Il vecchio aprì l’uscio della sua casa e guardò il piccolo Josè. “Il suo giornale, señor”. Il vecchio prese il quotidiano e ringraziò con un sorriso. Silenzioso.
Josè non aveva mai sentito la voce di quello strano signore. E molti in paese sostenevano che fosse muto.
Nessuno aveva mai parlato con lui.
Il piccolo Josè avrebbe voluto scambiare quattro chiacchiere con quell’uomo dall’aspetto stanco e trasandato, ma quegli occhi piccoli e neri lo mettevano un po’ in soggezione. Il vecchio non aveva mai risposto ai suoi saluti, neppure con un sorriso. Ogni pomeriggio si limitava ad aprire la porta e a ritirare il giornale. Così da oltre un anno, da quando il piccolo Josè aveva deciso di guadagnarsi una paghetta aiutando, dopo la scuola, lo zio Miguel nella consegna del giornale della sera.
Non sapeva molto di quell’uomo. In realtà nessuno ne sapeva molto. Una sera chiese al padre chi fosse ma anche lui diede risposte vaghe e confuse. Disse che arrivò in treno da Buenos Aires all’inizio degli anni cinquanta, ma probabilmente era straniero. Uruguaiano o forse brasiliano. Ma di più non sapeva. Anche Don Eduardo, il parroco, non riuscì ad aiutarlo.
Insomma, pareva proprio che nessuno lo conoscesse.
Un fantasma.
Un vecchio fantasma che abitava nella casa in fondo alla via.
Il piccolo Josè sorrise e fece per andarsene ma improvvisamente il vecchio gli parlò. “Aspetta” disse, in uno spagnolo stentato. Ed estrasse dalla tasca una banconota da cinquanta pesos.
“Per te”.
“Gracias señor” rispose il ragazzino levandosi il cappello in segno di gratitudine. Cinquanta pesos! Il piccolo Josè non riusciva a crederci. Guardava inebetito la faccia del generale San Martín impressa sul grande foglio verde. Non aveva mai tenuto in mano una banconota del genere. Anzi, pensandoci meglio, non aveva mai visto tanti soldi tutti assieme.
“Non vedo l’ora di mostrarlo al babbo”, pensò. Anzi, no, meglio tenere questo segreto per sé. Altrimenti suo padre avrebbe iniziato a fare domande e magari l’avrebbe costretto a restituire la banconota al signore, o a consegnarla in casa per le spese. No, no. Quella banconota era solo sua. Era un regalo. Non l’avrebbe condivisa con nessuno.
Mentre fantasticava sulla banconota ricevuta si accorse che il vecchio lo stava osservando. Si vergognò e si scusò con lui, ringraziando nuovamente stringendo il berretto tra le mani. “Vuoi entrare?” gli chiese il vecchio, “Sarai accaldato, posso offrirti una bibita fresca.” gli disse, sempre con il suo spagnolo strano e la pronuncia forestiera.
“Deve essere sicuramente brasiliano, lo capisco dall’accento aspro” pensò Josè.
Guardò gli occhi del vecchio. Anche se all’apparenza erano piccoli e acuti, non sembravano cattivi. Erano gli occhi di un vecchio stanco ma buono. “Muchas Gracias, señor” e il piccolo Josè entrò nella casetta.
L’interno era buio, spoglio ma ordinato. Pochi mobili, nessun quadro. Alla parete solo una vecchia foto di cani, dalla finestra la rossa luce del tramonto dava alla stanza un aspetto caldo e famigliare. Su una poltrona dormiva un gatto tigrato. Sul piccolo tavolino di fronte al divano erano impilati ordinatamente alcuni giornali, quelli che ogni pomeriggio lui gli consegnava. Quando li vide Josè guardò l’uomo che rispose con un lieve sorriso e gli fece segno di accomodarsi. Josè si sedette sul divano mentre l’uomo uscì dalla stanza. Il gatto, dopo una veloce occhiata furtiva, riprese a dormicchiare disinteressato. Il ragazzino si guardò intorno. Nulla, in quella stanza, parlava del passato di quell’uomo. In realtà nulla parlava neppure del presente. C’era poco. E quel poco se ne stava muto, insignificante. Nessun ricordo se non quella vecchia foto di cani. Josè si alzò dal divano e si avvicinò alla parete per osservarla meglio. Il cane ritratto era solo uno, dall’aspetto bello e regale, ripreso da diverse angolazioni. Le foto e la composizione sembravano fatte da un professionista.
“Si chiamava Blondi” disse l’uomo portando un bicchiere colmo di un liquido scuro “era la mia preferita”.
“Ha dei figli, señor?”
“Non ho nessuno.” “Non ho più nessuno” aggiunse, quasi per correggersi.
“Ha uno strano accento, viene dal Brasile, señor?”
“Vengo da più lontano. Molto più lontano. Ti chiami Josè, giusto?” disse appoggiando il bicchiere sul tavolino.
“Sì, señor”.
Annuì in silenzio e si sedette sulla poltrona alla sinistra del divanetto, quella lasciata libera dal gatto. “Lei è Frida” disse indicando il sonnacchioso felino “l’ho trovata in giardino e da quel giorno ha preso possesso della casa. Mi fa un po’ di compagnia. Almeno, quando è sveglia.”
“Lei è buono, señor”.
“Molti non la pensano come te, Josè”.
“Forse non la conoscono.”
“Può darsi. Può darsi” disse pensieroso.
“Devo chiederti un favore, Josè”.
“Sì, señor”
Si alzò lentamente dal divano e si appoggiò alla finestra, in silenzio. Gli occhi spenti guardavano verso la strada ma quello che vedevano era lontano. Molto lontano, nel tempo e nello spazio.
“Josè, come vedi sono vecchio e malato. Non mi resta molto tempo. Vorrei che ti prendessi cura di Frida, quando me ne sarò andato”.
“Non dica così, señor”.
“Non ti preoccupare. Ho già vissuto a lungo. Più a lungo di quando avrei dovuto. Già una volta fui costretto ad abbandonare una compagna a me cara al proprio destino. Questa volta voglio che Frida finisca in buone mani”.
“Sì señor, mi prenderò io cura di lei”.
“Grazie, Josè. Grazie” e sul suo viso comparve un piccolo sorriso malinconico.
Dopo poco più di un mese il vecchio morì. Un uomo si presentò a casa di Josè con la gabbietta di Frida e una busta per il ragazzino. Quando la aprì, Josè non credette ai propri occhi. La busta era piena di banconote. E non solo Pesos, anche dollari americani. Tanti.
Insieme al denaro c’era una lettera, scritta in un’elegante e antiquata grafia. Era del vecchio.
“Caro Josè, ti prego di prenderti cura della mia Frida. Tengo molto a lei. Questo denaro dovrebbe bastare per le spese. Grazie di tutto. Adolf”.