Certo che un corpo trasformato porta con sé tanti nuovi urgenti interrogativi. Seduta nell’ambulatorio della neuropsichiatra le trema il respiro; ripassa per l’ultima volta la domanda che le ronza in testa da un po’, soprattutto quando si ritrova a fantasticare abbracciata ai cuscini di casa.
«Adesso che ho sedici anni posso avere il moroso?»
La dottoressa Ferrari sorride. «Ma certo!»
Un brivido le attraversa la schiena. «E possiamo fare… tutto tutto?»
La donna si ferma; appoggia la penna e le mani sulla scrivania. «Me lo chiedi perché hai già qualcuno?»
Si tortura le dita. «No; per adesso è solo nei miei sogni.»
«Allora: dal punto di vista clinico i tuoi disturbi non compromettono la capacità di esprimere un consenso consapevole. Però il sesso è solo uno degli aspetti in una relazione. Capisci cosa intendo?»
Sorride felice e annuisce con brevi scatti della testa.
«E poi devi proteggerti dalle malattie e dalle gravidanze indesiderate, sai cosa vuol dire?»
«Certo, le precauzioni!» Esulta come se avesse dato la risposta esatta a un’interrogazione.
La dottoressa la fissa per qualche istante. «Prendi un appuntamento in consultorio. Ok?»
Cris esce dalla cittadella sanitaria con la frenetica sensazione di essere diventata grande.
Un ragazzo alto, biondo e muscoloso le appare di fianco e l’accompagna in silenzio.
Gli regala uno sguardo con la coda dell’occhio.
Alla fermata del bus lui mima aiutandosi con il labiale: “Ci vediamo nei tuoi sogni!” Poi prosegue verso le campagne.
Lei sorride e si stringe nel giacchino: stavolta è stata un’allucinazione simpatica.
Chiuse le formalità per la giustificazione del ritardo, Cris entra in classe al cambio dell’ora. Il posto è in ultima fila tra la finestra e Cate. La compagna è alta come lei però le somiglianze finiscono qui: ha i capelli biondi, gli occhi leggermente a mandorla e il naso più sottile e invidiato della classe.
«Che ha detto la psico?»
Glielo sussurra all’orecchio: «Che son pronta per essere stappata.»
Cate fatica a trattenere una risata e per poco non cade dalla sedia. «Zio là! Te me fe scapotare.»
In quel momento entra l’insegnante e tocca alzarsi in piedi. Cris riesce comunque a dire qualcosa da far spalancare gli occhi alla compagna, che indice per la ricreazione una riunione urgente delle femmine di terza A geometri.
Nella loro classe sono solo in quattro e si ritrovano in cortile.
«Cris, diccelo a tutte!»
«Voglio farmi stappare prima dei diciassette anni.»
Reds fa una faccia disgustata. «Ho capito bene? Quelle cose lì?»
Benny spalanca gli occhi. «Ma è una challenge?»
Cris arrossisce. «No… una cosa mia.»
Benny scuote la testa e i rasta. «È una challenge!»
«Ho detto no!»
Reds interviene. «Ma hai il moroso e non ci dici niente?»
«Eh, magari!»
Benny ridacchia. «E da chi ti fai stappare? Dal primo che incontri in strada?»
Reds si esibisce in un «Bleah!»
Passa un ripetente di quinta toccandosi il pacco. «Ciao, frittole! Facciamo una scorpacciata?»
«Ma va’ in mona a to mare!»
«Boom!»
L’intruso se ne va ridendo.
Benny fa un cenno. «Fatti stappare da lui!»
Reds la spintona. «Dai, che schifo.»
Cate interrompe. «Ma, Cris: ne hai mai visto uno?»
Si limita a dire. «Ehm…»
«Reds?»
«Santa Maria, fin troppi! La chat di classe è piena dei loro cosi.» Finge di infilarsi due dita in gola.
«Non valgono. Dico dal vivo.»
Guarda le altre e poi fa una smorfia. «Sì.»
«Benny?»
«Quello di mio fratello vale?»
«Solo se dritto.»
Rassegnata. «Sì.»
«E anch’io sì. Cris, allora?»
Benny prova a incoraggiarla. «Dai, perfino Reds.»
Risponde con un filo di voce. «Sì.»
Cate sospira. «Oh. Almeno si parte bene. E adesso il domandone.» Le indica una per una. «Ne avete mai… toccato uno?»
La reazione immediata è un «Bleah!» corale.
Il suono della campanella mette fine alla ricreazione e alle confidenze delle ragazze.
Cris torna in classe ma la “domandona” di Cate riporta in superficie un ricordo che ha sepolto nei meandri più reconditi della memoria.
Successe due estati prima al mare, a qualche giorno dal suo quattordicesimo compleanno; era entata in cabina per cambiarsi e vi trovò suo cugino Michele.
Era semi sdraiato sulla panchetta, i pantaloncini del costume alle caviglie, il “coso” tra le mani.
«Cosa stai facendo?» gli chiese strabuzzando gli occhi.
Michele, che non l’aveva sentita entrare preso dalla sua eccitazione, fece un balzo sulla panchetta, tirando su in tutta fretta i pantaloncini senza peraltro riuscire a coprire totalmente l’erezione.
«Cris, che cazzo fai qua?».
«Ehi cugino, ti faccio notare che questa è anche la mia cabina.»
Michele… era più un fratello che un cugino, erano cresciuti assieme, lui più grande di otto mesi, erano sempre l’uno a casa dell’altra e viceversa.
Quanti bagnetti nella stessa vasca quando erano bambini!
«Cosa stavi facendo?» gli chiese nuovamente.
Un guizzo negli occhi di Michele. «Se mi prometti di non dirlo a nessuno ti faccio vedere.»
Cris incrociò gli indici davanti alle labbra come quando erano bambini e avevano i loro segreti da tenere nascosti agli adulti.
«Vieni» le disse facendole segno di avvicinarsi mentre si abbassava nuovamente il pantaloncino.
Lei si avvicinò, lui le prese la mano e se l’appoggiò tra le gambe; inizialmente la guidò poi la lasciò fare.
Cris si ritrovò con le mani impiastricciate e la sensazione piacevole di aver fatto felice Michele, l’espressione sul volto di lui non dava adito a molti dubbi in merito.
Si trovarono altre volte nella cabina e l’ultima volta lui le chiese di togliersi il costume; lo fece ma solo dopo che Michele le aveva promesso che non l’avrebbe nemmeno sfiorata: così fu.
Poi le vacanze finirono, rientrarono in città e tra loro non accennarono nemmeno più alla cosa.
Cominciarono per entrambi le scuole superiori, arrivò il tempo del lockdown e per Cris arrivarono i primi sintomi del suo disturbo, le prime allucinazioni: gli incontri nella cabina al mare finirono in un angolino sul fondo della sua mente, semplicemente se li dimenticò.
Ne avete mai toccato uno… Le parole di Cate le rimbombano nella mente mentre cammina verso casa; Voglio farmi stappare prima dei diciassette anni le voci si rincorrono dentro la sua testa, si sovrappongono, vuole zittirle ma non ci riesce.
Accanto a lei cammina nuovamente il ragazzo alto, biondo e muscoloso, lo intravede sempre con la coda dell’occhio: lui, almeno, sta in silenzio.
Quello di mio fratello vale dice una voce e quello di tuo cugino? le fa eco un’altra.
«Michele mi devi un favore» grida quasi, per spegnere quel rumore troppo fastidioso.
Prende il cellulare e compone il numero: «Pronto» risponde al terzo squillo una voce dall’altra parte.
«Cris, che piacere sentirti» dice una voce squillante.
«Come stai bro?» chiede Cris quasi sottovoce. Si porta una mano al petto per sentire il battito impazzito del suo cuore. Si morde il labbro.
«Io bene sister, e tu? A cosa devo la tua call, non mi chiami mai!» esclama la voce dall’altra parte.
«Mi stai rimproverando?» ridacchia Cris. Ancora sottovoce: «Giada è con te?»
«La vedrò più tardi, perché me lo chiedi?»
«No, così, per sapere», segue un lungo attimo di silenzio.
«Cris, ci sei?»
«Che urli, certo che ci sono!» risponde Cris con tono scocciato. Si passa la mano sul viso, le guance bruciano e il contatto con i polpastrelli gelati la fanno sobbalzare. «Possiamo vederci prima che tu vada da Giada, avrei bisogno di parlarti a quattr’occhi.»
«Va… d’accordo», risponde con voce titubante, «però, tra una cosa e l’altra, avrò soltanto una mezz’oretta.»
«Mezz’ora basta e avanza», dice Cris, «ci vediamo a casa mia ok?»
«Bella! Allora a più tardi.»
Senza dire altro Cris chiude la chiamata. Con la mano si tocca la fronte, bollente come se avesse la febbre, le tremano le gambe. Ha una gran confusione in testa. Nel caos, una certezza: la volontà di portare a termine l’intenzione.
Cris si guarda allo specchio del bagno. L’immagine riflessa le pare estranea. Chiude gli occhi, fa un respiro profondo gonfiando il petto. Riapre gli occhi e finalmente lo specchio restituisce l’immagine di lei, sicura, fiera, pronta. Quella che vuole essere. Il trucco è perfetto, ombretto, mascara, cerone e lucidalabbra. Con le mani si tasta il seno. Le mani scivolano lungo i fianchi. Si congratula con se stessa.
Il suono del citofono la spaventa. Si chiude l’accappatoio e corre verso l’ingresso per aprire il portone.
«Ciao Cris!» esclama il ragazzo sulla porta. La guarda in accappatoio: «Forse sono arrivato troppo presto?»
«No, no, avevo voglia di una doccia e…» risponde Cris sfuggendo allo sguardo del giovane.
«Ti sei dimenticata di toglierti il trucco però!»
«In realtà… vabbè accomodati bro, non stare sulla porta. Siediti sul divano. Qualcosa da bere? Un caffè, una coca?»
«Sì dai, un caffè lo prendo volentieri.»
«Giada ti aspetta immagino… ti raggiungo subito.»
Mentre prepara il caffè, Cris si domanda per l’ultima volta se stia facendo una cazzata o meno. Per un attimo, l’idea di ritornare indietro sembra avere la meglio. Si maledice per aver fatto quella telefonata. Si immagina alle pendici di burrone. Si lascia cadere. Il vuoto non finisce mai. L’impatto con il terreno non le lascerà scampo. Sorride al pensiero che presto tutto sarà finito, tormenti, domande senza risposta, sogni inspiegabili.
«Cris, ci sei?» dice una voce lontana, «sei andata in Brasile a fare il caffè?»
Cris ritorna alla realtà: ormai è in partita e bisogna giocare.
«Amaro, giusto?»
«Ricordi bene, sister. Perché continui a chiedermi di Giada?»
Cris si morde il labbro, in bocca il sapore ciliegia del lucidalabbra. Sorride e non risponde. Con un rapido movimento slaccia la cintura dell’accappatoio.
«Cris, io… io» balbetta Michele che d’istinto si appiattisce allo schienale del divano con la tazzina in mano. Muovendosi il caffè bollente gli macchia i pantaloni. Sul suo viso una smorfia di dolore.
«Non ti preoccupare,» dice Cris con voce suadente, «ci penso io. Giada non si arrabbierà se dovessi arrivare un poco in ritardo…»
Cris è rannicchiata sul divano. Sorride ed è felice. Michele, nella fretta, ha dimenticato la cintura dei pantaloni. Chissà Giada che cosa penserà. Alla fine a Cris poco importa perché ora si sente donna. Pensa all’indomani, alla seduta dalla psico. È tentata di mandarla affanculo definitivamente. Ora non ha più bisogno di lei.
Prende l’iPhone. Se lo passa da una mano all’altra. Sorride. È orgogliosa di se stessa e di quello che non è più. Apre la chat Whatsapp delle ragazze della terza A geometri.
Scrive “Stappata”. Sorride. E invia.
Il giorno dopo Cris incontra la dottoressa alle otto, e appena sedute, la ragazza mette sulla scrivania l’involucro vuoto di un preservativo.
«L’ho fatto.»
La dottoressa non ne è stupita: sa che Cris è tosta, non si è lasciata spaventare dalla natura dei suoi disturbi né dalle cure. È meno convinta circa le sedute settimanali ma, dietro la scorza tipica di un’adolescente, sa esserci una ragazza intelligente.
Ci vorrà del tempo, ma qualcosa, una qualsiasi cosa, la sbloccherà.
«Vuol sapere i particol…»
«No, Cris, non oggi. Però vorrei mi descrivessi come ti senti. Oggi. Non ieri.»
Il blocco degli appunti è chiuso: la dottoressa la sta ascoltando, come sempre, ma oggi pare diversa.
«Beh, sono stappata… ma mi sento ancora vergine. Cioè, ieri non ho fatto l’amore, quello sarà con una persona che conta davvero, che mi ami veramente. E forse neanche sesso, mica sono venuta.»
Cris sente di essere arrossita ma non si arrabbia come le altre volte: si sente tranquilla e più “adulta”.
«È stato come col mal di testa: una pillola, il male passa e sei come prima. Beh, più o meno. Penso sia rimasto più stranito Michele, che non se l’aspettava. Mah, proprio il tipico maschio. Lei li conosce, no?»
«Eh beh, sì ne conosco.»
«Cioè, lo sai… posso darti del tu? Insomma era più preoccupato a darci dentro che di me che gli regalavo la verginità! Che pena! Ma quando sarà con quello giusto, sarà diverso. Perché sarà diverso, vero?»
«Su questo ci lavoreremo, non ne fare un dramma. Non tutte le prime volte sono da film e poi devi ancora crescere, anche nei rapporti affettivi. Abbiamo già parlato di com’è complicata l’adolescenza.»
«Già, e a me è pure toccato ‘sto disturbo del cazzo!»
«Vedrai che piano piano si attenuerà, presto ridurremo le dosi delle medicine. E l’altro, il ragazzo immaginario?»
«L’ho mandato affanculo e consigliato di trovarsi un’altra. Forse funziona: era… sbiadito e tremolante.»
«Bene, per oggi direi che basta. E considera quello che hai fatto un punto di partenza, non di arrivo: datti altri obbiettivi altrettanto importanti. Ah, Cris… “stappata” è proprio brutto. “Deflorata” è un po’ medico, ma più poetico.»
Cris sa che arrivando a scuola sarebbe subissata di domande ma proprio non se la sente, quindi, in attesa di entrare in classe, si rifugia in bagno.
Le sente arrivare, rumorose e sfrontate come al solito: le fanno pena. Si sentono quasi in dovere, frequentando una scuola “da maschi” di imitarne gli atteggiamenti peggiori.
Ma è quello che dicono a ferirla profondamente: «S’è fatta stappare davvero la scema. Pensa se rimane incinta!»
«Matta e pièna.» Reds pronuncia quella frase quasi gongolando.
«Oh raga, l’anno prossimo, lei… via dal gruppo eh! Bon aiutarla, no farla sentir diversa, ma un otto in condotta per le sue crisi ma anche no.»
«Beh» dice Reds «i miei sono andati dal preside, ma tanto coi voti che ha, magari la bocciano.»
«Magari!»
Invece di entrare in classe, Cris torna a casa e si dà malata: ancora una volta prende come scusa gli effetti collaterali della cura.
Una settimana dopo, quando rientra in classe, stentano a riconoscerla: un nuovo taglio di capelli, abiti quasi seriosi, trucco leggero e uno sguardo sicuro che pare trapassare le tre ormai ex amiche.
Lentamente prende il suo banco e lo sposta in un angolo, a fianco della lavagna; poi, col permesso dell’insegnante, si rivolge alla classe.
«Io sono diversa. Non l’ho chiesto né è colpa di qualcosa che ho fatto. Capita. Volevo essere uguale a voi, quelli bravi, ma non mi accettavate perché temevate le mie crisi. Non potevate o non volevate capire. È difficile, lo so. Per essere parte di un gruppo ho sbagliato compiti, bigiato e fatto scena muta coi prof. Non era amicizia. Rimedierò ma non me ne frega niente di essere parte di qualcosa che non prova a comprendere la diversità. Sono diversa, e va bene così.»
Prima di sedersi al suo nuovo posto, consegna un biglietto a Cate: “Sono stata deflorata, ma sono ancora vergine.”