Vaticano, Roma, MDXXXIX
«Eminenza, accomodatevi, il Santo Padre vi aspetta,» sussurrò l’aiutante del Papa, «vi faccio strada».
Pietro era nervoso, non gli accadeva da tempo. Il suo stato d’animo era tale a causa della prossima cerimonia per la nomina a cardinale: «Grazie, figliuolo, sia lodato Gesù Cristo».
«Sempre sia lodato».
Spirava un’arietta gelida nel lungo e semibuio corridoio che conduceva alla segreteria. Dopo le formalità burocratiche, il Santo Padre attendeva Pietro per un’udienza privata.
«Eminenza reverendissima,» esclamò Paolo III non appena Pietro varcò la soglia dell’ufficio papale dopo essere stato annunciato, «e illustre professore e padre della meravigliosa lingua d’Italia».
Pietro aggrottò le ciglia, non sopportava quell’adulazione gratuita, ma cercò di dissimulare l’irritazione. Con uno sforzo emotivo enorme, chinandosi per baciare l’anello del Papa, disse: «Un privilegio e un onore essere al vostro autorevole cospetto, Santità». E subito aggiunse: «Sono un umile servitore della chiesa e il titolo che Vostra Grazia ha voluto concedermi non può che rendermi ancora più umile al cospetto di Nostro Signore».
«Vi prego alzatevi,» disse il Papa facendo segno a Pietro di accomodarsi, «la gloria di Nostro Signore è grande, e da domani un pezzetto di questa gloria sarà anche per voi».
«Mi rimetto alla volontà di Dio, Santità» annuì Pietro.
«Eppure,» disse il Papa guardando fuori dalla finestra e scorgendo il cantiere della grande cupola, «la gloria l’avete cercata in passato, tentando di confondervi col volgo. Non è così, professor Bembo?»
Confondervi col volgo. A Pietro si gelò il sangue.
Il sole s’apprestava a tramontare tra i fiotti della laguna colorando le briccole d’un arancione acceso. Un’energica brezza autunnale sollevò la cappa di Pietro, che a passo sostenuto si dirigeva verso Campo Manin. Passò davanti alla chiesa del Santo Paternian e si fermò in corrispondenza del campanile. Con sguardo attento scrutò il cielo alto ormai buio: a momenti la campana avrebbe suonato l’Ave Maria.
Fu in quel momento che Pietro s’accorse di essere seguito. Con la coda dell’occhio aveva scorto due sagome proiettate dalla debole luce sui muri incrostati di salsedine. Per essere sicuro di ciò che credeva, fece cadere intenzionalmente uno dei rotoli di carta che aveva con sé. Si chinò per raccoglierlo, sbirciando con l’occhio oltre la linea della sua cappa: le figure si erano arrestate con lui e non ebbe più dubbi.
La bottega di Andrea si trovava proprio al principio del Canale degli Assassini. Pietro sentì un brivido freddo salirgli la schiena. Bussò, scuotendo il picchiotto con vigore. Guardò in lontananza, nella calle ormai buia. Non c’era anima viva eppure qualcuno, nell’oscurità, continuava a osservarlo.
Il portone della bottega s’aprì su un corridoio dalla volta a botte, pregno d’umidità. L’odore terroso investì Pietro come un vento di tempesta. Dissimulò un conato di vomito.
«Pietro!», esclamò Andrea illuminando il volto dell’amico con la candela, «cosa c’è di tanto importante da farti venire qui a quest’ora?»
Andrea lo prese sotto braccio. Oscillando la candela fece segno all’amico di accomodarsi nel laboratorio. Le gocce di cera cadute sul pavimento si solidificarono, cristallizzando la tensione di Pietro: «Sei solo?» chiese ad Andrea.
«C’è Anselmo,» rispose lui con tono incuriosito, «perché me lo chiedi?»
«Preferirei che restassimo qui in corridoio, nessuno deve vedere ciò che ho da mostrarti» disse Pietro.
«Anselmo!» urlò Andrea. Il garzone s’affacciò allo stipite della porta tra il laboratorio e il corridoio: «Sissignore!»
«Per oggi puoi andare» disse l’esperto artigiano indicando la porta, «concluderò io la stampa che stavi facendo».
«Come volete» sospirò il garzone. Prese il mantello e s’avviò all’uscita: «A domani signor Andrea. Arrivederci professor Bembo». I due lo salutarono con un cenno del capo.
L’aria del laboratorio era pregna dell’odore pungente dell’inchiostro mischiato a quello buono della carta. Andrea fece accomodare Pietro su una sedia attorno al tavolo principale, ingombro di fogli, viti, platine e timpani.
«Non te ne curare amico mio,» disse Andrea chino sul torchio, «finisco di stampare questi pochi fogli, intanto dimmi ciò che ti angustia, ti vedo turbato».
Pietro continuava a guardarsi intorno, scrutando ogni particolare di quella stanza piena di oggetti polverosi: «Se Aldo fosse qui» sospirò.
Andrea, udendo quelle parole, si destò dal torchio. Rimase immobile per almeno un minuto, sempre voltando le spalle a Pietro che lo osservava aggirando le ombre di luce tremolante con lo sguardo. «Se Aldo fosse qui», disse ancora.
Andrea si avvicinò all’uomo seduto, gli toccò la spalla stringendola con la mano callosa e sporca d’inchiostro. «Hai ragione», sibilò Andrea, «immagino che quei rotoli contengano qualcosa di cui il mio genero, buonanima, sarebbe andato fiero».
Pietro accennò un sorriso e apri uno dei corposi rotoli. Le ombre rincorsero il foglio a mano a mano che la luce illuminò la carta gialla e le prime lettere. Apparve un testo fitto e squadrato, vergato da mano sicura con una calligrafia aulica e ricercata nei particolari delle lettere maiuscole. Andrea osservava dall’alto il testo, lesse qualche parola qua e là con indifferenza, poiché aveva riconosciuto la mano dell’amico Pietro. Tuttavia, almeno a prima vista, lo stampatore non capì che tipo di testo aveva di fronte. Soltanto quando lesse il titolo che cappeggiava all’inizio del foglio, scritto con caratteri più grandi, strabuzzò gli occhi: deuteronomium.
Andrea trasalì: «Sei impazzito?» urlò a Pietro mettendosi la mano davanti alla bocca. «Non stamperò per te questo testo!» esclamò voltandogli le spalle.
Tra le pieghe del viso di Pietro si poteva scorgere tutto il suo orgoglio, tuttavia nei suoi occhi albergava una paura oscura, che col passare dei minuti sembrava intensificarsi. «Non voglio che lo stampi, Andrea, ci tenevo soltanto a fartelo vedere. Per me è stata una grande fatica» disse Pietro abbassando lo sguardo.
«Non hai capito Pietro,» sbottò Andrea, «ciò che voglio dire è che questo testo ti mette in pericolo!»
«Mi fai così ingenuo?» rispose Pietro incrociando le braccia.
«Tutt’altro,» disse Andrea incrociando le braccia a sua volta, «ma se non sei ingenuo allora sei sprovveduto, come se non sapessi che cosa sta succedendo di questi tempi nelle terre germaniche».
«Se ti riferisci a quel barbaro d’un frate agostiniano, ebbene, non credo sia un pericolo per la chiesa di Roma» tagliò corto Pietro.
Andrea si mise le mani tra i capelli: «Parli come un popolano!»
«Io sono per il popolo», disse Pietro, ma subito si corresse: «la mia opera è per il popolo».
«Credi che Santa Romana Chiesa possa guardare con favore una traduzione delle Sacre Scritture comprensibile a tutti? Sarebbe un’eresia…» sbuffò Andrea guardando Pietro dritto negli occhi, la punta del suo naso a un palmo da quella dell’amico.
«Non mi sorprenderebbe se qualcuno facesse un uso improprio della Parola di Dio,» ammise Pietro sostenendo lo sguardo di Andrea, «tuttavia lo scopo della mia traduzione ha poco a che fare con la religione, bensì con la nascente lingua della penisola italica che deve rifarsi al fiorentino del XIV secolo».
Lo stampatore si schernì: «Sei sicuro di stare bene? Ti sei forse dimenticato che abbiamo la vulgata da più di mille anni e la chiesa è per buona parte ancora titubante a riconoscerla?».
«La lingua d’Italia s’è evoluta e la Bibbia è senza dubbio il testo più popolare che possa attestare questo cambiamento» disse Pietro con voce orgogliosa.
«Hai senza dubbio ragione,» disse Andrea, «ma questo ci creerà dei problemi, sappilo».
«Perché parli al plurale adesso? Hai forse intenzione di stampare?» chiese Pietro con voce sorpresa. La commozione gli morse la gola.
Andrea, col morso in gola a sua volta, rispose: «Aldo lo avrebbe fatto!»
Seguendo il consiglio dell’amico stampatore, Pietro lasciò i rotoli alla bottega. Era troppo rischioso girare con quel fardello e non certo per il peso materiale quanto per quello delle parole in esso contenute. Inoltre, Pietro aveva raccontato ad Andrea di essere sicuro che qualcuno lo stesse seguendo mentre si recava da lui.
Lo stampatore, preoccupato, aveva imposto all’amico letterato di cambiarsi la cappa e le brache, oltre a farlo uscire dal retro, poiché l’entrata principale era certamente sorvegliata. Pietro aveva giurato che nessuno era a conoscenza del suo lavoro di traduzione - «Non lo sa neanche Ludovico» - ancorché si fosse protratto per un lustro, iniziando a lavorare, per quel che ricordava, poco dopo la morte di Aldo. Infatti il tempo trascorso era troppo lungo per escludere che nessuno, tra i letterati e personaggi influenti che avevano frequentato casa Bembo, si fosse imbattuto, magari per distrazione del professore, in uno dei suoi cartigli preparatori. Una sera anche il Doge, con tutto il suo seguito, fu ospite nella dimora di Dorsoduro.
Pietro si gettò nel buio lagunare intento a raggiungere casa il più presto possibile. Le parole di Andrea gli avevano fatto accantonare la paura, ma gli avevano inculcato il dubbio. Un’incertezza latente gli girava intorno al cuore e se questa avesse incontrato il timore che aveva provato sapendosi seguito e spiato, avrebbe potuto creare una situazione emotivamente esplosiva: qualcuno era veramente a conoscenza della sua traduzione della Bibbia in volgare fiorentino?
Con un’estrema cura Andrea prese i rotoli e li aprì uno alla volta. Una volta ordinato il testo dal principio alla fine iniziò a organizzarsi per la creazione dei caratteri. Guardò oltre il vetro opaco della finestrella che dava sul Canale degli Assassini: sarebbe stata una lunga nottata, quella come altre, tante altre. La stampa della Bibbia in volgare fiorentino di Petrus Bembus era e doveva essere un lavoro soltanto suo. Se da un lato, ne era certo, quel testo avrebbe procurato guai a lui e all’amico, dall’altro sentiva che la divulgazione dello stesso li avrebbe protetti dai pericoli. Chissà, forse era la protezione di Dio.
Assorto nei suoi pensieri, Andrea ritornò alla realtà circostante udendo un gran vociare e rumore di passi provenire dalla strada. Le urla delle persone si accavallavano per cui Andrea non capiva cosa dicessero. Pietro era appena andato via. Lo stampatore ebbe un brutto presentimento.
Nel buio totale, Andrea distinse chiaramente una luce che illuminava una piccola porzione della calle non troppo distante dalla sua bottega. Un capannello di gente era riunita a testa bassa intorno a qualcosa che giaceva sul selciato. Un cadavere con il cranio spaccato.
«Devi andare via da qui, almeno per un po’», disse Andrea con tono risoluto.
«E perché mai?» rispose Pietro per nulla convinto.
«Non ne ho la certezza totale, né mai l’avrò, ma il mio istinto mi dice che al posto dell’uomo con il cranio fracassato che ho visto ieri sera potevi esserci tu» disse lo stampatore indicando Pietro con il dito.
«Intendi dire che c’è stato uno scambio di persona?» chiese il letterato con voce stupita e corrugando la fronte.
«Ho osservato la scena e soprattutto il cadavere anche se per poco tempo vista la confusione. La corporatura e i vestiti indossati, nel buio della notte, potevano far pensare a te» spiegò Andrea.
«Grazie amico mio» esclamò Pietro.
«Il testo è al sicuro, non temere. Mi aspetto visite in bottega. Visite indesiderate», disse Andrea, «ma tu devi andar via, te lo ripeto, credo tu sia in pericolo».
«Mi fido di te, hai dimostrato di vedere oltre le situazioni, il tuo intuito mi ha salvato la vita», ammise Pietro, «andrò a Napoli presso il mio amico…»
«Ma quale Napoli!» sbottò Andrea. Pietro saltò sulla sedia. «Devi stare il più lontano possibile dall’Italia, i muri hanno orecchie troppo grandi ovunque». Pietro annuì.
Il sole era già alto quando qualcuno bussò con vigore alla porta della stanza di Pietro. Egli posò il pennino e alzando lo sguardo disse: «Avanti!»
Il giovane Jean entrò sorridente con un pacchetto in mano, di medie dimensioni: «Per voi monsieur Bembò, dall’Italie».
«Grazie Jean», disse Pietro, «tuo padre è in casa?»
«È uscito questa mattina presto per andare a Tours, rientrerà a tarda sera» rispose il ragazzo uscendo.
Pietro aprì il pacchetto. Conteneva un volume, con rilegatura di pregio, stampato su carta di qualità, che aveva un profumo simile alla vaniglia, con sentori di cannella. Pietro chiuse gli occhi annusando, con i polpastrelli accarezzava la carta in un turbine di sensazioni ed emozioni che per un momento lo fecero tornare nella sua Venezia. Lesse il frontespizio: Biblia Petri Bembi – lingua vernacula florentina. E più sotto: Manuzio e Torresani – stampato in Venezia anno MDXX.
Nel pacchetto c’era anche una lettera:
Caro Pietro,
come vedi il lavoro è concluso. So già cosa stai pensando: certo che non è l’unica copia, ma ti assicuro che questa è la prima. Forse ho rischiato a mandartela, ma non mi è stato possibile venire a Parigi di persona. Almeno non per ora. So che ti trovi bene presso il mio amico Jacques, se non altro non ti mancherà l’odore acre dell’inchiostro. In bottega, qualche giorno fa, si sono presentati due loschi figuri, dicendo di essere mercanti. Per carità, non è inusuale vedere forestieri a Venezia, ma le domande che hanno fatto erano troppo mirate. Non aggiungo altro se non che è meglio che tu stia in Francia ancora per un po’.
Aspetto tue notizie. Andrea
Il tramonto era calato sulla Senna con la delicatezza di una piuma. Pietro aveva atteso fino a quel momento il rientro di Jacques, invano. A quel punto decise di uscire per fare una passeggiata, prima che il buio inghiottisse la città.
L’aria della sera era frizzante e scuoteva le foglie degli alberi accarezzandole appena. La Senna scorreva silenziosa poco più in basso rispetto al luogo dove Pietro passeggiava pensieroso con le mani dietro la schiena. Si fermò un attimo a guardare il cielo d’un azzurro ormai sbiadito. Pensò a Venezia e a quanto gli mancasse la sua città. Si poteva essere egoisti verso se stessi? Lui lo era stato, condannandosi a un esilio forzato in una terra straniera. Pensò che non avrebbe mai dovuto tradurre la Bibbia.
Una fitta colse Pietro alla nuca e la sua vista s’annebbiò repentinamente. Mise una mano tra i capelli: prima di svenire vide il sangue vivo sul palmo della mano.
Buio, un gran buio. E dolore, un forte dolore alla testa. Pietro era ancora intontito dal colpo ricevuto. Non sapeva né dove fosse né quanto tempo fosse passato. Minuti, ore, forse giorni. L’unica certezza era un forte odore di cibo. Cibo buono, zuppe di legumi, carni arrosto. Non aveva fame, né sete. Si mise le mani dietro la testa e si accorse d’indossare un cappuccio, probabilmente la vera causa di tutta quell’oscurità. Fu sorpreso: non era legato, anzi, era seduto su una sedia. Fece per alzarsi ma qualcosa lo trattenne.
«Non affaticatevi, professore» disse una voce melliflua. Una mano tolse il cappuccio e Pietro strinse le palpebre per non soffrire la luce che immaginava di trovare.
«Chi siete?» chiese con voce rotta.
«Coloro che hanno a cuore la sua vita» rispose la voce. Si sentì un rumore metallico, un acciottolio di stoviglie. «Se vuole favorire, professore…» aggiunse la stessa voce, storpiata però dal cibo che masticava. Pietro non rispose. Si guardò intorno, ma non riuscì a vedere nulla, nemmeno la sagoma della persona che c’era in quella stanza insieme al suo particolare interlocutore. Guardò in alto; riuscì a scorgere una volta, seguì le fughe dei mattoni sforzando la vista ma dovette desistere. Per un istante pensò di trovarsi nel corridoio della bottega di Andrea, ma era impossibile.
«Riguarda la Bibbia in volgare?» esclamò Pietro, rassegnato al fatto che con molta difficoltà sarebbe uscito vivo da quell’impiccio. Andrea ci aveva visto lungo.
«Siete perspicace, professore,» rispose l’uomo intento a mangiare, «tuttavia sono desolato, poiché alla fine di questo nostro piacevole incontro i vostri sogni di gloria svaniranno come cenere soffiata dal vento».
Pietro fece per alzarsi ma la mole del braccio che lo trattenne fu più forte di lui: «Chi siete?» urlò.
«Poco importa. Ciò che importa è che una persona del vostro rango, un intellettuale, un letterato come voi abbia voluto confondersi col volgo, storpiando un testo che non si presta a certi giochi linguistici, non è così professore?» disse la voce, accentuando il tono della domanda finale, che appariva minaccioso.
«La parola di Dio è di tutti e per tutti, deve essere per tutti» ribatté Pietro, sicuro.
«Non vi facevo così ingenuo. Tuttavia, se ci tenete tanto, potete ricominciare il vostro lavoro, poiché non esiste più una sola copia del vostro libro».
Il pensiero di Pietro andò subito ad Andrea. Se gli fosse accaduto qualcosa. Si sentiva già responsabile. Non fece in tempo a pentirsi che ricevette un’altra botta in testa. Era la fine.
L’acqua del Canale degli Assassini era agitata dal vento. La melma verde attaccata ai muri degli edifici cambiava tonalità tra un onda e l’altra. Andrea aspettava sulla soglia della bottega. Vide Pietro imboccare la calle lasciandosi la chiesa alle spalle. Gli corse incontro.
I due amici si abbracciarono con affetto, erano felici: «Fai piano!» esclamò Pietro.
«Ti fa ancora male la testa?» chiese Andrea.
«Non mi hanno accarezzato, amico mio» rispose il professore.
«Lo so bene, vieni, alla bottega ti aspettano tutti» disse Andrea cingendogli le spalle col braccio.
«Ti chiedo scusa per i guai che hai passato a causa mia» rispose Pietro con la testa bassa.
«Mi hanno dato un po’ di botte, ma hanno smesso subito quando ho consegnato i tuoi rotoli e i caratteri mobili,» sorrise Andrea, «non ti preoccupare».
«Grazie. E comunque mi devi dare una mano, rifarò tutto da capo» esclamò Pietro.
«Da capo? E perché mai, di grazia?» rispose sorpreso lo stampatore. Pietro non ribatté, attese un istante e sorrise.
Andrea sorrise a sua volta: «Mi fai così ingenuo, amico mio?»