"Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero." Lc 24:30-31
Han van Meegeren uscì dallo studio con le mani ancora coperte di polvere di lapislazzuli, gli occhi rossi e la mente assediata da un esercito di agguerriti pensieri. La sua lunga notte senza sonno era finita con i suoi demoni, i suoi folli propositi, i suoi dubbi senza limiti. Le candele sciolte, la morfina, il Dom Pérignon e gli impasti segreti dei colori erano ora solo ricordi vaghi, gocce di rugiada evaporate nella brezza del primo mattino. In tutto quel confuso tormento era rimasto in piedi un unico sogno proibito: affrontare Vermeer.
Han si sedette in giardino sulla panchina di pietra sotto il glicine mentre il sole nascente incendiava le ultime nuvole rimaste a sfidare le carezze del vento. Da quella posizione vedeva la costa fino a Cap Martin. Rimase lì immobile, rapito dalla magia della luce che, senza tregua, colorava la terra che affondava nel mare. E in quel tempo sospeso si arrese definitivamente al suo destino di falsario.
Han aveva pensato a ogni minuzioso dettaglio in modo maniacale. Il rigore tecnico era stato assoluto. Si era procurato le materie prime per i pigmenti, facendole arrivare direttamente dai droghieri di Londra, Winsor e Newton . Con l'aiuto dell'amico van Wijngaarten aveva acquistato da alcuni rigattieri di Amsterdam alcune tele di poco valore del XVII secolo e su queste aveva poi intrapreso per quattro anni una serie lunghissima di esperimenti. L'alchimia giusta per “trattare” la tela si era dimostrata essere molto complicata nel procedimento ma impeccabile nel risultato. Era prevista una raschiatura degli antichi strati di pittura che conservasse le fessure profonde in modo tale che queste riapparissero nel nuovo dipinto; la stesura di una resina speciale ottenuta dal miscuglio di fenolo, formaldeide, olio di trementina e olio di lillà che rendesse la pittura resistente ai solventi e alle alte temperature; una cottura in forno a 105°; l'applicazione e la rimozione di una sottile pellicola di olio di china per simulare con i residui di questa la polvere intrappolata nelle spaccature. Tutto era perfetto. Ma la perfezione avrebbe destato sospetto e così Han aveva progettato anche un deterioramento artificiale della tela e la simulazione di un suo approssimativo e antico restauro. Nessuno avrebbe distinto il vero dal falso, né il grande critico Bredius, né alcuna radiografia di controllo. Poi Han aveva pianificato quello che nessun falsario al mondo avrebbe mai fatto: la preparazione delle prove per essere smascherato. Aveva smontato il telaio, tagliato cinquanta centimetri di tela sul lato sinistro e rimontato il telaio adeguandolo alle nuove dimensioni.
Avrebbe dipinto quello che Johannes van der Meer di Delft non dipinse mai. Cristo a Emmaus sarebbe stato il soggetto dell'opera e avrebbe celebrato con ambigua ironia il trionfo del falso sul vero.
Il parallelismo tra il Cristo non riconosciuto dagli apostoli e il suo stato di misconosciuto pittore ignorato dai critici lo divertiva e lo spingeva, con un sottile e perverso autocompiacimento, a procedere, senza più alcun timore, nella sua mistificazione creativa. Durante il suo viaggio in Italia, Han aveva ammirato sullo stesso tema il capolavoro insuperabile del Caravaggio. Era rimasto colpito, quasi turbato da quella luce che, duellando con il buio, strappava il senso del vero dalla profondità delle tenebre. In lui, diventato Vermeer, la luce sarebbe nata invece dal colore e onorata in ogni sua piccola sfumatura e impercettibile riflesso. Quella sarebbe stata la sua unica concessione alla verità. Per il resto avrebbe ingannato tutti. Gli esperti si sarebbero affrettati a gridare con entusiasmo alla sensazionale scoperta del filone mistico di Vermeer, la stampa e il pubblico avrebbero seguito a ruota.
Il sole era già alto quando Han si alzò dalla panchina sotto il glicine con un forte dolore al nervo sciatico. Avanzò zoppicando fino ad appoggiarsi al palo di frassino del pergolato dove si soffermò a osservare una vela bianca lanciarsi con il favore del maestrale verso la linea blu dell'orizzonte. Con le mani che avevano ancora il colore del mare, cercò di spingerla oltre, in un viaggio impossibile e senza ritorno. Poi chiuse gli occhi, fece un sospiro profondo e con una certa difficoltà si sforzò d'immaginare i volti di Cristo e degli apostoli. Per questi ultimi aveva i modelli di Vermeer ma per Cristo intuì che la faccenda sarebbe stata molto più complessa. Riaprì gli occhi con un sussulto, disturbato dal suono sordo della campana di ottone del cancello. Chi diavolo poteva essere? Chi osava minacciare il suo prezioso isolamento? Scese con fatica per il sentiero che portava all'ingresso, spinto più dall'irritazione che dalla curiosità. Non aveva ancora smesso d'imprecare quando davanti a sé uno sconosciuto con gli occhi del Cristo gli tolse ogni parola e ogni respiro. Dopo qualche attimo di sorpresa, Han, simulando indifferenza, interrogò in un perfetto francese il visitatore.
- Chi siete?
- Mi chiamo Ruggero Baldini
- E da dove venite?
- Vengo da Lione dove per qualche mese ho lavorato come ferroviere ma...sono italiano
- ...Sì questo l'avevo capito dal nome. Che cosa volete?
- Sto tornando a casa e... se per voi non è troppo disturbo vi chiederei un posto per passare la notte.
- Non amo i vagabondi e i fannulloni per cui vi propongo un affare. Voi posate per me e in cambio avrete vitto e alloggio fino a lavoro ultimato.
- Accetto.
Han aprì il lucchetto che bloccava il cancello in ferro battuto e fece entrare lo sconosciuto con gli occhi di Cristo.
L'uomo era alto, magro e indossava abiti consunti ma puliti nei quali era intrappolata una fisicità possente. Aveva un'aria dimessa ma dignitosa, un' innata eleganza nei movimenti e quella timidezza nello sguardo che solo le persone oneste riescono ad avere. Rimase in silenzio con il cappello in mano mentre Han gli faceva strada attraverso il giardino.
Arrivati nei pressi dell'abitazione Han fece accomodare l'ospite sotto il patio, scomparve nella cucina e si ripresentò con un vassoio.
- Ecco qui per voi pane di segale, aglio e una bottiglia di vino.
- Grazie signore. Grazie davvero.
Han scomparve di nuovo ma questa volta in direzione dello studio.
Dopo un'ora di meticolosa preparazione tutto era pronto per trasformare il ferroviere italiano che tornava dalla Francia nel predicatore di Nazareth tornato dalla morte.
Quando Ruggero Baldini entrò nello studio e si rese conto chi avrebbe dovuto rappresentare, impallidì, si fece il segno della croce e con voce tremante si rivolse a van Meegeren.
- Non sono degno di prestare il mio volto all'immagine di Cristo, vi scongiuro di pregare per me! Temo la collera dell'Onnipotente.
Nonostante Han fosse completamente ateo, rimase impressionato da quella reazione e da quella strana richiesta. Così, con la tavolozza in una mano e il pennello ancora secco nell'altra Han si lanciò in un'assurda preghiera.
- Dio, se esistete, non condannate, vi prego, quest'uomo perché ha partecipato alla mia opera. Mi assumo io l'intera responsabilità. Dio, se esistete, non giudicate male la libertà che mi sono concesso scegliendo un tema biblico. Non l'ho fatto per offendervi e la scelta è una mera coincidenza.
La tensione nella stanza era perfetta. Han non voleva perderla. E mentre la luce della sera, filtrata dall'immensa vetrata dello studio, si rifletteva in ogni corpo, animandolo di una misteriosa energia, il suo tratto scivolò sicuro e fluido sulla tela.
Ultima modifica di Andrea Bernardi il Dom Set 15, 2024 12:10 pm - modificato 4 volte.