Chiamarsi Segundo è stata una condanna per me.
Questo nome non ha fatto altro che instillare in me la profonda convinzione di essere un eterno secondo. Per tutta la vita ho creduto che fosse normale che ci fosse qualcuno sopra di me: il primo, che aveva tutto il successo.
La cosa buffa è che sono figlio unico. Mia madre ha voluto darmi questo nome perché sono arrivato a seguito di un aborto spontaneo. Vede, sono secondo anche rispetto a un feto morto.
Il fallimento è insito nella mia natura.
Da bambino ero cocciuto e indipendente, anche se non avevo alcun interesse per la mia persona. Ero capace di girare per casa tutto il giorno con le scarpe slacciate, perché non ero in grado di allacciarle da solo, ma non tolleravo che qualcun altro lo facesse per me. Evitavo ogni genere di socializzazione e preferivo l'isolamento in soffitta.
In quei pomeriggi, non facevo altro che pormi domande, mentre le cose materiali e di uso comune come i lavori di argilla, i cesti intrecciati, i semi da catalogare, finivano dimenticati e spinti negli angoli più bui della soffitta, là dove era più difficile recuperarli.
Si venne così a creare una zona centrale, nella parte più alta, dove passavo il tempo a interrogarmi. Mi ero convinto che, per ottenere risposta, le domande avessero bisogno di respirare.
Imparai a leggere in tenera età ma fu una necessità più che un talento naturale. I miei genitori non erano più capaci di rispondere alla mole spropositata di domande che gli rivolgevo, pertanto dirottarono la mia attenzione sui libri. Fu lì che trovai alcune delle risposte che cercavo, ma ogni scoperta portava a una nuova domanda ancora più grande. Tutte quelle questioni che mi eccitavano da bambino finirono per infestare la mia mente a tal punto da a trasformarmi in un giovane oscuro e taciturno, in perenne isolamento.
Ricordo quel giorno come se lo stessi ancora vivendo. Mi svegliai in soffitta, indolenzito e febbricitante. Anche se ci passavo molto tempo, non ci dormivo mai. Le rare volte in cui era capitato mi ero sentito più oppresso e soffocato di quanto già non fossi. E quella mattina portò con sé tutto quel peso. Come può, un ragazzo nel fiore degli anni, sentirsi già un perdente? Questa è una delle domande a cui non ho trovato risposta, ma riesco a percepire quella sensazione senza riuscire a descriverla.
Era quello lo stato in cui mi svegliai e non so cosa sarebbe successo se quel giorno non fosse entrata nella mia vita Filamena. Non starò qui a descriverla perché tra noi non c'è mai stato un interesse romantico, quindi non credo sia importante il suo aspetto, ma il suo valore. Filamena era semplicemente la compagna di classe che, conoscendo le mie inclinazioni, mi chiese quella mattina se volessi frequentare il corso di laurea in filosofia all'università di Manaus.
Quella svolta, per alcuni anni, diede nuova linfa alla mia vita e tutto sembrava aver preso la giusta piega, ma poi la maledizione del mio nome colpì duro. Per quanto mi sia sforzato di essere un bravo filosofo, non sono mai riuscito a ricevere il riconoscimento e l'accettazione solo perché, a differenza della "generazione del '68", sono arrivato dopo, quando ormai gli anni di rivolta avevano già incoronato gli eletti. Le mie pubblicazioni venivano oscurate dalla loro grandezza… Così, senza mai aver lasciato la città in cui sono cresciuto, sono diventato Segundo: il docente di filosofia.
Rassegnato alla mia vita, che non mi avrebbe mai portato in vetta, in quel secondo posto che tanto mi contraddistingueva, durante un temporale fuori stagione la mia macchina finì fuori strada.
L'incidente mi ha lasciato con il cranio rotto e i pensieri scombinati.
Fu durante la convalescenza che ho percepito la prima presenza. All’inizio era solo un’ombra al lato del campo visivo, un’apparizione fulminea fuori dalla porta o una presenza tra le tende della finestra.
Con il passare dei giorni, la presenza si fece più insistente. La notte si poneva in un angolo preciso della stanza, tra la cassettiera e la finestra, e sibilava. Ho iniziato a chiamarlo: l'uomo dal capo chino.
È innocuo. Anche ora è poco dietro di lei, alla sua destra. Non fa altro che sibilare. A quel tempo lo vidi come un presagio. Quelle parole sussurrate non facevano che invadere il mio pensiero e, visto che non potevo insegnare, iniziai a scrivere. Ogni volta che scrivevo, lui era lì, come se mi controllasse, come se mi spingesse a fare meglio e bene. Ma io non ero in grado di fare meglio e tantomeno bene. Nessuna forza poteva essere utile, non sarei riuscito ad andare da nessuna parte. È in quel momento che presi a rubare le idee dei primi. Va bene confessare il misfatto, ma non starò qui a dire come ho fatto. Provo ancora un forte senso di vergogna. Continuai a scrivere, e le mie pubblicazioni ora facevano presa. Quando tornai a insegnare, colleghi e studenti mi chiedevano consigli. Davano credito alle mie supposizioni e per qualche anno tutto andò bene. Poi, quando Filamena mi fece i complimenti per una mia recente pubblicazione, il panico mi avvolse.
Volevo essere franco con lei. Confessargli che ero un impostore: nulla di quello che usciva dalla mia penna era opera mia. Erano anni che mi spacciavo per filosofo, quando invece rubavo, copiavo, e rielaboravo testi altrui.
Ero un parassita del pensiero.
Ho passato giorni a pensare, a rimuginare su cosa fare, se parlare o meno. E se avessero scoperto il mio inganno?
Oltre all’umiliazione nei confronti di Filamena, che forse ero in grado di superare, se altri avessero fatto ricerche e scoperto la verità?
Nell'ultimo periodo avevo preso l'abitudine di non celare più di tanto la mano altrui, e quindi potevo essere scoperto. L'uomo dal capo chino non si faceva più vedere così insistentemente, quindi sentivo che la sventura era sopra di me. Pensai che allontanarmi da casa potesse essere utile, quindi mi aggregai a un tour sul Rio Negro. Se fossi stato via abbastanza a lungo, le acque si sarebbero calmate, e io avrei finito di compiere quelle atrocità.
Il tour mi portò alla scoperta della foresta: la vera foresta, quella inesplorata dove i cambiamenti erano lenti e la natura sembrava immutabile. Avevo vissuto un'intera vita ai margini di quella meraviglia, e l'avevo sempre data per scontata. Durante i primi giorni dormii sereno, ma già dal terzo una nuova presenza si manifestò: il ragazzo dalle mani rosse. Sembrava un indigeno ed era come se mi spiasse. Capii subito che non era una persona reale perché si mostrava solo quando ero a letto. Ogni volta che mi svegliavo nel cuore della notte, lui era lì con gli occhi fissi su di me.
Lentamente, con le mani rosse, indicava il mio naso e poi allontanava la mano fino a indicare l’orizzonte.
Anche lui è qui. Lì in alto, sopra le vecchie scatole di vestiti che non uso più. Gli piacciono i posti dove può avere una buona visione.
Durante il tour, non fece altro che indicarmi l'orizzonte, ma solo l'ultimo giorno, quello che ci riportava a Manaus, mentre le guide ci illustravano l'Encontro Das Águas, capii cosa mi stava indicando.
In quel punto due fiumi si incontrano, ma il Rio Negro rimane blu, freddo e profondo, mentre il Rio Solimões rimane marrone e caldo, senza fondersi, senza unirsi, come due realtà distinte, una demarcazione invalicabile.
Quella separazione, invece di meravigliarmi, mi angosciò. Confermava tutte le mie paure.
Non sarei mai riuscito a essere altro se non Segundo: l’inutile fallito. Non sarei mai riuscito a mescolarmi con il mondo che mi circondava se non ricorrendo all’inganno; come avevo fatto da alcuni anni.
La guida mi vide sull’orlo di una crisi di pianto dunque mi si avvicinò e mi disse di stare tranquillo. I due fiumi alla fine, molti chilometri più avanti, si fondevano creando il grande e maestoso Rio delle Amazzoni.
Quindi anche io potevo sperare di ottenere qualcosa dalla mia vita?
Ma cosa?
Ero ancora con lo sguardo basso quando la stessa guida mi invitò a guardare il fumo alzarsi in mezzo agli alberi, lontani all'orizzonte. Disse che quella era la cosa più sconvolgente; negli ultimi anni la foresta aveva subito, e subisce ancora oggi, un attacco devastante. Bisognava fare qualcosa per salvaguardarla altrimenti il futuro di tutti sarebbe stato oscuro.
È in quel momento che capii cosa mi indicava il ragazzo dalle mani rosse. Dovevo smetterla di mentire agli altri e anche a me stesso e focalizzare la mente su qualcosa di più concreto: avevo trovato il secondo me.
Per giorni, lessi tutto quello che trovai all'università sui cambiamenti che la foresta stava subendo. Non sarei mai stato un uomo d'azione, ma sarei diventato un filosofo ambientale, dove il pensiero viaggia tra gli alberi in pericolo invece di rimanere oppresso tra quattro mura. Avrei lasciato la mia casa e sarei partito alla riscoperta di me stesso.
Sentivo di potercela fare, lasciarmi tutto alle spalle non era difficile. Filamena supportava la mia scelta e decise che prima della mia partenza avremmo dovuto fare quella cosa insieme.
Mi parlava da giorni di questo nuovo film. Lei si è specializzata in sociologia e voleva a tutti i costi capire come mai quella pellicola avesse così tanto successo. Un film che parla di un gruppo di persone che cattura fantasmi: non era sicuramente del mio genere, ma andai, certo che sarebbe stato uno degli ultimi giorni che avremmo passato insieme per molto tempo.
Arrivammo giusto in tempo e devo dire che il film mi è anche piaciuto. I fantasmi erano buffi e poco terrificanti, a differenza delle mie presenze, che mi sembravano più concrete e invadenti.
In quei giorni febbrili, la loro presenza era una costante; anzi, alle prime due, se ne aggiunsero altre, per lo più vaghe e indefinite. Ero certo di essermi fatto suggestionare da quel maledetto film e, per esorcizzare la paura, continuavo a canticchiare a bassa voce: “Who you gonna call? Ghostbusters!”
La paura del salto nell'ignoto che stavo per compiere stava condizionando la mia mente.
All’incirca un mese fa, quando è comparso l’uomo dal ventre gonfio, ho iniziato ad avere paura.
Percepivo la sua presenza tra le altre, forse anche per le gocce di sudore che lasciava dietro di sé. Quando me lo trovavo di fronte, l’unica cosa che faceva era portare le mani alle orecchie per invitarmi a sentire.
Cosa voleva che ascoltassi? Io sentivo bene.
Forse quello che dovevo sentire era il battito del mio cuore e sentirmi vivo?
Ho chiamato al telefono Filamena, ma il suo numero risultava inesistente.
La paura è diventata più tangibile e le presenze si sono agitate.
L'uomo dal capo chino ha iniziato a sbattere i denti.
Il ragazzo dalle mani rosse si è coperto gli occhi con le mani.
L'uomo dal ventre gonfio mi ha invitato a fare silenzio.
Dov'era finita Filamena?
Sudavo.
Sentivo.
Ascoltavo una domanda farsi largo nella mia mente: Filamena è mai esistita?
La sola domanda mi ha gettato in uno stato di confusione totale.
Non sapevo più cosa fosse reale e cosa non lo fosse.
Sono salito in soffitta per cercare una risposta, come facevo da ragazzo.
L'ho trovata ancora più ingombra di oggetti e presenze.
Anche il centro, in cui mi sono posto mille domande, è ingombro di cose.
Cosa vuol dire? Chi le ha messe lì?
La mia mente così non riesce più a vagare libera e le domande non possano vorticare e prendere aria.
Sono circondato da oggetti che non ho mai saputo utilizzare, oggetti che mi ricordano una vita che non ho mai vissuto.
Perché la vita che ho vissuto, da quando ho lasciato questa soffitta, è l’unica che abbia un valore per me. Ma, adesso lo so, è una vita che ho immaginato.
Allo stato attuale però non sono più disposto a rinunciare a quella vita inventata ma non vissuta.
L'unica che mi ha dato gioia.
L'unica in cui non mi sono sentito costantemente secondo a nessuno.
L'unica in cui ho superato il fallimento di tutti i miei progetti.
Se Filamena non esiste, vuol dire che non sono mai stato all'università? Ricordo le notti di studio e i vari anni in cattedra. E Filamena era lì, magari non sempre, ma quando c'era ero felice.
Non so da quanto tempo sono qui. Ore forse giorni. La vecchia sedia su cui mi sono appoggiato è crollata sotto il mio peso e oggetti di varia natura mi hanno sepolto, lasciandomi con i miei dubbi. Poi è arrivata lei, le do del lei perché percepisco una certa importanza nella sua presenza, e ho sentito l’impulso di raccontarle tutto. Ma ora mi permetta di chiederle…
Lei chi è?
Perché non parla?
Rimane nell'ombra, ma sento un potere rivelatore. Grazie a lei ho confessato le mie malefatte e ho capito chi sono le presenze. Sono la manifestazione della fine di ogni vita che non ho vissuto. Vite che non ho avuto il coraggio di vivere e quindi ho ucciso, a differenza della mia vita, in cui non ho mai avuto il coraggio neanche di suicidarmi.
Le presenze sono presunte realtà in cui mi sono impiccato in soffitta, mi sono tagliato le vene nella vasca, o sono annegato nel Rio Negro.
Ora che me lo ha fatto capire, vieni più avanti, so che sei sempre stata tu... Filamena.
La presenza originale che ha creato per me tutte le altre.
Sei qui per dirmi di provarci ancora? È questo che mi vuoi dire?
Per l'ennesima volta dovrei creare una nuova realtà, ma io non voglio più.
E se ogni cosa fosse frutto della mia mente?
Forse la mia vita l'ho trascorsa solo in questa soffitta, in cui fin da piccolo ho sempre accantonato la realtà per la mia immaginazione.
Importa più?
Ha più valore quello che ho vissuto realmente o quello che ho immaginato?
Cos’ho immaginato?
La mente è diventata più importante della realtà stessa.A questo punto nulla ha più importanza. Non importa se la mia vita è stata fuori o non è stata fuori da questa soffitta.
Alla presenza di tutti voi, Segundo, caduto in mezzo a oggetti senza nome né valore, cancellerà il suo nome. Quindi, fate del vostro peggio, cercate di spezzarmi. Tormentatemi. Cercate di riportarmi alla realtà, qualunque essa sia. Ingannatemi, ma soprattutto, provate a farmi credere che ci possa essere qualcosa di diverso dall'annullamento. Se riuscirete a farlo accadere, penso che saremmo tutti d'accordo, allora tutto è possibile.