La portinaia del vecchio palazzo vedeva scendere e salire persone di ogni tipo, dirette all’appartamento dove le donne di malaffare esercitavano il loro mestiere.
Lorenza aveva un cappellino nuovo, gli stivaletti col tacco preferiti e un aspetto strano quando passò davanti alla portineria.
«Ma dove vai così di corsa? Faccio il caffè?» borbottò la portinaia.
«Non ora, dopo, scendo e mi fermo.»
Salì al piano superiore e si fece portare dalla domestica dell’acqua calda per lavarsi.
La ragazzetta la guardò un po’ stupita, in genere gliela portava dopo i suoi incontri coi clienti, per le abituali abluzioni.
«Fa caldo; ho fatto solo una passeggiata fino ai giardini, ma mi ha sfiancata.»
Rimasta sola sfilò le vesti e immense il corpo candido nella tinozza. Strofinò con cura le membra, l’acqua si arrossò leggermente.
«Non bastava lavarsi. La ferita che aveva dentro non sarebbe andata via.»
Si asciugò e rivestì in fretta, scese le scale e bussò con le nocche alla portineria.
«Allora, questo caffè?»
«Siediti cara, sarà pronto tra poco.»
Lorenza sedette sulla seggiola di paglia, di fronte alla portinaia, e attesero insieme il borbottio della caffettiera chiacchierando. Quando la donna le porse la tazzina disse: «Vanna, devo assentarmi, se qualcuno mi cerca torno tra poco.»
«Nuove spese?»
«No, una faccenda personale» rispose seria.
Si approssimava l’ora della funzione religiosa, padre Noberto era nel suo studio a meditare. La mano appoggiata alla guancia fissava il crocifisso di legno affisso sulla parete di fronte. Quel capo chino in segno di resa era il suo cruccio. Anche nella sua scelta di fede, dettata da ferma convinzione, egli non aveva mai chinato la testa in segno di obbedienza, almeno non in un umile atto, come aveva fatto il Cristo che egli ammirava, ma non comprendeva.
La tonaca odorava di bucato, le scarpe lucide gli ricordavano la vita confortevole riservata ai canonici che avevano il privilegio di dimorare presso il mastodontico Duomo di Milano. Aveva il suo ufficio nei pressi dell’entrata principale, faceva parte dei principali membri che organizzavano le funzioni religiose e ne era orgoglioso.
Sul pavimento di marmo passi piccoli, ma decisi, ticchettavano verso gli scanni. Norberto seguì quel rumore; qualcuno era entrato in chiesa.
Uno strano profumo aggredì le sue narici.
La donna vestita di broccato azzurro con in testa un elegante cappello, s’inginocchiò in atto di penitenza e proruppe in singhiozzi.
Si avvicinò e le poggiò a conforto una mano sulla spalla. Prima che lui potesse dire alcunché, la giovane si voltò e lo fissò con spavento; un attimo e scappò via, lasciando dietro sé un profumo di violetta.
Durante la messa, che seguì, il prete osservò i fedeli che assistevano alla funzione: c’erano nobili, gente comune e qualche ufficiale francese, venuto in città per assistere all’imminente incoronazione dell’imperatore che si sarebbe tenuta a fine mese. Cercò tra la folla la donna sconosciuta, ma non c’era.
Dopo qualche giorno Norberto udì di nuovo dei passi sul marmo del pavimento della chiesa. Stava per uscire dal suo studio quando una donna si delineò davanti a lui.
Riccioli castani le incorniciavano il viso, una veletta lasciava intravedere gli occhi persi nel vuoto. Il prete confuso sentiva il sudore imperlargli la fronte lucida e il collo grassoccio.
«Vorrei confessarmi, padre.»
«Vieni pure, figliola» disse, indicando il confessionale.
«No, se permettete, preferirei un luogo più intimo.»
Norberto ingoiò a vuoto; fece cenno di seguirlo e la fece accomodare in una sedia, rivestita di velluto del suo ufficio, di fronte alla sua. Lei sollevò la veletta.
Li separava la scrivania cosparsa di appunti e annotazioni, che il prelato si affrettò a riordinare, prima di chiedere:
«Dimmi pure figliola, libera la tua anima.»
«Padre, ho ucciso un uomo.»
Adesso il prete sentiva il sudore anche sulla cute glabra del capo e dietro la schiena, non si aspetta certo una simile confessione.
«Ti ha forse aggredita, o mancato di rispetto?»
A queste parole lei scoppiò in una risata.
«Rispetto, dite? E come poteva? Io sono una meretrice ed ero consenziente.»
Norberto sentiva la vista offuscarsi, troppe emozioni, quella non era una donna, era il male in persona che veniva a tentarlo.
«Se sei venuta a confessarti vuol dire, però, che sei pentita. Perché se non ti penti io non posso darti l’assoluzione.»
«Non sono pentita, però da quel momento non trovo più pace, ed è quella che vorrei ritrovare. Rivedo sempre tutto quel sangue che fuoriusciva e mi si appiccicava addosso. Sono passati giorni e lo avverto ancora sulla pelle; sta diventando un tormento.»
Norberto ne sapeva qualcosa di tormenti e provò pietà per la donna.
«Perché l’hai ucciso?»
«Era un ufficiale francese, l’avevo incontrato passeggiando ai giardini; là contattiamo i clienti. Lui non ha voluto saperne di venire alla “Casa” e mi ha portata nella stanza del palazzo dove alloggiava. Una volta in camera gli ho detto che bisognava pagare prima, lui non voleva; beffardo mi ha fatto capire che era un ufficiale dell’imperatore e tutto gli era dovuto. Al che piena di rabbia ho afferrato la spada che aveva poggiato sul tavolo e l’ho colpito. Non c’era nessuno in giro e sono scappata via.»
“Brutta storia” pensava Norberto tamburellando sulla scrivania.
«E il cadavere?»
«Ho cercato notizie, ma è come se non fosse accaduto nulla.»
«Sei sicura che l’uomo fosse morto?»
«Sì, era immobile e non respirava.»
«Ho ascoltato le tue parole, figliola. Per ritrovare la pace, che cerchi, esiste una sola via: il pentimento, altrimenti è tutto inutile.»
«Allora tornerò quando sarò pentita!» replicò lei scattando in piedi indispettita e, prima che lui potesse aggiungere altro, se ne andò.
Ogni giorno Norberto aspettava di risentire quei passi, ma la chiesa rimaneva avvolta nel silenzio.
Voleva redimere un’anima peccatrice facendola pentire o piuttosto desiderava perdersi nella dannazione?
Angosciato dai suoi dubbi passava notti insonni nelle quali vedeva intorno a sé solo le ombre scure del peccato.
I passi che sentì questa volta erano pesanti e quasi trascinati a forza. Incuriosito Norberto andò in chiesa e trovò uno degli ufficiali, addetti al trasporto degli onori nel corteo imperiale, inginocchiato a testa china; era immerso in un tacito dolore.
Il prete si avvicinò.
«Posso fare qualcosa, figliolo?»
«Padre, la mia anima è triste. Ho dovuto mentire per la fedeltà giurata alla corona.»
«Parla liberamente; ti potrà dare sollievo.»
«Parlerò ma, solo in confessione, ciò che dirò deve rimanere segreto.»
Il canonico venne quindi a conoscenza della fine che aveva fatto il tenente francese: il cadavere era stato debitamente occultato, in quanto il comandante della gendarmeria aveva ritenuto che, in un momento così delicato come l’incoronazione, non si potesse fare diversamente.
Ora il prete sapeva che la donna era scampata alla giustizia terrena, ma l’aspettava quella divina, alla quale era impossibile sfuggire.
La notte si svegliava tormentato nel sonno dall’immagine di lei, gli parlava con dolcezza e si avvicinava al suo letto.
Scosso da brividi cercava di calmarsi con una tisana e rimaneva inginocchiato per ore davanti al crocifisso posto sopra il suo letto; la testa sempre alta, senza chinare il capo, in balia di se stesso.
Dopo qualche giorno Lorenza tornò in chiesa e si diresse direttamente nell’ufficio del prelato.
Norberto scriveva curvo sulla scrivania; prima di vederla avvertì il suo profumo; sollevò lo sguardo e rimase a fissarla.
«Ho pensato alla vostre parole e il mio cuore si è aperto a quell’atto di coraggio che solo una voce divina può ispirare. Sono sinceramente pentita, padre, e vorrei ringraziarvi per i buoni consigli che mi avete dato.»
«Di nulla figliola, adesso puoi chiedere perdono per i tuoi peccati.»
Lorenza si avvicinò, gli si accostò talmente che poteva sentirne il respiro e l’odore della pelle. Lei conosceva solo un modo per ringraziare un uomo, sorrideva e le sue labbra rosse sfiorarono quelle del prete.
Era il demonio, non una donna ed era venuto per prendere la sua anima.
Inorridito ed esaltato allo stesso tempo strinse a sé la donna.
In quel maggio colorito di sole vi era una grande agitazione in città: si approssimava l’evento del secolo: l’incoronazione di Napoleone Bonaparte nel Duomo di Milano.
La cattedrale era un brulicare di prelati e gendarmi che davano disposizioni.
Nell’ufficio del vescovado si dovevano scegliere i delegati ecclesiastici che avrebbero accompagnato l’imperatore all’altare per l’incoronazione.
Tutti i prelati erano tenuti sotto controllo, tra cui anche Norberto.
Nelle sue passeggiate, in preghiera, si dirigeva ogni giorno ai giardini. Assorto in meditazione s’inginocchiava nel pressi di un platano; nei suoi occhi non c’era umiltà, ma uno strano ghigno di soddisfazione.
Un giorno camminava lesto e furtivo verso il luogo noto come: la “Casa”. In portineria venne ricevuto con cortesia da una donna di mezza età.
Seduto sulla seggiola di paglia, irrequieto, si tormentava il colletto e le ginocchia si agitavano su e giù in maniera convulsa.
Dalle descrizioni della donna che il prete stava cercando, la portinaia intuì di chi si trattasse.
«Ho capito cercate Lorenza, purtroppo non c’è. Sono giorni che manca e non so se tornerà. Nel palazzo si vocifera che sia andata via con un ufficiale francese. Devo dire che io mi ero molto affezionata a lei, molto più che a tutte le altre; aveva un animo buono» sospirò.
A quelle parole il prete scosse la testa e, tossicchiando, si alzò.
«Avrà trovato la sua strada. Meglio così! Buona giornata!»
Sollevò il cappello e andò via.
Quando arrivò la corona ferrea per l’imperatore Norberto ebbe la comunicazione che anche avrebbe fatto parte del cerimoniale, sorrise tra sé e visse in attesa dell’evento.
Insieme al collegio dei canonici, di cui faceva parte, definì la cura dei canti liturgici e delle preghiere preposti a dare solennità al particolare evento.
La mattina del giorno stabilito, il sole splendido di maggio accompagnò il corteo reale supportato da guardie francesi e italiane.
Alla porta del Duomo ad attendere il sovrano c’era il cardinale con i vescovi e vicari, dietro gli altri, tra cui Norberto.
Napoleone fu accompagnato al trono, scortato da un baldacchino sorretto dai prelati, e cominciò la cerimonia animata da marce e cori trionfali. Nel momento solenne dell’incoronazione il sovrano accostatosi all'altare, prese la corona ferrea e la mise sul capo, sopra quella imperiale.
Norberto vedeva in quell’uomo la personificazione del potere che aleggiava al sopra di tutti e considerò la sua posizione miseria al confronto, però stare tra gli eletti in quel momento lo rendeva fiero.
Il giorno dopo l’arciprete del Collegio cominciò a dare onorificenze a tutti i prelati che avevano partecipato alla cerimonia.
Quando venne chiamato, Norberto si recò nell’ufficio preposto gonfio di boria, pensando che un giorno sarebbe stato nominato, egli stesso, arciprete.
Seduto di fronte al suo superiore si torceva le mani dal nervosismo.
Il sorriso che si era stampato sul suo volto svanì, quando incontrò lo sguardo arcigno del suo superiore.
«Norberto Parisi siete stato seguito da una quindicina di giorni a questa parte e siamo a conoscenza di tutti i vostri spostamenti.»
Lui sbiancò e rimase inebetito con un sorriso a metà.
«E quindi?»
«Sappiamo che lei ogni sera andava a pregare nei giardini e ha fatto visita alla portineria di una nota “Casa”. Abbiamo aspettato che la cerimonia dell’incoronazione si svolgesse in serenità, prima di convocarla. Confessi il suo delitto, la donna che lei ha strangolata è stata tolta dal luogo in cui era occultata, nei pressi del platano, giace ora nella fossa comune del cimitero.»
«Quella non era una donna, era il peccato che veniva a tentarmi» disse Norberto senza scomporsi.
Rivide la bocca di lei, e lui che stringeva il collo candido sempre, più fino a vederla esanime.
Al suono del campanello, posto sullo scrittoio, entrarono due gendarmi.
«Portatelo via!»
Lui si alzò e seguì le guardie; a testa alta.