Quanto spazio può occupare una persona?
Così su due piedi verrebbe da dire che dipende da quanto è alta e da quanto pesa, ma in fin dei conti cosa cambia se uno è alto un metro e cinquanta e pesa sessanta chili o se passa i due metri e si avvicina ai due quintali?
Si tratta di misure fisiche che possono essere circoscritte.
Ma l’anima? Come si fa a misurare un’anima?
È come l’universo, immensa, sconfinata, sebbene possa essere imprigionata per un periodo limitato dentro una scatola di carne. Eppure come il corpo è corruttibile e influenzabile.
Gelosia, invidia, crudeltà, ignoranza, insoddisfazione, noia, si cibano delle anime delle persone deboli, contribuendo a riempire le pagine della cronaca: tradimenti finiti male, ricatti psicologici, bambini abusati e seviziati, delitti a sfondo raziale e sessuale, atti di bullismo, animali torturati, emarginati massacrati o bruciati vivi. E poi tutta una serie d’inganni, perversioni, omicidi, incidenti provocati appositamente per il gusto di provocare disperazione e dolore.
A lui andava bene così, più anime nere c’erano in circolazione e più aveva la possibilità di divertirsi.
Non ricordava nulla della sua esistenza, fatta eccezione che per le ultime ore di vita. C’era un ciccione coi baffi con in mano una telecamera e due tizi incappucciati che si divertivano a tagliuzzargli il corpo.
Quando gli avevano cavato gli occhi aveva urlato sino a farsi sanguinare la gola, capendo che non c’era nessuna speranza di uscire vivo da quella situazione, ma il terrore vero era stato quando gli avevano inserito un aggeggio in bocca e avevano iniziato a cavargli i denti, uno dietro l’altro. Mentre stava per perdere conoscenza aveva giurato sulla propria anima che in un modo o nell’altro si sarebbe vendicato.
L’uomo osserva le due donne sdraiate, mani e piedi legati alla struttura in ottone del letto. La bionda è morta la scorsa notte, ma lui non ha ancora deciso
di liberarsi del cadavere. L’incarnato è già virato dal rosa a una tonalità improbabile e sciami di mosche aleggiano con insistenza sul corpo.
L’altra ragazza ha gli occhi verdi spalancati e sbraita parole senza senso. Probabilmente ha perduto il senno e presto dovrà uccidere anche lei.
«Stammi lontano. Aiuto, aiutatemi. Allontanati da me!»
«Urla pure quanto vuoi, nessuno ti può sentire. Il paese è disabitato.»
La donna grida, scuote la testa, i lunghi capelli rossi che vorticano nell’aria in una coreografia aggraziata e allo stesso tempo macabra.
«Vai via, stammi lontano» ringhia di nuovo la rossa, provando a resistere.
Quella femmina è così selvaggia che riesce ancora a eccitarlo dopo più di una settimana. Si spoglia e salta sul letto, l’erezione che gli pesa tra le gambe. Lei prova a scalciare, nonostante le corde; il letto pare una barchetta in mezzo al Mare del Nord in tempesta.
«Dai, adesso basta coi capricci, divertiamoci un po'.»
Le entra dentro e comincia a spingere, aumentando il ritmo poco alla volta.
La ragazza strilla, si dimena, inizia a piangere in preda a una crisi isterica. L’odore dell’uomo la disgusta, così come la puzza di decomposizione che emana la sua compagna di sventura. E poi c’è il ronzare delle mosche adesso, assieme all’orrido tatuaggio sul bicipite dell’uomo che la tormenta a ogni penetrazione. Si tratta di una sirena, il volto mostruoso e i seni deformi. Odia quell’uomo con tutte le sue forze e odia quel tatuaggio. Chiude gli occhi e addenta la carne inchiostrata, mordendo con tutte le sue forze. Riesce a strappare un brandello di carne e ride quando sente il proprio aguzzino lamentarsi per il dolore. Prova a morderlo di nuovo, poi gli sputa addosso, consapevole che quella sarà la sua ultima, inutile rivincita.
Le mani dell’uomo si chiudono sulla sua gola, troncandole il respiro. Per fortuna quell’incubo sta per finire, presto andrà a fare compagnia ad Amanda, la ragazza morta che giace al suo fianco. Prestò le mosche danzeranno anche per lei.
Jesper, così si chiama l’uomo, rientra in casa. Si è appena sbarazzato dei due corpi e adesso ha fame. Mangerà qualcosa, poi tornerà in città per confondersi
assieme ad altre solitudini. Apre uno stipetto e afferra una scatoletta di aringhe.
C’è anche un mezzo filone di pane vecchio di quattro giorni e una bottiglia di acqua minerale. La birra è finita, l’ha già scolata tutta da un pezzo.
Apre la scatoletta e lo vede, seduto sul pavimento in fondo alla stanza.
«E tu chi diavolo sei?»
Il ragazzino si alza: è nudo, fatta eccezione per un paio di mutande sbrindellate che riescono a malapena a coprirgli le parti intime. Il suo corpo è una sorta di puzzle, un intrico di cicatrici che ricoprono interamente il torso.
Sembra vibrare, le membra attraversate da spasmi irregolari.
Jesper lo osserva con attenzione e un pensiero osceno gli attraversa la mente.
«Hai fatto male a entrare qui dentro» dice, mostrando un sorriso malevolo.
Il ragazzino non risponde, ma sorride a sua volta. I suoi denti scintillano alla luce del mattino, però non sono normali, sono posticci.
Sono denti d’acciaio.
E pure gli occhi sono finti, Jesper se ne accorge solo ora, quando il giovane è a non più di tre metri di distanza. Le palpebre pendono basse sulle orbite e sopra sono disegnate delle iridi gialle con due pupille strette e verticali, come quelle dei serpenti.
«Se pensi di farmi paura hai sbagliato persona, stronzetto» ringhia Jesper, la voce increspata da una sottile inquietudine.
Chi è quello strano tipo? E cosa ci fa lì? Quelle domande gli attraversano il cervello da una parte all’altra. Il paese è abbandonato da anni e nessuno lo frequenta più, a parte lui.
Jesper allunga la mano, prova a toccare quel viso, ma i denti d’acciaio si chiudono come una tagliola su due falangi, troncandogliele via.
L’uomo strabuzza gli occhi per il dolore e la sorpresa, poi afferra uno straccio per tamponare l’emorragia.
«Per te finisce male, adesso» sibila Jesper, afferrando un coltello da sopra il tavolo. L’uomo inizia a menare fendenti, ma la lama non trova ostacoli, sembra passare attraverso quel corpo, come se fosse impalpabile, costituito soltanto da semplice aria.
«Cazzo, ma come è possibile? Cosa sei tu?»
Il ragazzino sorride, facendo stridere le zanne metalliche. Raccoglie i moncherini da terra e li fa scorrere sopra le cicatrici frastagliate che ricamano la parte superiore del corpo, poi li inghiotte.
Jesper ora ha davvero paura, prova a indietreggiare, tenta di scappare, ma quel piccolo demonio in un attimo gli è addosso. Azzanna il bicipite, quello dove è presente il tatuaggio della sirena, e tritura la carne. I denti segano muscoli, tendini e ossa, rosicchiano tutto ciò che incontrano, fino a quando l’arto cade a terra. Jesper stramazza al suolo, andando a fare compagnia al braccio che non ha più, il sangue che sgorga dalla ferita come vino a una festa di paese.
Non pensava che sarebbe finita così, col bambino che ora gli squarcia il ventre e mastica i suoi intestini. È già morto quando quella creatura si alza, abbassa gli slip e gli piscia sopra un liquido rossastro. Il cadavere di Jesper prende fuoco, così come il tavolo e i mobiletti della cucina.
Quando il ragazzino dai denti di acciaio esce, il rogo ha già quasi divorato la casa.
Non ricordava nulla della sua vita da mortale, fatta eccezione che per le ultime ore di vita. C’era un ciccione baffuto con una telecamera e due tizi incappucciati che gli avevano tagliuzzato il corpo. Non poteva trovare pace, era impossibile. Aveva fatto la sua scelta e ora non poteva più tornare indietro.
Quei tre si erano divertiti con lui e ora lui si sarebbe sollazzato per l’eternità con la feccia che infestava il mondo.
Gli avevano cavato gli occhi, i denti e chissà cos’altro, ma lui sarebbe andato avanti senza sosta. Al mondo c’erano troppe persone che vivevano per il solo gusto di provocare dolore e disperazione negli altri.
L’anima, quanto grande è l’anima? E come si fa a misurarla?
Era quella la cosa strana. L’anima non aveva confini, era come l’universo, ma per un periodo limitato la si poteva trovare chiusa dentro una scatola di carne.