Episodio 1 - Gimbo
La villa dei Rossetti si ergeva sopra la cittadina come un gigante dormiente, avvolta da rampicanti e leggende. Si diceva che chi vi entrava non ne uscisse mai più lo stesso. Nonostante la tensione che gli stringeva il petto come una morsa, Luca si fece coraggio e varcò la soglia, con la torcia stretta nella mano tremante.
Un vento gelido sibilava tra i muri screpolati, simile a un respiro antico che riecheggiava fra le pareti. Luca si fermò, tirò fuori il cellulare e guardò per l’ennesima volta il messaggio che lo aveva portato lì: “Vieni alla villa sulla collina, subito. C’è qualcosa che devi vedere.”
Un invito sconcertante, soprattutto considerando ciò che era successo un anno prima.
Il ricordo riaffiorò, vivido e crudele come una cicatrice mai guarita.
Lui e Marco erano seduti sul molo del lago, le luci della città che danzavano sull’acqua increspata. Era stata una sera tranquilla, almeno in apparenza. Ma Marco sembrava distante, e c’era una strana inquietudine nei suoi occhi, una tensione che non riusciva a nascondere.
«Hai mai sentito parlare della villa dei Rossetti?» gli aveva chiesto Marco, con un tono di voce basso, quasi un sussurro.
Luca aveva riso, pensando che fosse uno dei loro soliti discorsi sui misteri locali. «Sì, certo. È il classico posto da storie di fantasmi. Nessuno sano di mente ci metterebbe piede!» aveva risposto, lanciando un sasso nell’acqua.
Ma Marco non aveva sorriso. Il suo volto si era fatto serio, ombroso. «Ci sono cose che non puoi capire, Luca. Cose che non dovrebbero essere disturbate. Ma… io non ho scelta.»
«Di che diavolo stai parlando?» aveva chiesto Luca, mentre il suo entusiasmo si spegneva.
Marco non aveva risposto. Si era limitato a fissarlo, con uno sguardo che sembrava implorare aiuto e, al tempo stesso, celare un orrore profondo.
Il giorno dopo, Marco era sparito senza lasciare traccia.
Luca aveva passato settimane a cercarlo, interrogando amici, rovistando ogni angolo della città. Ma niente, neanche un indizio. Poi erano iniziati i racconti: qualcuno giurava di aver visto Marco vicino alla villa dei Rossetti prima della scomparsa. Altri parlavano di riti, maledizioni e presenze che infestavano quel luogo. Luca non voleva crederci.
Eppure, quando quel messaggio era arrivato quella notte, il desiderio di scoprire la verità aveva sopraffatto ogni paura.
Soprattutto per la firma: “Marco.”
Il buio dentro la villa era denso, quasi tangibile, come un abbraccio maligno che avvolgeva ogni cosa. La luce della torcia illuminava pareti coperte di graffiti e specchi antichi, incrinati e anneriti. Ogni scricchiolio del legno sotto i suoi passi lo faceva sussultare.
«Marco?» chiamò, la voce tremante che si perdeva in un’eco lontana. Solo il vento rispose, sospirando tra le fessure delle finestre.
Un lampo di luce attraversò uno specchio, come se qualcosa si muovesse dietro di lui. Si voltò di scatto, ma trovò solo l’oscurità.
Mentre esplorava, Luca notò strani simboli incisi sul pavimento e sulle pareti: intricati, sinistri. Non erano solo graffiti; sembravano avere un significato antico, forse ritualistico. Le leggende parlavano di riti esoterici praticati nella villa, ma lui non aveva mai dato peso a quelle storie… fino a quel momento.
Raggiunse il salone principale, dominato da un lampadario che pendeva precariamente, i cristalli anneriti come lacrime di vetro. Al centro della stanza, una figura umana giaceva curva su un tavolo di legno massiccio, le mani che tremavano nel tentativo di trattenere qualcosa. A Luca mancò il respiro nel riconoscerlo.
«Marco!» esclamò, correndo verso di lui.
Quando si avvicinò, la figura alzò lentamente lo sguardo. Il cuore di Luca si fermò: gli occhi del suo amico erano vuoti, senza traccia di vita. Le labbra si mossero, ma il suono che ne uscì era un sussurro incomprensibile, come parole spezzate da un’eco lontana.
Un rombo profondo risuonò nella stanza, facendo tremare l’aria. La casa stessa sembrava respirare, le pareti pulsavano come un organismo vivo. Una nebbia nera iniziò a filtrare dalle fessure nel pavimento, avvolgendo le gambe di Marco, che emise un urlo straziante.
«Non dovevi venire…» gemette Marco, il corpo che si contorceva mentre la nebbia lo avvolgeva completamente.
Luca indietreggiò, terrorizzato. Si voltò verso la porta, ma trovò solo un muro solido dove prima c’era un’apertura. La nebbia avanzava, affamata, cercando di afferrarlo con artigli d’ombra.
Episodio 2 – Albemasia
Un punteruolo d’acciaio lo martellava dolorosamente nella testa, al ritmo di una goccia ostinata che tamburellava in un angolo remoto della casa. Fu allora che Luca aprì gli occhi.
Sul pavimento davanti a lui, a pochi centimetri dal suo naso, un insetto ricoperto da una corazza nera e lucida stava esplorando l’aria con le lunghe antenne sottili. All’improvviso la blatta si mosse verso di lui e Luca sentì le sue zampette pizzicargli la pelle della mano. Riemergendo fulmineamente dallo stato di torpore, il ragazzo cacciò un urlo e balzò in piedi col cuore che gli esplodeva nel petto, rimbombandogli nelle orecchie.
Nonostante il brusco risveglio, la nebbia che lo aveva ghermito prima di perdere coscienza faticava a diradarsi nella sua mente.
Barcollando sulle gambe ancora malferme, cominciò a guardarsi intorno, mentre lentamente gli si affacciava alla memoria il ricordo di quanto era successo: il messaggio di Marco che lo invitava a raggiungerlo, il suo stupore nel constatare che l’amico era ancora vivo e la decisione di entrare di notte nella “casa maledetta”.
Della torcia elettrica non c’era traccia, quindi istintivamente la mano gli andò alla tasca posteriore dei jeans in cerca del cellulare, ma non appena l’ebbe tra le mani si accorse che il display era completamente buio. La luce fredda della luna si rifletté sul cristallo, mostrando crepe profonde che si diramavano come una ragnatela da un angolo dello schermo.
«Merda!» esclamò ficcandoselo di nuovo in tasca. Ogni speranza di fare un po’ di luce lì dentro era sfumata.
Al flebile chiarore che filtrava dal legno marcio delle persiane, Luca cominciò ad aggirarsi nella stanza, alla ricerca dell’amico di cui sembrava scomparsa ogni traccia.
Le assi del pavimento scricchiolavano sotto i suoi passi guardinghi e sinistre presenze sembravano svolazzare, invisibili, sopra la sua testa; i vetri di alcune finestre erano rotti e probabilmente col tempo quella vecchia casa disabitata era diventata rifugio per pipistrelli e altri piccoli animali selvatici. L’ambiente ideale per praticare riti esoterici, pensò Luca con un brivido.
La testa gli doleva, come se fosse reduce da una sbornia, e il senso di nausea che si era impadronito del suo stomaco rintuzzò in lui l’idea di essere stato vittima di uno stato allucinatorio, dovuto a qualche sostanza diffusa nell’ambiente.
Sì, ma da chi? E perché?
Più il tempo passava, più la sensazione di essere stato irretito dagli occhi vuoti dell’amico, che sembravano volerlo risucchiare all’interno della sua anima nera, svaniva e le domande che lo avevano assalito sembravano trovare risposte più razionali.
Ormai era quasi certo di essere stato vittima di uno scherzo idiota di qualche sfaccendato del posto che conosceva le dicerie su quella casa e che gli aveva giocato un brutto tiro, divertendosi alle sue spalle. Poi la suggestione che derivava da quel luogo e dal mistero dell’amico scomparso aveva fatto il resto.
«Sì, proprio divertente!» esclamò Luca ad alta voce.
Nell’oscurità si udiva solo l’affanno del suo respiro.
«Vieni fuori se hai il coraggio!» inveì di nuovo nel buio.
Niente.
Luca si trovava ora al centro della stanza, le mani appoggiate al piano del tavolo di legno e ansimava per la stizza.
«Che scherzo cretino… Adesso mi ripaghi il cellulare, stronzo!»
Non ottenendo alcuna risposta, decise di tornarsene a casa: probabilmente chi aveva architettato quella messa in scena, e forse l’aveva pure filmata, ormai se l’era data a gambe e adesso si stava sganasciando dalle risate alle sue spalle.
Non c’era alcun mistero da scoprire lì dentro, pensò, perciò si allontanò dal tavolo, ma quando staccò le mani dal piano di legno consumato sentì che i palmi erano diventati appiccicosi.
«Cosa diavolo…?»
Si portò le mani davanti agli occhi, nel tentativo di scrutarle alla luce fioca della luna, quando un odore inconfondibile lo assalì, invadendogli le narici: quel liquido bruno e viscoso era sangue!
«Non è uno scherzo, Luca».
Una voce spettrale lo sorprese alle spalle e a Luca si mozzò il respiro.
«È tutto vero. Il sangue è vero e io sono vero».
Luca si voltò mentre sentiva che lo stomaco si contraeva, come stretto in una morsa. Davanti a lui, il viso in ombra, c’era una figura che si stava avvicinando. Luca non avrebbe mai riconosciuto in quell’ombra il suo amico Marco, se non fosse stato per la voce, quella sì, inconfondibile.
Marco teneva in mano qualcosa, ma Luca non capiva cosa fosse, finché l’altro non fu abbastanza vicino e allora il chiarore della luna, che faceva capolino dalle imposte rotte, illuminò quello che sembrava un fagotto palpitante, ma che, in un orrore crescente, a Luca si svelò per quello che era: Marco reggeva in mano un cuore che stillava ancora sangue.
La villa dei Rossetti si ergeva sopra la cittadina come un gigante dormiente, avvolta da rampicanti e leggende. Si diceva che chi vi entrava non ne uscisse mai più lo stesso. Nonostante la tensione che gli stringeva il petto come una morsa, Luca si fece coraggio e varcò la soglia, con la torcia stretta nella mano tremante.
Un vento gelido sibilava tra i muri screpolati, simile a un respiro antico che riecheggiava fra le pareti. Luca si fermò, tirò fuori il cellulare e guardò per l’ennesima volta il messaggio che lo aveva portato lì: “Vieni alla villa sulla collina, subito. C’è qualcosa che devi vedere.”
Un invito sconcertante, soprattutto considerando ciò che era successo un anno prima.
Il ricordo riaffiorò, vivido e crudele come una cicatrice mai guarita.
Lui e Marco erano seduti sul molo del lago, le luci della città che danzavano sull’acqua increspata. Era stata una sera tranquilla, almeno in apparenza. Ma Marco sembrava distante, e c’era una strana inquietudine nei suoi occhi, una tensione che non riusciva a nascondere.
«Hai mai sentito parlare della villa dei Rossetti?» gli aveva chiesto Marco, con un tono di voce basso, quasi un sussurro.
Luca aveva riso, pensando che fosse uno dei loro soliti discorsi sui misteri locali. «Sì, certo. È il classico posto da storie di fantasmi. Nessuno sano di mente ci metterebbe piede!» aveva risposto, lanciando un sasso nell’acqua.
Ma Marco non aveva sorriso. Il suo volto si era fatto serio, ombroso. «Ci sono cose che non puoi capire, Luca. Cose che non dovrebbero essere disturbate. Ma… io non ho scelta.»
«Di che diavolo stai parlando?» aveva chiesto Luca, mentre il suo entusiasmo si spegneva.
Marco non aveva risposto. Si era limitato a fissarlo, con uno sguardo che sembrava implorare aiuto e, al tempo stesso, celare un orrore profondo.
Il giorno dopo, Marco era sparito senza lasciare traccia.
Luca aveva passato settimane a cercarlo, interrogando amici, rovistando ogni angolo della città. Ma niente, neanche un indizio. Poi erano iniziati i racconti: qualcuno giurava di aver visto Marco vicino alla villa dei Rossetti prima della scomparsa. Altri parlavano di riti, maledizioni e presenze che infestavano quel luogo. Luca non voleva crederci.
Eppure, quando quel messaggio era arrivato quella notte, il desiderio di scoprire la verità aveva sopraffatto ogni paura.
Soprattutto per la firma: “Marco.”
Il buio dentro la villa era denso, quasi tangibile, come un abbraccio maligno che avvolgeva ogni cosa. La luce della torcia illuminava pareti coperte di graffiti e specchi antichi, incrinati e anneriti. Ogni scricchiolio del legno sotto i suoi passi lo faceva sussultare.
«Marco?» chiamò, la voce tremante che si perdeva in un’eco lontana. Solo il vento rispose, sospirando tra le fessure delle finestre.
Un lampo di luce attraversò uno specchio, come se qualcosa si muovesse dietro di lui. Si voltò di scatto, ma trovò solo l’oscurità.
Mentre esplorava, Luca notò strani simboli incisi sul pavimento e sulle pareti: intricati, sinistri. Non erano solo graffiti; sembravano avere un significato antico, forse ritualistico. Le leggende parlavano di riti esoterici praticati nella villa, ma lui non aveva mai dato peso a quelle storie… fino a quel momento.
Raggiunse il salone principale, dominato da un lampadario che pendeva precariamente, i cristalli anneriti come lacrime di vetro. Al centro della stanza, una figura umana giaceva curva su un tavolo di legno massiccio, le mani che tremavano nel tentativo di trattenere qualcosa. A Luca mancò il respiro nel riconoscerlo.
«Marco!» esclamò, correndo verso di lui.
Quando si avvicinò, la figura alzò lentamente lo sguardo. Il cuore di Luca si fermò: gli occhi del suo amico erano vuoti, senza traccia di vita. Le labbra si mossero, ma il suono che ne uscì era un sussurro incomprensibile, come parole spezzate da un’eco lontana.
Un rombo profondo risuonò nella stanza, facendo tremare l’aria. La casa stessa sembrava respirare, le pareti pulsavano come un organismo vivo. Una nebbia nera iniziò a filtrare dalle fessure nel pavimento, avvolgendo le gambe di Marco, che emise un urlo straziante.
«Non dovevi venire…» gemette Marco, il corpo che si contorceva mentre la nebbia lo avvolgeva completamente.
Luca indietreggiò, terrorizzato. Si voltò verso la porta, ma trovò solo un muro solido dove prima c’era un’apertura. La nebbia avanzava, affamata, cercando di afferrarlo con artigli d’ombra.
Episodio 2 – Albemasia
Un punteruolo d’acciaio lo martellava dolorosamente nella testa, al ritmo di una goccia ostinata che tamburellava in un angolo remoto della casa. Fu allora che Luca aprì gli occhi.
Sul pavimento davanti a lui, a pochi centimetri dal suo naso, un insetto ricoperto da una corazza nera e lucida stava esplorando l’aria con le lunghe antenne sottili. All’improvviso la blatta si mosse verso di lui e Luca sentì le sue zampette pizzicargli la pelle della mano. Riemergendo fulmineamente dallo stato di torpore, il ragazzo cacciò un urlo e balzò in piedi col cuore che gli esplodeva nel petto, rimbombandogli nelle orecchie.
Nonostante il brusco risveglio, la nebbia che lo aveva ghermito prima di perdere coscienza faticava a diradarsi nella sua mente.
Barcollando sulle gambe ancora malferme, cominciò a guardarsi intorno, mentre lentamente gli si affacciava alla memoria il ricordo di quanto era successo: il messaggio di Marco che lo invitava a raggiungerlo, il suo stupore nel constatare che l’amico era ancora vivo e la decisione di entrare di notte nella “casa maledetta”.
Della torcia elettrica non c’era traccia, quindi istintivamente la mano gli andò alla tasca posteriore dei jeans in cerca del cellulare, ma non appena l’ebbe tra le mani si accorse che il display era completamente buio. La luce fredda della luna si rifletté sul cristallo, mostrando crepe profonde che si diramavano come una ragnatela da un angolo dello schermo.
«Merda!» esclamò ficcandoselo di nuovo in tasca. Ogni speranza di fare un po’ di luce lì dentro era sfumata.
Al flebile chiarore che filtrava dal legno marcio delle persiane, Luca cominciò ad aggirarsi nella stanza, alla ricerca dell’amico di cui sembrava scomparsa ogni traccia.
Le assi del pavimento scricchiolavano sotto i suoi passi guardinghi e sinistre presenze sembravano svolazzare, invisibili, sopra la sua testa; i vetri di alcune finestre erano rotti e probabilmente col tempo quella vecchia casa disabitata era diventata rifugio per pipistrelli e altri piccoli animali selvatici. L’ambiente ideale per praticare riti esoterici, pensò Luca con un brivido.
La testa gli doleva, come se fosse reduce da una sbornia, e il senso di nausea che si era impadronito del suo stomaco rintuzzò in lui l’idea di essere stato vittima di uno stato allucinatorio, dovuto a qualche sostanza diffusa nell’ambiente.
Sì, ma da chi? E perché?
Più il tempo passava, più la sensazione di essere stato irretito dagli occhi vuoti dell’amico, che sembravano volerlo risucchiare all’interno della sua anima nera, svaniva e le domande che lo avevano assalito sembravano trovare risposte più razionali.
Ormai era quasi certo di essere stato vittima di uno scherzo idiota di qualche sfaccendato del posto che conosceva le dicerie su quella casa e che gli aveva giocato un brutto tiro, divertendosi alle sue spalle. Poi la suggestione che derivava da quel luogo e dal mistero dell’amico scomparso aveva fatto il resto.
«Sì, proprio divertente!» esclamò Luca ad alta voce.
Nell’oscurità si udiva solo l’affanno del suo respiro.
«Vieni fuori se hai il coraggio!» inveì di nuovo nel buio.
Niente.
Luca si trovava ora al centro della stanza, le mani appoggiate al piano del tavolo di legno e ansimava per la stizza.
«Che scherzo cretino… Adesso mi ripaghi il cellulare, stronzo!»
Non ottenendo alcuna risposta, decise di tornarsene a casa: probabilmente chi aveva architettato quella messa in scena, e forse l’aveva pure filmata, ormai se l’era data a gambe e adesso si stava sganasciando dalle risate alle sue spalle.
Non c’era alcun mistero da scoprire lì dentro, pensò, perciò si allontanò dal tavolo, ma quando staccò le mani dal piano di legno consumato sentì che i palmi erano diventati appiccicosi.
«Cosa diavolo…?»
Si portò le mani davanti agli occhi, nel tentativo di scrutarle alla luce fioca della luna, quando un odore inconfondibile lo assalì, invadendogli le narici: quel liquido bruno e viscoso era sangue!
«Non è uno scherzo, Luca».
Una voce spettrale lo sorprese alle spalle e a Luca si mozzò il respiro.
«È tutto vero. Il sangue è vero e io sono vero».
Luca si voltò mentre sentiva che lo stomaco si contraeva, come stretto in una morsa. Davanti a lui, il viso in ombra, c’era una figura che si stava avvicinando. Luca non avrebbe mai riconosciuto in quell’ombra il suo amico Marco, se non fosse stato per la voce, quella sì, inconfondibile.
Marco teneva in mano qualcosa, ma Luca non capiva cosa fosse, finché l’altro non fu abbastanza vicino e allora il chiarore della luna, che faceva capolino dalle imposte rotte, illuminò quello che sembrava un fagotto palpitante, ma che, in un orrore crescente, a Luca si svelò per quello che era: Marco reggeva in mano un cuore che stillava ancora sangue.