Xx yyyyyyy 1970
Carissimo Padre G.
scrivo queste righe consapevole del dolore che le infliggerò ma altrettanto certo che la scelta che sto per fare è quella corretta.
Ho pensato a lungo in questi ultimi mesi, ho pregato e cercato le risposte agli innumerevoli dubbi che mi tormentano il cuore e l’anima.
Ciò che avverto con urgenza è la necessità di una piena verifica del “problema affettivo” di cui spesso abbiamo parlato durante le nostre cene e di cui anche lei non è stato in grado di farmi vedere una soluzione che fosse al di sopra di ogni minimo dubbio.
Ho bisogno di sentire il sacerdozio come una scelta pienamente consapevole e non come l’ovvia conseguenza dei quattordici anni trascorsi in Seminario.
Parlo a lei come se parlassi al mio vero padre, perso troppo presto, condividendo quell’inadeguatezza, quasi paura, che sento nell’incarnare la figura del prete.
Non è la vocazione che mi viene meno, così come la chiamata del Signore che ancora mi capita di sentire forte e chiara quando mi ritrovo solo a pregare: sento più che altro il bisogno di “sporcarmi le mani” là fuori.
Ecco perché, seppure a soli diciotto mesi dalla mia ordinazione sacerdotale, ho preso la decisione di lasciare il Seminario e di andare a verificare di persona come è la vita nel mondo di tutti i giorni, dove si lavora e si fatica dalla mattina alla sera per procacciarsi il necessario per vivere.
Sono certo che, come ha sempre fatto, saprà comprendere le mie motivazioni e, soprattutto, sarà in grado di accompagnarmi in questa scelta così difficile e sofferta e restarmi vicino nei prossimi mesi (o anni?).
Suo Tullio
Xx yyyyyyyy 1978
Al Padre Superiore del PIME di Milano
Sono un giovane di Mantova prossimo ai trentadue anni, che intende entrare a far parte del PIME per un servizio disinteressato alla Chiesa come sacerdote. Premetto che ho alle spalle un’esperienza di seminario diocesano, dove ho trascorso volentieri gli anni della mia giovinezza, fino a un anno e mezzo dal sacerdozio. Nel 1970 ho interrotto il mio cammino per intraprendere una vita diversa… I miei superiori mi sconsigliarono, ma io ho voluto fare di testa mia, così ho cercato, in mezzo a tante difficoltà, di inserirmi nel mondo.
Ho fatto il servizio militare e ho svolto diversi lavori dopo aver conseguito il diploma di geometra.
Ho avuto modo di toccare con mano le ingiustizie e gli atteggiamenti dispotici dei padroni nei confronti dei lavoratori e allo stesso tempo ho visto molti miei compagni, vittime di strumentalizzazioni politiche, gettarsi in lotte dure, violente, spesso ingiustificate.
Anche per questo ho cambiato spesso lavoro alla ricerca di qualcosa che non sono mai riuscito a trovare veramente.
In questi otto anni, peraltro, non ho mai abbandonato il percorso di Fede, occupandomi di animazione liturgica, catechismo e coro nella mia Parrocchia e frequentando l’Azione Cattolica, entrando a farne parte nel gruppo giovani.
Negli ultimi tempi finalmente la chiamata del Signore è tornata a farsi forte e chiara, riportando a livello sempre più cosciente quella vocazione al sacerdozio che pure in questi anni ho tentato in ogni modo di assopire.
Una vocazione che ha assunto i contorni di una chiamata “ad gentes” ed è per questo che la scelta è caduta sul PIME che avevo già avuto modo di incontrare sulla mia strada anni fa e che ora diventa la mia prima scelta in questo momento decisivo della mia vita.
(…)
Vostro Tullio
7 giugno 1981
Carissimo Padre G.
da ieri sono un umile sacerdote e queste brevi righe sono un ringraziamento per avermi sempre accompagnato, soprattutto nei momenti più difficili, quando agli occhi del mondo sembrava che la mia Fede mi avesse abbandonato o si fosse, quanto meno, assopita.
Spero che la malattia, che l’ha tenuta lontano da me fisicamente ieri, possa risolversi in tempi rapidi e che ci sarà occasione di incontrarci prima della mia partenza per la meta che il Signore riterrà di assegnarmi.
Anche ieri ho sentito forte la sua presenza accanto a me nella preghiera e in quell’unità di intenti che ci ha sempre accomunati: se oggi sono qui molto merito, umanamente parlando, va a lei e alla sua tenacia nello sfidarmi giorno dopo giorno a riconoscermi nella chiamata del Signore cui ho voluto rispondere solo quando sono stato certo di me (di Lui, come ben sa, non ho mai dubitato).
Suo Tullio
Xx yyyyyyyy 1981
Mamma carissima,
innanzitutto sto bene, sia in salute che in spirito.
Ho preso possesso della mia casa qui in Papua anche se sarà solo per un breve soggiorno, giusto il tempo di prendere confidenza con la situazione generale.
A breve, infatti, partirò per un periodo negli Stati Uniti al fine di imparare l’inglese, credo che sarà in ottobre e non so ancora per quanti mesi mi dovrò fermare.
Accetto quello che arriva come un dono del Signore che ha deciso di servirsi di un umile servitore come me per portare la Sua Parola nel mondo.
Sento papà sempre accanto a me, lo invoco spesso quando ho bisogno di chiarirmi le idee, penso che lui sarebbe stato contento della mia scelta e mi trovo a riflettere sul fatto che nella chiamata del Padre ci sia stata un’intercessione del padre.
Ti ricordi mamma il giorno del funerale di papà? Quando mi cercaste per tutto il pomeriggio e alla fine mi trovaste addormentato in soffitta?
Ricordo le tue lacrime di gioia quando mi svegliasti e come ti arrabbiasti per lo spavento che vi avevo fatto prendere.
Ho custodito per anni quel pomeriggio nel mio cuore e ne parlai solo alla soglia della maggiore età con padre G. in seminario.
Ora è giunto il momento di raccontare anche a te quel pomeriggio…
Ero salito in soffitta, dove papà mi portava quando faceva i suoi lavoretti, in cerca non so nemmeno io di cosa di preciso; sentivo il peso infinito della tristezza che gravava sul mio cuore e salii in cerca di sollievo.
Bene, dopo qualche minuto in cui mi ero aggirato guardando e toccando gli attrezzi da lavoro, quasi potessero prendere vita e riportarmi papà, mi sembrò di sentire una voce, qualcuno che mi chiamava.
Naturalmente non c’era nessuno ma in quel momento lo sguardo mi cadde sulla Bibbia che papà teneva sullo scaffale verde. La aprii a caso e lessi il passo dei discepoli di Emmaus e fu come un’illuminazione, mi sembrò che tramite papà il Signore mi stesse parlando.
Mi sedetti a terra e sentii un peso sugli occhi e di lì a poco caddi in quel sonno profondo dal quale mi risvegliasti tu.
Suggestione? Chi lo sa? Di certo mi piace pensare che la mia vocazione, la chiamata del Signore, sia iniziata proprio in quel pomeriggio in soffitta, Dio mi aveva tolto il papà e proprio attraverso questa sottrazione mi stava regalando qualcosa di molto grande.
Ecco, mamma, ora lo sai anche tu…
Ti voglio bene e spero di vederti presto.
Tuo Tullio
Xx Yyyyyyyyy 1983
Al Padre Superiore del PIME di Milano
Carissimo Padre, l’attesa per il mio ritorno a Papua si sta prolungando senza che si intraveda, a oggi, una scadenza ragionevole.
Qui a Sotto il Monte mi trovo bene ma il mio desiderio è di tornare a svolgere il mio mandato in missione.
Per questo sono a chiederle di cambiarmi destinazione, qualsiasi altra località andrà bene.
Solo chiedo, con la massima umiltà, di non essere inviato negli Stati Uniti; nel mio soggiorno di studio ho percepito la grandezza della nazione, la grandezza delle città e anche la gente mi è sembrata aver assorbito questo “gigantismo”.
Io sento di essere chiamato a missioni più piccole, laddove, tra la gente comune, si può parlare con semplicità un po’ come al mio paese.
Una missione dove la vita sia ancora prevalentemente rurale, a contatto con la natura, i campi, le foreste…
Spero non voglia considerare questa mia richiesta come un atto di presunzione o di insubordinazione, mi rimetto alla vostra volontà e, prima ancora, alla Sua volontà.
Vostro Tullio
11 Giugno 1984
Carissima Letizia,
sono in procinto di partire, finalmente, per la mia missione a Tulunan; domani a quest’ora sarò già là e ti confesso che non ne vedo l’ora.
Da troppo tempo, ormai, non vivo la vita di missione e comincia a mancarmi troppo.
In particolar modo, da quando sono arrivato nelle Filippine mi sembra di aver fatto il turista.
Prima a Manila, con l’aria condizionata in camera e ogni giorno pranzo e cena “occidentali”.
Poi a Puerto Princesa, sull’isola di Palawan dove ho trascorso quasi sei mesi per imparare il “Cebuano” la lingua locale dei villaggi della diocesi di Kidapawan dove sono diretto.
Qui in particolare ho vissuto un’esperienza naturalistica intensa di cui voglio parlarti in questa lettera.
Un paio di mesi fa, infatti, abbiamo trascorso il fine settimana nel Parco nazionale del fiume sotterraneo, una vera meraviglia della natura.
Si arriva al fiume sotterraneo tramite barca; si scende su una spiaggia molto bella con il tipico paesaggio di rocce e giungla a fare da contorno, poi con un’altra barca si entra in un varco che porta al fiume sotterraneo.
Dentro si è completamente al buio e la guida della barca tramite una torcia illumina i vari punti da vedere man mano che si naviga: rocce bellissime e punti fantastici da ammirare nella più completa oscurità, un’esperienza unica da vivere con la storia e con la natura.
Ma mentre percorrevamo il fiume, in un silenzio straordinario interrotto solo dalle parole della guida, io ho sentito forte come solo la prima volta nella soffitta, il giorno della morte di mio padre, la chiamata del Signore.
A un certo punto ho chiuso gli occhi, sentivo l’acqua scorrere sotto la nostra barca e la preghiera è sgorgata forte e spontanea dal mio cuore.
Mi sono sentito leggero, quasi fluttuassi sulla barca, ho provato quella vicinanza con Dio di certi giorni in alta montagna dello scorso anno, quando ero al seminario di Sotto il Monte.
Sarà durata non più di un paio di minuti ma è stata un’esperienza fortissima, è come se il Signore mi stesse indicando che la strada su cui sto per incamminarmi fosse quella giusta, quella che da sempre aveva “disegnato” per me.
Sono pronto, Letizia cara, spero che una volta sistemato potrò invitarti, magari con mia mamma, a trovarmi.
Ti abbraccio e salutami tanto i tuoi cari
Tullio
31 dicembre 1984
Carissimo Gilberto,
che anno questo 1984!
Ti scrivo dalla mia stanzetta a poche ore dalla fine dell’anno; stasera io e Padre Peter Geremia, mio compagno di avventura qui in missione, ci siamo concessi una cena un po’ meno frugale del solito: oltre ai pesciolini con le verdure e il riso in bianco, oltre ai litchi e alle bananine, abbiamo aperto una delle bottiglie di vino che riserviamo per le occasioni speciali e così abbiamo festeggiato la fine dell’anno.
Non aspetteremo la mezzanotte, domani mattina ci si sveglia alle cinque come sempre ma, prima di salutare l’anno, finalmente ho deciso di scriverti.
Dallo scorso 12 giugno sono qui a Tulunan: lo sai che viene definita “capitale del terrore”, in quanto alla guerra per le terre e alla guerriglia comunista si aggiungono torture e cannibalismo?
La zona in cui io e Padre Geremia operiamo è pianeggiante, coltivata a riso, si estende per un raggio di dieci chilometri, fino a raggiungere le colline circostanti, coltivate a granoturco e canna da zucchero. Le strade sono percorribili con la moto. La canonica è in legno, fornita di corrente elettrica, che funziona solo di giorno. La sera, se necessario, usiamo le lanterne.
L'inserimento è stato difficile, soprattutto per la situazione politica delle Filippine, e in particolare dell'isola di Mindanao segnata da crisi economica, forte tensione politica fra opposizione e classe al potere, malcontento generale per il sistema dittatoriale, paura diffusa nella gente comune dovuta alle ispezioni militari a domicilio, con conseguenti arresti di persone sospettate di appartenere ai ribelli o di parteggiare per essi; imprigionamenti, deportazioni e frequenti casi di uccisioni dopo l'arresto, senza previo processo.
La Chiesa si fa solidale con tutti questi casi pietosi ed alza la voce di protesta, in difesa degli oppressi. Spesso i poveri e gli indifesi trovano unico appoggio e sostegno nella Chiesa, che si muove tra molte difficoltà e con poco risultato, dovendo affrontare un potere troppo forte e corrotto. Siamo dunque un segno di speranza e promotori della giustizia...
C’è bisogno di un risanamento generale, che richiede molto tempo, attraverso un'educazione ai valori umani, ai diritti fondamentali dell'uomo, alla giustizia. Senz'altro questo è uno dei nostri intenti, come preti.
Il nostro lavoro pastorale si svolge tra la gente di condizioni più umili e il nostro stile di vita tende a uniformarsi a quello semplice ed essenziale della gente comune.
Mi accorgo che il prete gioca un ruolo importante e che la gente si aspetta molto da lui. È una persona a cui fanno riferimento per ogni bisogno e necessità. Auguro a me stesso di potermi sentire sempre più partecipe e coinvolto nel cammino di questo popolo duramente provato dalla sofferenza. Ringrazio tutte le persone che il Signore mi ha messo a fianco e che mi aiutano nel mio inserimento.
Personalmente sto abituandomi al ritmo della vita filippina che spesso mette a dura prova la mia pazienza. Gli orari non vengono rispettati, le attività non cominciano mai all'ora stabilita. Non c'è la minima ansia per il tempo che scorre. Può darsi che la lentezza dei tempi filippini dipenda dal caldo o dall'insufficiente alimentazione, dalla mancanza di stimoli o dall'isolamento in cui vivono. Mi riferisco al mio ambiente prevalentemente rurale, povero e sottosviluppato. Essendo io un tipo sbrigativo, devo continuamente rivedere la mia disponibilità. Quando conversi con loro fanno lunghi discorsi prima di arrivare al nocciolo della questione. Capire quello che pensano su certi argomenti è alquanto complicato. Certe zone della loro vita rimangono a noi nascoste, difficilmente si espongono per manifestare la loro opinione.
Non mi resta che immergermi in questo mondo e camminare a fianco di questa gente, nella comunione fraterna e condivisione. Il lavoro è tanto e il compito affidatoci è grande: però non siamo soli, un Altro ci sorregge e viene incontro alla nostra debolezza. Coraggio, dunque. Diciamocelo reciprocamente.
Tuo Tullio.
18 aprile 1985
Gentilissima Licia,
trovo la forza, aiutato dal Signore, per scriverle queste righe a una settimana dal martirio di suo fratello.
Non mi abbandona un solo istante il pensiero che avrei dovuto esserci io in quel posto, in quel momento…
Padre Tullio è stato un amico e compagno speciale, un vero fratello nella Fede: credo sia stato un vero “chiamato da Dio”, raramente nella mia vita ho incontrato una persona che sentiva la vocazione in maniera così intensa e che la vivesse con tanta passione.
Pensi che io lo chiamavo “il Filosofo”, lui sorrideva e si schermiva, timido e riservato come sempre.
Era un vero filosofo della vita, sempre accanto al più debole, al più piccolo, viveva il Vangelo con un’umiltà e, allo stesso tempo, una forza che io non sempre sento di avere.
Penso che tutti noi missionari siamo in un certo senso dei filosofi, altrimenti non ci sarebbe possibile vivere in questa situazione di costante pericolo, ma lui incarnava tutto ciò con un senso della misura, con una pacatezza, con la capacità di farsi realmente vicino all’altro.
Ricordo una delle sue prime funzioni qui a Tulunan, era una Messa funebre per un bambino di pochi mesi, morto di malnutrizione: Tullio a un certo punto si è “immagonato” come diceva lui, ha creduto di non farcela a terminare il rito, tanto era commosso.
Questo era Padre Tullio e ancora, la sera di una settimana fa, è andato incontro alla morte convinto che “tanto non avrebbero fatto nulla a me che sono un semplice e povero prete”: queste le parole che ha detto prima di uscire di casa e salire sulla sua moto diretto all’appuntamento con il suo destino.
Mi piace pensare che il Padre lo ha chiamato accanto a sé prematuramente perché ha visto la sua infinità bontà e ha pensato che gli uomini quaggiù, intrisi di rabbia, cattiveria, ferocia, non lo meritassero; so che non è un pensiero giusto nel cuore di un sacerdote e so che Tullio non lo avrebbe mai fatto…
Mi mancherà molto, Tullio, le nostre chiacchierate serali, il suo sorriso dolce quando i bambini gli correvano incontro chiamandolo “father”, i suoi rimproveri quando l’ira aveva il sopravvento su di me e quando dalla mia bocca uscivano parolacce.
Licia, suo fratello è stato un grandissimo uomo qui sulla Terra e ora sarà un grandissimo angelo lassù in cielo, lo sento ogni giorno quando mi reco sulla sua tomba a pregare.
A proposito, sulla lapide, semplice e spoglia come sarebbe piaciuta a lui, ho fatto incidere queste poche parole: Padre Tullio Favali, il filosofo dei bambini.
Padre Peter Geremia.