Colui che per tutti nella Parrocchia di Santa Cecilia è “il nonno” per me è sempre stato “mio” nonno, marito di mia nonna e padre di mia mamma.
L’ingresso ufficiale del nonno nello staff parrocchiale era avvenuto a distanza di una settimana esatta dal suo pensionamento, dopo quarant’anni di onorato servizio alla guida dei bus dell’Azienda Municipale.
Per mia nonna aveva significato lo scampato pericolo di trovarsi il nonno tra i piedi in casa per tutto il giorno, - ho sempre pensato che dietro la richiesta di Don Paolo ci fosse lo zampino della nonna - mentre il nonno, da sempre uomo di profonda fede, non aveva potuto fare a meno di intravedere il compiersi di un volere divino che gli consentiva di conciliare le due grandi passioni della sua vita: Gesù Cristo e il teatro.
Eh sì, perché mio nonno, nonostante il conseguimento del semplice diploma di scuola media, è uomo di grande cultura coltivata negli anni leggendo in modo compulsivo di tutto, dai romanzi ai saggi, dalle poesie ai trattati di economia. Dopo il matrimonio con la nonna, inoltre, ha cominciato a frequentare con assiduità i principali teatri della città.
«Caro Luigi» aveva esordito Don Paolo davanti a una tazzina di caffè nell’ampio soggiorno dei nonni, «il nostro Giovanni si avvia verso i novant’anni e non ce la fa più a star dietro alle necessità della parrocchia»
«Ho già capito dove vuoi andare a parare», aveva interloquito mio nonno «sai di avere la mia massima disponibilità, qualunque cosa tu mi voglia chiedere».
«Speravo che avresti risposto così! Ho pensato a te in quanto non basta più un sacrista inteso come una volta; non fraintendermi, Giovanni ha sempre svolto il suo compito con impegno e zelo ma oggi le parrocchie hanno bisogno di una nuova figura».
«A cosa ti riferisci, esattamente?».
«Pensavo a un impiego a tempo pieno, remunerato si intende; un elemento di raccordo e coordinamento tra tutti coloro che, a vario titolo, si muovono negli uffici parrocchiali, quelli sotto la Chiesa accanto al teatro»
Al solo sentire la parola “teatro” gli occhi del nonno avevano avuto un guizzo.
Aveva fatto finta di prendersi ventiquattro ore per pensarci, poi aveva accettato senza nemmeno aver troppo chiaro cosa avrebbe dovuto fare.
Era il 22 giugno 2002 quando il nonno aveva preso possesso del suo ufficio, una stanzetta spoglia con un tavolo, una sedia e qualche mensola, che fungeva da ingresso agli uffici parrocchiali e che i ragazzi dell’oratorio avevano da subito battezzato “La portineria”.
Tre mesi dopo, due stanze più avanti, il nonno e Don Paolo erano seduti, uno di fronte all’altro, appoggiati al grande tavolo in noce posto al centro dell’ufficio del parroco.
«Allora, Luigi, cosa volevi chiedermi».
«Vedi Paolo, stavo pensando che abbiamo uno dei più bei teatri parrocchiali della città, le compagnie fanno a gara per venire a recitare qui e noi non abbiamo nemmeno una nostra piccola compagnia».
«Una compagnia teatrale, dici? Non è cosa semplice, lo sai. Ci vuole tempo, dedizione, ci vogliono gli attori…».
«Lo so, non credere che non ci abbia riflettuto a lungo».
«E?».
«Ho pensato che potrei occuparmene io. Dammi carta bianca e non te ne pentirai».
«Tu? Non sapevo ti interessassi di teatro… Penso che si possa provare, anche se non so dove troverai il tempo anche per questo» aveva concluso Don Paolo congedandolo.
Non era passato nemmeno un mese che il nonno aveva messo assieme una piccola compagnia reclutando una ventina di ragazzi del “gruppo medie” che frequentavano l’oratorio e il catechismo; si trovavano due pomeriggi alla settimana a provare uno spettacolo che aveva scritto il nonno stesso, inizialmente nella piccola stanza del nonno, poi, quando i giovani attori avevano ormai imparato le battute, direttamente in teatro.
A maggio dell’anno successivo, il sabato sera che chiudeva i dieci giorni della tradizionale festa parrocchiale, la compagnia “Quelli della Portineria” -così avevano deciso di chiamarsi-, aveva messo in scena l’opera prima di mio nonno.
Erano presenti centotrentasei spettatori, nella stragrande maggioranza parenti degli attori, ed era stato un successo!
In una poltrona delle ultime file, c’ero anch’io quella sera, la timida Angelica, attratta, come una falena da una lampadina, da quanto accadeva sul palco e nello stesso tempo terrorizzata al solo pensiero di potermi trovare lassù al posto di uno qualunque di quei ragazzi attori.
Il nonno aveva provato più volte a chiedermi di entrare a far parte della compagnia ma ero sempre riuscita a opporre un valido rifiuto forte dei tanti impegni – la danza, il corso di inglese, il volontariato con gli anziani – che occupavano il poco tempo che lo studio mi lasciava a disposizione.
Avevo aiutato il nonno nell’organizzazione dello spettacolo e, frequentando la sua portineria e alcune delle prove in teatro, avevo finito per invaghirmi di Claudio, il più grande del gruppo e il protagonista principale della pièce.
Ma nemmeno Claudio era stato sufficiente a convincermi a entrare nella compagnia l’anno successivo; aiutavo il nonno durante le prove, collaboravo a creare le scenografie ma con Claudio eravamo ancora al “Ciao come stai?” o poco più.
Finché, nell’autunno del 2004, dopo due spettacoli andati a gonfie e vele, il nonno aveva deciso di fare “il grande salto”, mettendo in piedi uno spettacolo più ambizioso e articolato, forte di una compagnia ormai consolidata di dodici elementi che, nel frattempo, avevano quasi tutti tra i 14 e i 16 anni.
Con il suo entusiasmo genuino era riuscito finalmente a far breccia nella mia ostinazione e avevo ceduto alle sue lusinghe: entravo ufficialmente a far parte di “Quelli della portineria”.
Cadendo il 26 maggio 2005 il duecentesimo anniversario dell’incoronazione di Napoleone a Re d’Italia, il nonno aveva pensato a un grande spettacolo a tema; ma il teatro aveva le sue regole, rappresentare l’incoronazione nuda e cruda non sarebbe stato sufficiente a tenere in piedi la pièce, ci voleva qualcos’altro, di più.
Così il nonno aveva tirato fuori il coniglio dal cilindro: dividendo lo spettacolo in due atti aveva pensato di ambientare il primo atto la sera prima dell’incoronazione facendo incontrare un Napoleone molto umano e in tensione per la proclamazione del giorno dopo, con una prostituta la quale nel secondo atto, ambientato nel Duomo di Milano il giorno dell’incoronazione, sarebbe intervenuta nel bel mezzo della cerimonia portando ovvio scompiglio prima del lieto fine.
Il nonno ci aveva lavorato tutta l’estate, scrivendo, riscrivendo, limando una parola di troppo da una parte e inserendo una nuova frase dall’altra, ma soprattutto aveva studiato ogni possibile contromossa alle più che prevedibili obiezioni che gli avrebbe mosso Don Paolo.
«Una prostituta? Luigi ma come ti viene in mente?» gli aveva chiesto il parroco, appena finito di leggere il copione.
«Paolo, sapevo che me lo avresti chiesto… Non fermarti alla prostituta, guarda la storia nella sua interezza, è un bellissimo messaggio di amore e di accoglienza dell’altro quello che vuole trasmettere».
«Luigi non lo metto in dubbio e so che le tue intenzioni sono belle, ma pensa a chi vedrà lo spettacolo, la maggior parte sono anziani, molto religiosi, non pensi che sia un po’ troppo per loro?».
«Ho pensato che quest’anno potremmo devolvere la metà dell’incasso al bar dell’oratorio, credo che abbia bisogno di qualche lavoretto di ristrutturazione urgente».
«Vorresti comprare l’assenso dei parrocchiani alla prostituta in scena, mi stai dicendo?».
«Diciamo che voglio aiutarli a non perdersi, per sciocchi pregiudizi, quello che, senza falsa modestia, ritengo un gran bello spettacolo».
«E sia! Facciamo come vuoi tu! Mi porterai all’inferno con te! Promettimi almeno che la ragazza che interpreterà la prostituta sarà più che vestita».
«Stai tranquillo, nessuno girerà nudo per il palco» aveva concluso il nonno con la sua bella risata.
Non c’era alcun dubbio sul fatto che la parte di Napoleone spettasse a Claudio e il nonno, che aveva intuito da tempo i miei sentimenti, aveva pensato di affidarmi la parte della prostituta.
«Non se ne parla nemmeno, nonno, non posso fare io quella parte, non voglio!» gli avevo quasi urlato in faccia pensando al mio corpo in cui facevo fatica a ritrovarmi, ancora così acerbo per la mia età.
Il nonno non aveva replicato, mi aveva guardata con i suoi occhi pieni di tutto l’amore che provava per me e si era limitato ad affidarmi la parte di Giuseppina, la moglie dell’imperatore.
La settimana dopo, alla prima prova, avevo scoperto che la parte della prostituta era stata affidata a Matilde, la più affascinante della compagnia.
Ligio alla promessa fatta a Don Paolo, il nonno l’avrebbe fatta recitare con un top che le lasciava scoperte le spalle e solo intravedere il piccolo seno già sbocciato al contrario del mio; sotto avrebbe indossato degli short che avrebbero messo in mostra le sue lunghe gambe.
«Perché mi hai fatto questo, nonno, perché proprio a lei quella parte» gli avevo chiesto trattenendo a stento le lacrime.
«Angelica, ricordati che nella vita se vuoi veramente qualcosa, se tieni veramente a qualcuno, devi fare di tutto, lecitamente si intende, ma davvero di tutto per ottenerla! Altrimenti ci sarà sempre qualcuno che arriverà prima di te».
Non aveva aggiunto altro.
Erano state settimane lunghe e difficili, nel primo atto Claudio e Matilde recitavano quasi sempre insieme e per quanto non desse troppo a vederlo, lui non poteva fare a meno di posare i suoi occhi sulle belle gambe della sua compagna, di far scivolare lo sguardo nella scollatura… E io soffrivo, in silenzio.
La portineria che era sempre stata una stanza rifugio per me, ora era un incubo.
Naturalmente avevo imparato bene la mia parte ed ero arrivata preparatissima al giorno del grande evento che il nonno, preso da una sorta di megalomania, aveva voluto fosse anticipato al giovedì sera in modo che coincidesse esattamente con il 26 maggio, data della reale incoronazione di Napoleone nel 1805.
Ma il vero capolavoro di quella sera erano le scenografie; ci avevamo lavorato tanto, il nonno aveva pensato a qualcosa di straordinario e l’”oh” del pubblico quando si era aperto il sipario era valso più di mille applausi.
Sulla sinistra del palco, per un terzo della sua grandezza, era riprodotta la scena del primo atto, c’erano un letto, una sedia un tavolo e, tocco in più, un cavallo di peluche a grandezza reale sul quale era apparso seduto Claudio.
A togliere il fiato era, però, la parte centrale e di destra del palco: eravamo riusciti a riprodurre fedelmente l’interno del Duomo di Milano, l’altare e perfino una scala che saliva a un piccolo pulpito sul quale recitava… Don Paolo in persona: il colpo d’occhio era stupefacente e il pubblico lo aveva chiaramente sottolineato.
In un’ora e mezza avevamo messo in scena un piccolo capolavoro di cui il nonno, con un pizzico di sadismo a mio vedere, dieci giorni prima aveva voluto cambiare il finale inserendo un bacio imprevisto tra Napoleone e Giuseppina… L’avevamo provato solo tre volte con il mio cuore che batteva a mille mentre Claudio non sembrava farci caso più di tanto.
Il nonno aveva voluto mandarmi un segnale forte e chiaro e mentre il pubblico ci tributava applausi scroscianti e convinti, io con la mia mano stretta in quella di Claudio a bordo palco avevo deciso che ora toccava a me.
«Il nonno mi ha chiesto di andare a prendere due grossi scatoloni in portineria, credo ci siano dei pensieri per tutti noi là dentro…».
«Vuoi che ti aiuti? Saranno pesanti» aveva detto Claudio mentre i suoi occhi mi trafiggevano il cuore.
«Se ti va… mi eviteresti di fare due viaggi» ero riuscita a dire con la voce più naturale possibile in quel momento.
Ero entrata nell’amata portineria dove non c’era nessuno scatolone ad aspettarci e, fatti due passi, mi ero voltata, gli avevo buttato le braccia al collo e lo avevo baciato sulle labbra.
Avevo immaginato tutto, lo avevo preparato in quei pochi secondi sul palco ma ciò che non avevo previsto era la grande dolcezza con cui lui aveva risposto a quel mio bacio.