Come può accadere che un calzolaio o meglio un ciabattino, come dicono dalle sue parti, si ritrovi da Borgo San Frediano al sito archeologico di Chichén-Itzá in Messico? Ancora più misterioso sembra il fatto che decida di aprire un ristorante italiano, a due passi dal Castillo, la piramide di Kukulkan.
Il sito maya richiama sempre più turisti e studiosi, soprattutto dal nord America, nonostante che in varie parti del mondo la guerra divampi e sembri ormai un fenomeno inarrestabile. Anche l’Italia è entrata in guerra e Erminio con la sua compagna hanno deciso di emigrare.
Il locale, specializzato in piatti di pollo e altri volatili da cortile ha il nome invitante di “Chicken-Itzá” e il menu prevede tutte le varianti possibili sul tema “pollame”.
Ma veniamo alla storia.
Il sito maya richiama sempre più turisti e studiosi, soprattutto dal nord America, nonostante che in varie parti del mondo la guerra divampi e sembri ormai un fenomeno inarrestabile. Anche l’Italia è entrata in guerra e Erminio con la sua compagna hanno deciso di emigrare.
Il locale, specializzato in piatti di pollo e altri volatili da cortile ha il nome invitante di “Chicken-Itzá” e il menu prevede tutte le varianti possibili sul tema “pollame”.
Ma veniamo alla storia.
Finalmente il giorno è arrivato. Il barone Ildebrando Besozzi Bentivegna non sta più nella pelle e non è un modo di dire: il fisico è macilento per il forte dimagrimento degli ultimi anni e la sua pelle, priva dell’elasticità di un tempo, ha ormai ceduto alla forza di gravità e pende, raggrinzita e incartapecorita, in ogni parte di quel corpo in disfacimento. Sente sulle spalle tutto il peso dei suoi 82 anni. Eppure, un raggio di sole, da qualche tempo, ha riacceso la speranza e l’interesse nella vita.
«Dorina!» chiama Ildebrando, bussando alla porta in fondo al corridoio che divide la cucina e le stanze della servitù dalla parte padronale del palazzo Besozzi Bentivegna.
Il raggio di sole si chiama Dorina, per l’appunto. È la nuova cameriera, una bella donna, ancora signorina, non più molto giovane ma procace che, nonostante l’età del vecchio nobiluomo, ha risvegliato in lui emozioni e pulsioni che credeva dimenticate.
«Comandi, signor Barone». Dorina apre la porta asciugandosi le mani poi, vedendo che la gonna nera della divisa ha tracce di farina, si piega dando colpetti con le mani per ripulire quelle striature di bianco. Quella posizione mette in mostra un décolleté che non sfugge all’occhio miope, presbite e astigmatico dell’anziano nobile.
Ildebrando si accorge che una vena del collo inizia a pulsare e, come accade le poche volte che prova un’emozione intensa, iniziano incontrollabili un tic all’occhio sinistro e un tremito alla mano destra. Come per molte specie animali nei fenomeni di mimetismo, il viso bianco, quasi cadaverico, assume una tinta rosata, adattandosi al colore del tessuto damascato che fa da sfondo ai ritratti di famiglia appesi lungo il corridoio.
«Dorina, – con un sussurro che è un gemito, quasi balbettando – ricordati di mettere qui nel corridoio il tavolino tondo e quattro comode sedie, Aspetto Erminio che viene con una signora e un professore.»
«Sarà fatto, signor Barone ma… - si accorge dello sguardo perso del padrone e del suo stato confusionale – aspetti che l’aiuto a tornare nelle sue stanze». Così dicendo prende sottobraccio il vecchio che, sostenendosi con un bastone stretto nella mano sinistra, sente sul braccio destro appoggiarsi la morbida rotondità del seno della donna. Le alterazioni e l’irrigidimento che fino ad allora avevano interessato la parte superiore del corpo, dopo aver sorvolato rapidamente la zona centrale senza lasciar segno alcuno, stanno ora agendo sulle estremità inferiori, così che più che passi quelli di Ildebrando sembrano gli scatti irregolari e incerti di una marionetta.
«Dorina!» chiama Ildebrando, bussando alla porta in fondo al corridoio che divide la cucina e le stanze della servitù dalla parte padronale del palazzo Besozzi Bentivegna.
Il raggio di sole si chiama Dorina, per l’appunto. È la nuova cameriera, una bella donna, ancora signorina, non più molto giovane ma procace che, nonostante l’età del vecchio nobiluomo, ha risvegliato in lui emozioni e pulsioni che credeva dimenticate.
«Comandi, signor Barone». Dorina apre la porta asciugandosi le mani poi, vedendo che la gonna nera della divisa ha tracce di farina, si piega dando colpetti con le mani per ripulire quelle striature di bianco. Quella posizione mette in mostra un décolleté che non sfugge all’occhio miope, presbite e astigmatico dell’anziano nobile.
Ildebrando si accorge che una vena del collo inizia a pulsare e, come accade le poche volte che prova un’emozione intensa, iniziano incontrollabili un tic all’occhio sinistro e un tremito alla mano destra. Come per molte specie animali nei fenomeni di mimetismo, il viso bianco, quasi cadaverico, assume una tinta rosata, adattandosi al colore del tessuto damascato che fa da sfondo ai ritratti di famiglia appesi lungo il corridoio.
«Dorina, – con un sussurro che è un gemito, quasi balbettando – ricordati di mettere qui nel corridoio il tavolino tondo e quattro comode sedie, Aspetto Erminio che viene con una signora e un professore.»
«Sarà fatto, signor Barone ma… - si accorge dello sguardo perso del padrone e del suo stato confusionale – aspetti che l’aiuto a tornare nelle sue stanze». Così dicendo prende sottobraccio il vecchio che, sostenendosi con un bastone stretto nella mano sinistra, sente sul braccio destro appoggiarsi la morbida rotondità del seno della donna. Le alterazioni e l’irrigidimento che fino ad allora avevano interessato la parte superiore del corpo, dopo aver sorvolato rapidamente la zona centrale senza lasciar segno alcuno, stanno ora agendo sulle estremità inferiori, così che più che passi quelli di Ildebrando sembrano gli scatti irregolari e incerti di una marionetta.
Il corridoio con i ritratti di famiglia è il luogo in cui Ildebrando si è sempre sentito più protetto, soprattutto da quando è rimasto solo, dopo la scomparsa della moglie Maria Adalgisa e del fratello Marcantonio, un omone pieno di energia che aveva incrementato le ricchezze di famiglia, aderendo al Fascismo fino dalla marcia su Roma. A lui invece era sempre importato poco della politica. Alla radio hanno detto oggi che Mussolini sembra intenzionato a mantenere la non belligeranza in caso di guerra dichiarata dalla Germania, ma la notizia ha lasciato del tutto indifferente Ildebrando che ha un’unica idea fissa: Dorina.
L’aspetto marziale e sicuro degli antenati, per lui sempre così incerto e debole di temperamento, è sempre stato fonte di coraggio, così che passeggiare avanti e indietro per quel corridoio è per lui un conforto, una sicurezza. Inutile dire che con l’arrivo di Dorina, Ildebrando ha incrementato la frequentazione di quel corridoio. La passeggiata si conclude sempre con una visita ai locali della servitù.
L’aspetto marziale e sicuro degli antenati, per lui sempre così incerto e debole di temperamento, è sempre stato fonte di coraggio, così che passeggiare avanti e indietro per quel corridoio è per lui un conforto, una sicurezza. Inutile dire che con l’arrivo di Dorina, Ildebrando ha incrementato la frequentazione di quel corridoio. La passeggiata si conclude sempre con una visita ai locali della servitù.
«Signor Barone, è arrivato Erminio. Ha riportato le scarpe risuolate. Ve le ho messe in camera, così domani mattina potete provarle. Lo faccio accomodare?»
«Certamente. Fallo passare!»
Non sono stati i servigi di calzolaio di fiducia del barone a spalancare a Erminio le porte del Palazzo Besozzi Bentivegna. L’artigiano con la sua astuzia, con il suo approccio servile e dimesso, ha a poco a poco conquistato la stima del padrone di casa che considera Erminio come il proprio confidente e consigliere di fiducia. Da parte sua il calzolaio ha trovato nel barone un generoso benefattore e cerca, con tatto e discrezione, di sfruttare al meglio quella sua posizione privilegiata.
«Vieni Erminio. Allora? Che mi dici? Hai organizzato tutto?» incalza il barone lasciando trasparire una certa eccitazione.
«State tranquillo signor Barone, Madame Zaira mi ha detto che oggi, 31 agosto 1939, XVII dell’Era Fascista, è il giorno ideale. Il Sole è entrato nella Vergine e… cos’ha il Sole più di voi per essere entrato senza intoppi nella Vergine?»
«Via, Erminio, non scherzare. Lo sai che ho una certa età e a questa età certe cose sono più difficili.»
«Madame Zaira mi ha dato tutte le assicurazioni del caso. Ha già risolto problemi simili in vari palazzi d’Europa, anche se… - si avvicina in modo confidenziale, sussurrando all’orecchio – non mi ha voluto far nomi per… mi capite… discrezione».
«Si, si, certo, capisco. L’importante è arrivare al risultato. Lo sai quanto ci tengo. Può essere il mio ultimo desiderio e sono disposto a tutto pur di esaudirlo, almeno una volta.»
Alla parola “tutto” Erminio avverte una specie di tintinnio di metallo nobile nelle orecchie e il suo sguardo corre verso il ritratto a grandezza naturale della compianta Maria Adalgisa. Tutt’altro che bella, la baronessa sfoggia nel dipinto una collana di diamanti, dono dei reali di Savoia in occasione della loro visita al padre di Ildebrando, il barone Floriano. Sono proprio quella collana, la dabbenaggine del barone e il suo improbabile desiderio di Dorina, che hanno acceso in Erminio l’idea della seduta spiritica.
Tuttavia, non sarebbe mai riuscito a mettere le mani su quella collana dal valore inestimabile, senza la collaborazione di Dorina stessa e di altri personaggi indispensabili nella messa in scena. Avrebbe dovuto dividere il bottino, ma sempre meglio che niente: la propria parte sarebbe stata più che sufficiente per sottrarlo al suo destino fatto di scarpe sfondate e piedi puzzolenti. Non è più giovanissimo Erminio, ma non si arrende all’idea di un futuro piatto e noioso.
I personaggi della sua commedia sarebbero stati: lui, il barone, Madame Zaira e il professore. Mentre i primi due non sarebbero stati che sé stessi, gli altri avrebbero dovuto recitare personaggi diversi e questo ha richiesto una certa preparazione.
Quanto a Madame Zaira, la medium, Erminio ha richiesto l’aiuto di Tosca, tenutaria del bordello di Via Frattini, di cui Erminio stesso è assiduo frequentatore.
Infine, il professore, un vero professore, l’anziano prof. Ovidio Sansonetti, ex insegnante di lettere al ginnasio, che avrebbe sostenuto il ruolo di esperto di idiomi precolombiani, di cui in realtà lui non sa assolutamente niente.
«Certamente. Fallo passare!»
Non sono stati i servigi di calzolaio di fiducia del barone a spalancare a Erminio le porte del Palazzo Besozzi Bentivegna. L’artigiano con la sua astuzia, con il suo approccio servile e dimesso, ha a poco a poco conquistato la stima del padrone di casa che considera Erminio come il proprio confidente e consigliere di fiducia. Da parte sua il calzolaio ha trovato nel barone un generoso benefattore e cerca, con tatto e discrezione, di sfruttare al meglio quella sua posizione privilegiata.
«Vieni Erminio. Allora? Che mi dici? Hai organizzato tutto?» incalza il barone lasciando trasparire una certa eccitazione.
«State tranquillo signor Barone, Madame Zaira mi ha detto che oggi, 31 agosto 1939, XVII dell’Era Fascista, è il giorno ideale. Il Sole è entrato nella Vergine e… cos’ha il Sole più di voi per essere entrato senza intoppi nella Vergine?»
«Via, Erminio, non scherzare. Lo sai che ho una certa età e a questa età certe cose sono più difficili.»
«Madame Zaira mi ha dato tutte le assicurazioni del caso. Ha già risolto problemi simili in vari palazzi d’Europa, anche se… - si avvicina in modo confidenziale, sussurrando all’orecchio – non mi ha voluto far nomi per… mi capite… discrezione».
«Si, si, certo, capisco. L’importante è arrivare al risultato. Lo sai quanto ci tengo. Può essere il mio ultimo desiderio e sono disposto a tutto pur di esaudirlo, almeno una volta.»
Alla parola “tutto” Erminio avverte una specie di tintinnio di metallo nobile nelle orecchie e il suo sguardo corre verso il ritratto a grandezza naturale della compianta Maria Adalgisa. Tutt’altro che bella, la baronessa sfoggia nel dipinto una collana di diamanti, dono dei reali di Savoia in occasione della loro visita al padre di Ildebrando, il barone Floriano. Sono proprio quella collana, la dabbenaggine del barone e il suo improbabile desiderio di Dorina, che hanno acceso in Erminio l’idea della seduta spiritica.
Tuttavia, non sarebbe mai riuscito a mettere le mani su quella collana dal valore inestimabile, senza la collaborazione di Dorina stessa e di altri personaggi indispensabili nella messa in scena. Avrebbe dovuto dividere il bottino, ma sempre meglio che niente: la propria parte sarebbe stata più che sufficiente per sottrarlo al suo destino fatto di scarpe sfondate e piedi puzzolenti. Non è più giovanissimo Erminio, ma non si arrende all’idea di un futuro piatto e noioso.
I personaggi della sua commedia sarebbero stati: lui, il barone, Madame Zaira e il professore. Mentre i primi due non sarebbero stati che sé stessi, gli altri avrebbero dovuto recitare personaggi diversi e questo ha richiesto una certa preparazione.
Quanto a Madame Zaira, la medium, Erminio ha richiesto l’aiuto di Tosca, tenutaria del bordello di Via Frattini, di cui Erminio stesso è assiduo frequentatore.
Infine, il professore, un vero professore, l’anziano prof. Ovidio Sansonetti, ex insegnante di lettere al ginnasio, che avrebbe sostenuto il ruolo di esperto di idiomi precolombiani, di cui in realtà lui non sa assolutamente niente.
Il barone e Erminio prendono posto, l’uno di fronte all’altro, al tavolino tondo posizionato nel corridoio, proprio sotto il ritratto della baronessa Maria Adalgisa.
«Ma… Erminio, non ho capito bene. Capisco la medium, ma il professore? A che serve?»
«Prima di tutto, per la seduta bisogna essere almeno in quattro e non possiamo coinvolgere Dorina che è… come dire… parte interessata – dice Erminio ammiccando - ma soprattutto i medium, come sapete Barone, hanno tutti uno spirito-guida. Ebbene, lo spirito-guida di Madame Zaira è Montezuma, il sovrano azteco che risponde attraverso la medium nella sua lingua madre. A questo serve il Prof. Sansonetti che è un vero luminare in materia.
«Grazie. Hai pensato proprio a tutto. A cose fatte, saprò ricompensarti.»
Di nuovo quel tintinnio nelle orecchie: «Ne sono sicuro, Barone.»
«Ma… Erminio, non ho capito bene. Capisco la medium, ma il professore? A che serve?»
«Prima di tutto, per la seduta bisogna essere almeno in quattro e non possiamo coinvolgere Dorina che è… come dire… parte interessata – dice Erminio ammiccando - ma soprattutto i medium, come sapete Barone, hanno tutti uno spirito-guida. Ebbene, lo spirito-guida di Madame Zaira è Montezuma, il sovrano azteco che risponde attraverso la medium nella sua lingua madre. A questo serve il Prof. Sansonetti che è un vero luminare in materia.
«Grazie. Hai pensato proprio a tutto. A cose fatte, saprò ricompensarti.»
Di nuovo quel tintinnio nelle orecchie: «Ne sono sicuro, Barone.»
«Signor Barone – Dorina apre la porta in fondo al corridoio - sono arrivati un signore e una… diciamo così… signora. Li faccio accomodare?»
«Sì, certamente. Falli entrare. Poi lasciaci soli perché la questione è delicata.»
Dopo pochi secondi, i nuovi arrivati fanno ingresso nel lungo corridoio semibuio. L’unica illuminazione è una candela accesa al centro del tavolino. All’inizio sono solo due ombre che avanzano incerte, ma all’altezza del ritratto dell’antenato Guglielmo Besozzi Bentivegna, inscatolato nell’armatura da combattimento, le fisionomie si fanno più chiare.
Tosca, in arte Madame Zaira, fa l’andatura.
Alla prima occhiata Erminio non sa se ridere o piangere: una specie di turbante turchese, adornato da una penna di volatile, forse pavone; collo, orecchie e braccia appesantite da una chincaglieria di metalli e pietre spudoratamente finte ma di colori sgargianti. L’abito di un giallo canarino, strozzato in vita per mettere ancor più in evidenza il seno ancora prosperoso, nonostante l’età. Il trucco, più che pesante, come sul luogo di lavoro.
Dietro di lei il professore brancola nell’oscurità del corridoio, incerto se guardare dove mettere i piedi o seguire quel lumicino poco più avanti che sembra essere l’unico punto di riferimento. Si sente un po’ come Pinocchio che, inghiottito dalla Balena, scorge in fondo al ventre della creatura marina, la tenue luce che lo porterà da Geppetto. Sceglie la luce, se non altro per ragioni culturali e letterarie, e la scelta gli sarà fatale: pesta l’orlo del lungo abito di Madame Zaira e tutto accade in due secondi.
Si sente il rumore di uno strappo, Madame afferra l’abito bloccato sotto il piede dell’uomo di lettere e tira con forza imprecando. Sansonetti perde l’equilibrio, già precario, e sta per cadere, annaspa cercando un appiglio ma l’unica cosa che riesce ad afferrare è l’alabarda dell’armatura che staziona forse da secoli indisturbata davanti al ritratto dell’antenata Filippa Besozzi Bentivegna, con il pargolo in collo. Professore, alabarda e armatura rovinano a terra con il rumore della caduta di un’intera batteria da cucina.
Erminio corre in soccorso del professore estraendolo, ancora vivo, dalle lamiere, mentre Dorina, rientrata dalla cucina, cerca di rimettere un po’ d’ordine, nel corridoio.
Il barone osserva impaziente, pensando a quella storia del Sole in Vergine che gli è piaciuta tanto, anche se sul fatto della Vergine qualche dubbio ce l’ha, ma non gli importa e alla fine sbotta: «Ma insomma, vogliamo iniziare questa seduta?»
Tutti prendono posto: Madame Zaira e il professore, rispettivamente alla destra e alla sinistra del barone, mentre di fronte siede Erminio.
Madame Zaira spiega come avverrà la seduta. «Allora, signori, tutto dovrà avvenire nel buio totale, per cui spegneremo anche questa candela, altrimenti rischiamo che il mio spirito guida, che non sopporta la luce, non si manifesti. Lui legge nelle nostre menti e sa che lo evochiamo per permettere al signor Barone di soddisfare il suo desiderio, concedendogli le grazie della fanciulla desiata e tutte le energie necessarie per portare a termine la tenzone amorosa con piena soddisfazione di tutti». Tosca, in arte Zaira, pronuncia queste parole con tono grave e lento; particolarmente lento perché il discorso d’esordio glielo ha scritto il professore che ha utilizzato parole per lei inusuali nella sua attività quotidiana di Via Frattini».
Poi continua: «Quando sarà completamente buio uniremo le nostre mani sul tavolino ed evocherò il grande Montezuma. Potremo staccare le mani soltanto se il sovrano atz…att…azz… - arriva il suggerimento del professore – azteco, appunto, ci autorizzerà a farlo. Ogni sua richiesta dovrà essere soddisfatta immediatamente, pena il suo abbandono della seduta e il ritorno all’eterna dimora che lo ospita». Così detto, soffia sulla candela e il corridoio piomba nel buio assoluto.
Il respiro di Madame si fa sempre più pesante e affannato, inondando i partecipanti dell’aroma di frittata di cipolle che è stata il suo ultimo pasto. La voce si fa sempre più roca e ne escono incomprensibili suoni gutturali che, da un certo momento in poi, si accompagnano a parole pronunciate a casaccio, tipo Tikal, Yaxchiliàn, Tulum, Calakmul, Kukulkan, ecc. suggerite sapientemente dal professore che nel frattempo si è documentato.
A ogni esternazione di Madame Zaira segue la traduzione simultanea del Sansonetti.
«… il grande Montezuma vuole un sacrificio per poter esaudire il desiderio del signor Barone»
«… il grande Montezuma vuole il gioiello più prezioso del Barone a ornamento del suo divino collo»
Il barone capisce che è in gioco il preziosissimo collier della cara Maria Adalgisa e tenta un timido accenno di protesta, subito fermato da Madame Zaira che tuona minacciosa: «Tikal, Calakmul, Uxmal!»
Immediata la traduzione del professore: «L’oggetto deve essere depositato subito sul tavolino!»
Sebbene recalcitrante il barone si alza dalla sedia e brancolando nel buio si dirige verso il ritratto dell’antenato Gherardo Besozzi Bentivegna, una specie di cicisbeo settecentesco, dietro alla cui effigie si nasconde la cassaforte di famiglia. Un urlo agghiacciante seguito da un tonfo sordo fa trasalire i tre al tavolino. Nel rimettere a posto l’armatura che, incapace di mantenere la posizione eretta, era stata provvisoriamente appoggiata al muro come un vecchio ubriacone, Dorina aveva dimenticato a terra l’alabarda, causa della rovinosa caduta del barone.
I tre rimettono in piedi il vecchio ospite che raggiunge barcollando il dipinto incernierato nel lato sinistro della cornice, lo fa ruotare, tira fuori di tasca una vecchia chiave, apre la cassaforte e ne trae la preziosa collana di casa Savoia. A passi lenti e felpati si riavvia al tavolino appoggiandosi con la mano sinistra alla parete e quando sfiora il ritratto dell’amata Maria Adalgisa, prova una sensazione di freddo glaciale. Ritrae la mano bisbigliando: «Perdonami, cara».
Ora il collier è depositato al centro del tavolo e i quattro hanno ripreso il contatto delle mani e ricostituito il cerchio.
Resta ora l’ultima fase, la più delicata.
Erminio lascia il contatto delle mani del professore e di Madame, intasca la collana e prende dall’altra tasca una bottiglietta di etere, ne versa il contenuto in un panno e accompagnato dalle parole di Madame Zaira che pronuncia le ultime formule propiziatorie, si alza, va alle spalle del barone e mentre il professore traduce «E ora, chiudete gli occhi e inspirate profondamente», appoggia il panno su naso e bocca del barone che sviene all’istante. I tre, con l’aiuto di Dorina, lo sollevano di peso e lo portano, innalzandolo come un trofeo, verso la camera da letto padronale.
Rientrano poco dopo nel corridoio e finalmente accendono la luce. Il più è fatto, si tratta solo di aspettare.
«Sì, certamente. Falli entrare. Poi lasciaci soli perché la questione è delicata.»
Dopo pochi secondi, i nuovi arrivati fanno ingresso nel lungo corridoio semibuio. L’unica illuminazione è una candela accesa al centro del tavolino. All’inizio sono solo due ombre che avanzano incerte, ma all’altezza del ritratto dell’antenato Guglielmo Besozzi Bentivegna, inscatolato nell’armatura da combattimento, le fisionomie si fanno più chiare.
Tosca, in arte Madame Zaira, fa l’andatura.
Alla prima occhiata Erminio non sa se ridere o piangere: una specie di turbante turchese, adornato da una penna di volatile, forse pavone; collo, orecchie e braccia appesantite da una chincaglieria di metalli e pietre spudoratamente finte ma di colori sgargianti. L’abito di un giallo canarino, strozzato in vita per mettere ancor più in evidenza il seno ancora prosperoso, nonostante l’età. Il trucco, più che pesante, come sul luogo di lavoro.
Dietro di lei il professore brancola nell’oscurità del corridoio, incerto se guardare dove mettere i piedi o seguire quel lumicino poco più avanti che sembra essere l’unico punto di riferimento. Si sente un po’ come Pinocchio che, inghiottito dalla Balena, scorge in fondo al ventre della creatura marina, la tenue luce che lo porterà da Geppetto. Sceglie la luce, se non altro per ragioni culturali e letterarie, e la scelta gli sarà fatale: pesta l’orlo del lungo abito di Madame Zaira e tutto accade in due secondi.
Si sente il rumore di uno strappo, Madame afferra l’abito bloccato sotto il piede dell’uomo di lettere e tira con forza imprecando. Sansonetti perde l’equilibrio, già precario, e sta per cadere, annaspa cercando un appiglio ma l’unica cosa che riesce ad afferrare è l’alabarda dell’armatura che staziona forse da secoli indisturbata davanti al ritratto dell’antenata Filippa Besozzi Bentivegna, con il pargolo in collo. Professore, alabarda e armatura rovinano a terra con il rumore della caduta di un’intera batteria da cucina.
Erminio corre in soccorso del professore estraendolo, ancora vivo, dalle lamiere, mentre Dorina, rientrata dalla cucina, cerca di rimettere un po’ d’ordine, nel corridoio.
Il barone osserva impaziente, pensando a quella storia del Sole in Vergine che gli è piaciuta tanto, anche se sul fatto della Vergine qualche dubbio ce l’ha, ma non gli importa e alla fine sbotta: «Ma insomma, vogliamo iniziare questa seduta?»
Tutti prendono posto: Madame Zaira e il professore, rispettivamente alla destra e alla sinistra del barone, mentre di fronte siede Erminio.
Madame Zaira spiega come avverrà la seduta. «Allora, signori, tutto dovrà avvenire nel buio totale, per cui spegneremo anche questa candela, altrimenti rischiamo che il mio spirito guida, che non sopporta la luce, non si manifesti. Lui legge nelle nostre menti e sa che lo evochiamo per permettere al signor Barone di soddisfare il suo desiderio, concedendogli le grazie della fanciulla desiata e tutte le energie necessarie per portare a termine la tenzone amorosa con piena soddisfazione di tutti». Tosca, in arte Zaira, pronuncia queste parole con tono grave e lento; particolarmente lento perché il discorso d’esordio glielo ha scritto il professore che ha utilizzato parole per lei inusuali nella sua attività quotidiana di Via Frattini».
Poi continua: «Quando sarà completamente buio uniremo le nostre mani sul tavolino ed evocherò il grande Montezuma. Potremo staccare le mani soltanto se il sovrano atz…att…azz… - arriva il suggerimento del professore – azteco, appunto, ci autorizzerà a farlo. Ogni sua richiesta dovrà essere soddisfatta immediatamente, pena il suo abbandono della seduta e il ritorno all’eterna dimora che lo ospita». Così detto, soffia sulla candela e il corridoio piomba nel buio assoluto.
Il respiro di Madame si fa sempre più pesante e affannato, inondando i partecipanti dell’aroma di frittata di cipolle che è stata il suo ultimo pasto. La voce si fa sempre più roca e ne escono incomprensibili suoni gutturali che, da un certo momento in poi, si accompagnano a parole pronunciate a casaccio, tipo Tikal, Yaxchiliàn, Tulum, Calakmul, Kukulkan, ecc. suggerite sapientemente dal professore che nel frattempo si è documentato.
A ogni esternazione di Madame Zaira segue la traduzione simultanea del Sansonetti.
«… il grande Montezuma vuole un sacrificio per poter esaudire il desiderio del signor Barone»
«… il grande Montezuma vuole il gioiello più prezioso del Barone a ornamento del suo divino collo»
Il barone capisce che è in gioco il preziosissimo collier della cara Maria Adalgisa e tenta un timido accenno di protesta, subito fermato da Madame Zaira che tuona minacciosa: «Tikal, Calakmul, Uxmal!»
Immediata la traduzione del professore: «L’oggetto deve essere depositato subito sul tavolino!»
Sebbene recalcitrante il barone si alza dalla sedia e brancolando nel buio si dirige verso il ritratto dell’antenato Gherardo Besozzi Bentivegna, una specie di cicisbeo settecentesco, dietro alla cui effigie si nasconde la cassaforte di famiglia. Un urlo agghiacciante seguito da un tonfo sordo fa trasalire i tre al tavolino. Nel rimettere a posto l’armatura che, incapace di mantenere la posizione eretta, era stata provvisoriamente appoggiata al muro come un vecchio ubriacone, Dorina aveva dimenticato a terra l’alabarda, causa della rovinosa caduta del barone.
I tre rimettono in piedi il vecchio ospite che raggiunge barcollando il dipinto incernierato nel lato sinistro della cornice, lo fa ruotare, tira fuori di tasca una vecchia chiave, apre la cassaforte e ne trae la preziosa collana di casa Savoia. A passi lenti e felpati si riavvia al tavolino appoggiandosi con la mano sinistra alla parete e quando sfiora il ritratto dell’amata Maria Adalgisa, prova una sensazione di freddo glaciale. Ritrae la mano bisbigliando: «Perdonami, cara».
Ora il collier è depositato al centro del tavolo e i quattro hanno ripreso il contatto delle mani e ricostituito il cerchio.
Resta ora l’ultima fase, la più delicata.
Erminio lascia il contatto delle mani del professore e di Madame, intasca la collana e prende dall’altra tasca una bottiglietta di etere, ne versa il contenuto in un panno e accompagnato dalle parole di Madame Zaira che pronuncia le ultime formule propiziatorie, si alza, va alle spalle del barone e mentre il professore traduce «E ora, chiudete gli occhi e inspirate profondamente», appoggia il panno su naso e bocca del barone che sviene all’istante. I tre, con l’aiuto di Dorina, lo sollevano di peso e lo portano, innalzandolo come un trofeo, verso la camera da letto padronale.
Rientrano poco dopo nel corridoio e finalmente accendono la luce. Il più è fatto, si tratta solo di aspettare.
Dopo un’oretta il barone appare dalla porta, completamente nudo con addosso una coperta del letto e in evidente stato confusionale. I tre si alzano in piedi e scoppia un fragoroso applauso.
«Che c’è? Che è successo? Ho un terribile mal di testa»
Interviene Erminio: «Ci credo, signor barone, Dorina era stravolta. Chi poteva immaginare una cosa simile?»
Il professore: «Complimenti, Barone! Un vero torello!»
Madame Zaira: «Macché torello! Un cavallo imbizzarrito, vorrete dire! Uno stallone da monta!»
«Ma veramente io… non mi sembra… non ricordo», balbetta il barone.
«Non fate il modesto - interviene Zaira – di tutto questo potete ringraziare il mio spirito guida Montazuma…»
«Montezuma!» la corregge il professore.
«Che c’è? Che è successo? Ho un terribile mal di testa»
Interviene Erminio: «Ci credo, signor barone, Dorina era stravolta. Chi poteva immaginare una cosa simile?»
Il professore: «Complimenti, Barone! Un vero torello!»
Madame Zaira: «Macché torello! Un cavallo imbizzarrito, vorrete dire! Uno stallone da monta!»
«Ma veramente io… non mi sembra… non ricordo», balbetta il barone.
«Non fate il modesto - interviene Zaira – di tutto questo potete ringraziare il mio spirito guida Montazuma…»
«Montezuma!» la corregge il professore.
Sul momento tutti sono euforici. Un po’meno il barone che comunque è combattuto fra la delusione per non aver conservato memoria dell’accaduto e l’orgoglio di aver svolto onorevolmente la prova, come dimostrano tutti i complimenti ricevuti e a 82 anni suonati non è riconoscimento da poco.
Nessuno, tuttavia è consapevole di ciò che il futuro avrà in programma per loro.
Quanto al barone, la sua caparbietà nel voler ritentare con maggiore soddisfazione e consapevolezza l’esperimento, lo alleggerirà di altre ricchezze, mentre le avance quotidiane nei confronti di Dorina saranno sistematicamente respinte con la scusa che quanto è accaduto è stato solo per effetto di un intervento soprannaturale, così il poveretto non otterrà niente più di qualche fugace palpazione rubata.
Tosca, in arte Madame Zaira, integrerà i redditi dell’esercizio storico, con quelli derivanti dalla nuova attività di medium, indossando con orgoglio i suoi nuovi orecchini creati con la parte a lei spettante dei diamanti del collier di Maria Adalgisa.
Il professore, viste le nuove disponibilità economiche, abbandonerà in parte le ripetizioni a studenti ritardati e svogliati per dedicarsi con impegno allo studio delle civiltà precolombiane che l’hanno appassionato, diventando così un vero esperto sulla materia.
Infine per Dorina e Erminio, la complicità si trasformerà in amore e con l’entrata in guerra dell’Italia decideranno di emigrare per altri lidi.
«Buongiorno signori. Accomodatevi. Benvenuti al Ristorante Chicken-Itzá. È stata interessante la visita alla piramide?».
«Sì, molto. Abbiamo visto anche l’osservatorio e il tempio dei guerrieri. La salita del Castillo ci ha fatto venire una certa fame e non vediamo l’ora di assaggiare il vostro piatto più famoso. Non diteci che non c’è…»
«Ma no! Quello non manca mai! Dorina! Due porzioni di “Quel Pollo del Barone” per i signori!»