“Ho cominciato a pensare tutto questo in soffitta.”
La barca viaggia lenta, la mia voglia d’arrivare molto più forte. Il paesaggio ha le tinte verdi dell’isola e quelle blu del mare, tutto mischiato assieme in una macedonia di colori.
Il sole è caldo, la brezza tiepida.
“In soffitta, ci crederesti?”
Lo dico ridendo, con i Ray-Ban malmessi sul naso e la camicia agitata dal vento.
Fred, a prua, si volta a guardarmi con un accenno di sorriso: ha sempre lo stesso completo leggero, scuro, coi capelli più spettinati del solito e i grandi baffi in disordine. “Dove, sennò?”
Le penso sempre tutte lì. Da quando ho cominciato a viverci, in soffitta, a casa di mia madre. Me l’ha arredata per bene quella soffitta, lei, dopo l’incidente. L’ha riempita delle mie cose, principalmente film e filosofia.
Come si può vivere senza film e filosofia?
Ha persino messo la statuetta della lucertola, quella che avevo sul comodino, da piccolo. L’ha messa su una mensola, di fronte al letto.
“Guarda che roba!” Indico il profilo dell’isola che s’avvicina, coi suoi rilievi, la costa frastagliata, azzurra come una gemma. Stendo le braccia in un grido liberatorio.
Annah esce da sottocoperta, strizza gli occhi nel sole. È bella come una dea greca, col vestito blu che il vento le modella su corpo atletico e seno tornito in disegni sontuosi. La chiamo a me, la guardo poggiarsi alla balaustra. I capelli scuri, raccolti, le si agitano indietro. Sorride mentre le stampo un bacio sulla guancia e poi un altro, e l’abbraccio, e rido, coi Ray-Ban ancora più storti.
Dio quanto è bella.
“Guarda lì,” stendo il braccio a raccogliere tutta l’isola, “sei pronta per la gloria, tesoro?”
“Pronta,” risponde con enfasi. Fred ci guarda con la stessa espressione giuliva che è metà compassione e metà invidia.
Attracchiamo in una delle calette sul lato ovest, così vicini a riva che passeggiare in acqua per raggiungerla è un piacere carnale. La spiaggia, Dio, la spiaggia è rosa come i confetti che voglio per il matrimonio. Lasciamo i bagagli sulle rocce.
Faccio un ballo stupido e ci porto dentro Annah; lei si presta con una punta di timidezza, muove le magnifiche gambe abbronzate, i piedi nudi nella sabbia.
La bacio un mare di volte.
Da una soffitta a questo: il paradiso.
“Dunque,” pretendo la loro attenzione, “conoscete le mie più grandi passioni.”
Film e filosofia. “E sapete perché vi ho portati qui: per farvi vedere, vivere, il mio progetto. Il prossimo film lo girerò qui.”
Fred inarca le sopracciglia e accenna intorno. “Qui?”
“E sarà una cosa mai vista prima.”
“Non c’è niente qui, dove alloggi la troupe, dove metti gli strumenti, dove…?”
“Ogni cosa a suo tempo.”
“E poi non ci andranno dei permessi? Quest’isola non è un luogo protetto?”
“Ogni cosa,” lo dico sollevando le mani come il Redentore, “a suo tempo.”
Guardiamo questo luogo selvaggio ed eterno.
“Non sarà solo un film e non sarà solo filosofia, ma la fusione perfetta delle due cose, e qui entrate in gioco voi. Cinema,” indico Annah, “e filosofia,” indico Fred.
Chiuso nella dannata soffitta, a letto, con solo libri e un videoregistratore. Le cassette me le mandava un amico di mamma, direttamente da Hollywood.
“Quest’anno il cinema d’azione ha dato il meglio di sé: All’inseguimento della pietra verde, Terminator, Indiana Jones e il tempio maledetto, Ghostbusters, La Storia Infinita, Dune: cos’hanno in comune tutti questi titoli?”
Li spremo con le mani come a tirarne fuori il succo.
“Sono improbabili?” azzarda Fred.
Faccio segno di no. “Hanno tutti quanti un gigantesco stereotipo: l’eroe è un uomo. La donna è sempre una figura comprimaria che deve essere salvata da un tizio bello e prestante. La donna non ha forza fisica, agilità, acume tattico e distacco emotivo. In quante scene Sarah Connor salva Kyle Reese piuttosto che il contrario? Come mai Joan Wilder ha bisogno di un belloccio avventuriero per arrivare a salvare la sorella rapita?”
Stringo i pugni, ispirato.
“Perché gli Acchiappafantasmi sono tutti uomini? E per quale ragione il regno di Fantàsia è governato da una malata e debole Infanta Imperatrice che ha bisogno d’un giovane salvatore, rigorosamente di sesso maschile?”
Fred si gratta la capigliatura. “Ma non so, perché è quello che la gente s’aspetta?”
“Forse sì. Ma è anche ciò che rinforza lo stereotipo. Nel mio film tutto questo non ci sarà. Basta adonici eroi a torso nudo e con la barba incolta! Basta figure femminili deboli e bisognose d’aiuto che s’innamorano del figo di turno! Io voglio dare al cinema d’azione un personaggio nuovo, qualcosa di mai visto prima.”
La grattata di capelli di Fred diventa un principio di mano sul volto. “Toby, posso ricordarti che un po’ tutti i tuoi film precedenti erano improntati allo stravolgere gli stereotipi e…”
“Non hanno avuto successo? Nessuno ha voluto produrli e li ho finanziati vendendo limonata per le strade?” Scuoto un indice con tutta la carogna del mondo. “No, stavolta è diverso. Stavolta l’idea è vincente.”
“Pensavi lo stesso col parco a tema dei…”
“NO. Non menzionare quella cosa. Lo sai che brucia ancora.”
Fred apre le mani. “Quindi, quest’idea?”
“Primo: serve una location esotica, ma vera, reale, tangibile. Non qualche posto segreto dell’India o dell’Amazzonia, proprio un luogo reale.” Mi giro ad abbracciare l’isola. “Qui c’è tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Persino i mostri: qui ci vivono i draghi!”
Silenzio costernato.
“Draghi! Enormi lucertole-killer; vivono qui, su quest’isola, ne ho una statuetta, a casa, in soffitta. Certo, le renderemo più grandi in fase di montaggio, ma non servono ritocchi: sono orride già di loro. E perché mai bestie del genere vivono solo qui, in questo sperduto angolo di mondo? Perché custodiscono qualcosa.”
“E che cosa?”
“Beh, questo non lo so ancora, ma mi verrà in mente. Qualcosa che valga la pena d’essere trovato e scoperto, senza cadere nella banale archeologia, o nella mera caccia al tesoro.”
“Un segreto filosofico?”
“Magari. Ma veniamo al protagonista. Anzi, LA protagonista.”
Vado a prendere Annah e la porto con me sul punto più alto del bagnasciuga, la esibisco davanti all’oceano.
C’è solo Fred a guardarci scettico. “Una bella ragazza?”
“Andiamo! Annah non è solo una bella ragazza, è l’archetipo perfetto della donna forte, indipendente, atletica, sexy e che non ha bisogno d’un uomo per arrivare dove vuole.” Lei mi guarda perplessa, io minimizzo.
Fred è ancora scettico.
“Su di lei costruirò il personaggio più incredibile della storia del cinema.”
C’è solo il vestito blu a togliere forza al suo corpo statuario; il vento continua a incollarglielo alle forme.
“Chiaramente dovremo darle un abbigliamento adatto, qualcosa che sia guerriero ma anche femminile.” Corro ai bagagli, prendo una borsa, gliela lancio in mano. “Vestiti, noi non guardiamo.” Acchiappo Fred e lo giro di forza verso il mare, un amichevole braccio intorno alle spalle. “Vedrai che roba.”
“Toby,” il suo tono è di nuovo compassionevole, “io non voglio smontarti l’entusiasmo, ma…”
“Niente ma. Me l’hai data tu l’idea.”
“Io?”
“Io?”
“Sì! Tutta la faccenda del Superuomo, dannazione, la vita al di là delle imposizioni della morale, delle regole, della società! La connessione con la terra, e guarda,” includo di nuovo l’isola in una mano, “quale posto più di questo è in connessione con la terra? Ma io vado oltre, perché anche il Superuomo rischia di cadere nella banalità dello stereotipo per il pubblico del botteghino.”
“E quindi vorresti creare la Superdonna?”
“Filosofia e cinema.”
Fred scuote la testa allucinato. “Ma esiste già, diamine, Wonder Woman l’hanno inventata negli anni ’40.”
“Wonder Woman? Ha! Quella pseudo-icona femminista? Ma per piacere! Invulnerabilità, poteri mistici, comoda la vita così! Facile essere donne quando puoi deviare i proiettili con una mano e volare. Quella non avrà neanche il ciclo! Io voglio la Superdonna, la donna-eroe, straordinaria ma umana, pronta alle sfide più difficili come un uomo, meglio di un uomo!”
“Come sto?” La voce di Annah è musica nella brezza.
Ci giriamo all’unisono e lei è lì, magnifica, col completo che ho scelto e che le sta divinamente: top rosso super-attillato, cinturone, calzoncini giro-culo, mezzi guanti neri, stivali alti al ginocchio.
“Mio Dio,” l’estasi che mi pervade.
“Dio è morto,” Fred precisa torbido.
“Giusto. Tesoro, sei… sei…”
Le giro intorno a grandi passi ed è come contemplare tutte le opere d’arte del mondo assieme. Nei bermuda ho sommovimenti epici.
“Mi stringe un po’ tutto,” Annah s’aggiusta in vita.
“Lo so, ho preso una taglia in meno perché volevo proprio esaltare… insomma, esaltarti come meriti. Per le riprese valuteremo una taglia in più. Mezza taglia.”
Annah si stira, s’allunga sulle punte dei piedi, il ventre tonico guizza, il seno le si gonfia ancora più dentro il top; nei bermuda è il caos.
“Perché rosso?” Fred la indica perplesso. “Non rischia di sembrare politicizzata?”
Vago gli occhi. “Intendi che la Superdonna potrebbe essere associata al comunismo?”
“No, pensavo più a…”
“Hai ragione. Al diavolo il rosso, il top lo faremo verde. Anzi, azzurro.” Le sciolgo i capelli, il vento glieli scompiglia. “Sciolti non vanno bene. Dobbiamo trovare una pettinatura caratteristica.”
“Un bob-cut?”
Annah increspa gli occhi. “Io non voglio i capelli corti.”
“No, no, qualcosa di arcaico, di guerriero.” Schiocco le dita. “La treccia! Sì, una singola e spettacolare treccia.” Comincio ad annodarglieli con le mie poche nozioni da acconciatore; le faccio una treccia sommaria e gliela metto su una spalla. “Dio, sì, adesso ci siamo.”
“Dio è morto.”
“Giusto. E poi le armi. Devi essere armata in modo inconfondibile, qualcosa che ti caratterizzi.”
“Pistola e frusta?” Fred ridacchia.
“Figurati. Pistola e… e…”
Annah sporge le belle labbra. “…e un’altra pistola?”
Ci penso.
“Due pistole.” Agito gli indici, elettrizzato. “Sì, cazzo, sì! Due pistole!” Le stampo un bacio. “Non sai quanto ti amo.”
Fred sciaguatta i piedi nell’acqua bassa. “Sì, okay, e questa Superdonna cosa farebbe di super?”
Prendo Annah per le spalle, la giro verso il profilo dell’isola. “Scalerà montagne. Si lancerà tra i crepacci. Si tufferà ad angelo dalla cima di quella rupe laggiù. E stenderà frotte di bastardi con sequenze di proiettili a nastro: pow, pow, pow, pow!” Rido a demenza libera mentre con indice e pollice di entrambe le mani folgoro un’orda di immaginari aggressori.
“E i draghi! Non dimentichiamo i draghi! Sparatorie e capriole maestose per sfuggire alle fauci dei guardiani dell’isola.”
Annah ha perso un tono d’abbronzatura in viso. “Avrò la controfigura, giusto?”
“Tutte quelle che vuoi.”
“Oh, beh, direi che manca solo una cosa,” Fred sorride sornione, “un nome.”
“Ce l’ho già. La Superdonna non può essere americana, sarebbe banale. Sarà sudamericana.”
“Ma i miei sono di Boston!”
“Lavoreremo sull’abbronzatura.”
Fred gongola. “E questo nome?”
Fred gongola. “E questo nome?”
“Senti qua.” Lo scrivo a mani aperte contro il cielo azzurrissimo. “LAURA CRUZ!”
Silenzio criptico.
“Laura Cruz.”
“Non è grandioso?”
“Beh, ecco…”
“Cosa ne dici, amore?”
“Non so, Laura è un po’… E Cruz sembra…”
“Non vi piace? Oh andiamo, funzionerà benissimo. Corto, semplice, potente. Ho anche il titolo del film pronto: Laura Cruz e i predatori dell’isola perduta.”
Altro silenzio criptico.
Ci vuole mezzo minuto buono perché Fred inspiri a fondo. “Non so, Toby, è tutto molto…”
“Molto?”
“Molto?”
“Voglio dire… Hai fantasia, l’hai sempre avuta, e l’idea d’una ragazza pistolera che esplora un’isola piena di lucertole-killer può anche avere un senso, magari pure con la parte filosofica della Superdonna, ma… non so se il grande pubblico è pronto per una cosa del genere.”
“Perché mai?”
“Perché temo che la gente si concentrerà più sulle sue…” accenna al top rigonfio, “…che sul messaggio che vuoi far passare.”
“Okay, va bene, gliele ridurremo.”
Annah si piazza un braccio sul petto. “Ridurremo cosa?”
“E poi, una che va a esplorare un’isola si metterebbe addosso un completo del genere? Non è un po’ sessista?”
“Ma figurati, la gente la adorerà. Il film sarà un successo.”
C’è il suono delle onde, il bagnasciuga.
C’è la nota stridula di qualcosa, quella cosa, in arrivo.
“Toby…”
“No.”
“No.”
“Toby… Io adoro da matti il tuo entusiasmo, è contagioso, lo è sempre stato. Noi siamo amici da un sacco di tempo, e credimi, mi fa male doverti parlare in questo modo, ma è davvero ora che tu prenda coscienza della realtà. Quando hai avuto l’idea per l’ultimo film, quello sul parco dei…”
“No.” Alzo una mano, non voglio sentire oltre.
Non voglio.
M’incammino per la spiaggia rosata, via da tutto.
Li lascio lì.
Voglio restare solo.
Siedo sull’erba giallastra, un piccolo promontorio sul mare. Il sole va a calare lungo l’orizzonte, l’aria è più fresca.
Guardo fisso il nulla e il nulla guarda me nella forma di uno di quei draghi. Se ne sta lì, stravaccato su una roccia a qualche metro, col testone alto e l’occhio vacuo. È il mio ritratto formato lucertola.
Ho sentito i passi leggeri di Annah già da un po’ ma non mi sono girato a guardarla.
“Ehi,” mormora in un soffio.
“Ehi.”
La sento inginocchiarsi al mio fianco, le sue cosce nude sono tempesta per gli ormoni. “Quello è pericoloso?” Il varano guizza la lingua in risposta.
“Ma va’. Sono animali tranquilli.”
Mi abbraccia. “E allora perché Laura Cruz dovrebbe combatterli?”
“Vabbé, quella è parte romanzata.”
Appoggia il viso contro il mio e il seno sul mio petto. “Toby…”
“Non anche tu, ti prego.”
Ha un singhiozzo, gli occhi umidi, io un dissesto nei bermuda.
Il drago ci guarda e siamo solo due patetiche figure nella sua vita priva di sentimento.
Le mani di Annah m’accarezzano mentre mi stringe a sé. “Ha ragione Fred,” singhiozza, “devi prendere coscienza…”
“E se non volessi?”
“Che senso avrebbe?”
Sospiro e vorrei con tutto il cuore che le cose fossero diverse. Vorrei non aver mai avuto l’idea dell’ultimo film, quello del parco a tema coi dinosauri.
Vorrei.
“Era…” Sento il cuore che si stringe e la voce che si spezza. “Era una buona idea, in fondo.”
“Lo era, sì.”
“Non ci aveva mai pensato nessuno al parco dei dinosauri, nessuno. E il paleontologo fissato con la teoria del caos. Era geniale. Sai dove m’è venuta?”
“Non ci aveva mai pensato nessuno al parco dei dinosauri, nessuno. E il paleontologo fissato con la teoria del caos. Era geniale. Sai dove m’è venuta?”
Ride tra le lacrime, rido anch’io.
“Sì, in soffitta. Stavo riordinando le cose dell’infanzia, c’era… c’era quel dinosauro di gomma e il recinto della fattoria…”
Mi bacia con le labbra che tremano.
“Sempre in soffitta le idee migliori.”
In soffitta.
Il varano guizza la lingua, indifferente.
Sento i passi di Fred che sale dal pendio, sorride con amarezza, siede sull’erba. “Scusa per prima.”
“No, scusami tu.”
Ha i capelli spettinati e i baffi ancor più.
“Alla fine questo è stato un grande anno per il cinema.”
“Indiana Jones il migliore. Ecco, Laura Cruz avrebbe dovuto essere la versione sexy e femminile di Indiana Jones. Senza tutte quelle battute, Dio, quelle proprio no.”
“Sarebbe stato bello, sì.” Fred sorride. “E Dio è morto.”
“Sarebbe stato bello, sì.” Fred sorride. “E Dio è morto.”
“Già.”
Annah s’asciuga le lacrime, invano, si morde le labbra; Fred si sforza di tenere il sorriso, anche lui invano.
“Quante idee che si possono avere dentro una soffitta.” Sospira. “C’è una cosa che ho sempre voluto dirti, Toby, da quando hai… dall’ultimo film, quello col parco dei…”
“Ti ascolto.”
“Continui a inseguire questo mito del Superuomo, a creare personaggi che sono oltre l’immaginazione, ma forse non ti sei accorto che… che il Superuomo sei tu.”
Una puntura finissima al costato. “Io?”
“Sì, tu. Non ti sei mai arreso, dopo quel maledetto incidente, e hai continuato a creare, a produrre idee.”
“E allora perché dovrei farlo ora?”
“Perché arriva sempre un momento in cui ci si ferma, Toby. Anche io mi sono fermato, a un certo punto. E sai quanto abbiamo in comune noi due, in fatto di problemi di salute.”
Annuisco, amaro.
Annah singhiozza in silenzio.
“Quindi rimane tutto così, solo un’idea?”
Fred annuisce.
“E devo rassegnarmi, sì?”
“Temo di sì, amico mio.”
Il drago ci guarda disegnati contro il mare, indifferente.
“Ma se mi arrendo, se mi fermo,” è l’ultima difesa, “che ne sarà di me? Mi spegnerò fino al nulla?”
“Com’è accaduto a me, sì.”
Bacio Annah sul collo, sul viso arrossato. “Peccato. Laura Cruz era una bella idea. Magari qualcun altro ce l’avrà, in futuro.”
“Magari sì.”
“Magari sì.”
“E anche il parco dei dinosauri.”
“Oh, quello è più difficile.”
“Già.”
È l’ora di andare.
Di tornare a casa.
L’ho fatto tante volte, in questi ultimi due anni, ed è sempre complicato. Una parte di me vuole rimanere nei luoghi che visito e non tornare più, non in quella dannata soffitta.
Il drago scompare, così il mare, poi l’isola, un pezzo alla volta, come carta bruciata. Così Fred, poi Annah e le sue cosce abbronzate.
Scompare tutto.
Tutto quanto.
Ritorna il tetto di legno, il finestrotto col riquadro di cielo.
La dannata soffitta.
Odio questo posto.
È l’unica cosa che mi resta: odiare. Immaginare.
La soffitta, che mia madre ha arredato dopo l’incidente. Il letto.
In soffitta mi sono sempre venute le idee migliori, anche quella del parco dei dinosauri, mentre riordinavo le cose dell’infanzia.
In soffitta si mette ciò che non serve più. Qui ora ci vivo, dopo l’incidente, perché sono qualcosa che non serve più. In garage c’è ancora il trabiccolo che doveva diventare un T-rex, effetti speciali fai-da-te.
Nella mia testa c’è ancora il volo all’indietro, dalla scala messa male.
Da allora è così.
Un letto, una soffitta.
Per sempre.
Niente più film, niente più caccia al successo. Avevo idee a non finire.
Quest’anno il cinema si è superato. Indiana Jones, la pietra verde, Dune, e poi Terminator: li ho visti tutti, con videocassette in anteprima. È l’unica cosa che mi resta, a parte sognare.
Cinema e filosofia.
Come si può vivere senza?
Fred, Friedrich, ha solo un accenno di sorriso sulla copertina del libro, sul comodino. A volte mamma me lo legge ancora.
E Annah: al liceo era bellissima. Chissà com’è ora.
Era perfetta per incarnare Laura Cruz.
Dio, perfetta.
Dio è morto.
E io sono il Superuomo. Confinato a letto.
Mille progetti e sapere di non poterli realizzare.
Ha ragione Fred: devo rassegnarmi.
Spegnermi, come ha fatto lui.
Chiudere gli occhi.
Smettere di sognare.
Smettere.
Al fondo della soffitta, di fronte al letto, sulla mensola, la statuetta del varano mi guarda come guarderebbe il suo riflesso nello specchio.
Indifferente.