Vi propongo il racconto che non è stato accettato al quarto step di Pacharama. Penso che lo rielaborerò nella chiave giusta, le celluline ci stanno già lavorando un po'. Mi è spiaciuto? Certo che sì, ma almeno, leggendo i racconti in gara, imparerò.
Buona lettura.
Buona lettura.
Rita era seduta sul divano, silenziosa e immobile. La giornata era stata faticosa, interminabile: tutta quella gente, tutte quelle parole inutili!
Poco prima, chiudendosi la porta alle spalle, aveva sperato di riuscire a liberare quel pianto che da settimane ricacciava indietro. Anche quel giorno, forse per pudore o perché il dolore di una madre è così intimo, così devastante… così suo.
Sapeva che il peggio doveva ancora venire: la morte di un genitore è nell’ordine delle cose, ma una figlia! E così crudelmente in fretta: sei mesi prima una caduta banale, un medico scrupoloso e una sentenza senza appello.
A un tratto si guardò in giro, incredula: era tutto come prima, come non fosse accaduto nulla!
In quel momento avrebbe voluto urlare, buttare tutto all’aria, trovare in quello sfogo un po’ di sollievo, pur sapendo che non sarebbe servito a nulla. Ma non ne aveva le forze: la stanchezza e la tensione degli ultimi mesi l’avevano asciugata e le ultime energie le pareva di averle spese nell’accompagnare Elena al cimitero.
La donna si alzò, aprì una vetrinetta, prese una tazzina e la lasciò cadere, indifferente, poi un piattino, un’altra tazzina…
Dino, il marito, arrivò di corsa e lei gli si avventò contro:
«Perché Elena? Perché non io? O tu?» un sussurro, urlato.
«Non lo so, Rita. Non lo so.» Aveva gli occhi gonfi e l’aria sfinita.
Lei lo scostò bruscamente e andò nella camera di Elena; la stanza era in penombra e lei si sdraiò sul letto, abbracciando il cuscino e respirando piano, sperando di risentirne il profumo, ma c’erano lenzuola pulite.
Il giorno prima di entrare in clinica Elena l’aveva riordinata per bene,” così quando torno…”, facendosi aiutare da Cinzia, la sua grande amica: non da lei ma da Cinzia, che se n’era andata con una borsa di pupazzi e libri.
Respiro dopo respiro si addormentò.
Durante la notte fu svegliata dalle avvisaglie di un temporale: si affacciò alla finestra, le piacevano questi temporali che sapevano di estate ormai agli sgoccioli, col vento che portava il profumo di una pioggia ormai vicina. Lei ed Elena si mettevano lì, lasciandosi spettinare e aspettando le prime gocce, i primi lampi.
Qualche giorno dopo Rita stava fissando i pigiami nuovi che aveva comprato per Elena, con l’assurda speranza di una madre disperata che quei capi la tentassero, squarciando il velo del coma, quando suonarono alla porta: era Cinzia, con quella una borsa:
«Vorrei tenere queste cose ma tu ne hai più bisogno. Ehm… c’è una cosa di Elena che devi vedere, se te la senti.»
Dalla borsa prese una cartella, chiusa con dei laccetti e rivestita di una stoffa a fiori: al suo interno c’erano appunti, fotografie, un libretto rilegato con un nastro rosso e una chiavetta, con caricati anche alcuni video registrati da Elena negli ultimi mesi.
Rita avvia il primo video.
«Ciao Cinzia, ti ricordi quella nostra idea di scrivere un libro per bambini? Io le storie, tu i disegni? Adesso lo facciamo e non abbiamo molto tempo, sai com’è il Natale, no? stamattina maggio, stasera vigilia. Vabbè, ieri ho conosciuto una bimbetta…»
Rita fermò il video: era ancora la sua Elena di prima che tutto iniziasse, o finisse, come sperava di riuscire a ricordarla per sempre.
«No, non sono pronta per…, raccontami tu di questa storia, ti prego.»
Cinzia ricordava bene l’emozione con cui Elena aveva raccontato di quel giorno e sperò di riuscire a rendere quei momenti con la stessa intensità, forse anche per preparare Rita a rivedere la commozione di Elena.
Il giorno prima del video Elena era andata al funerale di Gioele, che per tanti anni aveva gestito una cartoleria in paese. La chiesa era gremita e nel leggero brusio dell’attesa del prete si era intromesso il rumore di una sedia trascinata: era Stella, la nipotina di Gioele, che aveva messo la sedia accanto alla bara ed era stata lì per tutta la messa, con una manina poggiata al feretro. Piangeva e stringeva sotto l’altro braccio un quaderno rigonfio, legato con un nastro rosso. Nessuno aveva provato ad allontanarla.
Rita non perdeva una parola di Cinzia, immaginando la voce di Elena che racconta di come la bimba, uno scricciolino, “quasi un’immagine d’altri tempi con un vestitino blu, calzine bianche e scarpe di vernice”, non avesse smesso di piangere neanche al cimitero, inconsolabile, stringendo sempre quel quaderno, e di come fosse tornata indietro di corsa, alla tomba del nonno.
“Sono in collera con te, nonno, proprio in collera. Avevi promesso di portarmi nel posto dove il vento suona la musica e invece sei morto! Non dovevi morire, avevamo tante cose da fare. E io come faccio adesso? Guarda, guarda quante pagine dovevamo ancora scrivere!”
Poi aveva gettato il quaderno sulla terra smossa.
Elena si era avvicinata, anche lei piangeva e la piccola le aveva chiesto: “Ce l’hai un fazzoletto? Ti cola il naso.”
Si erano divise, con una mezza risata, un paio di fazzoletti poi Elena aveva convinto Stella a non lasciare lì il quaderno:
“Non puoi lasciarlo qui, si rovinerà - le aveva detto - Sta arrivando un acquazzone, il vento porterà via i fogli, i disegni e con la pioggia non si potrà più leggere nulla”.
Dopo averci pensato su, Stella lo aveva ripreso e chiesto a Elena se voleva vedere le foto che scattava il nonno: “A lui piaceva fotografare il vento, guarda.”
«Sai Rita, non ci volevo credere, ma davvero in quelle foto, davvero belle, c’è sempre il vento, invisibile ma c’è. Stella, che deve avere sette, otto anni, aveva scritto anche qualche pensierino per ricordarsi le storie che Gioele le raccontava, e aveva incollato foglie, fiori, spighe, persino un paio di piume di uccellino. È stato in quel momento che a Elena è venuta l’idea di un libro, solo per Stella. Si è fatta prestare quel quaderno dai genitori, ha scannerizzato tutto ed ecco cosa ne è venuto fuori.»
Il libriccino era di poche pagine, con una rilegatura a mano da finire: Elena aveva elaborato con uno stile semplice i pensierini altrettanto semplici di Stella, mentre Cinzia aveva ingrandito le foto in disegni a pastello dai colori delicati, aggiungendovi le figure di Stella e Gioele.
Stella che corre felice in un prato rigoglioso, inseguendo piccole piantine che stanno salendo su un treno; Stella che a occhi chiusi ascolta il suono delle spighe mosse dal vento, coi capelli che paiono seguirne lo spirare. E poi un Gioele che rincorre il cappello, in un altro un nido portato dal vento, con dentro due uccellini che ridono, il gilè svolazzante.
E loro due su una barca, ferma sulla spiaggia: Stella sta indicando una nuvola scura, che somiglia tanto al viso di una persona che sta soffiando sul mare, dove spumeggiano grandi onde.
In un ultimo disegno Gioele porta sulle spalle Stella, che a braccia spalancate pare pronta a spiccare il volo. La sua vita.
In quel momento entrò Dino e in silenzio le ascoltò leggere a mezza voce quelle piccole storie.
Storie di un nonno che fotografava il vento
Gioele è una persona speciale che faceva cose curiose: a dicembre vendeva quaderni e matite vestito da Babbo Natale, mentre per i libri dei compiti per le vacanze indossava una maglietta con scritto “Bagnino di montagna”. Ma non è tutto: lui fotografava il vento e in questo libriccino ci sono le storie sue e di Stella, la sua nipotina.
Il treno dei semini
«Forza, svelta, preparati che andiamo a fotografare il vento!» disse un giorno Gioele a Stella.
«Ma non si può, il vento non si vede!» esclamò la bimba.
«Oh sì che si può e lo faremo assieme.»
Il nonno portò Stella in un prato dove l’erba era molto alta e c’erano un sacco di fiori: ad ogni folata di vento l’erba si piegava e in quel preciso momento… clic, ed ecco la foto di un vento gentile e un po’ birichino. È un vento leggero, che arriva da lontano, ma non si fermerà, non può fermarsi: è il treno dei semini.
«Un treno dei semini? Non raccontare bugie, nonno!» disse Stella mentre raccoglieva ranuncoli, fiordalisi e qualche papavero.
«Niente bugie. Le piante e i fiori vorrebbero viaggiare, vedere il mondo, ma le radici non glielo lasciano fare. Allora affidano i loro semi al vento, che è come un treno, così possono vedere posti lontani e trovare il posto dove mettere radici.»
«Un treno? Ma allora ci sono anche le stazioni!»
«Certo, a volte sono qua vicino, magari nel prato poco più in là, a volte molto lontano. E qui arrivano i semi partiti da chissà dove. Che dici se facciamo partire qualche semino anche noi?»
Gioele e Stella cercarono nel prato dei fiori di tarassaco ormai diventati soffici palline e soffiarono via i piumini, aspettando il momento in cui passasse il trenino!
I dispetti del vento
Gioele voleva fotografare l’arrivo di un temporale e Stella aveva insistito per accompagnarlo, nonostante non fosse proprio una bella giornata. Erano andati a trovare Mimmo, un contadino che aveva dei bei campi di grano e di mais.
«Vuoi sentire il grano che ticchetta? Sai, come quando giochi coi legnetti dello Shangai?»
Si inoltrarono tra il grano e Gioele passò la mano sulle spighe, ormai mature: «Lo senti questo rumore? Aspetta, adesso sta arrivano un po’ di vento, e lo sentirai meglio.»
Stella si piegò sulle spighe, per ascoltare meglio: «Allora quando mangerò un panino, magari sentirò questo tic tic?» chiese sottovoce.
«Può darsi, ma non te lo assicuro. Questo vento mi sa che lo porterà lontano, meglio che torniamo a casa, prima che porti via anche noi.»
“Il vento di eri è stato molto dispettoso: ha buttato per terra il grano e anche le tegole del tetto della casa di Mimmo, e ci ha fatto cadere sopra un grande albero. Non mi piace questo vento.”
La barca e la giostra
Gioele e Stella sono andati al mare, nel paesino dove il nonno era stato bambino. Sulla spiaggia avevano trovato una vecchia barca: alcuni bambini ci stavano giocando, facendo finta che fosse una nave di pirati.
«Ma tu, nonno, andavi a pescare con la tua barca?»
«Qualche volta, ma con una barca grande, un peschereccio, assieme a mio padre. Però io avevo anche una barchetta tutta mia, non molto grande, con una piccola vela e un remo solo. Solo che un giorno ho combinato una gran disastro. Vuoi sapere cosa ha fatto questo nonno un po’ monello?»
«Con tre orecchie, come dice nonna!»
«Un giorno volevo andare a pesca da solo, appena fuori dal porto, con la mia barca, ma mio padre e anche gli altri pescatori mi dissero che era meglio non uscire in mare: non c’era molto vento, ma quando soffiava aveva l’odore di una tempesta in arrivo. Io non sapevo ancora cosa volesse dire, e di nascosto partii lo stesso. Per un po’ dovetti remare, ma fuori dal porticciolo issai la vela. Che bello essere spinti dal vento! C’erano anche dei gabbiani che volavano in alto e sai? Ricordo di aver visto passare anche un paio di nidi, con dentro degli uccellini!»
«Davvero? Come sulla giostra dei dischi volanti! E se cadevano?»
«Beh, gli uccellini imparano presto a non cadere e poi ci sono uccelli, come le cicogne e le oche, che quando vanno a cercare il caldo si lasciano trasportare dai venti, là in alto.»
«E poi cosa ti è successo?»
«Eh, il vento era diventato molto molto forte e io non sapevo cosa fare: la vela non mi obbediva e avevo molta paura. C’erano dei gran nuvoloni in arrivo e non riuscivo a vedere bene il porto. Per fortuna alcuni pescatori mi hanno visto e sono venuti a prendermi. Che sgridata mi son preso! Mi hanno tirato a bordo di un motoscafo ma la barca l’abbiamo dovuta abbandonare. L’ho ritrovata il giorno dopo sugli scogli: ho dovuto lavorare un intero inverno per ripararla.»
«Ma allora era un vento cattivo, come quello di Mimmo?»
«Non ci sono venti buoni o venti cattivi: quando sarai più grande ti spiegherò come nascono i venti, da dove arrivano e perché qualche volta fanno anche dei disastri. Oggi però… facciamo volare la sabbia! Che dici?»
“Oggi ho fatto volare la sabbia! Ero molto contenta, ma poi mi è finita negli occhi. Il nonno ha detto che non sarò mai un marinaio se non imparo da dove arriva il vento.”
La raccolta di raccontini finiva così, anche se c’erano ancora un paio di fogli pronti per un nuovo disegno. Sulla pagina dove ci sarebbe stato un altro breve capitolo, un postit: mamma, papà adesso dovete vedere l’ultimo video.
Entrambi sperarono fosse in uno dei suoi giorni buoni, o magari di prima che tutto iniziasse.
Invece Elena era seduta sul suo letto d’ospedale, pallida, smagrita e sorretta da grandi cuscini.
«Ciao mamma, ciao papà, se vedrete questo video, beh le cose sono andate come sapevamo. Lo so che state molto male, mi vien da dire per colpa mia, ma… nessuno ha colpa. Tutto sta andando molto in fretta e spero che ci sia stato il tempo per dirci un po’ delle cose… non saprei cosa, ma avremo trovato di sicuro qualcosa.»
Rita e Dino si strinsero le mani, accogliendo poi nel loro abbraccio Cinzia: quella stessa notte Elena era entrata in coma.
«Ho un favore da chiederti, mamma: finire il libro, manca solo un capitoletto e so che saprai trovare il modo di spiegare a Stella quello che abbiamo visto e fotografato. Ricordatevi che vi voglio bene.»
Nei giorni successivi, mentre Cinzia lavorava sui disegni, Rita riprese dimestichezza con la scrittura, lasciata da parte anni prima. Lavorò da sola, la sera tardi: in quelle ore, quando la sera si trasformava in notte, i pensieri si quetavano e ogni parola, ogni riga scritta attraverso un velo di lacrime parevano toglierle un piccolo peso dal cuore.
Poi unirono i loro lavori, inserendo una piccola prefazione all’ultimo capitolo.
Cara Stella, tuo nonno voleva portarti in un posto magico, ma non ha fatto in tempo a dirti dove. Noi abbiamo trovato quel posto e ci siamo andate proprio in un giorno adatto a fotografare il vento e sai? Tuo nonno aveva proprio ragione: il vento fa suonare gli alberi e, in mezzo alla musica, una voce ci ha raccontato quello che ti avrebbe raccontato lui.
Elena e Cinzia
I violini del vento
In una valle sulle Alpi, la Val di Fiemme, ci sono foreste fittissime, con alberi che portano dentro di loro una grande magia. I venti che arrivano da ogni parte del mondo raccontano storie bellissime, che parlano di nevi che non si sciolgono mai, di deserti così caldi che se metti un tegamino sulla sabbia e ci sgusci dentro un uovo… frigge in men che non si dica. A volte questi venti portano anche un po’ di quella sabbia. Gli alberi si tengono strette queste storie, le nascondono negli anelli del loro tronco, altrimenti qualche vento un po’ troppo birichino potrebbe portarle via.
Poi arriva il momento di tagliare qualcuno di questi alberi, perché sono pronti per essere trasformati in violini da bravissimi liutai. Ci sono persone che sono sicure di aver sentito musiche bellissime, che altri venti porteranno lontani, assieme al coro di tanti uccellini.
Per questa storia, nel disegno, c’erano un uomo con un capello con la piuma e uno zaino sulle spalle che camminava su un sentiero nel bosco, tenendo per mano una bimba: anche se i tratti erano appena accennati, non era difficile intuire i sorrisi e gli sguardi complici dei due.
Sugli alberi, le cui chiome erano appena piegate dal vento, erano appesi tanti violini: piccoli, grandi e su alcuni di loro erano posati degli uccellini mentre altri se ne stavano ben composti sui rami e dai loro becchi uscivano pentagrammi dalle note colorate.
Il libriccino si chiudeva con un ultimo disegno che raffigurava Elena, Cinzia e Stella mentre facevano volare un grande aquilone; sullo sfondo Gioele sembrava correre con loro scattando delle foto. Sotto un albero, Rita e Dino rincorrevano fogli sparpagliati dalla brezza.
Rita e Dino partirono qualche giorno dopo per la Val di Fiemme, accolti da Franz, un amico di Gioele, e dalla moglie Pia come fossero di famiglia, discreti e sereni.
Franz li portò nel posto dove erano state le due amiche: una piccola radura in un bosco di abeti rossi, con un vecchio albero caduto e coperto di muschio. In quell’angolo quieto riuscirono a parlare del loro dolore, di come si erano sentiti in quei giorni, in cui spesso avevano discusso per futilità, litigato per un ritardo o un’assenza involontaria.
Dino scattò una foto, proprio nel momento in cui una folata di vento si portava via la sciarpina di Rina.
La foto recava una data: 27 ottobre 2018. Il 30 ottobre quel bosco non esisteva più, come tantissimi altri boschi della valle. Una tempesta aveva abbattuto ettari ed ettari di bellissimi abeti e larici. Nonno Gioele forse avrebbe raccontato a Stella di un vento che non era cattivo, ma che aveva dato voce alla Terra, una sorta di monito, perché lei era stanca di essere trattata male, e stava cercando di dirlo nel solo modo che poteva: soffiando forte come solo il vento può fare, con tante parole da ascoltare.