro mobile. Alla mia destra ci sono solo due pulsanti, pianterreno e seminterrato; pigio il secondo. L'ascensore comincia a scendere con un sobbalzo che ci fa barcollare e una pioggia di ruggine ci fiocca tutt'intorno.
«Adam, non mi piace il rumore che fa.»
«Neanche a me, ma ormai siamo in ballo, perciò balliamo.»
***
La discesa è di una lentezza esasperante che mi fa quasi pentire della mia idea, ma mi tranquillizzo pensando che l'eroina sarà al sicuro come nel caveau di una banca. Lo sferragliare dell'ascensore è fastidioso quanto il pianto insistente di un neonato.
Mike mi lancia un'occhiata allarmata.
«La senti anche tu questa puzza?»
Annuso l'aria.
«Sembra zolfo. Dici che ci hanno scaricato qualche rifiuto tossico?»
«Spero proprio di no. Magari c'è un'altra spiegazione.»
L'attesa comincia a farsi snervante e prendo a battere il piede.
«Ma quanto cazzo è profondo?»
Mike ammicca.
«Magari è l'accesso a una caverna piena di mostri.»
Gli spedisco un'occhiataccia.
«Sì certo, come nel film che mi hai costretto a vedere quella volta… com'è che si chiamava?»
Lui sogghigna.
«Discesa nelle tenebre. Ti stai cagando sotto, vero? Sento già la puzza.»
Gli mostro medio, indice e anulare.
«Leggi tra le righe.»
Mike ride.
«E poi sono io quello che guarda troppi film… vero, Jack Black?»
Mi stringo nelle spalle con un sorrisetto e restiamo in silenzio per un po', ascoltando l'incessante stridio del macchinario. Mike comincia a dare segni di nervosismo.
«Forse avevi ragione, a quest'ora saremo scesi di almeno tre piani, è assurdo. Io dico di tornare su.»
«Ormai è in movimento, non possiamo salire finché non arriviamo in fondo, tanto vale mettersi l'anima in pace.»
Una parete rocciosa sostituisce poco a poco il cemento del pozzo dell'ascensore; rivoli d'acqua affiorano dalla pietra e qua e là dei depositi di salnitro mi fanno pensare a delle spolverate di cocaina.
«Mike, è una fottuta caverna… sotto una fabbrica.»
Lui si limita a guardarsi intorno, ma la sua espressione la dice lunga. Scommetto che sta ripensando a quel film, perché io lo sto facendo. Pigio a ripetizione il pulsante del pianterreno, ma senza risultato; il rumore dei cavi continua a perforare il silenzio. L'odore di zolfo intanto si è fatto più forte e mi fa ripensare alla mia citazione scherzosa della Divina Commedia. Non c'è forse lo zolfo all'inferno?
Mike mi rivolge la tipica espressione del cucciolo che l'ha appena fatta sul tappeto.
«Adam, ho una paura fottuta.»
Gli restituisco lo sguardo.
«Anch'io, ma se restiamo calmi possiamo affrontare questa situazione assurda. Come quella volta che ci ha quasi beccato la pula a El Pollo Loco, ti ricordi?»
Lui tira fuori un sorriso forzato.
«E chi se lo scorda. Quanto avevi sganciato al tipo là fuori per prestarti il costume da pollo?»
Sorrido.
«Venti dollari, ma ne è valsa la pena, considerato che abbiamo salvato il culo e tutta la partita.»
D'un tratto la luce tremolante si spegne e l'ascensore si blocca con uno scossone. Mike mi artiglia una spalla al buio.
«Saremo arrivati?»
Tiro fuori il cellulare, ma prima di poter attivare la torcia la luce si riaccende e l'elevatore si rimette in moto con uno stridio assordante. Le pareti di roccia sono scomparse e al loro posto… c'è uno strato di carne membranosa rosa scuro che pulsa, come se respirasse.
«Che cazzo è quella roba?»
«Adam, arrampichiamoci sui cavi. Me ne voglio andare da qui… ora!»
Mi rimetto il telefono in tasca; non riesco a distogliere lo sguardo da quell'ammasso informe ricoperto di bolle e pustole purulente.
«Lo sai quanto siamo scesi? Ti fotteresti braccia e gambe a metà strada. Io non voglio farmi un volo di qualche centinaio di metri, se posso evitarlo.»
Mike mi stringe più forte la spalla e mi fissa dritto negli occhi.
«E io non voglio vedere cosa c'è la sotto, mi hai capito?»
«Datti una calmata, siamo sulla stessa barca. L'ascensore è l'unico modo per risalire. Dobbiamo arrivare in fondo.»
Lui mi lascia andare e dà un calcio alla cabina.
«Cazzo!»
«Sta' a sentire, dobbiamo cercare di restare lucidi. Guarda qui.»
Si volta e gli metto sotto il naso la Ruger SR22.
«Se uno dei tuoi mostri si fa vivo, sta' sicuro che gli do il bacio della buonanotte.»
La pistola riesce a rassicurare entrambi e cerco di convincermi che ce la caveremo, qualunque cosa stia succedendo. L'elevatore comincia ad accelerare e la membrana di carne che ci circonda si espande poco a poco; si avviluppa intorno alla gabbia come se ci stesse sospingendo verso il basso, ricordandomi un gigantesco esofago.
È allora che un richiamo bizzarro e agghiacciante rimbomba nel pozzo dell'ascensore: è a metà tra un gorgoglio e uno strillo acuto.
Aumento la stretta sulla pistola e armo il cane.
«Abbiamo solo dieci colpi.»
Mike mi guarda, pallido.
«Allora è meglio se te li fai bastare.»
***
Passiamo il resto della discesa a scambiarci occhiate e a tendere l'orecchio, in attesa che il richiamo si ripeta, ma c'è solo il frastuono dei cavi a trapanarci i timpani. All'improvviso una scudisciata risuona sopra di noi e l'ascensore comincia a precipitare.
Finisco contro la gabbia e Mike mi cade addosso.
«Cazzo, non voglio morire!»
Pochi attimi di panico, poi lo schianto. La luce della cabina si spegne per qualche istante e riprende a sfarfallare, mentre tento di capire se sono ferito. Sembra tutto a posto, così cerco Mike con lo sguardo: è prono accanto a me.
«Ehi, stai bene?»
Lui alza la testa, sbatte le palpebre con un'espressione da cammello e deglutisce.
«Ho sbattuto gomiti e ginocchia, ma a parte quello penso di sì. Non avevi detto che doveva esserci un freno d'emergenza o qualcosa del genere?»
«Ho detto dovrebbe, se non ce l'ha non prendertela con me. Guarda il lato positivo: siamo caduti solo per una ventina di metri. Dobbiamo avere qualche santo in paradiso.»
La luce tremola un'ultima volta e si spegne, precipitandoci nel buio più completo. Infilo la mano in tasca alla ricerca del telefono.
«La cosa che ha emesso quel verso deve aver tagliato o sganciato i cavi.»
«Se è così siamo fottuti.»
Lo illumino con la torcia del cellulare.
«Vi presento Michael Connelly, il re dell'ottimismo.»
Lui si scherma il viso dalla luce.
«Piantala di fare il cazzone, c'è poco da scherzare. Come pensi di uscire da qui?»
«Forse c'è un'altra uscita, se è così dobbiamo trovarla.»
Mi alzo in piedi e lo aiuto a tirarsi su; apro il cancelletto e respiro a fondo. Un secondo richiamo echeggia nel pozzo dell'ascensore, dandomi un'altra buona ragione per allontanarmi da lì. Protendo il telefono in avanti e appoggio la pistola sul polso sinistro. Davanti a noi si apre un cunicolo fatto di quella sostanza simile a carne membranosa: si espande e si contrae come se respirasse e mi dà tanto i brividi quanto il voltastomaco.
Esco dalla cabina e avanzo senza fretta: il passaggio procede dritto. Mike mi affianca.
«Pensi che ce ne siano altri, qua sotto?»
Esibisco un sorriso che è più simile al ringhio di un pitbull.
«Sì, come in quel film che ti piace tanto. Non sei contento?»
«'Fanculo.»
Man mano comincio a procedere con più sicurezza, ma quel corridoio vivente sembra proseguire all'infinito. Siamo così immersi nel silenzio che avverto il suono appena percettibile della carne, che si agita intorno a noi: somiglia al lievissimo arricciarsi di un pezzo di carta, ma con un che di sgusciante che solo qualcosa di vivo può produrre. L'odore di zolfo si è fatto penetrante e mentre avanziamo, cerco di non pensare alla sua origine.
L'urlo gorgogliante si ripete alle nostre spalle, è più vicino adesso; dei tonfi rapidi rimbombano in lontananza. Mi volto d'istinto, ma il passaggio è ancora deserto. Segue un altro richiamo e i passi accelerano. Mike mi guarda a occhi sgranati.
«Corri!»
Prima che possa rispondergli, attiva la torcia del suo telefono e se la dà a gambe. La mia indecisione dura una frazione di secondo e mi lancio all'inseguimento.
«Aspetta! Mike!»
I nostri passi fanno da debole contrappunto a quelli della creatura che ci dà la caccia; la caverna vivente intorno a noi comincia a contrarsi ed espandersi più in fretta, come se fosse eccitata.
In quel momento, una certezza sfolgorante mi colpisce come un taser: che quel posto sia reale o meno, non può che essere una filiale dell'inferno.
***
Corro come se avessi una volante a sirene spiegate che mi tallona; la luce del cellulare sobbalza ma riesco comunque a vedere dove vado. Tengo gli occhi incollati sulla schiena di Mike, che non sembra avere intenzione di fermarsi. La cosa che ci insegue non desiste, ma non ho il coraggio di voltarmi a guardare; piuttosto aumento l'andatura.
Di colpo il passaggio si apre su un'enorme grotta di carne che si perde nelle tenebre. Ho l'impressione di aver calpestato qualcosa di molle, così abbasso la fonte di luce e grido: un occhio enorme spunta dal pavimento e mi guarda. Mi rendo conto che ce ne sono altri sparsi qua e là, anche sulle pareti.
“Cristo santo…”
Tiro indietro il piede e tendo le orecchie, ma il mostro che ci inseguiva, o qualunque cosa fosse, sembra aver abbandonato la caccia. Illumino a ventaglio l'area intorno a me.
«Mike, dove sei? Mike!»
L'unica risposta che ricevo è una lunga eco della mia voce che pare deridermi. Prendo ad avanzare con cautela, evitando di calpestare ancora gli occhi: la sensazione sotto la suola è stata a dir poco schifosa e non ci tengo a ripetere l'esperienza. È stato come camminare su un'escrescenza gelatinosa, ma con la consapevolezza che si tratta di qualcosa di vivo.
A un tratto raggiungo una polla e mi fermo a qualche passo dalla sponda. Contiene un liquido brunastro ribollente: ho trovato la fonte della puzza di zolfo. Prima di poter fare qualunque cosa, un urlo mi fa sobbalzare e mi viene la pelle d'oca.
Mi avvio di corsa in quella direzione.
«Mike!»
Imbocco un altro passaggio e lo percorro di volata, tanto che per poco non inciampo nei miei stessi piedi. Mi aspetto altre grida, ma il cunicolo è immerso nel silenzio.
«Dove sei?»
Una parentesi di silenzio assoluto, poi la sua voce risuona poco più in là.
«Sono qui!»
Il passaggio termina e sbuco in un'altra grotta più piccola; Mike se ne sta impalato all'imbocco e per poco non gli finisco addosso.
«Ti ho sentito urlare… cazzo, pensavo stessi morendo.»
Mi affianco a lui e mi indica qualcosa mentre lo illumina con la torcia. Per un attimo mi sento come se mi mancasse la terra sotto i piedi e mi si mozza il fiato, il che è un bene perché altrimenti avrei urlato anch'io.
Una moltitudine di resti umani è sparsa nell'ambiente; alcuni hanno ancora qualche brandello di carne attaccato alle ossa candide e mi fanno pensare all'ossobuco. Un conato comincia ad arrampicarmisi su per lo stomaco come un vecchio scalatore stanco, ma riesco a dominarlo.
Due creature al centro completano il quadro mostruoso: sono grosse il doppio di un uomo, le membra sono allungate e terminano in artigli uncinati; la testa è glabra e piena di bozzi. Le orecchie sono appiattite e a punta, il naso solo un paio di fori nella faccia; non hanno occhi. Le loro bocche piene di denti aguzzi masticano la carne della loro ultima vittima; di tanto in tanto fanno saettare tra le labbra una lingua biforcuta. Solo allora riconosco la faccia mezza divorata del cadavere tra le loro grinfie… Billy.
I mostri sembrano troppo impegnati a banchettare per curarsi di noi: se così non fosse stato, al mio arrivo avrei trovato Mike cadavere. Gli poso una mano sulla spalla.
«Leviamoci da qui… subito.»
Lui si limita ad annuire e cominciamo a indietreggiare. Ripercorriamo il corridoio a passo svelto e presto ci ritroviamo nella caverna grande. Mike mi guarda.
«Credi davvero che ci sia un'altra uscita?»
Ripongo il telefono e impugno la Ruger con entrambe le mani.
«C'è solo un modo per scoprirlo. Fammi luce e vediamo di squagliarcela.»
***
Ben presto scopriamo che ci sono molti altri passaggi che si riversano nella caverna centrale, come in un formicaio gigante. Troppi per esplorarli tutti. Ne scegliamo uno e lo imbocchiamo: Mike mi segue da vicino, illuminando il passaggio davanti a me mentre procedo con la pistola spianata. Non so quanti di quei cosi ci siano là sotto, ma dubito che un caricatore mi basterebbe.
Avanziamo per quella che mi pare un'eternità, finché non sbuchiamo in un'altra grotta su cui si aprono diversi passaggi. Nel mezzo c'è una dozzina di mostri sdraiati a terra, all'apparenza addormentati. Mi giro verso Mike e appoggio l'indice sulla bocca; lui annuisce e ci avviamo verso il cunicolo più vicino. Una delle creature emette un ringhio. Ci blocchiamo scambiandoci un'occhiata, ma si è solo agitata nel sonno. Tiro un sospiro di sollievo e riprendo ad avanzare.
D'un tratto Mike emette un urlo lacerante; mi volto giusto in tempo per vedere una bocca piena di denti aguzzi aperta nel pavimento, che gli ha azzannato la caviglia come una tagliola vivente e cerca di ingoiargli la gamba.
«Adam! Sparagli, sparagli!»
I mostri emettono un coro di strilli gorgoglianti. Prendo la mira e la deflagrazione rimbomba nella caverna. La bocca mostruosa molla Mike e mi affretto a sostenerlo. Ci lanciamo alla massima velocità possibile verso il passaggio, ma una delle creature compie un balzo e si mette tra noi e il cunicolo. Esplodo due colpi contro la cosa e i proiettili si conficcano nella sua pelle incartapecorita, stillando sangue nero. Il mostro batte in ritirata ma il resto dei suoi compagni converge su di noi. Mike inciampa e cadiamo a terra.
“Siamo morti.”
No, non posso arrendermi così. Mi libero del peso morto del mio amico, mi metto supino e sparo davanti a me alla cieca. Uno, due, tre, quattro. Al quarto proiettile mi fermo: a giudicare dalle urla devo averne colpito almeno qualcuno. Uno dei mostri balza fuori dall'oscurità e atterra sulla schiena di Mike, gli artiglia la carne e lo azzanna alla gola con un sibilo.
Mi alzo in piedi e mi lancio nella direzione da cui siamo venuti. Tiro fuori il telefono senza rallentare l'andatura e illumino la via davanti a me. Fuggo con il cuore che mi batte come quello di un criceto; l'adrenalina mi sostiene e mi spinge a correre più veloce. Alle mie spalle sento i richiami degli esseri che mi inseguono e, più distanti, gli schiocchi delle fauci di quelli che si sono fermati a divorare il mio migliore amico. Vorrei sentirmi in colpa per averlo abbandonato, ma la verità è che se avessi provato a salvarlo, sarei morto anch'io.
Mentre corro, mi dico che la mia unica possibilità è provare ad arrampicarmi su per il pozzo dell'ascensore, come aveva detto Mike. Preferisco rischiare di sfracellarmi che finire nello stomaco di quegli schifosi figli di puttana.
Attraverso di volata la grande caverna e, quando una di quelle bocche bastarde prova ad azzannarmi, la salto come se si trattasse di una pozzanghera d'acido. Imbocco il cunicolo che conduce all'ascensore col fiato corto, ma mi costringo a mantenere l'andatura. Il mostro che ci aveva spaventato all'inizio sbuca dal passaggio; mi fermo di botto e in quello stesso momento mi si lancia contro. Sparo tre colpi in rapida successione: il primo lo raggiunge a una spalla rallentandolo, il secondo al torace e l'ultimo alla testa. Stramazza a terra e rotola per un tratto in un groviglio di arti allungati, fermandosi a breve distanza da me.
Alle mie spalle posso sentire i richiami dei suoi compagni che si avvicinano. Scavalco il cadavere sotto il quale si allarga una pozza scura e mi lancio verso l'ascensore. Mi schianto contro la parete posteriore della gabbia e comincio ad armeggiare col portello sul tetto della cabina.
Uno strillo gorgogliante in avvicinamento mi fa sussultare. Abbasso lo sguardo senza smettere di lavorare con le dita: uno dei mostri sta correndo verso di me. Solo allora mi ricordo che non ho ancora chiuso il cancelletto metallico, ma ormai è troppo tardi. La creatura è a una decina di metri e si avvicina rapida. Estraggo la Ruger, prendo la mira e apro il fuoco.
Il grilletto scatta a vuoto.