C’era una volta una bambina di nome Leila, figlia di due maghi, che aveva un fratello più grande di lei di due anni.
I due bambini frequentavano la scuola di magia della loro città ma mentre Leila era molto studiosa e imparava rapidamente, suo fratello Callen non amava i libri e sprecava il suo tempo a bighellonare con gli amici esibendosi in sciocche magie fini a sé stesse.
Quando all’esame del terzo anno di magia Leila ottenne di gran lunga il miglior risultato di tutta la sua classe i suoi genitori, orgogliosi, le permisero di esaudire il più grande sogno: avere un piccolo pianeta tutto suo.
Così Leila aveva creato un pianeta piccolo piccolo e lo aveva chiamato Sandwood perché vi aveva messo al centro una grande foresta tutta circondata da sabbia, un anello desertico che terminava a sua volta in un mare di acqua dolce che circondava l’intero pianeta.
Aveva popolato il suo piccolo regno di ogni sorta di animali che vivevano nella parte sabbiosa e desertica abbeverandosi al mare e nutrendosi di tutto quello che fornivano loro gli alberi e il suolo che la foresta metteva a disposizione.
Nessun animale aveva, però, il permesso di entrare nella grande foresta che diventava dopo pochi metri così fitta da impedire il passaggio a chiunque.
Quando Leila aveva vinto il suo concorso superando l’esame così brillantemente, Callen invece di prendere esempio dalla sorella, aveva provato prima tanta invidia e poi, quando i loro genitori le avevano dato il permesso di creare il suo pianeta, una gelosia che lo aveva fatto diventare sempre più cattivo.
Callen aveva cominciato a pensare a come fare del male alla sorellina e a quale sarebbe stato il modo di colpirla in ciò cui teneva di più.
La osservò per qualche giorno e non ci mise molto a capire che Sandwood per Leila in quel momento era la cosa più importante.
Cominciò anche lui a osservare il pianeta, a studiarlo e dopo qualche giorno finalmente intuì che il segreto doveva trovarsi in quella grande foresta che ne occupava il centro.
La foresta rappresentava il sostentamento per tutti gli animali ma sicuramente nascondeva a sua volta qualcosa di prezioso che le permetteva di essere così rigogliosa e ricrearsi continuamente: per questo motivo Leila l’aveva resa impenetrabile proteggendone il suo centro.
L’unicorno era, tra gli animali, il più bello, elegante e colorato di Sandwood; maestoso quando camminava sulle lunghe zampe, diventava leggiadro quando dispiegava le ali e si alzava in volo.
Callen lo aveva individuato presto e aveva deciso che l’unicorno sarebbe stata la chiave che gli avrebbe permesso di svelare il segreto di sua sorella e di distruggere il pianeta.
Un mattino presto, quando tutti ancora dormivano, si alzò e scese su Sandwood.
Cercando di non fare rumore per non svegliare gli altri animali si avvicinò all’unicorno e gli bisbigliò all’orecchio.
L’unicorno svegliandosi fu preso da grande inquietudine trovandosi davanti una figura che non aveva mai visto.
«Chi sei?» chiese spaventato alzando il suo nitrito.
«Ssssh! Abbassa la voce, non vorrai mica svegliare tutti» gli intimò Callen; «Non devi avere paura, sono un amico».
«Sei strano» disse l’equino, stavolta sussurrando «Non ho mai visto un animale come te».
«Io sono l’uomo, il più forte e il più potente di tutti gli animali, ma non vivo su questo pianeta».
«E cosa ci fai qui, allora?».
«Sono venuto perché posso aiutarti» rispose Callen.
«Io non ho bisogno di aiuto, non sono in pericolo» disse l’unicorno guardando sospettoso l’uomo che gli stava di fronte e che lo stava inquietando.
«Posso aiutarti a diventare il più potente fra gli animali di Sandwood».
«Io non voglio essere potente, sono già il più bello tra gli animali».
«Sì che lo vuoi e lo sai meglio di me anche se riconoscerlo ti fa soffrire».
L’unicorno non rispose ma Callen capì che aveva fatto centro.
E affondò il colpo.
«Io posso darti potere su tutto e tutti».
«Dici davvero?» chiese l’unicorno a metà tra l’incredulo e lo speranzoso.
«Io conosco il segreto della grande foresta» rispose Callen.
«Mi prendi in giro, nessuno può conoscere quel segreto».
«Non mi credi? Va bene, andrò a dirlo a qualcun altro».
«No, aspetta, ti credo. Ti ascolto, parla».
Callen sorrise tra sé.
«Ascoltami bene, il segreto della foresta sta esattamente nel suo centro; lo so perché ce lo ha messo mia sorella ma io l’ho scoperto osservando attentamente cosa succede ogni giorno su questo pianeta».
L’unicorno guardò l’umano dubbioso.
«La foresta è impenetrabile, nessuno è mai riuscito a entrarci; come faccio ad arrivare al centro?»
«Non tu» disse Callen «ci andrà il bruco».
«Il bruco? Ho capito, ti sei divertito abbastanza a prendermi in giro? Ti saluto, sono stanco di parlare con te» replicò l’animale e fece per andarsene.
«Ma dove vai? Vieni qua che ti spiego tutto».
E Callen spiegò all’unicorno il suo piano.
A notte fonda l’unicorno andò dal bruco.
Era questi il più piccolo e brutto tra gli animali di Sandwood, completamente bianco e costretto a strisciare per spostarsi, raggruppando il corpo e poi stendendolo in un movimento continuo e molto faticoso.
L’unicorno lo svegliò e gli disse di ascoltarlo attentamente; gli raccontò tutto, dell’incontro con quello strano animale che cammina su due zampe soltanto, del potere che aveva di trasformarlo in un bellissimo animale volante tutto colorato e di quello che avrebbe dovuto fare in cambio di tutto questo.
«Dovrai raggiungere il centro della foresta, scoprire il suo segreto e tornare a dirmelo».
«E in cambio?» chiese il bruco.
«In cambio rimarrai per sempre colorato e con le ali».
«Voglio conoscere questo animale prima di decidere, se qualcosa dovesse andare storto cosa mi succederà?».
«Non succederà nulla, andrà tutto bene vedrai» lo tranquillizzò l’unicorno per poi concludere «ci vediamo domani notte qui alla stessa ora».
E se ne andò.
Callen chiese un’ultima volta se erano tutti e due d’accordo.
Il bruco assentì, l’unicorno ci pensò ancora una volta, sapeva che si stava giocando tutto.
«È proprio necessario?» provò un’ultima volta a chiedere sapendo già quale sarebbe stata la risposta.
Callen si limitò ad assentire muovendo la testa.
«Va bene, procediamo; tanto sarà solo per poche ore».
Callen prese il corno e lo staccò dal muso dell’animale, poi usandolo come una bacchetta magica lo puntò verso il bruco pronunciando parole incomprensibili per gli animali.
Il bruco cominciò a trasformarsi, ai lati del corpo spuntarono due ali che divennero sempre più grandi cominciando lentamente a colorarsi: era diventato una bellissima farfalla.
«Ehi! Che sta succedendo?»
Il grido dell’unicorno fece voltare di scatto Callen che guardò inorridito l’animale che gli stava accanto: aveva perso i suoi bei colori e, soprattutto, aveva perso le ali.
«Non lo so, qualcosa non ha funzionato, i colori e le ali sono andati sul bruco ma non avrebbero dovuto lasciarti così».
L’unicorno non poteva crederci, scoppiò a piangere e si allontanò al galoppo.
Callen lo vide allontanarsi, poi alzò le spalle e tornò a rivolgersi alla farfalla.
«Allora, hai capito bene? Svolazzerai fino al centro della foresta e, una volta arrivata, dovrai scoprire il segreto che le permette di vivere così rigogliosa mentre tutto attorno è deserto; dopodiché tornerai qui da me e mi racconterai tutto e in cambio rimarrai per sempre una splendida farfalla».
«D’accordo» rispose con entusiasmo l’insetto.
«Ma bada, se tenti in qualche modo di imbrogliarmi, la mia vendetta sarà terribile. Ti aspetto qui tra due giorni esatti, se non tornerai, morirai all’istante».
«Tranquillo, tra due giorni esatti sarò qui» e, così detto, si addentrò svolazzando nella foresta.
Ci mise quasi l’intera giornata per raggiungere la meta, ogni tanto doveva riposare, ogni tanto si perdeva e doveva tornare indietro, ma infine… eccolo! Il centro della foresta!
La farfalla non poteva credere ai suoi piccoli occhi.
La foresta si apriva improvvisamente in una grande radura verde al centro della quale sgorgava una fonte d’acqua che si divideva in diversi ruscelli che scorrevano verso i primi alberi addentrandosi, poi, nel folto della vegetazione fino a sparire alla vista.
Il prato era pieno di fiori di ogni forma, dimensione e colore e sopra uno di essi in riva a una grande pozza d’acqua andò a posarsi la farfalla per riposare un po’ dopo la lunga fatica.
Guardò di sotto e si vide riflessa nell’acqua scoprendosi, così, in tutta la sua bellezza.
Le tornarono alla mente le parole dell’umano se ritornerai con il segreto rimarrai per sempre una farfalla e non tornerai il bruco brutto e peloso che eri e sentì un brivido percorrerle le ali.
Poi alzò lo sguardò e si guardò attorno e quello che vide ancora una volta la emozionò: la bellezza di quella radura, il prato, i fiori e l’acqua erano infinitamente più belli di lei.
Se tenterai di fregarmi morirai all’istante, Callen era stato chiaro.
La farfalla scese dal fiore sull’erba e chiuse le ali, un fresco venticello l’accarezzava.
Morirai all’istante la voce dell’umano continuava a risuonarle in testa e allora comprese tutta la cattiveria che era racchiusa in quel corpo, in quella mente crudele.
Non poteva tornare, se avesse portato il segreto della foresta a Callen, quegli avrebbe trovato il modo di usarlo per distruggere la foresta stessa: e lei non poteva permetterlo perché senza la foresta non ci sarebbe stata più vita per il pianeta e per nessuno dei suoi abitanti.
Comprese perché la sorgente d’acqua fosse stata messa al centro di tutto e perché fosse protetta da alberi così fitti da non consentire a nessuno di raggiungerla.
La farfalla aprì le ali e cominciò a svolazzare da un fiore all’altro, a posarsi sull’erba fresca a specchiarsi nella grande pozza d’acqua: aveva un giorno intero per godersi tutto quello splendore.
Callen aspettò a lungo il ritorno della farfalla e, quando si rese conto che aveva deciso di sacrificare la sua vita e di non tornare con il segreto della foresta, lanciò un lungo grido di rabbia e di dolore.
Leila che in quel momento passava lì vicino percepì perfettamente il pensiero malvagio del fratello e in un attimo lo raggiunse.
«Cosa hai fatto?» gli chiese con una voce terribile che lui non le aveva mai sentito.
Callen ebbe paura e confessò tutto, tornando improvvisamente bambino sotto gli occhi di fuoco della sorella.
Leila ascoltò incredula finché lacrime cominciarono a scorrerle copiose sul volto: aveva capito che per la farfalla nemmeno la sua magia avrebbe potuto più nulla contro quella del fratello.
Poi smise di piangere, si alzò e con un gesto cancellò dalla mente del fratello ogni traccia di memoria, avrebbe vissuto ogni giorno della sua vita come se fosse stato il primo, senza possedere alcun ricordo.
Avendo perso la memoria, Callen non potè più confessare alla sorella la magia che aveva fatto perdere all’unicorno i suoi colori e le sue ali e nemmeno fu più ritrovato il corno che aveva utilizzato come bacchetta magica.
Così gli unicorni sparirono per sempre da Leilalandia diventando dei semplici cavalli.
Una cosa ancora doveva fare Leila: andò dal bruco e pronunciò la più dolce delle sue magie cosicché da quel giorno i bruchi si trasformano in splendide farfalle che vivono solo due giorni ma sono le sole che possono raggiungere il centro della foresta e goderne tutta la bellezza.