Il tesorino era conteso tra i due mondi, ormai in guerra da eoni.
Era stato creato da Ghi’raff e Stephania quando erano ancora sposati, era il frutto più bello del loro amore.
Poi la separazione, l’esilio di Stephania su Geo, quel mondo imperfetto pieno di bulbi, nasi, orecchie che spuntavano nei posti più disparati.
Il tesorino era stato creato da entrambi, nato in una notte gloriosa che tutti nel regno avrebbero ricordato come “epifania fiorente” e che si festeggia, per convenzione, il giorno successivo al genetliaco di Ghi’raff.
Con l’esilio di Stephania, il tesorino era rimasto al castello ma, a causa della mancanza di alcune sostanze nell’aria, la sua salute era diventata estremamente cagionevole e la sua vita era perennemente in pericolo.
Per questo il corvo, profumatamente pagato dalla regina esiliata, lo aveva prelevato e portato su Geo.
Qui, con le amorevoli cure di Stephania, che lo monitorava e lo auscultava ogni giorno, la sua salute fu ristabilita.
Intanto, al castello, Metronimus seguiva l’evolversi degli eventi attraverso un monitor di sua invenzione. La tensione era palpabile.
«Se Pi’er non torna al castello con il tesorino in buona salute, sarà la fine. Sarà la mia fine, la fine del regno e la fine del mondo senza spazio e senza tempo. Tutti diventeremo mortali. Tutti moriremo e spariremo per sempre».
Trentadue piani più su, nella Sala del Trono Giallo, il sovrano aveva ormai devastato tutto: non c’erano più gli scudi ai muri, le tende alle finestre, i vetri alle vetrate, le maioliche ai pavimenti, le assi al tetto.
Tutto quello che prima era caos, Ghi’raff lo aveva trasformato in devastazione.
Su Geo, Stephania correva all’impazzata, spingendo con tutta la forza che aveva in corpo la sporta con le ruote che conteneva il tesorino. Il suo volto era rigato di sangue rosso e sudore verde. Le sue gambe erano segnate di sangue viola a causa delle spine dei rovi.
Doveva a tutti i costi tenere il suo tesorino al sicuro.
Non poteva fallire, stavolta era questione di vita o di morte.
Era consapevole del fatto che avesse in mano l’esistenza stessa del mondo.
Era ormai lontana qualche centinaio di metri dalla casa; andava su, verso l’altura, nella speranza di trovare la nuova sedia gialla che aveva chiesto. Era l’unico modo per chiudere la questione una volta per tutte.
Pi’er, intanto, aveva ripreso i sensi e, ancora intrappolato dalle mani avviluppate intorno al proprio corpo, decise di optare per la soluzione finale: gonfiò spropositatamente il petto, attivò il timer che Metronimus gli aveva inserito quando lo aveva creato e attese pochi secondi.
Il boato riempì la vallata e i detriti di quella che una volta era la casa di Stephania su Geo vennero sparsi ovunque. Di Pi’er, che sperava di ottenere una maggiore potenza dalla sua autodistruzione, non rimase che qualche brandello qua e là.
Stephania era troppo lontana per essere colpita dall’esplosione.
Geo ripulì tutto in pochi secondi, facendo crescere nuova erba a coprire il cratere nato al posto della casa.
Stephania era allo stremo; raccolse in un ultimo sforzo le energie e, con un balzo, arrivò sull’altura.
La sedia, il collegamento con Geo, era lì.
Con un grido disumano la scardinò e, nel solco lasciato da uno dei piedi sul terreno, seppellì il suo piccolo tesorino.
Piangendo, poi urlò: «Geo, ascoltami bene! Tesorino è in salvo! Adesso salva anche me, ti scongiuro!»
Crollando sulle sue stesse ginocchia - le lacrime scendevano copiose, i capelli arruffati e le mani tremanti - proseguì: «assorbimi, so che puoi farlo, affinché io possa stare per l’eternità col mio tesorino. So che puoi! Fallo!»
All’improvviso il terremoto, la terra si squarciò e Stephania venne risucchiata.
Contemporaneamente, anche il regno di Ghi’raff sprofondò, nell’oblio, per sempre.
L’altura della sedia gialla si riempì di quello che era il simbolo dell’amore nascosto: un prato di petunie, di mille colori.