Corri per la Befana(2014)
La piazza viene usata come viene usata, senza godimento, infibulata da automobili parcheggiate.
Quassù c’è il bar dell’appuntamento circondato da corpi incandescenti, coperti di nivea,
parentetici, ripetitivi, sottili sopra la piattaforma panoramica. Corpi che hanno messo da parte le
energie per sprecarle tutte in un giorno.
L’azzurro del cielo non mi attira più, non ne parlo volentieri quando è troppo limpido da sembrare un
soppalco finto sopra la testa.
In un mattino come questo se ne va a puttane pure la mia abituale malinconia.
Il punto immediato è che mi sono alzato troppo presto, come si vive in casa sua lo sa solo Annibale,
io penso male, ma non mettetemi in bocca cose che ancora non ho detto. Lui è comunque il libro più vero
che abbia mai letto, ma ogni volta che mi viene voglia di rileggerlo mi pento di averlo fatto perché è
un ritardatario cronico e mi pento di essere tornato in quella casa che conosco nelle più piccole
ammaccature, crepe, nei scarabocchi sul muro dietro la poltrona dell'infanzia.
Via Lemonia alle 7,30 sembra un dipinto di Piero Manzoni, monocromatico, solo una riga, bianca.
La lista della spesa in tasca è uno stratagemma per non pensare troppo alla gara e disprezzare le mie
velleità agonistiche.
Per annullare quella minaccia e per voglia di caffè entriamo nel Bar degli Artisti.
Potrei distillare la posizione delle cose a occhi bendati.
La toilette in fondo, il bancone subito a destra, la cassiera pure lei a destra con accanto il frigo
gobbo dei gelati, vuoto perché è inverno.
La cassiera seduta su una specie di sedia ortopedica celeste riesce a controllare chi entra e chi va al
gabinetto, altre informazioni per lei sarebbero inutili. Si gioca bene quel piccolo silenzioso potere
che ha e non le sfugge nulla.
Lontana da me l’idea di incoraggiare la benché minima conversazione chiedo, fingendo di vederla per la
prima volta: Due caffè, grazie.
Una richiesta così precisa implica una risposta precisa, ma l’universo femminile è sempre sorprendente
e...
- Bentornati, che bello rivedervi.
Io che non ho nessun problema emotivo nell’esercitarmi in un botta e risposta dico:
-Piacere nostro rivederti, non sei cambiata.
- E come sono?
- Bella, ma di una bellezza immeritata.
- E cosa devo fare per meritarmela?
- Niente, non devi fare niente, ma è facile vincere così.
- E con voi ho vinto?
Per non cacciarci in un'attività esclusoria, all'unisono rispondiamo: Si. Ammazzandoci di fatica a non
fissarle a lungo il seno.
Lei sorride, tirandosi un cuscino casalingo in mezzo alle gambe, senza imbarazzo.
- Siete sempre i soliti birbanti, - dice con velocità notarile per non farsi capire dagli altri.
Andrebbe fatta una sana e seria discussione su birbanti che il mio vocabolario mentale traduce in
persone scaltre e disoneste, ma fidandoci della sua ingenuità ci avviciniamo al bancone già battuto da
decine di cappuccini.
Fuori il riscaldamento è una tortura di gruppo, nessuno ci rinuncia anche se serve a sentirti
un po’ stanco prima di essere proprio stanco.
Un pallone blu dice che lì si parte, e lo conferma la compressione magica dei giardini condominiali
reduci da addobbi natalizi e i pini dello sterrato in fila sull'erba sbiadita dal freddo.
Mi sento troppo indietro e provo ad avanzare di qualche metro.
Una staccionata femminile mi impone di accettare la mia posizione.
Vedo solo a sinistra e a destra, davanti ho l’oblò opacizzato di due donne con il respiro inquieto e la
frequenza di chi sta per partorire.
Riconosco la tosse di Annibale. Due corpi più in là il suo viso bianco come un pezzo di sapone.
Una ragazza che conosco di vista mi offre la sua bottiglietta di minerale. Non mi schifo perché è carina
e bevo più di un sorso.
Per gratitudine provo ad immaginarla con un bel vestito e con un buon profumo che non somigli all’olio
canforato. Percepisce qualcosa, mi sorride e mi dice che si chiama Paola e corre con i Road Runners.
Per rilassarmi penso a qualcosa di musicale e mi viene in mente il Lennon di Jealous Guy, la mia
emozione mista al sudore passa inosservata. So fare il fischio di John, lo facevo sempre da ragazzo,
lo ripeto e ripeterlo mi fa sentire quanto ripugnanti siano gli anni che passano.
Annibale mi sente, alza il pollice in segno di approvazione e sorride, è
scemo come me, è vecchio come me.
Un ciccione alle mie spalle foderato di superbia urla: Non ne sai un’altra?
- Si, ma non te la canto, rispondo.
La gara parte.
Annibale tossisce di nuovo in maniera più forte, per farsi trovare.
Il sudore mi esce fuori dalle ossa.
Annibale è la mia guida turistica.: mancano quattro chilometri To'.
Il pigmento del paesaggio è cambiato, si è fatto verde e marrone mentre sfiora l'acquedotto romano.
Un tratturo di campagna dove affiorano pietre bianche è un trampolino imperfetto verso un miglioramento
cronometrico nel quale non avevo mai creduto veramente.
Mi sforzo di chiarire quanta poca stima io abbia di me stesso, ma c’è sempre qualche intervento pronto a
capovolgere le mie debolezze e Annibale mi stringe la mano commosso.
E tossisce davvero.
La piazza viene usata come viene usata, senza godimento, infibulata da automobili parcheggiate.
Quassù c’è il bar dell’appuntamento circondato da corpi incandescenti, coperti di nivea,
parentetici, ripetitivi, sottili sopra la piattaforma panoramica. Corpi che hanno messo da parte le
energie per sprecarle tutte in un giorno.
L’azzurro del cielo non mi attira più, non ne parlo volentieri quando è troppo limpido da sembrare un
soppalco finto sopra la testa.
In un mattino come questo se ne va a puttane pure la mia abituale malinconia.
Il punto immediato è che mi sono alzato troppo presto, come si vive in casa sua lo sa solo Annibale,
io penso male, ma non mettetemi in bocca cose che ancora non ho detto. Lui è comunque il libro più vero
che abbia mai letto, ma ogni volta che mi viene voglia di rileggerlo mi pento di averlo fatto perché è
un ritardatario cronico e mi pento di essere tornato in quella casa che conosco nelle più piccole
ammaccature, crepe, nei scarabocchi sul muro dietro la poltrona dell'infanzia.
Via Lemonia alle 7,30 sembra un dipinto di Piero Manzoni, monocromatico, solo una riga, bianca.
La lista della spesa in tasca è uno stratagemma per non pensare troppo alla gara e disprezzare le mie
velleità agonistiche.
Per annullare quella minaccia e per voglia di caffè entriamo nel Bar degli Artisti.
Potrei distillare la posizione delle cose a occhi bendati.
La toilette in fondo, il bancone subito a destra, la cassiera pure lei a destra con accanto il frigo
gobbo dei gelati, vuoto perché è inverno.
La cassiera seduta su una specie di sedia ortopedica celeste riesce a controllare chi entra e chi va al
gabinetto, altre informazioni per lei sarebbero inutili. Si gioca bene quel piccolo silenzioso potere
che ha e non le sfugge nulla.
Lontana da me l’idea di incoraggiare la benché minima conversazione chiedo, fingendo di vederla per la
prima volta: Due caffè, grazie.
Una richiesta così precisa implica una risposta precisa, ma l’universo femminile è sempre sorprendente
e...
- Bentornati, che bello rivedervi.
Io che non ho nessun problema emotivo nell’esercitarmi in un botta e risposta dico:
-Piacere nostro rivederti, non sei cambiata.
- E come sono?
- Bella, ma di una bellezza immeritata.
- E cosa devo fare per meritarmela?
- Niente, non devi fare niente, ma è facile vincere così.
- E con voi ho vinto?
Per non cacciarci in un'attività esclusoria, all'unisono rispondiamo: Si. Ammazzandoci di fatica a non
fissarle a lungo il seno.
Lei sorride, tirandosi un cuscino casalingo in mezzo alle gambe, senza imbarazzo.
- Siete sempre i soliti birbanti, - dice con velocità notarile per non farsi capire dagli altri.
Andrebbe fatta una sana e seria discussione su birbanti che il mio vocabolario mentale traduce in
persone scaltre e disoneste, ma fidandoci della sua ingenuità ci avviciniamo al bancone già battuto da
decine di cappuccini.
Fuori il riscaldamento è una tortura di gruppo, nessuno ci rinuncia anche se serve a sentirti
un po’ stanco prima di essere proprio stanco.
Un pallone blu dice che lì si parte, e lo conferma la compressione magica dei giardini condominiali
reduci da addobbi natalizi e i pini dello sterrato in fila sull'erba sbiadita dal freddo.
Mi sento troppo indietro e provo ad avanzare di qualche metro.
Una staccionata femminile mi impone di accettare la mia posizione.
Vedo solo a sinistra e a destra, davanti ho l’oblò opacizzato di due donne con il respiro inquieto e la
frequenza di chi sta per partorire.
Riconosco la tosse di Annibale. Due corpi più in là il suo viso bianco come un pezzo di sapone.
Una ragazza che conosco di vista mi offre la sua bottiglietta di minerale. Non mi schifo perché è carina
e bevo più di un sorso.
Per gratitudine provo ad immaginarla con un bel vestito e con un buon profumo che non somigli all’olio
canforato. Percepisce qualcosa, mi sorride e mi dice che si chiama Paola e corre con i Road Runners.
Per rilassarmi penso a qualcosa di musicale e mi viene in mente il Lennon di Jealous Guy, la mia
emozione mista al sudore passa inosservata. So fare il fischio di John, lo facevo sempre da ragazzo,
lo ripeto e ripeterlo mi fa sentire quanto ripugnanti siano gli anni che passano.
Annibale mi sente, alza il pollice in segno di approvazione e sorride, è
scemo come me, è vecchio come me.
Un ciccione alle mie spalle foderato di superbia urla: Non ne sai un’altra?
- Si, ma non te la canto, rispondo.
La gara parte.
Annibale tossisce di nuovo in maniera più forte, per farsi trovare.
Il sudore mi esce fuori dalle ossa.
Annibale è la mia guida turistica.: mancano quattro chilometri To'.
Il pigmento del paesaggio è cambiato, si è fatto verde e marrone mentre sfiora l'acquedotto romano.
Un tratturo di campagna dove affiorano pietre bianche è un trampolino imperfetto verso un miglioramento
cronometrico nel quale non avevo mai creduto veramente.
Mi sforzo di chiarire quanta poca stima io abbia di me stesso, ma c’è sempre qualche intervento pronto a
capovolgere le mie debolezze e Annibale mi stringe la mano commosso.
E tossisce davvero.