Ixchel procedeva con passo deciso lungo la strada che attraversava il distretto artigianale. Portava con sé una borsa piena di erbe e strumenti. La luce del Sole all’orizzonte accarezzava le trecce nere che le cadevano sulla lunga veste colorata.
Vide due guerrieri del tempio uscire dalla bottega di Yaxkin, seri e incuranti della gente che si affrettava a rincasare prima del tramonto. Incuriosita, pensò di andare a trovare l’anziano calzolaio, sperando che fosse disponibile per una chiacchierata. Ma prima si fermò da un ambulante per acquistare del cibo al volo.
Ixchel apri la porta e salutò Yaxkin, che stava sistemando gli attrezzi. Sotto la casacca senza maniche, il calzolaio indossava una gonna con frange lunghe, abbellite con pietre e conchiglie che tintinnavano a ogni movimento. Gli piaceva molto mescolare abiti maschili e femminili perché era una persona con entrambi gli spiriti.
Ixchel disse con voce allegra: «Ti ho portato qualcosa da mangiare.»
Lui osservò i tamalli che gli venivano offerti. «Grazie, sei gentile. Ma cosa ti porta qui a quest’ora?»
Lei sorrise. «Volevo solo assicurarmi che tu stia bene. Ho visto due guerrieri uscire dal negozio con una borsa di cuoio e mi sono preoccupata.»
Il calzolaio si pulì le mani nodose e riempì due ciotole d’acqua. «Tutto a posto, come vedi. Hanno solo ritirato un paio di scarpe.»
Si sedettero e iniziarono a mangiare i tamalli.
Ixchel lo guardò, poco convinta. «Uhm! Mi sembra strano perché di solito non vengono qui per queste cose.»
Yaxkin indugiò, masticando un boccone forse più del necessario. «Beh, a volte può succedere. Ma dimmi, di cosa volevi parlarmi? C’è qualche problema?»
La guaritrice capì che il calzolaio non le avrebbe rivelato altro. «Niente di particolare, volevo solo condividere un piccolo pasto con un amico prima di tornare a casa.»
Il calzolaio sorrise, ridisegnando le rughe profonde che gli solcavano il viso. «E allora io ho qualcosa per te, per sdebitarmi.»
Aprì un cofanetto dal quale tirò fuori alcuni ritagli di pelle e glieli consegnò.
La guaritrice alzò le sopracciglia e aprì la bocca. «Ma… è davvero…»
Lui annuì. «Sì, è pelle di giaguaro. Perfetta per i bendaggi.»
Lei gli prese le mani e le baciò. «Grazie. Sono bellissimi. Ma come hai fatto?»
Il calzolaio rimase imbambolato per qualche istante. Poi rispose: «Al mercato, ogni tanto si trovano.»
Restarono a parlare ancora un po’ del più e del meno, finché il crepuscolo non li obbligò a chiudere la bottega e separarsi.
Quella notte qualcuno bussò a casa di Ixchel, strappandola da un sonno profondo. «Figlia della Luna.»
Non era il giovane messaggero del tempio dei guerrieri.
In tono ancora più perentorio. «Figlia della Luna!»
«Calmati, per Kukulcan! Chi sei e che cosa vuoi?»
«La luce della Luna è velata da una nube oscura.»
Era un codice da parte di Hunahpu, il sacerdote, e significava una grave urgenza. Ixchel si preparò in fretta senza dimenticare la borsa dei medicamenti.
Fuori trovò un guerriero in armatura leggera con una torcia in mano. Il soldato drizzò la schiena e guardò la guaritrice in attesa di un comando.
«Corriamo.»
Le strade erano deserte, solo il suono dei loro passi echeggiava nella quiete della città.
Il cuore batteva all’impazzata nel petto di Ixchel e non solo per lo sforzo. Giunta al tempio, fu condotta in fondo a un corridoio. Lì trovò uno straniero a terra in preda alle convulsioni. Portava la barba, come gli altri della sua razza: era un europeo.
La guaritrice si accovacciò e intanto chiese a Hunahpu: «Che cosa è successo?»
«Credo che abbia ingerito dei semi di datura.»
Ixchel scosse la testa perché non conosceva una cura per quel veleno allucinante. Preparò una miscela, mescolando erbe e semi in una ciotola d’argilla, e la mise nella bocca dello straniero. Cantò la preghiera della Dea, chiedendo con voce tremante che almeno ne alleviasse l’agonia.
L’uomo vomitò del liquido scuro dall’odore dolciastro, che non somigliava a nulla che lei conoscesse.
Spaventata, si rivolse a Hunahpu. «Che cos’è?»
Lui esitò un attimo. «Acqua ardente. È una bevanda inebriante che hanno gli europei.»
Sconvolta, Ixchel cercò di reprimere la rabbia. «Come avete potuto dare qualcosa del genere a uno sconosciuto?»
Il sacerdote biascicò qualcosa, ma proprio in quel momento lo straniero iniziò a delirare nella sua lingua. Ixchel rivolse di nuovo l’attenzione all’uomo, cercando di capire cosa stesse dicendo; le sembrò di cogliere anche qualche parola in yucateco. Ma la sua agonia non durò molto: lo straniero morì poco dopo.
Subito ci fu grande agitazione per tutto il corridoio.
Hunahpu invocò Balam. «Signore del giaguaro, ti preghiamo di non punirci per questo evento sfortunato. Non era nostra intenzione causare offesa, ma solo curare il malato. Ti chiediamo perdono e la tua misericordia.»
Poi diede ordini secchi ai guerrieri su cosa fare del corpo e come purificare il luogo dell’incidente.
Nessuno sembrava dare attenzione a Ixchel. In preda ai sensi di colpa, la guaritrice invocò il perdono della Dea per aver fallito. Raccolse le proprie cose. Mise nella borsa anche le scarpe abbandonate sul pavimento; le avrebbe offerte alla Dea per riscattare lo spirito dello straniero alla sofferenza di quella morte. Si alzò con gli occhi pieni di lacrime, attraversò il corridoio senza incrociare gli sguardi di nessuno e uscì dal tempio.
Ixchel scrutava il sentiero di pietra che si estendeva davanti a lei stringendosi nello scialle. Alla luce della Luna piena era difficile vedere oltre le ombre sinistre che si proiettavano lungo il cammino. La guaritrice cercava di mantenere la calma, ma aveva la sensazione di essere seguita. Sentiva un rumore cadenzato e regolare e non era sicura che fosse l’eco dei propri passi.
Avrebbe voluto recarsi al monumento sacrificale e pregare per lo straniero, ma la statua si trovava in mezzo al bosco e non si sentiva tranquilla a inoltrarsi per quel sentiero isolato. Voleva però compiere il rito quella notte stessa; decise allora di tornare indietro. L’altare votivo a qualche centinaio di passi dal tempio era piccolo ma più esposto, sarebbe stato facile scorgere in tempo un eventuale pericolo.
Il ticchettio sinistro si affievoliva man mano che la guaritrice si avvicinava alla destinazione; infine svanì del tutto. Con un sospiro di sollievo, Ixchel invocò la benevolenza della Dea, estrasse dalla borsa le scarpe e le posò nell’incavo della pietra consacrata. Lì si accorse con sorpresa che le tomaie erano di giaguaro e avevano un disegno familiare. Incredula, estrasse dalla borsa i ritagli che le aveva regalato Yaxkin: sembravano provenire dalla stessa pelle.
Confusa, rivolse lo sguardo alla Luna. «Madre, cosa devo fare?»
Un fruscio improvviso la fece sobbalzare. Da un cespuglio spuntò un coniglio che saltellò in direzione di casa sua. Era di sicuro la risposta alla sua preghiera.
Raccolse tutto e corse verso la sua capanna. Si guardava intorno, attenta a cogliere altri eventuali presagi. Ma quando fu abbastanza vicina a casa sentì le gambe cederle, ma non per la fatica. La porta era spalancata e un debole bagliore si diffondeva dall’interno. Qualcuno era entrato.
Ixchel si sentì violata. La rabbia cominciò a salire dentro di lei, ma la paura prevalse. Non voleva rischiare di trovarsi di fronte a uno sconosciuto e decise di rifugiarsi da Yaxkin. Con un respiro profondo, si diresse verso la casa dell’amico, cercando di non farsi notare.
Il calzolaio non ci mise molto ad aprire la porta e accogliere la guaritrice. Lei si appoggiò al suo petto e si lasciò andare a un pianto liberatorio. Sapeva che avrebbe trovato conforto e protezione nel suo abbraccio.
Si sedettero alla luce di una candela e Ixchel raccontò tutto ciò che le era successo durante la notte. All’improvviso qualcuno bussò. Yaxkin indicò a Ixchel di nascondersi dietro un telo appeso ad asciugare. La guaritrice eseguì, impaurita, pregando gli Dei che non la trovassero.
Senza fretta, il calzolaio si alzò e aprì la porta; si trovò di fronte due guerrieri del tempio e li salutò con voce calma.
Il guerriero anziano si approcciò con tono severo. «Abbiamo notato la luce accesa e siamo venuti a controllare.»
Yaxkin rispose senza scomporsi. «Ah, capisco. Sto solo facendo un rito per conciliare il sonno. Ormai l’età non mi permette più di riposare come una volta.»
Il guerriero giovane si sporse per osservare meglio all’interno. «Siamo alla ricerca di una ladra. Hai visto qualcosa di strano in queste ultime ore?»
«No, solo entità moleste nei miei sogni.»
Il giovane sembrava insoddisfatto dalla risposta. Fece un passo in avanti, ma venne bloccato dall’anziano. «È una persona con due spiriti, non offendere gli Dei mettendo in dubbio ciò che dice.»
I due guerrieri si scusarono per il disturbo. Chiesero e ottennero una benedizione per il successo della loro ricerca e infine si allontanarono.
Yaxkin chiuse la porta e si voltò verso l’angolo dove si trovava Ixchel. «Ma dimmi, sei una ladra?»
La guaritrice uscì dal nascondiglio. «No, ti assicuro che ho preso solo le scarpe. Non pensavo che fossero importanti, ma vorrei proprio che tu le vedessi.»
Lei estrasse le calzature dalla borsa. Il calzolaio spalancò gli occhi. Accarezzò la tomaia di giaguaro e scosse la testa più volte.
«Sono le scarpe che mi ha commissionato Hunahpu. Credevo che fossero sue. Mi aveva consegnato lui stesso la pelle. Come mai erano ai piedi di un europeo?»
Ixchel rimase in silenzio.
Yaxkin tenne gli occhi fissi sulle scarpe. «Lo straniero ha detto qualcosa, giusto?»
«In verità stava delirando nella sua lingua, mi è solo sembrato di sentire qualche parola in yucateco; cose senza senso, tipo: una porta segreta nella piramide di Kukulcan.»
La fiamma della candela si mosse nervosamente. Ixchel sentì un brivido percorrerle la schiena.
Il calzolaio strinse le tomaie. «Afferra le suole e ripeti quello che hai detto.»
La guaritrice inspirò profondamente e obbedì. Fissò le scarpe e disse: «Una porta segreta nella piramide di Kukulcan.»
Un alito di vento si insinuò tra le fessure della capanna, facendo di nuovo tremare la fiamma e rabbrividire Ixchel.
Yaxkin si raccolse in preghiera. «O Dei, vi ringraziamo per il vostro dono prezioso: lo spirito di un fratello straniero. Che la nostra riconoscenza lo guidi a ritrovare la pace tra le vostre braccia.»
Le scarpe iniziarono a vibrare tra le loro mani. Ixchel si spaventò; lasciò la presa e le scarpe caddero a terra. La fiamma si spense e tutto si fece buio e silenzioso.
La voce di Yaxkin attraversò quella cortina di mistero. «Era lo spirito dello straniero. La sua rivelazione è vera e dobbiamo agire di conseguenza.»
Ixchel annuì in silenzio, ancora scossa. Il disco della Luna piena apparve dalla finestra; la giovane guaritrice si sentì rassicurata dalla luce celeste della Madre, come avvolta e protetta dal suo abbraccio.
Nel frattempo il calzolaio si era preparato, indossando pantaloni di pelle e una giacca con piume colorate; aveva preso con sé anche un lungo bastone di legno con la punta acuminata. Uscirono insieme, verso la piramide di Kukulcan.
Yaxkin e Ixchel si avvicinarono al tempio, osservando i rilievi che lo adornavano. Ixchel sentiva rispetto e venerazione per quei simboli antichi, ma notò che due raffigurazioni umane sembravano fissarla con sguardo severo. Yaxkin si concentrò sulla densa vegetazione proprio di fronte a quei due rilievi. Con il bastone sondò il terreno finché non decise di addentrarsi tra i cespugli, sparendo alla vista di Ixchel.
Dopo un lungo silenzio, la guaritrice sentì la voce di Yaxkin che la chiamava. Con il cuore in gola, seguì le tracce lasciate dal calzolaio, finché non arrivò vicino a un’apertura che rivelava una scala di pietra che scendeva nel buio.
Ixchel e Yaxkin accesero le fiaccole e si avventurarono giù per le scale, tenendosi per mano. La pietra era fredda e umida sotto i loro piedi. In fondo alle scale i due si trovarono in un lungo corridoio di pietra che correva sotto la piramide di Kukulcan e iniziarono a percorrerlo.
Alla fine gli sembrò di vedere qualcosa come giare fatte di legno. Notarono anche l’uomo che le avrebbe dovute sorvegliare: era addormentato, seduto su un masso, con la testa appoggiata al muro. Indossava una giacca con il colletto a punta e dei pantaloni con la forma a sacco.
Ixchel avrebbe voluto urlare al sacrilegio per la presenza di un europeo sotto al tempio di Kukulcan, ma si trattenne. Yaxkin la guardò in silenzio e fece cenno di tornare dall’altro lato del corridoio.
La guaritrice cercò di bisbigliare, controllando la rabbia. «Che cosa facciamo? È inaudito.»
Il calzolaio mantenne la calma. «Non possiamo fidarci di Hunahpu e forse nemmeno dei sacerdoti di Kukulcan. Dobbiamo chiedere aiuto ai guerrieri sacri di Chaac.»
Ixchel annuì, anche se ci rimase male. «Io sono una figlia della Luna, non mi posso avvicinare ai guerrieri di Chaac. Devi andare da solo, io resto qui di guardia.»
Yaxkin si rabbuiò. «E se l’europeo si sveglia?»
«Sono giovane e agile, correrò su per le scale. Va’, non ti preoccupare.»
Ixchel si ritrovò sola e non poté resistere alla curiosità che l’assaliva. Tornò indietro con cautela, superando l’uomo addormentato senza fare rumore, finché raggiunse le giare di legno. Erano sigillate con delle fasce di cuoio e dalla loro superficie filtrava un odore dolciastro, simile a quello che lo straniero aveva vomitato al tempio. Dovevano essere piene di quell’acqua ardente di cui aveva accennato Hunahpu.
Soddisfatta, la guaritrice fece per tornare indietro. Vedendo una luce in lontananza, affrettò il passo convinta che fosse Yaxkin con i rinforzi. Ma il panico le salì in gola quando si rese conto che invece era un altro europeo ad avanzare verso di lei. L’unica via di uscita era dietro di lui; non c’era altra scelta se non affrontarlo.
Avanzò con determinazione contro lo straniero, brandendo la fiaccola come un’arma. Lo colpì di sorpresa alla testa e gli assestò subito un calcio, facendolo cadere a terra. Lo scavalcò, ma l’uomo si rialzò in piedi e la affrontò nuovamente. Ixchel lo tenne a distanza con la fiaccola, ma mentre indietreggiava verso le scale, venne immobilizzata da due guerrieri del tempio che la sorpresero alle spalle.
Nonostante le urla di protesta, gli uomini parlarono animatamente tra loro, ignorandola. Lei si dimenava con tutte le sue forze, ma ogni movimento sembrava causarle ancora più dolore. Infine i suoi aggressori riuscirono a legarla, lasciandola impotente e rannicchiata a terra.
Quello che sembrava il capo degli europei usò i guerrieri come interpreti.
«Dice che hai rubato qualcosa di suo e glielo devi restituire.»
La guaritrice scosse la testa. «Non sapevo che quelle scarpe fossero importanti. Se mi liberate le vado a prendere.»
Gli stranieri sembravano poco convinti. «Non vuole le scarpe. Dice che hai rubato un sacchetto con dei semi di datura. Aggiunge che non ha nessuna intenzione di liberarti.»
Ixchel sentì crescere l’angoscia. «Ma io non ho mai visto nessun sacchetto.»
Gli stranieri alzarono la voce e si avvicinarono minacciosi alla guaritrice. Lei si irrigidì e cercò di indietreggiare. Uno le diede un forte manrovescio che le fece esplodere la guancia di dolore.
Urlò: «Giuro che è tutto vero!»
Si sentirono dei passi echeggiare giù per le scale e ci fu subito grande agitazione. Gli europei sembravano dare ordini secchi ai guerrieri del tempio, che si prepararono alla lotta. Ma l’arrivo dei guerrieri sacri di Chaac, con le loro armature di cuoio rosso, cambiò tutto. I guerrieri del tempio gettarono le armi e si inginocchiarono a terra, chiedendo perdono e clemenza. Gli europei non ebbero scampo e si arresero senza opporre resistenza.
Infine arrivò anche Yaxkin, che si accovacciò accanto a Ixchel. Rassicurandola che tutto era finito, la liberò e le sorrise.
Ixchel, ancora stordita, si massaggiò la guancia dolorante e si accorse di essere ferita. Guardò la mano sporca di sangue.
Il Sole era appena sorto. Ixchel e Yaxkin emersero dal corridoio segreto e si diressero verso la fonte più vicina. La guaritrice si sedette su un masso e chiese al calzolaio di aiutarla a lavare la ferita. Rovistò nella borsa in cerca dello specchietto di ossidiana ma si fermò di colpo; aveva notato che, tra i sacchetti, ce n’era uno simile agli altri ma di cui non conosceva il contenuto. Lo strinse nel palmo e capì dalla forma dei semi di cosa si trattasse.
Un sorriso amaro si dipinse sulle sue labbra. «Allora avevano ragione!»
Yaxkin la guardò, perplesso. «Chi?»
Gli mostrò il sacchetto. «Avevo rubato i semi di datura.»
Lui scosse la testa, incredulo. «Quindi sei una ladra!»
Ixchel sospirò. «Non l’ho fatto apposta, devo averli raccolti per sbaglio al tempio, forse erano caduti allo straniero e ho pensato che fossero miei.»
Un guerriero di Chaac si avvicinò. «Figlia della Luna, ho ammirato il tuo coraggio e ti concedo di parlarmi.»
Emozionata, Ixchel appoggiò la mano destra al cuore e accennò un inchino. «Grazie, signore. Comanda e ti risponderò.»
Il guerriero sacro ricambiò. «È vero, hai rubato il sacchetto, ma il tuo gesto è stato ispirato dagli Dei. Grazie a te, abbiamo scoperto l’accordo sacrilego tra Hunahpu e gli europei: semi di datura in cambio di acqua ardente.»
Ixchel e Yaxkin inorridirono a queste parole.
Il guerriero di Chaac proseguì con tono solenne. «C’è un oscuro presagio legato all’inizio del quindicesimo katun. Tenete questa rivelazione per voi, ma presto dovrete condividerla con il popolo. E tu, Ixchel, conserva i semi di datura e purificali con la tua arte. Che gli Dei ci benedicano tutti.»
Il guerriero sacro salutò e si allontanò. Ixchel rimase immobile, sorpresa e confusa da quelle parole.
Yaxkin mantenne la calma. «Ringraziamo gli Dei per averci usati come strumenti per sventare questo complotto.»
La guaritrice annuì in silenzio, ancora incredula, ma determinata a fare la sua parte nel contrastare l’oscuro presagio. Con un sorriso si avviò al distretto residenziale insieme al calzolaio.
Lungo la strada, discussero sulle parole del guerriero sacro e sulla responsabilità che ora gravava su di loro. Ma sapevano di poter contare sull’aiuto reciproco e sulla protezione degli Dei.