Quella che sto per raccontarvi è una storia triste, una storia d’amore e sull’amore e dei disastri che questo sentimento tanto desiderato può provocare.
Se siete tra coloro che ancora vi credono, che ancora pensano che l’amore possa salvare il mondo e tutte quelle sciocchezze, allora passate oltre, questa storia non fa per voi, c’è tanto altro da leggere!
Quando gli dei crearono l’universo non c’è dubbio che ebbero un occhio di riguardo per me.
Tra tanti pianeti sparsi un po’ ovunque, io sola ebbi la fortuna di avere una stella tutta per me che scaldasse le mie giornate; io sola ebbi il privilegio di avere un satellite tutto per me che illuminasse le mie notti.
Giravo su me stessa inebriandomi di tanta bellezza e sentendo tutta la gioia di quel privilegio, il sole da una parte, la luna dall’altra.
Ma feci un errore! Lasciai che su di me si sviluppassero forme di vita: ricca di orgoglio lasciai che l’acqua invadesse le mie cavità formando mari e oceani, permisi alle montagne di innalzarsi per cercare di raggiungere le fonti di luce, lasciai che forme di vita sempre più complesse si insediassero sulla mia superficie fino ad arrivare agli alberi e agli animali.
Furono proprio questi ultimi che mi fecero scoprire l’amore: ahimè, quale sventura!
Vedevo i sauri, terreni abitanti dei miei estesi territori, innamorarsi, accoppiarsi e procreare e anch’io volli assaggiare quel magnifico sentimento.
Senonché di chi può innamorarsi un povero pianeta?
Avete indovinato! Mi innamorai del sole, la stella che mai avrei potuto avvicinare pena la mia fine.
Mi limitavo a osservarlo a distanza riempiendo la mia superficie del calore dei suoi raggi, immaginando che fossero baci che quotidianamente mi lanciava, anch’egli di me innamorato.
Sciocca illusa!
“Se non posso avvicinarlo” pensai “allora manderò degli ambasciatori che possano portargli poesie e messaggi d’amore”.
Cercai tra gli animali, ma i sauri erano grossi e pesanti, come avrebbero fatto a raggiungere il sole? Ci voleva qualcuno in grado di volare per avvicinarsi tanto da non scottarsi ma abbastanza da comunicare.
Volare!
Avevo trovato la parola giusta e così mi detti da fare affinché alcuni sauri potessero sviluppare le ali, trasformare i loro arti superiori affinché fossero adatti al volo.
Ci vollero anni, secoli ma alla fine i primi uccelli fecero la comparsa tra gli animali che mi popolavano.
Non persi tempo e affidai loro i miei primi messaggi certa che presto il sole avrebbe ricevuto i miei timidi aneliti d’amore.
E invece quei maledetti che fecero?
Si innamorarono… si innamorarono del vento!
Ma si può essere più stupidi?
Va bene che in quelle teste piccoline non potevate avere chissà quale cervello, ma se qualcuno vi affida una missione dovete portarla a termine! Già allora si usava dire “prima il dovere e poi il piacere”.
Fatto sta che scoprirono la bellezza di essere trasportati dal vento una volta raggiunta una certa quota in volo e farsi cullare dalle dolci parole che a sua volta, il vento, stupido anche lui, sussurrava o urlava a seconda di come si era svegliato quel giorno.
Mi ero rassegnata a lasciar perdere la mia storia d’amore quando ecco che un bel giorno improvvisamente tutto divenne scuro; mi voltai verso il sole e quello che vidi, lo ammetto, mi fece male.
La luna si era spostata e si era frapposta tra me e lui e proprio in quel momento lo stava baciando.
Voltai lo sguardo e mi rinchiusi nella mia tristezza cosicché non mi accorsi che quegli stupidi uccelli, sicuramente incitati dal vento che aveva cominciato a soffiare con inusuale violenza, si alzarono tutti in volo e si diressero verso la luna gracchiando i loro versacci terribili.
A modo loro mi stavano mostrando affetto e fedeltà ma l’effetto fu disastroso: la luna, vistasi minacciata nel suo amore verso il sole, si allontanò per tornare nella sua posizione abituale ma nel rientrare incrociò un asteroide che, con inaudita violenza, mi scagliò contro!
Non so quanto tempo mi ci volle per riprendermi ma so per certo che quando avvenne io non ero più la stessa.
Non solo ero irrimediabilmente ferita “fisicamente” ma lo ero innanzitutto dentro di me.
Mi accorsi che un fitto pulviscolo mi circondava impedendo all’amato sole di raggiungermi con il suo calore e la sua luce.
Ero in una sorta di penombra ovattata lontana da tutto ciò che amavo e mi sentivo tradita da tutti, dalla luna, dal vento, dagli uccelli.
La vendetta della luna era stata perfetta, non potevo più vedere il sole e lui non poteva più accarezzarmi con i suoi raggi.
Tutto era silenzio, percepivo l’odore della morte.
Dovette passare ancora molto tempo prima che mi rendessi conto che non tutto era irrimediabilmente perduto.
Qualcosa era sopravvissuto; anzi, qualcuno.
Avete indovinato, proprio loro, gli uccelli!
Il vento li aveva salvati, avvisandoli pochi istanti prima dell’impatto dell’asteroide; e salvando loro aveva salvato la vita e, di conseguenza, anche me.
Non fu semplice nemmeno per gli uccelli sopravvivere nel periodo successivo all’impatto, il freddo era tanto e il cibo poco e anche il vento faticava parecchio a raggiungermi per sollevarli e portarli al di sopra del fitto pulviscolo a scaldarsi un po’.
Ridussero le loro dimensioni e il loro piumaggio divenne più fitto e folto, costituito da una lanugine che manteneva il calore accumulato più a lungo.
Si sentivano anche in colpa per aver provocato la reazione della luna e quando percepirono il mio stato d’animo cominciarono a cantare per sollevarmi il morale.
Impararono a cantare e non smisero più raffinando via via questa loro dote; soprattutto al mattino presto si davano un gran da fare per cinguettare, da ogni parte e in ogni luogo, svegliandomi con gioia.
Passarono secoli prima che il pulviscolo finisse di depositarsi e io tornassi a vedere la luce del sole e a scaldarmi ai suoi raggi ma se riuscii a sopravvivere il merito fu degli uccelli che intanto ripresero il loro bellissimo rapporto con il vento al quale spesso si abbandonavano in voli che li portavano in lunghi viaggi intorno a me.
Furono ere sempre più belle e serene ma un bel giorno anche questo idillio ebbe fine: arrivò l’uomo…