Vi conosco tutti, uno per uno.
Conosco ogni essere che vive con me. Che vive in me.
Voi umani siete gli unici a darmi qualche preoccupazione, ma voglio confessarvi che non è niente a cui non si possa porre rimedio. Se davvero volessi, potrei spazzarvi via in un attimo, le armi non mi mancano: alluvioni, maremoti, terremoti, uragani, eruzioni vulcaniche. Sono io a gestire tutto. Pensate cosa accadrebbe se provassi a scatenare simultaneamente tutti gli elementi.
Semplice, sparireste dalla mia faccia, assieme a gran parte degli animali e io non desidero questo, nonostante l’odio viscerale che provo per alcuni uomini e alcune donne.
No, perché io sono un pianeta che si affeziona e per molti di voi non posso che provare un amore sconfinato.
Prendete Louis, la mia ultima infatuazione.
Louis è un insegnante di Saint Paul, Minnesota, che per amore ha lasciato il suo paese e si è trasferito in Italia, vicino Milano.
La sua storia sentimentale con Laura è durata pochi anni, ma anche dopo la separazione Louis non se l’è sentita di ritornare nel gelo del Minnesota e ha continuato a insegnare inglese in un liceo di Rozzano.
Poi, senza accorgersene, è caduto nella depressione, mese dopo mese, prigioniero di un lavoro che non gli piaceva più e di una vita che non amava più. Dopo le ore passate a scuola si fermava al parco, vicino al quartiere delle case popolari e trascorreva ore intere ad ascoltare il canto degli uccelli e a seguire le loro corse a perdifiato nel cielo.
«Vorrei essere come voi, libero da tutto, dai pensieri, dalle costrizioni, dalle imposizioni» così diceva, ammirando le acrobazie che si succedevano sulla sconfinata tela azzurra.
Fu una calda sera d’estate, dopo che aveva ammirato i voli chiassosi delle rondini dalla grande terrazza condominiale, che decise di riprendersi la sua libertà: scolò d’un fiato la quinta birra, scavalcò il parapetto e si buttò giù dal quinto piano. Feci in modo di attutire la caduta: se la cavò con qualche frattura e pochi giorni di coma.
Nel periodo di degenza, incosciente o sotto l’effetto degli antidolorifici, sognò di essere un uccello, di vivere e volare in un immenso spazio aperto privo di confini, cosa che segnò una sorta di rinascita spirituale.
Quando uscì dall’ospedale la depressione era sparita e lui era cambiato.
Sono legata a Louis, è stato a un passo dall’essere sepolto sotto la mia pelle. Credo che se fosse morto veramente avrei utilizzato la mia energia per risvegliarlo e avrei scaraventato la cassa fuori dalla fossa.
Avrei riempito d’aria i suoi polmoni, riattivato il cuore, la circolazione, i muscoli, le terminazioni nervose, fino a quando le sue mani avessero preso a tempestare il legno della cassa permettendo ai becchini di liberarlo. Ma per fortuna non ce n’è stato bisogno.
Appena uscito dall’ospedale si è licenziato; dopo un po' ha abbandonato pure l’appartamento e ha iniziato a frequentare per strada.
«Non è come essere padrone del cielo, ma è già un inizio» disse la mattina che si chiuse per l’ultima volta il portone di casa dietro le spalle.
Iniziò a vivere alla giornata, spostandosi di città in città, utilizzando i pochi risparmi accumulati, facendo lavoretti, chiedendo l’elemosina, mangiando alla mensa dei poveri, dormendo in stazioni e nei ricoveri.
Assaporò sino in fondo l’essenza della libertà, affrancandosi da orari, imposizioni, consuetudini e pastoie sociali.
Fu in un bar di Verona che capì quale avrebbe dovuto essere il suo scopo nella vita, da lì sino alla fine dei suoi giorni. Chiese un cappuccino e si sedette a un tavolo. Il merlo indiano, dietro le sbarre della gabbia rossa, saltava su e giù da un trespolo all’altro, in modo meccanico, senza gioia.
Louis bevve un sorso del cappuccino, quindi si avvicinò alla gabbia.
«Ciao, non ti annoi lì dentro?» disse al volatile.
Il padrone del bar si voltò verso di lui e sorrise. «A Ciccio non gli manca niente, sta meglio di noi.»
Louis non sorrise e non disse nulla. Aveva già imparato ad astrarsi dalle dinamiche ipocrite di una convivenza cosiddetta civile.
«Davvero stai così bene in gabbia? Non ti manca la libertà?»
L’uccello lo guardava piegando la testa di lato, come se cercasse di dare un significato a quelle parole.
«Già, forse non l’hai mai conosciuta, o magari ti sei solo dimenticato di come è fatta. Non avere paura, la schiavitù non è così confortevole come vogliono farci credere.»
Louis gettò un’occhiata al padrone del bar che in quel momento era di spalle, impegnato a fare una spremuta con delle arance grosse come meloni. Approfittò subito dell’opportunità, aprì la gabbia e tirò fuori Ciccio dalla prigione. In pochi passi raggiunse la porta del locale e l’apri, col merlo che stava appoggiato sulla sua mano senza dare segni di nervosismo.
«Ma che cazzo…» La voce del barista era ringhiosa, colma d’ira.
«Vai, vola, goditi la libertà» disse lui, alzando di scatto la mano verso l’alto.
«Vola» replicò il volatile, sbattendo le ali e librandosi in aria.
Louis lo vide allontanarsi, scomparendo su nel cielo.
Un pugno lo colpì al naso e cadde a terra. Poi un calcio lo raggiunse al costato, troncandogli il fiato. Si rialzò a fatica, con il padrone del bar che veniva trattenuto a fatica dagli altri avventori.
Si tamponò l’emorragia al naso col davanti della maglietta e si massaggiò le costole. Era dolorante ma felice.
«Ecco, adesso il tuo merlo ha tutto ciò che gli serve. Se gli manca davvero qualcosa tornerà.»
Dopo aver pronunciato quelle parole Louis si allontanò, lasciò la città e non mise mai più piede in quel bar.
Anche il merlo indiano fece altrettanto.
Sì, la missione a cui Louis consacrò la sua vita, fu proprio quella di liberare dalle gabbie più fratelli possibili. Secondo la sua concezione, nessun essere vivente doveva essere limitato nei movimenti e nel pensiero, vivere dietro sbarre reali o immaginarie. A maggior ragione questo doveva valere per i volatili, gli unici esseri universalmente liberi. La terra e le strade potevano essere interrotte; anche gli oceani prima o poi andavano a concludere la loro corsa contro spiagge e scogliere; ma il cielo? Il cielo, lo spazio aereo era infinito e non poteva essere dominato, bloccato, circoscritto, e la stessa cosa doveva valere per le creature che lo solcavano dalla notte dei tempi. Durante il suo peregrinare attraversò l’Italia, poi la Spagna e la Francia. Liberò merli, canarini, fringuelli, cardellini, pappagallini, rapaci, e venne minacciato, insultato, picchiato e accoltellato. Qualcuno gli sparò alle gambe con un fucile e ci fu anche una vecchietta che lo infilzò alle natiche con un forchettone da cucina. Subì centinaia di denunce e si fece anche dei giorni di galera, provando sulla propria pelle l’umiliazione della gabbia.
La missione e la vita di Louis si conclusero in uno stabilimento alsaziano per il foie gras poco fuori Strasburgo. Quel giorno riuscì a dare la libertà a un’ottantina tra anatre e oche, prima di essere trafitto da un forcone scagliato da un lavoratore dell’azienda.
La magistratura ha assolto il lavoratore francese, ma io no.
Durante un improvviso temporale estivo, ho fatto in modo che un fulmine lo trapassasse da parte a parte. Lascia moglie e sei figli. Peccato.
Louis un po' mi manca, anche se adesso dorme dentro di me.
So che è morto in pace perché nell’ultima parte della sua vita ha fatto sempre ciò che desiderava e amava.
Certo, qualcuno ben indottrinato lo considererà alla stregua di un pazzo, di uno squilibrato, ma lo volete sapere? La cosa non mi stupisce affatto visto come vanno le cose. E comunque io rimango della mia idea, le persone normali rimangono le più pericolose.
Fai bei sogni Louis e vola sempre più in alto.