L’INTRUSO
Una macchia, anzi meno. C’era un’ombra sulla lastra della radiografia al torace.
Così mi trovavo al centro tumori di Parigi a causa di un sospetto; più che altro per seguire il consiglio di alcuni amici medici, ma io non avevo accusato alcun sintomo e avevo sempre goduto ottima salute. Invece la diagnosi era stata una sentenza di morte.
Avevo sentito mancarmi l’aria, la prima reazione fu andarmene da lì, come se allontanandomi dal centro oncologico, avessi potuto mettere una distanza tra me e il tumore.
Avviandomi verso l’uscita, passai davanti alla porta della cappella; sul cartello era scritto “entrez seulement si vous voulez prier”. Figuriamoci! Non avevo messo piede da anni in una chiesa e l’ultima volta che avevo recitato una preghiera era stato il giorno della cresima, ma entrai per sedermi e cercare di mettere ordine in quel guazzabuglio di sensazioni che mi s’era scaraventato addosso in un momento.
Mi piacque il silenzio di quel luogo; la cappella sembrava deserta, invece distante da me c’era una suora inginocchiata, così minuta che a prima vista non m'ero accorto della sua presenza. Non so quanto tempo rimasi lì; quando mi alzai per uscire e mi voltai indietro, vidi che la porta da cui ero entrato era chiusa. Un’altra porta laterale era stata aperta e mi avviai verso quella.
Passando m’avvidi che la suora non c’era più, ma c’era qualcosa sulla panca, proprio nel posto dove l’avevo vista: sembrava un libro di preghiere. Non so perché lo presi, lo misi in tasca e me ne dimenticai.
Il taxi mi fermò nei pressi del quartiere latino e da lì percorsi a piedi il boulevard Saint Michel. Avevo bisogno di camminare, me ne era presa la smania e mi fermai solo quando, stanchissimo, mi trovai a Saint Germain de prés. Avevo camminato per oltre due ore, facendo un giro lunghissimo mentre la mente riepilogava percorsi di vita, ma ora mi sentivo un po’ meglio. Devo pensare che esisto, mi dissi, dopo tutto sono ancora vivo.
La prima cosa da fare era mettere me e la mia malattia tra parentesi, solo dopo una pausa, avrei potuto ragionare sul da farsi, per ora non mi sentivo in grado: ero sconvolto.
Cancro o non cancro, pensai, sono a Parigi. Era giunto il momento di appagare un vecchio desiderio. Fare il turista non avrebbe certo risolto i miei problemi di salute, ma almeno m’avrebbe dato la possibilità di distrarmi. Se non potevo togliere il tumore dai miei polmoni, potevo toglierlo dai miei pensieri, almeno per il tempo necessario a calmarmi.
A Chartres arrivai il giorno dopo. Per quanto fossi stato a Parigi diverse volte, non avevo mai visitato Chartres; la distanza dalla capitale si copriva in solo due ore di treno e questa era l’ultima occasione per vedere la cattedrale.
Nel tardo pomeriggio, seduto su una panca tra un monaco e una donna anziana, avevo preso una decisione recitando il rosario.
Un pensiero mi pungeva le tempie, grosso come un ago da materassaio e duro come la spina legnosa di un cactus. Quel pensiero doloroso si era trasformato in un proposito e ora stava scivolando sulla mia lingua, confuso tra le suppliche e le litanie mariane.
Quando il padre conduttore recitò il versetto Mater sanctissima e la piccola folla di fedeli rispose Ora pro nobis io chiusi gli occhi e bisbigliai: “Santa Madre, io mi lascerò appassire come una pianta abbandonata sotto il sole cocente dell’estate”. Non intendevo sottopormi a cure invasive; al bisogno mi sarei limitato agli antidolorifici, così mi sarei beffato del tumore e della paura che l’accompagnava. Avrei combattuto la malattia, che con le sue armate di cellule aveva invaso il mio corpo, ignorandola.
Dopo la recita del rosario, andai a mangiare qualcosa in un bar presso la cattedrale. M’era venuta fame perché non avevo mangiato nulla dalla sera prima, né ci avevo pensato. Mettendo una mano in tasca, toccai il libro di preghiere e solo allora mi venne in mente di sfogliarlo. Sull’ultima pagina a mo’ di appunti lessi alcune frasi scritte a matita dal senso piuttosto oscuro: “Cercherai un punto che si situa in un cerchio, dentro un quadrato e in un triangolo. Se troverai il punto, sarai salvo.”
“Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà.”
“Niente, tuttavia, è accessibile a chi non conosce la lingua degli uccelli, quand’anche osi camminare tra cielo e terra.”
Alzai gli occhi. Il monaco, che avevo visto in chiesa, era in piedi di fronte a me: «Mi ospita?» domandò «non c’è posto; i tavoli sono tutti occupati.» Gli feci cenno di accomodarsi; si sedette appoggiando i gomiti sul tavolo con le mani intrecciate a sostenere il mento. Un atteggiamento che giudicai confidenziale e perfino invasivo da parte di uno sconosciuto, infatti indicava una chiara disposizione all’ascolto e io non avevo voglia di parlare. In più sospettai che quello avesse cercato l’occasione di avvicinarmi, forse mi aveva addirittura seguito, senza che me ne fossi accorto. Lo ignorai, concentrandomi sul libro di preghiere.
Mi sembrò che quelle frasi fossero destinate proprio a me, ma dovevo cercare di capirne il senso.
Geometria e salvezza, pensai, che diavolo poteva significare? La lingua degli uccelli? Camminare tra cielo e terra? L’unica frase comprensibile era quella relativa ai boschi. Mi vennero in mente quelli attraversati dal fiume Eure, che avevo visto lungo il percorso in treno dal finestrino, e mi sovvenne il cartello che avevo letto di sfuggita al mio ingresso in Normandia «Tout commence dans l’Eure».
Alla donna seduta accanto a me ne avevo chiesto il significato e lei aveva risposto:«Vuol dire che non si può entrare in Normandia senza passare dall’Eure.»
Io invece, sebbene perplesso per la E maiuscola e per l’assonanza con la parola “ora”, avevo capito: tutto comincia ora.
Senza accorgermene, avevo pronunciato quella frase a voce alta.
«Hic et nunc» esclamò il monaco. Non volendolo, gli avevo dato l’appiglio che aspettava per aprire una conversazione che si sarebbe rivelata lunghissima. L’uomo cominciò a parlarmi di sé, tra l’altro mi raccontò d’essere un esorcista e di avere una lunga esperienza del male, abituato com’era a vederlo negli occhi degli indemoniati.
«Cos’è che la incuriosisce in me», dissi io «ha visto il demonio nei miei occhi?»
«Oh, no. Lei ha solo lo sguardo di un uomo disperato» rispose sorprendendomi e aggiunse «mi perdoni, ho ascoltato quello che sussurrava in chiesa durante la recita del rosario.»
«Ah» feci io « e allora?»
«Nulla» mi rispose girando intorno lo sguardo «solo una considerazione: le foglie cadono, gli alberi si spogliano, tutto sembra morire. Invece tra qualche mese ogni cosa si risveglierà.»
«Già. In natura è così, ma l’uomo che muore non risorge.»
«È difficile spiegare», continuò Padre Glauci – così aveva detto di chiamarsi – «l’uomo non appartiene alla natura? In natura niente si distrugge, soltanto cambia forma.»
«Cosa vuole che importi all’uomo dei suoi resti mortali, quel che conta è che, una volta morto, non esisterà più.»
«Vuol dire che l’uomo è soltanto materia? Anche un ragazzino in età da prima comunione sa che l’essere umano è fatto di corpo e spirito. Sa cosa le dico? Ho potuto sperimentare di persona che ogni essere lascia qualcosa di sé sotto forma di energia; tracce visive e sonore talvolta sono percepibili come suoni e visioni.»
«Cos’è una sua teoria?»
«Diciamo di sì. Vede, certe cose non si possono comprendere a fondo se non se ne ha esperienza… la fede è una di queste.»
«Io sono agnostico», dichiarai per chiudere la discussione.
«Eppure ho sentito che pregava.»
«Sì, ma recitavo meccanicamente, pensando ad altro. Ero entrato solo per interesse turistico. Ho dato appena uno sguardo in giro. Domani tornerò a visitare la cattedrale, non certo per pregare.»
«Se vorrà, le farò da guida.»
Mi sembrò abbastanza chiaro che Padre Glauci non intendesse mollarmi, così gli diedi appuntamento per il giorno dopo, tanto per troncare la discussione, convinto che non sarei andato.
Invece vi andai.
Lo trovai sotto il portale centrale; mi aspettava.
«Credevo che avesse deciso di non venire», disse sorridendo.
«Perché?» feci io «il gotico mi ha sempre affascinato. Qualche volta mi sono chiesto perché il gotico piuttosto che il barocco o un altro stile.»
«Be’ vuol mettere la spiritualità del gotico… è come una lingua fatta di simboli invece che di parole. Un linguaggio cifrato come la lingua degli uccelli. Le cattedrali hanno la base sulla terra, ma s’innalzano verso il cielo; il gotico esalta questa spinta verso l’alto. Guardi quelle torri.» Così dicendo alzò lo sguardo e io lo imitai, sentendomi infinitamente piccolo. Dal basso l’immensa costruzione mi sembrò un vero colosso di pietra. Quand’anche osi camminare tra terra e cielo, pensai.
«Ma le dirò di più. Questa cattedrale sorge su un’altura circondata da una galleria sotterranea che assorbe le vibrazioni dal sottosuolo, mentre la verticalità della costruzione la espone alla influenza di radiazioni cosmiche molto intense. È un centro di energia.»
«Intende dire che chi entra in chiesa va a collocarsi nel punto energetico ideale di congiunzione tra terra e cielo?»
«Esattamente. Vedo che ha compreso.»
«Un’altra delle sue teorie?»
«Non proprio.»
«Allora, entriamo?»
«Sì, certo. Entrando in chiesa ci inoltriamo in una selva di simboli. Linguaggio non comprensibile a tutti.»
«Era questo che intendeva quando ha detto che il gotico è come la lingua degli uccelli?»
«Già, ha capito bene. Sa che la costruzione della cattedrale fu voluta dai Templari di ritorno da Gerusalemme?»
«No. Non lo sapevo.»
«Questa fu l’undicesima; ma nel giro di un secolo qui in Francia ne erano sorte altre dieci una dopo l’altra, tutte dedicate alla Vergine.
«E come mai?»
«Be’ non avvenne per caso, ma secondo un progetto preciso che ricalcava sulla terra la disposizione delle stelle della costellazione della Vergine e ne rispettava la forma e le distanze. Questa cattedrale si trova nel punto che in cielo corrisponde a Spica, la più luminosa fra le stelle della costellazione. Una sorta di Virgo riflessa.»
«Mi sta dicendo che i Templari, i mastri costruttori, insomma gli architetti del tempo conoscevano le nozioni astronomiche e di ingegneria indispensabili per una impresa simile? Ma non stiamo parlando dell’anno mille e come facevano?»
«Be’, Non lo so, ma è così. C’è anche una leggenda in proposito, poi gliela racconto. Intanto voglio farle vedere alcune cose interessanti: le vetrate anzitutto e il pavimento. Poi scenderemo a vedere la statua della Virgo paritura nella cripta. Il resto lo potrà vedere con calma con l’aiuto di una guida qualsiasi; non è bene spiegare tutto in una volta.»
Entrammo da una porta laterale della navata; io pensai in quel momento proprio a una nave. Sussurrai quel pensiero a Glauci che aggiunse: «Infatti, l’arca. Secondo una leggenda, qui dentro è custodita l’arca dell’alleanza di Mosé; ma non si sa dove e nessuno l’ha mai vista.»
All’interno della cattedrale, indicando il pavimento, l’esorcista mi fece notare una pietra rettangolare incastrata di sbieco rispetto alle altre, ne osservai la bianchezza che risaltava sulla generale tinta grigia del lastricato.
«Curiosa la posizione di quella pietra» dissi io.
«Ogni anno, al solstizio d’estate del 21 giugno, se il sole splende, a mezzogiorno un raggio che filtra dalla vetrata di S. Apollinare va a colpire questa pietra» disse padre Glauci e aggiunse: «poi in agosto, dalla mandorla del rosone che rappresenta la Vergine, un raggio di sole va a proiettarsi sulla rosa al centro del labirinto disegnato per terra. C’è sempre un labirinto sul pavimento delle cattedrali francesi che rappresentano la costellazione della vergine.»
«Se fossi venuto venti giorni prima, avrei visto quel raggio?
«Certo. Oggi il fenomeno si verifica intorno al 20 di agosto, ma una volta si verificava il 15, il giorno dedicato alla Vergine.»
In quel momento fui colpito da un dolore lancinante alla spalla e mi si annebbiò la vista. Mi accasciai su una panca.
Una suora minuta, seduta accanto a me, mi asciugò il sudore della fronte con un fazzoletto, il suo sorriso era soave come quello di una Madonna. Era lei, la suora che avevo visto nella cappella dell’ospedale, quella che aveva lasciato il suo messale sulla panca. Come mai si trovava lì? «Sono qui per te» mi disse, come se avesse indovinato il mio pensiero. A un tratto la luce invase la cattedrale. Che succedeva? Mi trovavo nel bel mezzo di un set cinematografico? Si stava girando un film sui Templari?
L’uomo vestito di bianco porta sulla tunica e sul mantello una grande croce rossa; indossa un elmo guerriero. Con fare solenne si avvicina a me: «Signore, saprete sopportare l’insopportabile?»
Sento la mia voce rispondere: «Signore, con l’aiuto di Dio saprò sopportare qualunque cosa.» Cavalieri armati sui loro destrieri interrompono la cerimonia, proprio nell’attimo in cui il monaco guerriero appoggia il mantello bianco sulle mie spalle, sono i nemici contro cui devo battermi, perché ormai anch’io sono un Templare. Devo ingaggiare battaglia; non posso assistere passivo devo lottare fino alla fine. La battaglia si scatena con furia, l’aria si impregna dell’acre odore del sangue, si diffondono i suoni metallici delle spade cozzanti e anch’io ho una spada in mano. Sto combattendo… »
«Passato? Come sta?» mi stava chiedendo Padre Glauci.
«Che è successo?» gli domandai.
«Niente di grave», rispose «ha avuto un malore, se la sente di alzarsi?»
«Sì, usciamo. Andiamo a prendere una boccata d’aria.»
«Tutto a posto?»
«Sì» dissi io «a parte il fatto che sto morendo. Ho un cancro ai polmoni, ma ora che ho trovato il punto nel cerchio dentro un quadrato e un triangolo, posso stare tranquillo, non è vero? Il punto è quello là a terra, al centro del labirinto.» Glauci mi rivolse uno sguardo perplesso, poi fece un sorriso mesto: «Ah, conosce la massima dei massoni, allude a quella?»
«Infatti» e recitai: “un punto che si situa in un cerchio che si trova in un quadrato e in un triangolo; se voi troverete il punto sarete salvi, fuori dalle pene, dall’angoscia e dal pericolo” eccolo lì, il punto illuminato dal raggio di sole, ma io sono arrivato tardi e non ho visto la luce.»
«Be’ la massima si riferisce alla salvezza in senso spirituale, tuttavia la fede aiuta moltissimo a sopportare le malattie. Si tratta di invertire le prospettive. Venga, andiamo a fare colazione.»
Passeggiammo in silenzio tra viuzze fiancheggiate da canali, ombreggiati dalle chiome di alberi secolari. Ci fermammo infine in una trattoria con i tavoli all’aperto. La città, così lontana dal frastuono della capitale, mi era sembrata deliziosa nei suoi angoli più intimi; pochi suoni intorno, fruscii d’acqua e di fronde diffondevano intorno una sensazione di pace. Dalla trattoria proveniva un odore invitante.
«Vede, non so come spiegare, ho solo quarantasette anni e appartengo già a una categoria che io stesso fino a poco tempo fa ho considerato – come dire? –estranea.»
«Cioè?»
«La distinzione che considero più sconcertante tra gli uomini non è quella tra ricchi e poveri, né tra bianchi e neri. La più iniqua tra le distinzioni è tra sani e malati. Perché un malato, specie un malato terminale, è ormai altro. Perfino i parenti, gli amici lo vedono con altri occhi, come se non fosse più la stessa persona che era da sano. Lo si guarda con rispetto, con amore anche in certi casi, ma con compatimento.»
«Compatimento? In ciascuno uomo sano si può sviluppare un tumore da un momento all’altro. Dica piuttosto solidarietà affettuosa. Non è cosa negativa, mi pare.»
«Negativa invece, perché c’è estraneità in quell’atteggiamento pietoso, un po’ come quando gli attori di una compagnia teatrale assistono all’ultima recita di un vecchio attore che sta per uscire di scena. C’è curiosità, spesso morbosa e ci si figura che il poveretto provi invidia per quelli che restano sul palcoscenico a godere degli applausi.»
«No, caro signore, non sono d’accordo. Gli altri vedono sempre la stessa persona, ma è il malato che si vede diverso, perché con la malattia viene meno il legame del sé con gli altri. Il tumore rappresenta una perdita d’integrità; in altre parole è un intruso, peggio un nemico che si porta dentro. Per combatterlo bisogna ristabilire la propria armonia interna.»
«Ma che dice? A che vale combattere contro un nemico in partenza vincente?»
«La fede aiuta moltissimo, bisogna imparare ad ascoltare il proprio corpo e… lo spirito.»
«E se il malato non crede, o ha perso la fede? Se ha poco tempo?»
«Può ugualmente godere del qui e ora: musica, carezze, profumi, immagini, sono cose che danno sollievo, gioia, forza interiore. Poco tempo, dice? Le faccio un esempio: poniamo il caso lei abbia la possibilità di visitare un grande paese. Ci vorrebbe un mese per vederlo, ma ha solo una settimana di vacanza. Che farebbe, rinuncerebbe al viaggio?»
«No. Mi accontenterei di una settimana.»
«Giusto; il paese che ha la possibilità di esplorare è la sua anima. Uno spazio infinito, però il tempo è poco e troppo vasta è l’anima. Cammini più in fretta!»
«Questo significherebbe invertire le prospettive?»
«Già, in un certo senso. Dilatare il tempo in poco spazio e viverlo intensamente, profittarne al massimo.»
«Anche questa è una sua teoria?»
«Lasci perdere. Mi ascolti invece. C’è chi guarisce, chi riesce a bloccare la malattia per anni. E anche quando il viaggio è al termine, si può sperimentare la parte migliore di sé proprio nell’ora più difficile. Si tratta di accettare la fine con un sorriso pieno, solare. Il sorriso di chi ha capito tutto.»
«Questo vale per chi ha capito. Io però non ho capito, padre Glauci» dissi congedandomi. Poi aggiunsi: «Domani parto. Mi ricorderò di lei e delle sue parole. Ho da darmi delle risposte. Troppe, forse.»
«Ne trovi una, solo una» disse e mi salutò con un’energica stretta di mano. Poi si allontanò, lasciandomi con la sensazione strana di aver parlato a un fantasma.
Il giorno seguente, prima di partire da Chartres, volli vedere un’ultima volta la cattedrale.
Mi inginocchiai di fronte alla statua della Vergine e sussurrai: «Santa Madre… io ho paura.» Non capii da dove venne la voce che rispose: «Prega per noi, santa Madre di Dio, ora e nell’ora della nostra morte.» Nessuno era intorno a me, ma avevo trovato una risposta.
Quel che conta è il messaggio, non la bocca che lo pronuncia. E forse non ero solo.
(Commento a "Nane del Toc" di Petunia)
Una macchia, anzi meno. C’era un’ombra sulla lastra della radiografia al torace.
Così mi trovavo al centro tumori di Parigi a causa di un sospetto; più che altro per seguire il consiglio di alcuni amici medici, ma io non avevo accusato alcun sintomo e avevo sempre goduto ottima salute. Invece la diagnosi era stata una sentenza di morte.
Avevo sentito mancarmi l’aria, la prima reazione fu andarmene da lì, come se allontanandomi dal centro oncologico, avessi potuto mettere una distanza tra me e il tumore.
Avviandomi verso l’uscita, passai davanti alla porta della cappella; sul cartello era scritto “entrez seulement si vous voulez prier”. Figuriamoci! Non avevo messo piede da anni in una chiesa e l’ultima volta che avevo recitato una preghiera era stato il giorno della cresima, ma entrai per sedermi e cercare di mettere ordine in quel guazzabuglio di sensazioni che mi s’era scaraventato addosso in un momento.
Mi piacque il silenzio di quel luogo; la cappella sembrava deserta, invece distante da me c’era una suora inginocchiata, così minuta che a prima vista non m'ero accorto della sua presenza. Non so quanto tempo rimasi lì; quando mi alzai per uscire e mi voltai indietro, vidi che la porta da cui ero entrato era chiusa. Un’altra porta laterale era stata aperta e mi avviai verso quella.
Passando m’avvidi che la suora non c’era più, ma c’era qualcosa sulla panca, proprio nel posto dove l’avevo vista: sembrava un libro di preghiere. Non so perché lo presi, lo misi in tasca e me ne dimenticai.
Il taxi mi fermò nei pressi del quartiere latino e da lì percorsi a piedi il boulevard Saint Michel. Avevo bisogno di camminare, me ne era presa la smania e mi fermai solo quando, stanchissimo, mi trovai a Saint Germain de prés. Avevo camminato per oltre due ore, facendo un giro lunghissimo mentre la mente riepilogava percorsi di vita, ma ora mi sentivo un po’ meglio. Devo pensare che esisto, mi dissi, dopo tutto sono ancora vivo.
La prima cosa da fare era mettere me e la mia malattia tra parentesi, solo dopo una pausa, avrei potuto ragionare sul da farsi, per ora non mi sentivo in grado: ero sconvolto.
Cancro o non cancro, pensai, sono a Parigi. Era giunto il momento di appagare un vecchio desiderio. Fare il turista non avrebbe certo risolto i miei problemi di salute, ma almeno m’avrebbe dato la possibilità di distrarmi. Se non potevo togliere il tumore dai miei polmoni, potevo toglierlo dai miei pensieri, almeno per il tempo necessario a calmarmi.
A Chartres arrivai il giorno dopo. Per quanto fossi stato a Parigi diverse volte, non avevo mai visitato Chartres; la distanza dalla capitale si copriva in solo due ore di treno e questa era l’ultima occasione per vedere la cattedrale.
Nel tardo pomeriggio, seduto su una panca tra un monaco e una donna anziana, avevo preso una decisione recitando il rosario.
Un pensiero mi pungeva le tempie, grosso come un ago da materassaio e duro come la spina legnosa di un cactus. Quel pensiero doloroso si era trasformato in un proposito e ora stava scivolando sulla mia lingua, confuso tra le suppliche e le litanie mariane.
Quando il padre conduttore recitò il versetto Mater sanctissima e la piccola folla di fedeli rispose Ora pro nobis io chiusi gli occhi e bisbigliai: “Santa Madre, io mi lascerò appassire come una pianta abbandonata sotto il sole cocente dell’estate”. Non intendevo sottopormi a cure invasive; al bisogno mi sarei limitato agli antidolorifici, così mi sarei beffato del tumore e della paura che l’accompagnava. Avrei combattuto la malattia, che con le sue armate di cellule aveva invaso il mio corpo, ignorandola.
Dopo la recita del rosario, andai a mangiare qualcosa in un bar presso la cattedrale. M’era venuta fame perché non avevo mangiato nulla dalla sera prima, né ci avevo pensato. Mettendo una mano in tasca, toccai il libro di preghiere e solo allora mi venne in mente di sfogliarlo. Sull’ultima pagina a mo’ di appunti lessi alcune frasi scritte a matita dal senso piuttosto oscuro: “Cercherai un punto che si situa in un cerchio, dentro un quadrato e in un triangolo. Se troverai il punto, sarai salvo.”
“Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà.”
“Niente, tuttavia, è accessibile a chi non conosce la lingua degli uccelli, quand’anche osi camminare tra cielo e terra.”
Alzai gli occhi. Il monaco, che avevo visto in chiesa, era in piedi di fronte a me: «Mi ospita?» domandò «non c’è posto; i tavoli sono tutti occupati.» Gli feci cenno di accomodarsi; si sedette appoggiando i gomiti sul tavolo con le mani intrecciate a sostenere il mento. Un atteggiamento che giudicai confidenziale e perfino invasivo da parte di uno sconosciuto, infatti indicava una chiara disposizione all’ascolto e io non avevo voglia di parlare. In più sospettai che quello avesse cercato l’occasione di avvicinarmi, forse mi aveva addirittura seguito, senza che me ne fossi accorto. Lo ignorai, concentrandomi sul libro di preghiere.
Mi sembrò che quelle frasi fossero destinate proprio a me, ma dovevo cercare di capirne il senso.
Geometria e salvezza, pensai, che diavolo poteva significare? La lingua degli uccelli? Camminare tra cielo e terra? L’unica frase comprensibile era quella relativa ai boschi. Mi vennero in mente quelli attraversati dal fiume Eure, che avevo visto lungo il percorso in treno dal finestrino, e mi sovvenne il cartello che avevo letto di sfuggita al mio ingresso in Normandia «Tout commence dans l’Eure».
Alla donna seduta accanto a me ne avevo chiesto il significato e lei aveva risposto:«Vuol dire che non si può entrare in Normandia senza passare dall’Eure.»
Io invece, sebbene perplesso per la E maiuscola e per l’assonanza con la parola “ora”, avevo capito: tutto comincia ora.
Senza accorgermene, avevo pronunciato quella frase a voce alta.
«Hic et nunc» esclamò il monaco. Non volendolo, gli avevo dato l’appiglio che aspettava per aprire una conversazione che si sarebbe rivelata lunghissima. L’uomo cominciò a parlarmi di sé, tra l’altro mi raccontò d’essere un esorcista e di avere una lunga esperienza del male, abituato com’era a vederlo negli occhi degli indemoniati.
«Cos’è che la incuriosisce in me», dissi io «ha visto il demonio nei miei occhi?»
«Oh, no. Lei ha solo lo sguardo di un uomo disperato» rispose sorprendendomi e aggiunse «mi perdoni, ho ascoltato quello che sussurrava in chiesa durante la recita del rosario.»
«Ah» feci io « e allora?»
«Nulla» mi rispose girando intorno lo sguardo «solo una considerazione: le foglie cadono, gli alberi si spogliano, tutto sembra morire. Invece tra qualche mese ogni cosa si risveglierà.»
«Già. In natura è così, ma l’uomo che muore non risorge.»
«È difficile spiegare», continuò Padre Glauci – così aveva detto di chiamarsi – «l’uomo non appartiene alla natura? In natura niente si distrugge, soltanto cambia forma.»
«Cosa vuole che importi all’uomo dei suoi resti mortali, quel che conta è che, una volta morto, non esisterà più.»
«Vuol dire che l’uomo è soltanto materia? Anche un ragazzino in età da prima comunione sa che l’essere umano è fatto di corpo e spirito. Sa cosa le dico? Ho potuto sperimentare di persona che ogni essere lascia qualcosa di sé sotto forma di energia; tracce visive e sonore talvolta sono percepibili come suoni e visioni.»
«Cos’è una sua teoria?»
«Diciamo di sì. Vede, certe cose non si possono comprendere a fondo se non se ne ha esperienza… la fede è una di queste.»
«Io sono agnostico», dichiarai per chiudere la discussione.
«Eppure ho sentito che pregava.»
«Sì, ma recitavo meccanicamente, pensando ad altro. Ero entrato solo per interesse turistico. Ho dato appena uno sguardo in giro. Domani tornerò a visitare la cattedrale, non certo per pregare.»
«Se vorrà, le farò da guida.»
Mi sembrò abbastanza chiaro che Padre Glauci non intendesse mollarmi, così gli diedi appuntamento per il giorno dopo, tanto per troncare la discussione, convinto che non sarei andato.
Invece vi andai.
Lo trovai sotto il portale centrale; mi aspettava.
«Credevo che avesse deciso di non venire», disse sorridendo.
«Perché?» feci io «il gotico mi ha sempre affascinato. Qualche volta mi sono chiesto perché il gotico piuttosto che il barocco o un altro stile.»
«Be’ vuol mettere la spiritualità del gotico… è come una lingua fatta di simboli invece che di parole. Un linguaggio cifrato come la lingua degli uccelli. Le cattedrali hanno la base sulla terra, ma s’innalzano verso il cielo; il gotico esalta questa spinta verso l’alto. Guardi quelle torri.» Così dicendo alzò lo sguardo e io lo imitai, sentendomi infinitamente piccolo. Dal basso l’immensa costruzione mi sembrò un vero colosso di pietra. Quand’anche osi camminare tra terra e cielo, pensai.
«Ma le dirò di più. Questa cattedrale sorge su un’altura circondata da una galleria sotterranea che assorbe le vibrazioni dal sottosuolo, mentre la verticalità della costruzione la espone alla influenza di radiazioni cosmiche molto intense. È un centro di energia.»
«Intende dire che chi entra in chiesa va a collocarsi nel punto energetico ideale di congiunzione tra terra e cielo?»
«Esattamente. Vedo che ha compreso.»
«Un’altra delle sue teorie?»
«Non proprio.»
«Allora, entriamo?»
«Sì, certo. Entrando in chiesa ci inoltriamo in una selva di simboli. Linguaggio non comprensibile a tutti.»
«Era questo che intendeva quando ha detto che il gotico è come la lingua degli uccelli?»
«Già, ha capito bene. Sa che la costruzione della cattedrale fu voluta dai Templari di ritorno da Gerusalemme?»
«No. Non lo sapevo.»
«Questa fu l’undicesima; ma nel giro di un secolo qui in Francia ne erano sorte altre dieci una dopo l’altra, tutte dedicate alla Vergine.
«E come mai?»
«Be’ non avvenne per caso, ma secondo un progetto preciso che ricalcava sulla terra la disposizione delle stelle della costellazione della Vergine e ne rispettava la forma e le distanze. Questa cattedrale si trova nel punto che in cielo corrisponde a Spica, la più luminosa fra le stelle della costellazione. Una sorta di Virgo riflessa.»
«Mi sta dicendo che i Templari, i mastri costruttori, insomma gli architetti del tempo conoscevano le nozioni astronomiche e di ingegneria indispensabili per una impresa simile? Ma non stiamo parlando dell’anno mille e come facevano?»
«Be’, Non lo so, ma è così. C’è anche una leggenda in proposito, poi gliela racconto. Intanto voglio farle vedere alcune cose interessanti: le vetrate anzitutto e il pavimento. Poi scenderemo a vedere la statua della Virgo paritura nella cripta. Il resto lo potrà vedere con calma con l’aiuto di una guida qualsiasi; non è bene spiegare tutto in una volta.»
Entrammo da una porta laterale della navata; io pensai in quel momento proprio a una nave. Sussurrai quel pensiero a Glauci che aggiunse: «Infatti, l’arca. Secondo una leggenda, qui dentro è custodita l’arca dell’alleanza di Mosé; ma non si sa dove e nessuno l’ha mai vista.»
All’interno della cattedrale, indicando il pavimento, l’esorcista mi fece notare una pietra rettangolare incastrata di sbieco rispetto alle altre, ne osservai la bianchezza che risaltava sulla generale tinta grigia del lastricato.
«Curiosa la posizione di quella pietra» dissi io.
«Ogni anno, al solstizio d’estate del 21 giugno, se il sole splende, a mezzogiorno un raggio che filtra dalla vetrata di S. Apollinare va a colpire questa pietra» disse padre Glauci e aggiunse: «poi in agosto, dalla mandorla del rosone che rappresenta la Vergine, un raggio di sole va a proiettarsi sulla rosa al centro del labirinto disegnato per terra. C’è sempre un labirinto sul pavimento delle cattedrali francesi che rappresentano la costellazione della vergine.»
«Se fossi venuto venti giorni prima, avrei visto quel raggio?
«Certo. Oggi il fenomeno si verifica intorno al 20 di agosto, ma una volta si verificava il 15, il giorno dedicato alla Vergine.»
In quel momento fui colpito da un dolore lancinante alla spalla e mi si annebbiò la vista. Mi accasciai su una panca.
Una suora minuta, seduta accanto a me, mi asciugò il sudore della fronte con un fazzoletto, il suo sorriso era soave come quello di una Madonna. Era lei, la suora che avevo visto nella cappella dell’ospedale, quella che aveva lasciato il suo messale sulla panca. Come mai si trovava lì? «Sono qui per te» mi disse, come se avesse indovinato il mio pensiero. A un tratto la luce invase la cattedrale. Che succedeva? Mi trovavo nel bel mezzo di un set cinematografico? Si stava girando un film sui Templari?
L’uomo vestito di bianco porta sulla tunica e sul mantello una grande croce rossa; indossa un elmo guerriero. Con fare solenne si avvicina a me: «Signore, saprete sopportare l’insopportabile?»
Sento la mia voce rispondere: «Signore, con l’aiuto di Dio saprò sopportare qualunque cosa.» Cavalieri armati sui loro destrieri interrompono la cerimonia, proprio nell’attimo in cui il monaco guerriero appoggia il mantello bianco sulle mie spalle, sono i nemici contro cui devo battermi, perché ormai anch’io sono un Templare. Devo ingaggiare battaglia; non posso assistere passivo devo lottare fino alla fine. La battaglia si scatena con furia, l’aria si impregna dell’acre odore del sangue, si diffondono i suoni metallici delle spade cozzanti e anch’io ho una spada in mano. Sto combattendo… »
«Passato? Come sta?» mi stava chiedendo Padre Glauci.
«Che è successo?» gli domandai.
«Niente di grave», rispose «ha avuto un malore, se la sente di alzarsi?»
«Sì, usciamo. Andiamo a prendere una boccata d’aria.»
«Tutto a posto?»
«Sì» dissi io «a parte il fatto che sto morendo. Ho un cancro ai polmoni, ma ora che ho trovato il punto nel cerchio dentro un quadrato e un triangolo, posso stare tranquillo, non è vero? Il punto è quello là a terra, al centro del labirinto.» Glauci mi rivolse uno sguardo perplesso, poi fece un sorriso mesto: «Ah, conosce la massima dei massoni, allude a quella?»
«Infatti» e recitai: “un punto che si situa in un cerchio che si trova in un quadrato e in un triangolo; se voi troverete il punto sarete salvi, fuori dalle pene, dall’angoscia e dal pericolo” eccolo lì, il punto illuminato dal raggio di sole, ma io sono arrivato tardi e non ho visto la luce.»
«Be’ la massima si riferisce alla salvezza in senso spirituale, tuttavia la fede aiuta moltissimo a sopportare le malattie. Si tratta di invertire le prospettive. Venga, andiamo a fare colazione.»
Passeggiammo in silenzio tra viuzze fiancheggiate da canali, ombreggiati dalle chiome di alberi secolari. Ci fermammo infine in una trattoria con i tavoli all’aperto. La città, così lontana dal frastuono della capitale, mi era sembrata deliziosa nei suoi angoli più intimi; pochi suoni intorno, fruscii d’acqua e di fronde diffondevano intorno una sensazione di pace. Dalla trattoria proveniva un odore invitante.
«Vede, non so come spiegare, ho solo quarantasette anni e appartengo già a una categoria che io stesso fino a poco tempo fa ho considerato – come dire? –estranea.»
«Cioè?»
«La distinzione che considero più sconcertante tra gli uomini non è quella tra ricchi e poveri, né tra bianchi e neri. La più iniqua tra le distinzioni è tra sani e malati. Perché un malato, specie un malato terminale, è ormai altro. Perfino i parenti, gli amici lo vedono con altri occhi, come se non fosse più la stessa persona che era da sano. Lo si guarda con rispetto, con amore anche in certi casi, ma con compatimento.»
«Compatimento? In ciascuno uomo sano si può sviluppare un tumore da un momento all’altro. Dica piuttosto solidarietà affettuosa. Non è cosa negativa, mi pare.»
«Negativa invece, perché c’è estraneità in quell’atteggiamento pietoso, un po’ come quando gli attori di una compagnia teatrale assistono all’ultima recita di un vecchio attore che sta per uscire di scena. C’è curiosità, spesso morbosa e ci si figura che il poveretto provi invidia per quelli che restano sul palcoscenico a godere degli applausi.»
«No, caro signore, non sono d’accordo. Gli altri vedono sempre la stessa persona, ma è il malato che si vede diverso, perché con la malattia viene meno il legame del sé con gli altri. Il tumore rappresenta una perdita d’integrità; in altre parole è un intruso, peggio un nemico che si porta dentro. Per combatterlo bisogna ristabilire la propria armonia interna.»
«Ma che dice? A che vale combattere contro un nemico in partenza vincente?»
«La fede aiuta moltissimo, bisogna imparare ad ascoltare il proprio corpo e… lo spirito.»
«E se il malato non crede, o ha perso la fede? Se ha poco tempo?»
«Può ugualmente godere del qui e ora: musica, carezze, profumi, immagini, sono cose che danno sollievo, gioia, forza interiore. Poco tempo, dice? Le faccio un esempio: poniamo il caso lei abbia la possibilità di visitare un grande paese. Ci vorrebbe un mese per vederlo, ma ha solo una settimana di vacanza. Che farebbe, rinuncerebbe al viaggio?»
«No. Mi accontenterei di una settimana.»
«Giusto; il paese che ha la possibilità di esplorare è la sua anima. Uno spazio infinito, però il tempo è poco e troppo vasta è l’anima. Cammini più in fretta!»
«Questo significherebbe invertire le prospettive?»
«Già, in un certo senso. Dilatare il tempo in poco spazio e viverlo intensamente, profittarne al massimo.»
«Anche questa è una sua teoria?»
«Lasci perdere. Mi ascolti invece. C’è chi guarisce, chi riesce a bloccare la malattia per anni. E anche quando il viaggio è al termine, si può sperimentare la parte migliore di sé proprio nell’ora più difficile. Si tratta di accettare la fine con un sorriso pieno, solare. Il sorriso di chi ha capito tutto.»
«Questo vale per chi ha capito. Io però non ho capito, padre Glauci» dissi congedandomi. Poi aggiunsi: «Domani parto. Mi ricorderò di lei e delle sue parole. Ho da darmi delle risposte. Troppe, forse.»
«Ne trovi una, solo una» disse e mi salutò con un’energica stretta di mano. Poi si allontanò, lasciandomi con la sensazione strana di aver parlato a un fantasma.
Il giorno seguente, prima di partire da Chartres, volli vedere un’ultima volta la cattedrale.
Mi inginocchiai di fronte alla statua della Vergine e sussurrai: «Santa Madre… io ho paura.» Non capii da dove venne la voce che rispose: «Prega per noi, santa Madre di Dio, ora e nell’ora della nostra morte.» Nessuno era intorno a me, ma avevo trovato una risposta.
Quel che conta è il messaggio, non la bocca che lo pronuncia. E forse non ero solo.
(Commento a "Nane del Toc" di Petunia)
Ultima modifica di mirella il Ven Feb 12, 2021 3:47 pm - modificato 1 volta. (Motivazione : formattazione)