Non trova altri sostenitori oltre il ragazzo che tiene in ordine i cessi, colpevole di una risatina.
Lo osservo senza dare segni evidenti di fastidio, anzi immunizzando la mia attenzione con la decalcomania della sua buffa divisa arancione.
La ragazza ha lo smalto nero sulle unghie che la fa apparire, più che sofisticata, come una che si è chiuse le mani in una delle tante porte delle latrine.
Sta girata verso di me senza nessuna intenzione di farmi lo scontrino, puntellata sulle braccia dense di cellulite. Ho ancora impresso il suo pallore colorato con il gesso e gli occhi rossi di un pianto recente, di una sofferenza per amore contemporanea.
Più mi guarda e più mi rendo conto del suo disagio, per una paga di merda può solo offrire ai clienti un servizio di merda, in un turno di merda e la sua tristezza di merda.
Che poi la sua infelicità mi intenerisce, seppur sia quasi impossibile trovare gente felice in giro alle due del mattino. Sto per sfiorare le sue mani soprattutto per rendermi conto se quelle dita siano davvero schiacciate.
Fa uno sbadiglio lungo quanto una fermata d’autobus e si siede su uno sgabello occasionale sgangherato senza ricordare di coprire le gambe, io non sono uno che mette a disagio le donne, tutt’altro.
Dopo aver smesso di fissarmi si alza di colpo, improvvisamente attratta dalla macchina del caffè.
- Ho una bellissima notizia per lei, anzi ‘’per te,’’ offro io! -non mi va più di fare scontrini a quest’ora.
La mia educazione, la mia cortesia mi fanno guadagnare in un battibaleno il posto ideale di vittima della sua ironia. E poiché il disprezzo indice al silenzio, sto zitto in modo semi oscuro e semi sgradevole.
Io che non ho mai visto una donna così sfinita, osservo i suoi lineamenti che sembrano nuotare, anzi affogare nella tazzina di caffè.
Ma non è più una riserva indiana abbandonata l’Autogrill, c’è più calore, adesso e lei mi sorride.
Penso sempre di non meritare una conversazione e forse quel caffè, quel sorriso sono un risarcimento che mi spetta.
Entra un uomo, ha una camicia da cacciatore a quadri di un rosso sbiadito e la camminata lenta di chi entra in un posto per la prima volta.
Guarda tra le bottiglie in alto in cerca di una marca alcolica sconosciuta.
La scarsa pulizia del locale e la voce della ragazza continuano a tenermi compagnia, la ragazza ora è concentrata sui movimenti dell’uomo sempre meno inerte. Affiora una sua paura, seppur moderata dalla mia presenza.
- Desidera? – dice piegata in avanti dal peso di tre tazzine sporche di caffè e un mazzetto di cucchiaini, incurante di mostrare metà del suo seno e metà della sua voce.
- Non voglio niente da te.
- Ci conosciamo?
- Non ci conosciamo, tanto le donne sono tutte uguali, - dice con una grinta meticcia.
La ragazza ride senza rendersi conto del brutto momento.
Con lo sguardo cerco intorno qualcosa di pesante. Maledetta la mia insonnia che mi ha convinto a uscire di casa nella confezione notturna. Ora posso solo contare su un randello di plastica cinese per giocare al minigolf. Ho le mani grandi e forse è meglio ricorrere a loro che se azionate contano più di una comunità di randelli. Meglio un manufatto di carne viva che quella plastica scadente.
Con tono spropositato l’uomo ordina di aprire la cassa e la ragazza abituata a quella richiesta per nulla insolita l’apre.
- Dammi tutto, dice l’uomo.
Sembra avere le pupille attaccate e spalancate con lo scotch.
- Caschi male c’è una miseria, ho cominciato da poco il turno, - dice mentendo, la ragazza..
Mi affloscio sul bancone di latta, vedo mezza lei da più vicino e mezza cassa da più lontano.
- Pure tu vuoi qualcosa o ti basta il caffè?
L’uomo pesca, senza troppa fortuna, un lungo coltello nella sua tasca.
- Ora te lo faccio vedere cosa voglio io.
La patina di banalità dell’Autogrill si era improvvisamente incrinata e stava per mandare in mille pezzi la sua rassicurante ambientazione ordinaria. C’era solo un modo per saperne di più, affidarmi all’attacco in forze dei miei pugni ringalluzziti da un corso giovanile di pugilato e dalla mia insonnia.
Che poi a dirla tutta la mia salute non brillava e nessuno avrebbe puntato un soldo su di me, anzi avrebbe chiesto il rimborso al botteghino chi si fosse anticipato nel farlo.
Gli spedisco senza avviso un gancio destro, forte e improvviso sul naso.
L’uomo cade di schianto sul pavimento appena lavato.
- Chiamo la polizia, - urla la ragazza spaventata.
- Non serve, è già qui, dico con finto orgoglio.
- Sei un poliziotto?
- Purtroppo sì, noi della stradale ci fermiamo spesso nel tuo bar.
- Non ti ho mai visto prima, e magari fosse mio il bar.
Lo dice senza mostrare gratitudine alcuna.
- In divisa sono diverso.
Non devo fare molto per tranquillizzarla, solo il suo respiro resta faticoso.
Allarga le braccia disperata e dice: Ora di questo che ci faccio?
- Te lo sposi, mica è tanto brutto, - dai ora chiamo i colleghi che lo porteranno via.
Non mi servirà uno straordinario lavoro di memoria per ricordare il numero e sentirmi meno spaventato, perché pure i finti poliziotti si spaventano.
La ragazza sente di animare con la sua profondità espressiva un ringraziamento che arriva tardi, ma arriva, forse solo per finire la conversazione e mettersi in salvo in un letto caldo.
Nel bar entra la caricatura di uomo molto in sovrappeso, osserva il film di guerra appena proiettato.
Si capisce subito che è il complice dell’uomo per terra, dal calcio su un fianco che gli dà rassegnato.
- Che ci fa questo stupido sul pavimento?
- Ha avuto un mancamento, - risponde la ragazza con raggiante sicurezza.
- Allora lo porto via, - chiede quasi al pianto.
- Portalo via, e sbrigati, prima che io ci ripensi, - dico.
Si allontanano insieme con parecchia vergogna addosso, occupandosi con stravagante affetto dell’unico naso sanguinante.
- Una coppia affiatata, - dico e rido.
La ragazza meravigliata dalla mia decisione sui due delinquenti per fare qualcosa mi prepara un altro caffè.
Si ferma con la sua testa accanto alla mia testa mentre lo sorseggio senza zucchero.
- Sei sicuro di aver fatto la cosa giusta?
- Meglio non avere problemi, cara mia, e poi non sono mica un poliziotto, ho mentito per farmi coraggio.
- Che matto!
- Alle tre del mattino è complicato trovare in giro gente normale, - dico con una finta scontentezza.
Non posso farle da padre avendo suppergiù la stessa età, ma sono contentissimo per averla protetta, anche senza guadagno.
Si stringe la mascella con tutt’e due le mani per sostenere da sotto il suo bel volto.
Non riesco a strapparmi dalla scena semplice, resto lì per un bel po’ a pensare se ho vissuto davvero quell’inferno o se è frutto della mia immaginazione, che ogni tanto ci casco nella mia immaginazione.
Rischi del mestiere di gentiluomo, direbbe qualcuno per poi tornare subito sui suoi passi dopo aver visto gli occhi della ragazza e la sua scollatura.
Mi accarezzo la faccia per cancellare quella storia ancora viva nella mia testa e prepararmi a una qualsiasi novità che me la faccia dimenticare. Fosse pure dolorosa e deludente.
Mentre la ragazza mi tiene per mano, ho le tasche piene di Pocket Coffee Boeri e una carta geografica commentata che sfida la forza di gravità per non restare in loro compagnia e sporcarsi di cioccolata.
Non ho nulla da spartire con il mondo, sono tutte cose guadagnate.
Avanza un periodo di spiegabile buonumore.
La mia natura deprimente in fuga si siede in bella compagnia a un tavolino.