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Le sorprese non amano annunciarsi

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1Le sorprese non amano annunciarsi Empty Le sorprese non amano annunciarsi Dom Apr 02, 2023 9:44 am

almarc

almarc
Younglings
Younglings

https://www.differentales.org/t1807-quattro-atti-di-mortadella#26588
 
Le sorprese non amano annunciarsi
 
Da circa un anno sono tornato ad abitare nella vecchia casa di Ispra, costruita da nonno Albenzio in cima al monte dei Nassi, a picco sul Verbano.
All’ombra benevola di un acero gigante, lascio scorrere le sciolte giornate della mia ultima età, aspettando senza fretta il calar della sera quando, spinto da brezze lontane, sale il respiro del lago e mescola il suo profumo d’acqua nuova con l’aspro odore dei pini, guardiani silenziosi di questo remoto altopiano.
 
Per mia fortuna le faccende domestiche, anche qui in casa di nonno Albenzio, sono un compito riservato a Nerina, una servitrice devota che mi ha seguito nelle mie forzate peregrinazioni, fino all’ultimo approdo su questo pianoro affacciato sul lago. L’unica passione a cui non rinuncio è la lettura, accompagnata dal vago desiderio di fissare su un foglio qualche bel ricordo di gioventù.
 
Ogni domenica mattina mi concedo una breve scarpinata giù fino alla piazzetta della chiesa, mi sistemo su una panchina in disparte e per un po’ osservo, con aria disincantata, l’andirivieni dei miei compaesani. Prima di riavviarmi verso casa, spesso deluso dallo spettacolo, raggiungo l’edicola del mio amico Pierre, e compro una copia del giornale locale.
So che sfoglierò distrattamente quei fogli, indugiando alla fine sulla sola pagina da me giudicata importante: quella dei necrologi.
Oggi però spicca in prima un titolone da far sobbalzare chiunque:
 
Superenalotto, vinti a Ispra 148 milioni! Caccia al vincitore da record!
 
Perbacco! Apprendere in questo modo che proprio qui sia piovuta dal cielo una vincita di tali pazzesche dimensioni mi provoca, non lo nego, un certo turbamento.
Meno male che non ho mai gettato nel gioco nemmeno un centesimo! Ma leggiamo l’articolo!
 
Tra un brindisi e una posa per l’immancabile foto di gruppo, i proprietari del Bar Andy ci sperano ancora, perlomeno in una telefonata di ringraziamento. Invece, il giocatore che sabato sera, sborsando due soli euro, ha centrato il sei al Superenalotto, aggiudicandosi la cifra iperbolica di 148 milioni di euro, ha pensato bene di non farsi sentire. In barba alla marea di curiosi ammassati davanti alla ricevitoria di Via Battisti, bramosi di raccogliere qualunque piccolo indizio sull’identità del novello Paperon de’ Paperoni, lui ha scelto il silenzio, nell’attesa che si spengano i riflettori e smaltisca la sbronza da lotteria.
Se abita nei dintorni non ci vorrà molto a scoprirlo, questo è garantito! Il paese è rimasto uno di quelli dove si conoscono tutti e 148 milioni di euro la vita non la cambiano soltanto, la stravolgono!
Veri o falsi, i bisognosi sono già usciti allo scoperto. Qualcuno ha appeso sulla vetrata principale del bar del “miracolo” un foglietto scarabocchiato a mano. “Sono disoccupato e non riesco a trovare lavoro, – c’è scritto, – spero Dio possa aiutarti a comprendere che la povertà è più vicina di quanto non si creda”, seguono telefono e codice IBAN per l’eventuale versamento.
 
Fine dell’articolo.
 
Davvero c’è da sperare nei nervi saldi del vincitore: io di sicuro non saprei come reagire nel vedermi piovere addosso tanto denaro – mormoro tra me e me – mentre ripiego il giornale e m’incammino pensieroso verso casa.
A metà salita il sentiero compie un’ampia curva a gomito, concedendomi l’opportunità di una sosta. Riapro il giornale e getto un’occhiata ai necrologi. Nessun morto da me conosciuto, mi pare! O forse no! Qui c’è un certo Evaristo Podrecca, di anni 90, abitante a Caidate, mancato all’affetto dei suoi cari. Ne danno il triste annuncio la vedova Giuseppina e il figlio Amilcare. Segue un lunghissimo elenco d’amici e parenti.
Perdiana! Questo nome non l’ho mai dimenticato, anzi, è proprio una bizzarra coincidenza che il medesimo giornale con l’articolo in prima sulla folle vincita al Superenalotto di un oscuro isprese, rechi in coda il necrologio dell’ultimo dei due fratelli Podrecca.
 
Correva l’anno 1958!
All’epoca ero un marmocchio suppergiù di sette anni e, causa certe beghe familiari che non ho mai ben saputo, i miei genitori si erano da poco trasferiti, manco a dirlo, a Caidate, il paese dei mitici fratelli Podrecca.
 
Era un tranquillo pomeriggio marzolino. Una nutrita comitiva di schiamazzanti bimbetti, tra i quali anch’io, procedeva spensierata lungo la strada sterrata, in direzione del gruppetto di case che formavano la frazione di Caidate, dopo la mattina trascorsa nella scuola elementare di Sumirago, capoluogo comunale. Una camminata che affrontavamo tenendoci per mano, procedendo su due file compatte, come soldatini disciplinati, pieni di quell’allegria scherzosa tipica della nostra età.
All’improvviso, un rombo lontano ci fece voltare sbigottiti. A fatica riuscimmo a distinguere un’automobile che arrancando fra le buche sollevava un polverone alto fino al cielo. Veloci riparammo su per la riva a lato della strada, ma con nostra grande sorpresa, quando l’automobile ci raggiunse, anziché proseguire la sua corsa, si arrestò di botto. Dissolta la gran nuvola di polvere e fumo azzurrino, notammo i vetri dei finestrini abbassati e all’interno due buffi ometti con tre grosse valigie. Ma nessuna paura. Erano gli arcinoti fratelli Podrecca, parrucchieri tuttofare in Caidate, che richiamavano la nostra attenzione reggendo dei sacchetti di cellofan, stracolmi di caramelle e cioccolatini, che afferrammo avidamente, iniziando a scartare e divorare.
Nel frattempo i fratelli Podrecca non la smettevano di articolare parole, finché riuscirono a farci intendere il motivo della loro fermata.
Dovevamo precederli in paese e annunciare una notizia strabiliante:
 
“Sono in arrivo da Milano, con i centomilioni di lire vinti alla Lotteria Nazionale, i fratelli Podrecca. È loro intenzione, fino all’ultimo biglietto da mille, trasformare Caidate nel paese dell’abbondanza e del divertimento per tutti”.
 
Cento milioni di lire, se tradotti nella misera sommetta corrente di cinquantamila euro e pochi centesimi, potrebbero sembrare quasi una presa per i fondelli, ma in quegli anni erano un capitale da capogiro, roba che con i soli interessi ci avrebbe campato nel lusso una famiglia intera. Facile dunque immaginare l’indescrivibile pandemonio provocato al nostro arrivo tra la folla di nonni e mamme.
La scena paradossale andò avanti per un bel pezzo finché il baccano, arrivato su fino alla canonica, costrinse il parroco, da poco accomodatosi a tavola, a scendere pure lui giù in piazza e tentare di chiarire di persona quanto stava accadendo.
Don Ennio, abituato da sempre a governare gli scatenati ragazzini dell’oratorio, si mostrò subito in grado di padroneggiare la situazione, e afferrato finalmente il significato di tanto strepitio, dovette, con un certo imbarazzo, sillabare lentamente la mirabolante notizia.
Nel vedere i fanciulli ritornare calmi, le mamme si rasserenarono, ma le emozioni non erano ovviamente finite!
Don Ennio si ripeté più volte, tra lo scetticismo generale, finché un’auto sbucò dalla curva in fondo alla strada, e si arrestò a pochi metri dalla folla.
Era l’auto dei fratelli Podrecca che avevano ritardato ad arte il loro arrivo, allo scopo d’ingigantirne l’effetto. A quella vista, come d’incanto tutti ammutolirono, in trepidante attesa. Scesi dalla vettura, i fratelli Podrecca montarono sul muretto della fontana, intenzionati a fornire una spiegazione alla baraonda da loro stessi provocata, con quel messaggio affidato alle bocche innocenti dei bimbi.
Spiegazione per la verità brevissima, sostenuta, come fu, dall’esibizione trionfante di tre valigie rigonfie di mazzette da diecimila: ai caidatesi non restava che misurarsi con la concretezza della notizia. C’era chi non la smetteva di scuotere il capo sbigottito; chi, rintronato da quello spettacolo, non riusciva a spiccicare una parola e chi, assai più pratico, caldeggiava la creazione, seduta stante, di un comitato pro festeggiamenti.
Il cuore delle operazioni fu collocato nel salone delle feste del Circolino di Caidate, dove si apparecchiò una tavolata sempre a disposizione, notte e giorno, con ogni ben di dio da mangiare e bere. La banda del comune riempiva di note raggianti le brevi pause tra i lauti pranzi, e i fratelli Podrecca, arruolato sino a data da destinarsi il tassista di Milano, giravano per il paese sfoggiando un gran cartello legato sul retro del taxi, con scritta la più esplicita delle frasi:
 
FRATELLI PODRECCA
BARONI PER POCO TEMPO!
 
Il giorno appresso si presentarono in paese, chiamate non si sa da chi, una mezza dozzina di allegre donnine, e non appena i due fratelli seppero di quell’arrivo, assoldarono pure loro, per la disperazione delle signore per bene del paese.
Il taglio di barbe e capelli fu sospeso per qualche tempo, ma di sicuro nessun caidatese se ne dispiacque, consentendo così alle pelurie di crescere in armonia con gli addomi.
L’unico che a prima vista sembrava non godere appieno della festa era Don Ennio, costretto a celebrare messa in una chiesa vuota. I caidatesi, comunque, andavano capiti: con quei freschi tesori da adorare, come avrebbero potuto trovare il tempo per frequentare anche le funzioni religiose?
E per noi bambini? Prontamente fu avviata la costruzione della scuola elementare di Caidate, un progetto da anni sepolto sotto le scartoffie dell’ufficio tecnico del Comune e mai realizzato per mancanza di fondi.
Per don Ennio, invece, arrivò un gruzzolo sufficiente a rinnovare l’oratorio da cima a fondo, compreso il piccolo cinema teatro.
 
Com’era ovvio, simili eventi stuzzicarono la curiosità di un folto numero di giornalisti, smaniosi d’intervistare i due fratelli, i quali risposero con calma alle domande più maliziose, per nulla turbati dalla loro nuova e temporanea condizione.
In effetti, perché abbandonare le amicizie, mollare un lavoro affascinante e dire addio alle spassose chiacchierate in bottega?
I cento milioni caduti dal cielo avrebbero preteso il sacrificio del loro mondo, per inseguire sconosciute chimere: troppa temerarietà per chi non era più giovincello. Meglio godersi tutti i soldi in compagnia e poi riprendere, serenamente, la vita e il lavoro di sempre. Una scelta di fatto conforme all’indole schietta e bonaria di quei due simpatici ometti. In cambio si guadagnarono l’affetto imperituro di tutto il paese e del Vescovo in persona, venuto a benedire la partenza dei lavori per la scuola e l’oratorio.
 
Appeso al filo di questi suggestivi ricordi, riprendo la salita, finché uno sbuffo di tramontana mi avverte che ho raggiunto la cima. Intirizzito, affretto il passo e, varcata la soglia di casa, saluto Nerina, indaffarata nella preparazione del pranzo domenicale. Nell’attesa, mi ritiro nello studio e scarabocchio su un angolo bianco del giornale la trama del mio primo racconto, ispirato alle avventure dei fratelli Podrecca. Episodi lontani, penso, ma tuttora provvidenziali, soprattutto se tra i miei “quattro lettori” ci sarà, per sua buona sorte, qualche ineffabile vincitore del moderno Superenalotto.
 
Segue un pranzo stranamente sontuoso, ben oltre le modeste usanze cui sono abituato. Tuttavia, lungi dal lamentarmi, mentre mi abbuffo silenzioso, muoio dalla voglia di scoprire quale sia l’incantesimo, grazie al quale Nerina è riuscita a sposare l’ottimo arrosto con questa montagna di porcini trifolati, che sono la mia passione, purtroppo impossibile da soddisfare nel periodo grigio in cui sono scivolato.
Divorata anche la seconda fetta di torta al cioccolato, la cara Nerina, al posto del solito caffè con grappino, si presenta con una bottiglia e due calici di cristallo, sottratti al servizio buono di nonno Albenzio. Incurante della mia reazione tra l’ammirato e il perplesso, stappa e versa con disinvoltura lo spumante, porgendomi un calice, che afferro timidamente.
Poi, lo sguardo animato da una luce mai vista, Nerina solleva decisa il suo, e mi invita al primo brindisi mai celebrato fra noi due.
 

Ma non sarà che... 

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