Il violoncello di Bach
Una casa ottocentesca mi accoglie, busso e vengono alla porta tre signore di mezza età.
Sorridenti mi fanno entrare e mi offrono un rinfresco.
Mura alte tre piani, finestre gotiche nere e una pittura marrone scuro con un giardino semi abbandonato.
La porta scricchiola e gli ambienti interni appartengono a un’epoca barocca con elementi ridondanti e tipici d’un grottesco proporsi, atmosfera surreale e colloquiale.
Sono dentro da un po’ e il colloquio è gradevole, si parla del nulla e nelle stanze si sente risuonare una musica di violoncello, forse una suonata di Bach.
Non conosco quelle donne e nemmeno i loro nomi eppure le percepisco bene dentro di me, hanno un’aria molto familiare e poi quelle facce paffute e buffe mi sono alquanto simpatiche.
Una serata in buona compagnia... quando, d’improvviso, noto negli occhi delle mie conversatrici note d’un colore rosso acceso, comincio ad avvertire dei brividi e i miei piedi si sollevano dal pavimento, mi ritrovo inconsapevolmente a volteggiare sopra i loro sguardi che nel frattempo sono passati dal tenero al satanico afflato.
Vorrei fuggire… le vedo sorridere e ridere, ridere, poi del sangue cola dalle loro pupille e la bava penzola delle labbra e io continuo a galleggiare nell’aria in balia delle menti di quelle donne che paiono comandare i miei movimenti con gli occhi.
Tremo e sudo con un’acidità gelida che mi irretisce i pensieri, la parola e i muscoli, i peli delle braccia sono irti e spessi, voglio uscire da me ma non riesco, quella prigionia quasi mi piace.
La musica si ferma, un attimo dopo mi ritrovo disteso sul pavimento e riesco a muovermi di mia volontà, mentre le tre donne sorridono nuovamente.
Mi alzo e cerco di raggiungere la porta d’ingresso.
La musica riprende e io devo fermarmi, guardo quelle donne negli occhi e percepisco tutto il male che hanno dentro, vorrei andare oltre il giardino di quella casa ma non ci riesco, sono attratto da quel perverso senso di morte e dal senso di goduria che esso mi dà.
Sono dentro la casa e lotto per percepire il male dentro di me, voglio sapere, provare, sanguinare, sollazzarmi di male e berlo a più non posso.
Non ho più paura e inconsapevolmente lotto per e con le mie percezioni demoniache.
I miei occhi sanno d’inferno e rido con le mie amiche, eccome se rido! E dalle mie mani cola del plasma raggrumato.
La musica continua e quel violoncello mi carezza nel mio male tanto profondamente da permettermi di vedere il volto degli inferi, la bellezza delle fauci del maligno.
Il male attrae come mai può fare il bene ma io ho un rigurgito di coscienza e riprendo ad avere paura, una umana paura e i volti delle donne ritornano ad essere spaventosamente semplici nel demoniaco essere.
Le menti insulse e malefiche mi attirano come una calamita, io cerco di lottare e volo intorno sopra quegli esseri, mi avvicino e poi mi allontano come se la danza della musica possa condurmi a suo piacimento oltre e fuori le meraviglie distorte del male.
Ecco... la musica si fa sempre più flebile e infine tace.
Sono nudo sul pavimento e la mia pelle è sciolta nell’humus del peccato.
Sono ancora umano in qualche anfratto del corpo, allora comprendo.
Comprendo e scappo, scappo via lasciando quelle donne sorseggiare amorevolmente la loro bevanda, sedute al tavolino del male.
Sono in un giardino e recapito la posta del demonio a domicilio, una stupenda casa ottocentesca abbandonata mi circonda e Bach suona il violoncello.