È difficile cogliermi di sorpresa e quindi mi sono sorpreso non poco realizzando di essermi fatto sorprendere.
Davvero non me l’aspettavo.
Non in questo periodo della mia vita.
Mille volte ho criticato chi vaneggiava dell’ineluttabilità degli eventi, delle "cose che succedono e tu non puoi farci niente", del destino, delle "cagate" che prima o poi arrivano per tutti.
Mi sentivo immortale e parecchio figo quando a Gennaio uscivo alle sei del mattino per andare a buttare la spazzatura a petto nudo con la vecchietta del pian terreno mi urlava dietro "fai, fai, test'i minchia. Uora si giovane, quannu a poi avrai l’età mia, ca minchia ca camini accussì..."
La nonnina era follemente innamorata di me, da quella volta che le cadde il carrellino pieno di arance in mezzo alla strada e io gliele raccolsi gentilmente a una a una.
Giunsi a rischiare la mia giovane e promettente vita quando il signor Barbagallo, di anni ottantadue (82) mi sfiorò il culo con la sua FIAT 126 verde pisellino, che tutt’oggi fa parte dei miei ricordi d’infanzia.
L’ho relegata nel mio archivio mentale nella cartella Poteva finire lì, assieme a tutti i ricordi più pericolosi della mia vita.
Come quella tritologica mangiata di cozze al mercurio avvenuta per il matrimonio di mia zia, che spedì centoventi (120) persone in fila al pronto soccorso, che in breve divenne una latrina delle più immonde, con gli invitati che vomitavano ovunque mentre echeggiavano peti leggendari capaci di staccare l'intonaco dai muri.
Sono ricordi di un’infanzia non sempre profumata, lo ammetto, ma era un periodo pieno di sole e di mare, nella mia mente ingenua.
Avrei capito in fretta che la buona volontà e la voglia di fare raramente compensano la povertà.
E accadeva dunque che io, penultimo di nove figli, andassi a scuola insieme a mio fratello con un block notes arancione al posto del diario, perché mio padre era un nostalgico, e aveva scelto la sua terra natia per invecchiare, lasciando un lavoro tutt'altro che schifoso in Germania per tornare a Siracusa a fare il ciabattino.
Ma aggiustando le suole delle scarpe si riusciva a stento a mangiare e a pagare il famigerato canone RAI.
Insomma, eravamo poveri come il retaggio di un fascista.
Era calzolaio, mio padre, però mi dava lo stesso cinquecento lire per mangiare a scuola, ci tiravo fuori un panino col salame e un cono due gustimmerda di gelato fatto con l'acqua del Gange e che a noi sembrava nettare degli dei.
Ma guai se li avessi spesi per un diario, mi avrebbe svitato la testa con uno scapaccione che per rimetterla a posto ci sarebbero volute tre persone.
Questione di priorità, per lui, e si faceva così. Stop.
Per ubbidire bastava guardargli le mani, larghe come racchette da tennis e con la pelle che sembrava cuoio.
Poche le sventole prese, per carità, ma ho saputo che una volta diede un pugno in testa a un vicino di casa che si era sognato di dire a mia madre che conosceva la scorciatoia per il paradiso, e quello da allora prende lucciole e lanterne insieme.
Ancora oggi.
No, non era bello il block notes al posto del diario per un ragazzino che andava in quinta elementare.
A quell’età i bambini non hanno pietà (la rima non è voluta, pardon) e nonostante io mi opponessi alle loro prese in giro dicendo che sul mio blocchetto si scriveva molto meglio che nei loro diari, nessuno mi credette.
Fui quindi costretto ad archiviare quel mio ricordo nella cartella mentale Figure di merda.
Il giorno dopo aver superato l’esame di accesso alla scuola media, iniziai a mettere le cinquanta lire da parte, e dopo tre mesi arrivai in prima media con un epico diario firmato “El Charro”, con tanto di rosa in bassorilievo allucinante sulla copertina e le Colt 45 stampate dietro.
Era vero, sul block notes si scriveva meglio, ma la felicità di quel giorno mi fa stare bene ancora oggi. Inaugurai dunque l’angolo Sono soddisfazioni, e imparai così che prevenire era meglio che curare molto prima che lo sentissi durante la pubblicità dei dentifrici Mentadent.
La sequenza della vecchietta si ripeteva quasi tutti i giorni, lei mi diceva che se uscivo a petto nudo a Gennaio sarei morto giovane e io alzavo la mano in segno di saluto e le rispondevo ridendo:
«Signora che fa, mi devo toccare?»
«No porco, che tocchi? Scostumato, che mi fai le avàns?»
«Sì, le avàns. Ma s'aviti ottant’anni, signuruzza bedda…»
«Ah, 'nfame – ribatteva ridendo – vogghiu abbiriri se ci arrivi tu all'età mia.»
A quel punto ero costretto a toccarmi le palle per fare gli scongiuri, per poi fuggire su per le scale accompagnato dalle urla scandalizzate di lei e dalle risate di mio padre che si godeva la sceneggiata dal balcone.
Be', la nonnina è ancor oggi viva. Rinsecchita, accorciata ma viva. Fuma due pacchetti di Nazionali al giorno e si ricorda ancora quante erano le arance che quel giorno raccolsi; trentanove.
La mia cartella Sono soddisfazioni si è riempita molto più di Figure di merda, e quella Poteva finire lì è in continuo aggiornamento.
Mentre io continuavo a buttare la spazzatura alle sei di mattina e mi mettevo la maglietta solamente allo scopo di non farmi prendere per coglione dai passanti, la mia esistenza venne improvvisamente sconvolta da una presa di coscienza imprevista.
Ne ho avuto la certezza una settimana fa. E ora so che è tutto vero, tutto quello che mandavo a cagare con la mia indifferenza giovanile e con l’entusiasmo del mio carattere.
Sono cose che succedono, e non possiamo farci niente.
Capita a tutti prima o poi, persino a me.
Altro che chiacchiere e distintivi, professioni di fede e dibattiti ideologici.
Non c’è più musica né nessuna filosofia che possa salvarmi. I flussi di coscienza peggiori che io abbia mai letto divennero barzellette, di fronte al mio stato d’animo.
L’unica cosa che mi tiene in piedi è la cartella Sono soddisfazioni, piena di battaglie vinte più che altro contro me stesso.
Tutto trascende, davanti alla mia immagine riflessa nello specchio.
Penso alla cartella Poteva finire lì, e a quanto tempo mi rimane adesso prima che raggiunga il suo capitolo finale.
Commosso e in qualche modo emozionato, osservo per l’ennesima volta il mio viso.
La Sua presenza è pressante. Chiudo gli occhi e li riapro.
È ancora lì.
So cosa devo fare.
Vado nella mia stanza, prendo l’affilato taglierino che uso sempre per ammazzare la noia e torno in bagno.
È ancora lì.
Ma non mi avrà.
Non questa volta.
La lama scatta, il mio polso è sicuro.
Non sentirò nemmeno dolore, forse.
Un colpo secco e via.
Non pensavo che alla mia età si potesse provare ancora la sensazione della “prima volta”.
Il primo bacio, la prima volta con una donna, la prima volta alla guida…e invece no.
C’è sempre una prima volta.
Il mio primo capello bianco, Gesù.
L'ho conservato, dopo averlo tagliato via, perché in fondo sono nostalgico come mio padre.
E quando sarò un vecchietto mi piacerà guardarlo, sul comodino accanto a me.
Magari mentre insulterò un ragazzino che oggi non è ancora nato perché sarà uscito di casa alle sei di mattina per buttare la spazzatura senza maglietta.
Davvero non me l’aspettavo.
Non in questo periodo della mia vita.
Mille volte ho criticato chi vaneggiava dell’ineluttabilità degli eventi, delle "cose che succedono e tu non puoi farci niente", del destino, delle "cagate" che prima o poi arrivano per tutti.
Mi sentivo immortale e parecchio figo quando a Gennaio uscivo alle sei del mattino per andare a buttare la spazzatura a petto nudo con la vecchietta del pian terreno mi urlava dietro "fai, fai, test'i minchia. Uora si giovane, quannu a poi avrai l’età mia, ca minchia ca camini accussì..."
La nonnina era follemente innamorata di me, da quella volta che le cadde il carrellino pieno di arance in mezzo alla strada e io gliele raccolsi gentilmente a una a una.
Giunsi a rischiare la mia giovane e promettente vita quando il signor Barbagallo, di anni ottantadue (82) mi sfiorò il culo con la sua FIAT 126 verde pisellino, che tutt’oggi fa parte dei miei ricordi d’infanzia.
L’ho relegata nel mio archivio mentale nella cartella Poteva finire lì, assieme a tutti i ricordi più pericolosi della mia vita.
Come quella tritologica mangiata di cozze al mercurio avvenuta per il matrimonio di mia zia, che spedì centoventi (120) persone in fila al pronto soccorso, che in breve divenne una latrina delle più immonde, con gli invitati che vomitavano ovunque mentre echeggiavano peti leggendari capaci di staccare l'intonaco dai muri.
Sono ricordi di un’infanzia non sempre profumata, lo ammetto, ma era un periodo pieno di sole e di mare, nella mia mente ingenua.
Avrei capito in fretta che la buona volontà e la voglia di fare raramente compensano la povertà.
E accadeva dunque che io, penultimo di nove figli, andassi a scuola insieme a mio fratello con un block notes arancione al posto del diario, perché mio padre era un nostalgico, e aveva scelto la sua terra natia per invecchiare, lasciando un lavoro tutt'altro che schifoso in Germania per tornare a Siracusa a fare il ciabattino.
Ma aggiustando le suole delle scarpe si riusciva a stento a mangiare e a pagare il famigerato canone RAI.
Insomma, eravamo poveri come il retaggio di un fascista.
Era calzolaio, mio padre, però mi dava lo stesso cinquecento lire per mangiare a scuola, ci tiravo fuori un panino col salame e un cono due gustimmerda di gelato fatto con l'acqua del Gange e che a noi sembrava nettare degli dei.
Ma guai se li avessi spesi per un diario, mi avrebbe svitato la testa con uno scapaccione che per rimetterla a posto ci sarebbero volute tre persone.
Questione di priorità, per lui, e si faceva così. Stop.
Per ubbidire bastava guardargli le mani, larghe come racchette da tennis e con la pelle che sembrava cuoio.
Poche le sventole prese, per carità, ma ho saputo che una volta diede un pugno in testa a un vicino di casa che si era sognato di dire a mia madre che conosceva la scorciatoia per il paradiso, e quello da allora prende lucciole e lanterne insieme.
Ancora oggi.
No, non era bello il block notes al posto del diario per un ragazzino che andava in quinta elementare.
A quell’età i bambini non hanno pietà (la rima non è voluta, pardon) e nonostante io mi opponessi alle loro prese in giro dicendo che sul mio blocchetto si scriveva molto meglio che nei loro diari, nessuno mi credette.
Fui quindi costretto ad archiviare quel mio ricordo nella cartella mentale Figure di merda.
Il giorno dopo aver superato l’esame di accesso alla scuola media, iniziai a mettere le cinquanta lire da parte, e dopo tre mesi arrivai in prima media con un epico diario firmato “El Charro”, con tanto di rosa in bassorilievo allucinante sulla copertina e le Colt 45 stampate dietro.
Era vero, sul block notes si scriveva meglio, ma la felicità di quel giorno mi fa stare bene ancora oggi. Inaugurai dunque l’angolo Sono soddisfazioni, e imparai così che prevenire era meglio che curare molto prima che lo sentissi durante la pubblicità dei dentifrici Mentadent.
La sequenza della vecchietta si ripeteva quasi tutti i giorni, lei mi diceva che se uscivo a petto nudo a Gennaio sarei morto giovane e io alzavo la mano in segno di saluto e le rispondevo ridendo:
«Signora che fa, mi devo toccare?»
«No porco, che tocchi? Scostumato, che mi fai le avàns?»
«Sì, le avàns. Ma s'aviti ottant’anni, signuruzza bedda…»
«Ah, 'nfame – ribatteva ridendo – vogghiu abbiriri se ci arrivi tu all'età mia.»
A quel punto ero costretto a toccarmi le palle per fare gli scongiuri, per poi fuggire su per le scale accompagnato dalle urla scandalizzate di lei e dalle risate di mio padre che si godeva la sceneggiata dal balcone.
Be', la nonnina è ancor oggi viva. Rinsecchita, accorciata ma viva. Fuma due pacchetti di Nazionali al giorno e si ricorda ancora quante erano le arance che quel giorno raccolsi; trentanove.
La mia cartella Sono soddisfazioni si è riempita molto più di Figure di merda, e quella Poteva finire lì è in continuo aggiornamento.
Mentre io continuavo a buttare la spazzatura alle sei di mattina e mi mettevo la maglietta solamente allo scopo di non farmi prendere per coglione dai passanti, la mia esistenza venne improvvisamente sconvolta da una presa di coscienza imprevista.
Ne ho avuto la certezza una settimana fa. E ora so che è tutto vero, tutto quello che mandavo a cagare con la mia indifferenza giovanile e con l’entusiasmo del mio carattere.
Sono cose che succedono, e non possiamo farci niente.
Capita a tutti prima o poi, persino a me.
Altro che chiacchiere e distintivi, professioni di fede e dibattiti ideologici.
Non c’è più musica né nessuna filosofia che possa salvarmi. I flussi di coscienza peggiori che io abbia mai letto divennero barzellette, di fronte al mio stato d’animo.
L’unica cosa che mi tiene in piedi è la cartella Sono soddisfazioni, piena di battaglie vinte più che altro contro me stesso.
Tutto trascende, davanti alla mia immagine riflessa nello specchio.
Penso alla cartella Poteva finire lì, e a quanto tempo mi rimane adesso prima che raggiunga il suo capitolo finale.
Commosso e in qualche modo emozionato, osservo per l’ennesima volta il mio viso.
La Sua presenza è pressante. Chiudo gli occhi e li riapro.
È ancora lì.
So cosa devo fare.
Vado nella mia stanza, prendo l’affilato taglierino che uso sempre per ammazzare la noia e torno in bagno.
È ancora lì.
Ma non mi avrà.
Non questa volta.
La lama scatta, il mio polso è sicuro.
Non sentirò nemmeno dolore, forse.
Un colpo secco e via.
Non pensavo che alla mia età si potesse provare ancora la sensazione della “prima volta”.
Il primo bacio, la prima volta con una donna, la prima volta alla guida…e invece no.
C’è sempre una prima volta.
Il mio primo capello bianco, Gesù.
L'ho conservato, dopo averlo tagliato via, perché in fondo sono nostalgico come mio padre.
E quando sarò un vecchietto mi piacerà guardarlo, sul comodino accanto a me.
Magari mentre insulterò un ragazzino che oggi non è ancora nato perché sarà uscito di casa alle sei di mattina per buttare la spazzatura senza maglietta.
Ultima modifica di Phoenix il Mer Feb 10, 2021 10:34 am - modificato 1 volta.