“QUADERNO DELLE FRUSTRAZIONI”
Inizio questo quaderno per non mandare affanculo mio padre.
Lo amo, ma quando si impunta è difficile per lui non trattarmi da studentessa, senza considerare davvero le mie esigenze di figlia.
Per non rovinarmi le giornate facendo il muso lungo, ho deciso di mettere tutto per iscritto. Scrivere mi rilassa nei momenti di tensione e, una volta che avrò riempito le pagine, le brucerò per liberarmi dall’amarezza.
Frustrazione 1
Quest’estate ci sono i mondiali, e i miei compagni stanno evitando gli esami per guardare insieme le partite. Invece, mio padre ha deciso di portarci in uno dei suoi road trip padre figlia. Che sembrano fighi ma alla fine si tratta di vacanze studio.Frustrazione 2
Negli altri road trip, mi ha fatto scegliere tra varie destinazioni, almeno due; questa volta NO.Ho provato a dirgli che volevo rimanere in Europa, ma la conversazione è andata più o meno così:
Figlia: Senti. Rimaniamo in zona. la Spagna, la Croazia, La Svezia che so… LA GERMANIA.
Padre: Elisa, cara bimba del mio cuore, le mete che hai menzionato non sono pertinenti.
Figlia: Pertinenti?
Padre: Sì. Visto che stai studiando ingegneria ambientale, ho pensato a un viaggio sulle rinnovabili.
Figlia: Ottimo. I mulini in Olanda.
Padre: No, ma ci sei andata vicina: le torri captavento in Iran.
Aveva già deciso la SUA destinazione: l’Iran rientra in pieno nel suo campo di studi.
Me lo vedo, di notte, scervellarsi per cercare di adattare le sue ricerche filologiche alle mie, e ha tirato fuori l'idea di queste torri del vento.
Frustrazione 3
Quale padre ragionevole porterebbe una figlia femmina poco più che ventenne in un paese teocratico dove i diritti delle donne sono inesistenti?Con mia madre, sono andata a comprare abiti che coprano le gambe, scialli e camicie di lino con maniche lunghe. In pratica, ho dovuto rifare completamente il guardaroba estivo.
***
“QUADERNO DELLE IMPRESSIONI DI VIAGGIO”
Ho ritrovato il quaderno mentre facevo le valige e ho riso, mentre rileggevo le mie “frustrazioni”. Alla fine, una volta preparato il viaggio, mi sono lasciata coinvolgere dall’entusiasmo di mio padre. Per questo ho deciso di annotare qui tutto quello che vedrò.
Non mi aspettavo di essere così colpita all’arrivo a Yazd. Qui, il vento sembra avere vita propria, rende difficile tenere su lo scialle che, oltre a coprirmi i capelli, mi ripara dalla sabbia. Le maniche lunghe, inizialmente imposte, sono diventate essenziali contro il sole rovente.
I miei occhi si alzano verso l'imponente moschea di Jameh, i cui alti minareti sembrano toccare il cielo. Le piastrelle blu brillano sotto il sole, creando un contrasto perfetto con la terra ocra intorno a noi.
Passeggiamo verso il giardino Dolat Abad, dove la torre più alta si erge come una sentinella nel deserto. Sono colpita dall’ingegnosità di questa città, progettata per prosperare in un ambiente così arido. Non avrei mai immaginato che Yazd potesse essere così bella e viva, nonostante il deserto che la circonda.
Il vento qui continua a sorprendermi. Non è come quello di casa, che spazza via tutto con furia. No, questo vento è più paziente, entra lento, ti avvolge, quasi senza che te ne accorga. E poi ci sono quelle torri... le badgir. Sono stata trascinata qui per loro, ma non me le aspettavo così, grandi e massicce. Le fessure che le attraversano, lunghe e strette, donano eleganza alla struttura.
Quando il vento le raggiunge, è come se le torri lo guidassero. Hanno una specie di accordo con l'aria. La fanno entrare, la lasciano scivolare dentro, la rendono fresca, leggera. Sotto il profilo tecnico le sto studiando ma non quello ad attrarmi.
Oggi, mentre camminavo per raggiungere ancora una volta le torri, i profumi delle spezie nell’aria mi hanno avvolta, raccontandomi la storia olfattiva di questa terra. Ho bevuto un tè bollente e dolce che mi ha fatto dimenticare il caldo torrido, ma ancora non so cosa mi spinga a tornare ogni giorno lì. Forse spero che quel processo di raffreddamento dell’aria alleggerisca anche me. Ero persa in quei pensieri, quando una ragazza, muovendosi tra le donne con una forza sorprendente, ha catturato la mia attenzione. La sua presenza è così potente che sembra non indossare nemmeno l’hijab.
L’ho vista di nuovo. Sono sicura sia lei. Il suo passo è inconfondibile. Sono due giorni che, mentre mio padre studia testi in farsi all’università, io me ne sto in questo piccolo locale, per fortuna all’aperto, in cui le donne possono riunirsi tranquille.
Oggi ho provato a fermarla, ma non ci sono riuscita. E se non parlasse inglese? Se non gradisse le attenzioni di una straniera? Se disturbo?
Allora l’ho osservata. Sembra avere delle amiche che vengono qui, dato che si è fermata per dei dolcetti e un tè. Anche in una situazione così gioviale, la sua presenza è tempestosa.
Ho scoperto che tutte le ragazze che frequentano questo posto sono studentesse universitarie. Sono molto brillanti e riesco a parlare bene con loro, trovando sempre temi interessanti da condividere. Purtroppo, però, lei non si è più fatta vedere. Le altre dicono che, anche se non studia all’università, passerà. Lo fa sempre, come se fosse attratta dall’atmosfera che si respira qui.
È passata, si chiama Nahid.
Sembrerò sciocca. Ingenua. Naif.
Da quando l’ho conosciuta, però, questo viaggio è cambiato. La città, gli studi di mio padre, i miei tour istruttivi, tutto è stato spazzato via dalla sua presenza. Come un ciclone, mi ha attirato nel suo occhio e ogni cosa ha preso un senso diverso.
Da quando ho scoperto che parla fluentemente inglese è stato facilissimo legare, anche per me che sono timida. Le ho raccontato tutto, mentre di lei non so niente. Ho provato a chiedere, ma è difficile spostare la sua attenzione. Si è messa in testa di aiutarmi con i miei studi, ma vuole farlo a modo suo; per questo domani mi porterà nel deserto.
***
“QUADERNO DEL DESERTO”
Il cielo nel deserto sembra più grande, aperto, come se ci fosse troppo spazio tra noi e l’orizzonte. Per questo ho camminato per tutto il tempo con il velo sul viso, mentre Nahid avanzava sicura accanto a me: le sue gambe corte si muovevano con una determinazione che a me manca del tutto. Da lontano, le Torri del Silenzio sembrano due colline gemelle, spoglie, senza niente di vivo intorno. La strada che le separa dalla città è piatta, come se tutto ci volesse condurre a quel punto senza deviazioni.
“È strano, vero?” Ha detto Nahid, “Per i miei antenati, questo era un luogo sacro.”
Ho annuito, non sapendo bene cosa dire. La città si allontana, le cupole, i vicoli stretti, il rumore dei bazar sono solo un ricordo, e davanti a noi c’è il silenzio, un silenzio pesante, quasi palpabile. Mi sono sentita piccola, non solo accanto a Nahid, ma davanti alla vastità del deserto.
“La prima volta che sono venuta qui ero una bambina,” ha continuato Nahid. “Pensavo fosse inquietante. Servivano per i morti. I corpi venivano lasciati qui, esposti all’aria e agli animali, per non contaminare la terra. Era un modo di restituire tutto alla natura. Era rinnovabile, come direste voi. Ora capisco che è un luogo di pace.”
Mi sono fermata un attimo a guardare la forma circolare delle torri; lei no: ha solo rallentato il passo, per darmi il tempo di assorbire l’energia del luogo.
Avevo il cuore in gola quando siamo arrivate ai piedi della collina perché le torri, da vicino, sono imponenti.
Poi si è alzato il vento e per un momento lo scialle mi ha coperto il viso e ho sentito Nahid ridere teneramente.
Quando sono riuscita a districarmi dal velo, ho visto il diavolo di sabbia.
Si avvolgeva su sé stesso, alto e sottile, come un vortice di granelli che luccicavano al sole, creando spirali dorate. Si spostava di poco, come se aspettasse qualcosa.
Sono rimasta affascinata da quel fenomeno che non avevo mai visto dal vivo.
Un piccolo tornado comparso dal nulla.
“Tu sei come quel tornado lì.” ho detto, quando ormai eravamo in silenzio da troppo. “Il cielo è sereno, tutto sembra andare bene, ma tu arrivi e non riesci a trovare una quiete.”
“Se girassi così veloce, il velo volerebbe via.”
“Saresti libera.”
Mi ha guardato con sfida; credevo sarebbe fuggita, lasciandomi nel deserto a farmi consumare, come accadeva ai morti. Invece ha preso il suo hijab, se lo è strappato di dosso e lo ha lanciato verso il diavolo della sabbia che, in un attimo, come si era formato si è dissolto, lasciando il velo a terra coperto da granelli di polvere.
È stata la prima volta che ho visto i capelli di Nahid, tempestosi come lei, i più lucenti che abbia mai visto. Sono mossi e le arrivano alle spalle. Mi sono vergognata dei miei, sottili e lisci, ma ho preso lo scialle e l’ho lanciato anche io.
“Ora siamo libere. Io mi sento bene, e tu?”
“Io mi sento strana. Sono libera qui” indicando i capelli “ma non sono libera, qui.” E si posata la mano sulla pancia. È stato strano, come se del cuore non le interessasse.
Ha pensato al ventre. Al suo centro.
Era difficile affrontare certi argomenti senza banalizzarli, ma non ho trovato un'alternativa migliore.
“Dovresti studiare. Come le tue amiche del caffè. Non so nulla di te. Ma se studiassi saresti più libera. Potresti pure andare all’estero. Magari venire a trovarmi in Italia.” Ho sorriso per l’imbarazzo perché mi sono sentita una sciocca.
“Ho paura.” E per la prima volta l’ho vista quietarsi. “Forse è per quello che vortico come un tornado. Per paura di stare ferma e rendermi conto di quanto sia precaria la mia esistenza. Per difendermi dalla vita qui.”
Non ho saputo fare altro che voltarmi verso i veli che giacevano poco lontano. Li ho raccolti e, con un gesto deciso, ho iniziato a girare. Le gambe si sono mosse più veloci del solito, i piedi affondavano nella sabbia, ma ho continuato, con forza.
Mentre i veli si sollevavano attorno a me, ho preso Nahid per la mano, e insieme abbiamo iniziato a girare. I nostri movimenti si sono sincronizzati, creando un vortice di corpi e stoffa, un ritmo condiviso che non voleva fermarsi. Il vento mescolava i nostri capelli e i veli, amplificando ogni gesto. Per la prima volta, non sono stata io a seguire qualcuno. Ho trascinato Nahid, e insieme abbiamo girato come un unico tornado, lasciando che fosse il mio ritmo a guidare.
Mancano pochi giorni alla partenza. Dall'Italia arrivano ancora notizie di festeggiamenti, ma la cosa non mi entusiasma, anzi.
Nahid ha ricominciato a vorticare. Dopo un primo momento più calmo e riflessivo, è tornata a portarmi da una parte all’altra della città, ma questa volta ci ho messo del mio. Ho portato gli appunti, le ho spiegato dei dettagli tecnico-architettonici: è stato bello unire le nostre visioni.
Mi mancherà Yazd.
Mi mancherà la Yazd di Nahid.
Mi mancherà Nahid.
***
QUADERNO DEL DOLORE
Trovare questo quadernino nel cassetto della tua scrivania è stato come averti di nuovo qui. Ma non ha attenuato la sensazione disgustosa che ha lasciato la sentenza.
Dopo quindici anni, siamo ripiombati nell’incubo. Ci siamo stretti attorno alle famiglie coinvolte nel processo, ma quella decisione è dura da digerire: dovranno persino pagare le spese legali.
Il comportamento dei ragazzi è stato considerato “incauto”. La legge ci sbatte in faccia questa realtà: siete morti perché siete stati incauti, non perché le case del centro si tenevano su con lo sputo. Non perché il terremoto ha raso al suolo tutta la città. No, siete stati incauti.
Questo dolore mi ha spinto a rimettere piede nella tua stanza. Era da anni che non sentivo più fisicamente la tua presenza. Nei nostri cuori e nei ricordi sei sempre lì, ma quei luoghi non li viviamo più. Sono fossilizzati nel tempo o sepolti.
Hanno estratto il tuo corpo dopo sei giorni. Sei stata tra le ultime, abitavi al piano rialzato e, quando è arrivata la prima scossa, non sei riuscita a scappare. Dicono che non hai sofferto, che la tua è stata una morte istantanea, ma questo non mi consola. Anzi, dopo aver letto queste pagine, sono ancora più dilaniata.
Non avevo notato grandi cambiamenti dopo quel viaggio, sembravi solo più frizzante. E invece sembra che quell’esperienza ti abbia cambiato davvero. Abbiamo litigato spesso per la tua indolenza ma, se ti fossi aperta con me, magari ti avrei aiutata a vorticare ancora di più come un... Adesso so come si chiama, diavolo di sabbia.
Questo mi fa pensare a quante volte mi sia sentita esclusa, vedendoti legata così tanto a tuo padre, grazie alla conoscenza. Vi capivate e vi stimolavate a vicenda. Ora sembra morto anche lui. Non ha più stimoli e io devo fare per due. Ma va bene così. Tenermi in movimento mi dà la forza di andare avanti, e così farò.
Io non sono un piccolo diavolo della sabbia, sono un tornado, e ora troverò questa ragazza. Costi quel che costi. Userò il recapito che ho trovato nel quaderno e la troverò. Non so perché, ma sento che devo farlo, per non essere spazzata via.
***
QUADERNO DEL SILENZIO
Mi sembra incredibile. All’inizio l’ho fatto solo per avere qualcosa da fare, ma poi anche tuo padre si è interessato. Ricorda ancora quell’ultimo viaggio insieme; non sa che per un periodo lo hai odiato, ma questo non glielo dirò mai. Rimarrà il nostro segreto.
Ci siamo lanciati insieme alla ricerca di questa ragazza. Temevamo fosse impossibile, ma grazie alla competenza linguistica di tuo padre e alle sue vecchie conoscenze universitarie, ce l’abbiamo fatta.
Nahid ora abita in Italia.
L’abbiamo invitata qui a L’Aquila e lei ha accettato subito.
Sarai felice di sapere che non indossa più l’hijab. L’ho riconosciuta da lontano: è vero, ha un modo di camminare che la rende inconfondibile.
Sei anni fa, quando è arrivata in Italia per motivi di studio, uscire dall'Iran era già una sfida. Oggi, nel 2024, la situazione non è migliorata: nonostante la continua rivoluzione delle donne iraniane, è quasi impossibile lasciare il paese senza un motivo accademico o lavorativo.
Si era iscritta all'università iraniana, ma tra le lacrime mi ha detto che è stato merito tuo se, una volta in Italia, ha deciso di proseguire gli studi in ingegneria ambientale. Ricorda ancora i tuoi discorsi sulle rinnovabili, i tuoi sogni sulle torri captavento. Quando l’ha detto, tuo padre ha avuto un moto d’orgoglio che lo ha illuminato.
Hai lasciato una traccia, Elisa. Anche se sei andata via troppo presto, il tuo spirito ha trovato un modo di continuare a girare, come un vento che non si ferma. Vive attraverso Nahid, attraverso quei sogni di libertà che hai seminato e che adesso si stanno realizzando in modi che forse non avresti nemmeno immaginato.
Vive a Reggio Emilia. Ha rinnegato la fede e ha sposato un italiano. Ci ha mostrato le foto: un uomo affascinante, di sicuro non il tipo che ti avrebbe fatto perdere la testa, visti i tuoi pessimi gusti.
È rimasta solo per due giorni, ma dice che tornerà a trovarci. Intanto abbiamo deciso che, quando tornerà in Iran a trovare i suoi, porterà con sé il quaderno. Lo lascerà alle Torri del Silenzio, in balia del vento, dove sarai libera.
Forse, in quel vento, troveremo anche noi un po' di pace.
Addio, bambina mia.