La strada è deserta. Deserta come può esserlo a Ferragosto una strada di un quartiere periferico di una qualunque città del sud. Con la temperatura verso i 40 gradi e lo scirocco che avvolge tutto come una coperta di lana. Cartacce, una busta di plastica, una bottiglia vuota, pure di plastica e una mascherina anti Covid usata, si lasciano sospingere sul marciapiede dall’aria bollente, attraversando indifferenti le rare chiazze d’ombra di siepi assetate che protendono fuori da inferriate malconce i loro rami aggrovigliati dall’incuria di proprietari forse assenti.
Il cagnetto si sposta tra un’ombra e l’altra caracollando affannato, con l’aria di cercare un rifugio che non trova, o una risposta. E’ un buffo cagnetto, il pelo bianco e nero tendenzialmente arruffato, il ciuffo che quasi gli copre gli occhi a palla e le zampette corte e storte che conferiscono alle sue corsette un’andatura tra il barcollante e rimbalzare elastico di una palla di caucciù, lo fanno sembrare più un peluche animato che un essere vivente.
Sembra perlustrare con attenzione e impegno il lungo confine di un unico giardino. Nascosta dalla siepe dovrebbe esserci una villa che dalla strada si indovina solamente. Un piccolo scatto, pochi metri, e una sosta. Ad ogni sosta si alza sulle zampe posteriori, appoggia le anteriori quasi alla sommità del muretto che fa da base all’inferriata, protende il collo inesistente, come volesse guardare dentro. Ma gli occhi a palla rimangono inesorabilmente al di sotto del livello necessario. Un altro scatto, un’altra sosta, ancora sulle zampe. Forse spera che un quel punto il muretto sia più basso o che magari questa volta riesca a stendersi un po’ meglio, un po’ più in alto, per arrivarci.
Il bambino è fermo dall’altra parte della strada. E’ un po’ che osserva il cagnetto. In realtà è lui l’unico che sta vedendo questa scena, è l’unico che può raccontarla, è l’unico che può viverla, oltre al cagnetto.
L’esperienza però gli ha insegnato che è meglio tenersi a distanza, dai cani e dai loro padroni, soprattutto dai padroni. E quel cagnetto un padrone deve ben averlo. Non ha certo l’andatura stanca e lo sguardo dimesso dei randagi che ogni tanto incontra appena fuori dalla città. E che di nascosto da tutti ha imparato ad avvicinare; alcuni di loro si sono perfino lasciati accarezzare. Al bambino piacciono i cani, lui vorrebbe. Vorrebbe aiutarli, portare loro qualcosa da mangiare magari. O da bere. Non certo averne uno tutto suo. Sa benissimo, anche se è così piccolo, che non ce n’è abbastanza per i grandi e neanche per i bambini, figurarsi per un cane.
Si ricorda, o forse glielo hanno raccontato, non è sicuro, che quando andava in giro nel passeggino recuperato chissà dove, sua mamma, quando poteva, girava al largo dai signori che portavano a spasso i loro cani. E se passavano vicino ad uno di loro, faceva sempre in modo che il bambino non riuscisse a sporgersi dal passeggino per accarezzarli, come avrebbe voluto.
Poi, quando ha cominciato ad andare in giro da solo, sfuggendo allo sguardo stanco della mamma, ne ha incontrati di cani e di padroni. Spesso i cani lo ignoravano, qualcuno anche ringhiava, piano, sommesso, più un avvertimento che una minaccia. I padroni invece lo fissavano sempre, trattenendo il cane. Una volta un cagnetto forse poco più grande di quello di oggi, ma non tanto, ha sorpreso il padrone impegnato al cellulare e si è precipitato verso di lui, dimenando la coda con entusiasmo. Il padrone ha immediatamente bloccato il guinzaglio, era uno di quelli scorrevoli per cagnetti piccoli, e gli ha dato uno strattone. Il cagnetto si è sollevato da terra precipitando all’indietro con un guaito. Era già abbastanza grande per ricordare bene ma non è sicuro che le cose siano andate proprio così, certo non ha capito perché. Poi, passandogli accanto il padrone lo ha urtato; non è sicuro che l’abbia fatto apposta, sicuramente non ha capito perché. Da quella volta però ha imparato anche lui a girare al largo dai padroni che portano a spasso i loro cani.
Ma oggi non c’è nessun padrone in giro, né nessun altro. Il buffo cagnetto sembra aver bisogno di aiuto. Il bambino pensa che sia rimasto chiuso fuori di casa, magari dalla villa nascosta dietro la siepe, e che non riesca a trovare la strada per rientrare ma non è sicuro che sia così. Resta immobile sotto il sole a picco, avvolto dalla coperta di lana dello scirocco; finché se ne sta lì fermo è al sicuro.
Vorrebbe fare qualcosa per aiutare il cagnetto ma non sa che cosa, non è sicuro quale sia la cosa giusta da fare, se pure ce ne è una.
Comincia attraversando la strada quasi per caso, senza avvicinarsi troppo al cagnetto, senza dare l’impressione di volerlo fare. Sta lì un po’, fermo vicino all’inizio dell’inferriata. Ed è il cagnetto che si avvicina alla fine di una delle sue buffe corsette. Questa volta però dimentica il muretto e si mette proprio davanti al bambino, seduto sul posteriore, fissandolo dritto negli occhi. Il bambino rimane affascinato dalla punta fremente della lingua rosa che si affaccia tra il pelo del muso, visto da vicino è davvero buffo! Si piega lentamente sulle ginocchia; il cagnetto si avvicina un po’ di più sventolando la coda a ciuffo. Il bambino potrebbe tendere la mano per accarezzarlo. Prima si guarda in giro un’altra volta, a vedere che nessun possibile padrone appaia nella strada deserta. Lo accarezza. Ha un collare con una targhetta. Il bambino non sa leggere, non sa leggere bene almeno, solo qualcosa. Forse c’è scritto PALLINA e un numero. Non è sicuro ma gli basta, per lui adesso è Pallina!
Dopo tre carezze, dev’essere che tre carezze per lei (adesso sa che è un cagnetto femmina) è il numero giusto per fare amicizia, Pallina si alza, va al muretto, si mette in piedi sulle zampe posteriori, appoggia le anteriori al muretto e lo guarda, diretta. Non è una domanda, tanto meno un ordine, è una constatazione. Il bambino pensa di aver capito, non è sicuro, si guarda ancora in giro nella strada ancora deserta, prende delicatamente il cagnetto sotto le zampe anteriori e la solleva oltre il muretto ché possa guardare oltre la siepe. Pallina si gira solo un attimo verso di lui, la sua linguetta rosa scatta come per un bacio, il bambino non ne è sicuro, gli piacerebbe davvero fosse così, poi si spinge in avanti a guardare, a cercare qualcosa, forse una risposta. Anche il bambino cerca di guardare attraverso la siepe seguendo lo sguardo di Pallina ma si vede poco, la siepe è fitta, la luce non filtra, lo sguardo neppure. Poi, la vista adattata allo scuro, intravede la forma di un gatto steso all’ombra della siepe. Sembra un gatto rosso, grasso e forse vecchio; non ha mosso nemmeno un pelo, solo un occhio spalancato nell’occhio di Pallina ne frena l’agitarsi lasciando posto ad un ringhio, talmente sommesso da sembrare un tremito, talmente buffo in un cagnetto così piccolo che il bambino sorride, rilassato, finalmente.
Ma l’agitarsi riprende violento, improvviso, all’emergere di una voce infantile dall’altra parte del parchetto dei giochi dei bimbi. Uno spiazzo d’erba troppo alta e troppo rada per essere un prato, uno scivolo, due altalene, due panchine per le mamme. Lui non c’è mai entrato, le mamme che portano al parchetto i figli devono essere peggio dei padroni che portano a spasso i cani. Non ne è sicuro ma ha sempre cercato di evitare la verifica.
La voce infantile grida ancora “Pallina”, Pallina si agita, il bambino la lascia cadere, lei parte a tutta velocità, dopo pochi metri si ferma, si volta, al bambino sembra che voglia salutarlo, non ne è sicuro, gli piacerebbe davvero fosse così, riparte di corsa attraversando l’erba alta e rada del parchetto con lunghi balzi, lunghi in rapporto alle zampette corte, qualcuno potrebbe prenderla in giro paragonandola a un coniglio. Non il bambino che non ha mai visto correre un coniglio, anzi, non ha mai visto un coniglio vero.
Pallina è arrivata dall’altro bambino, gli sta saltando intorno come per arrampicarsi sulle sue gambe; il bambino qui, quello che conosce tutta la storia, li guarda. Un po’ è contento che Pallina abbia trovato un amico? Un padrone? Un po’ gli dispiace, un po’ tanto, che sia corsa via da lui.
L’altro sta guardando verso di lui, agita in alto un braccio, probabilmente sorride, lui non ne è sicuro ma lo spera. E’ un saluto? Un invito? Vorrebbe diventassero amici? Potrebbero diventare amici?
Lui è sicuro. Anche se è così piccolo di questo è sicuro. No! Non potrebbero.
L’altro è bianco.
https://www.differentales.org/t461-il-giorno-della-merla#5216
Il cagnetto si sposta tra un’ombra e l’altra caracollando affannato, con l’aria di cercare un rifugio che non trova, o una risposta. E’ un buffo cagnetto, il pelo bianco e nero tendenzialmente arruffato, il ciuffo che quasi gli copre gli occhi a palla e le zampette corte e storte che conferiscono alle sue corsette un’andatura tra il barcollante e rimbalzare elastico di una palla di caucciù, lo fanno sembrare più un peluche animato che un essere vivente.
Sembra perlustrare con attenzione e impegno il lungo confine di un unico giardino. Nascosta dalla siepe dovrebbe esserci una villa che dalla strada si indovina solamente. Un piccolo scatto, pochi metri, e una sosta. Ad ogni sosta si alza sulle zampe posteriori, appoggia le anteriori quasi alla sommità del muretto che fa da base all’inferriata, protende il collo inesistente, come volesse guardare dentro. Ma gli occhi a palla rimangono inesorabilmente al di sotto del livello necessario. Un altro scatto, un’altra sosta, ancora sulle zampe. Forse spera che un quel punto il muretto sia più basso o che magari questa volta riesca a stendersi un po’ meglio, un po’ più in alto, per arrivarci.
Il bambino è fermo dall’altra parte della strada. E’ un po’ che osserva il cagnetto. In realtà è lui l’unico che sta vedendo questa scena, è l’unico che può raccontarla, è l’unico che può viverla, oltre al cagnetto.
L’esperienza però gli ha insegnato che è meglio tenersi a distanza, dai cani e dai loro padroni, soprattutto dai padroni. E quel cagnetto un padrone deve ben averlo. Non ha certo l’andatura stanca e lo sguardo dimesso dei randagi che ogni tanto incontra appena fuori dalla città. E che di nascosto da tutti ha imparato ad avvicinare; alcuni di loro si sono perfino lasciati accarezzare. Al bambino piacciono i cani, lui vorrebbe. Vorrebbe aiutarli, portare loro qualcosa da mangiare magari. O da bere. Non certo averne uno tutto suo. Sa benissimo, anche se è così piccolo, che non ce n’è abbastanza per i grandi e neanche per i bambini, figurarsi per un cane.
Si ricorda, o forse glielo hanno raccontato, non è sicuro, che quando andava in giro nel passeggino recuperato chissà dove, sua mamma, quando poteva, girava al largo dai signori che portavano a spasso i loro cani. E se passavano vicino ad uno di loro, faceva sempre in modo che il bambino non riuscisse a sporgersi dal passeggino per accarezzarli, come avrebbe voluto.
Poi, quando ha cominciato ad andare in giro da solo, sfuggendo allo sguardo stanco della mamma, ne ha incontrati di cani e di padroni. Spesso i cani lo ignoravano, qualcuno anche ringhiava, piano, sommesso, più un avvertimento che una minaccia. I padroni invece lo fissavano sempre, trattenendo il cane. Una volta un cagnetto forse poco più grande di quello di oggi, ma non tanto, ha sorpreso il padrone impegnato al cellulare e si è precipitato verso di lui, dimenando la coda con entusiasmo. Il padrone ha immediatamente bloccato il guinzaglio, era uno di quelli scorrevoli per cagnetti piccoli, e gli ha dato uno strattone. Il cagnetto si è sollevato da terra precipitando all’indietro con un guaito. Era già abbastanza grande per ricordare bene ma non è sicuro che le cose siano andate proprio così, certo non ha capito perché. Poi, passandogli accanto il padrone lo ha urtato; non è sicuro che l’abbia fatto apposta, sicuramente non ha capito perché. Da quella volta però ha imparato anche lui a girare al largo dai padroni che portano a spasso i loro cani.
Ma oggi non c’è nessun padrone in giro, né nessun altro. Il buffo cagnetto sembra aver bisogno di aiuto. Il bambino pensa che sia rimasto chiuso fuori di casa, magari dalla villa nascosta dietro la siepe, e che non riesca a trovare la strada per rientrare ma non è sicuro che sia così. Resta immobile sotto il sole a picco, avvolto dalla coperta di lana dello scirocco; finché se ne sta lì fermo è al sicuro.
Vorrebbe fare qualcosa per aiutare il cagnetto ma non sa che cosa, non è sicuro quale sia la cosa giusta da fare, se pure ce ne è una.
Comincia attraversando la strada quasi per caso, senza avvicinarsi troppo al cagnetto, senza dare l’impressione di volerlo fare. Sta lì un po’, fermo vicino all’inizio dell’inferriata. Ed è il cagnetto che si avvicina alla fine di una delle sue buffe corsette. Questa volta però dimentica il muretto e si mette proprio davanti al bambino, seduto sul posteriore, fissandolo dritto negli occhi. Il bambino rimane affascinato dalla punta fremente della lingua rosa che si affaccia tra il pelo del muso, visto da vicino è davvero buffo! Si piega lentamente sulle ginocchia; il cagnetto si avvicina un po’ di più sventolando la coda a ciuffo. Il bambino potrebbe tendere la mano per accarezzarlo. Prima si guarda in giro un’altra volta, a vedere che nessun possibile padrone appaia nella strada deserta. Lo accarezza. Ha un collare con una targhetta. Il bambino non sa leggere, non sa leggere bene almeno, solo qualcosa. Forse c’è scritto PALLINA e un numero. Non è sicuro ma gli basta, per lui adesso è Pallina!
Dopo tre carezze, dev’essere che tre carezze per lei (adesso sa che è un cagnetto femmina) è il numero giusto per fare amicizia, Pallina si alza, va al muretto, si mette in piedi sulle zampe posteriori, appoggia le anteriori al muretto e lo guarda, diretta. Non è una domanda, tanto meno un ordine, è una constatazione. Il bambino pensa di aver capito, non è sicuro, si guarda ancora in giro nella strada ancora deserta, prende delicatamente il cagnetto sotto le zampe anteriori e la solleva oltre il muretto ché possa guardare oltre la siepe. Pallina si gira solo un attimo verso di lui, la sua linguetta rosa scatta come per un bacio, il bambino non ne è sicuro, gli piacerebbe davvero fosse così, poi si spinge in avanti a guardare, a cercare qualcosa, forse una risposta. Anche il bambino cerca di guardare attraverso la siepe seguendo lo sguardo di Pallina ma si vede poco, la siepe è fitta, la luce non filtra, lo sguardo neppure. Poi, la vista adattata allo scuro, intravede la forma di un gatto steso all’ombra della siepe. Sembra un gatto rosso, grasso e forse vecchio; non ha mosso nemmeno un pelo, solo un occhio spalancato nell’occhio di Pallina ne frena l’agitarsi lasciando posto ad un ringhio, talmente sommesso da sembrare un tremito, talmente buffo in un cagnetto così piccolo che il bambino sorride, rilassato, finalmente.
Ma l’agitarsi riprende violento, improvviso, all’emergere di una voce infantile dall’altra parte del parchetto dei giochi dei bimbi. Uno spiazzo d’erba troppo alta e troppo rada per essere un prato, uno scivolo, due altalene, due panchine per le mamme. Lui non c’è mai entrato, le mamme che portano al parchetto i figli devono essere peggio dei padroni che portano a spasso i cani. Non ne è sicuro ma ha sempre cercato di evitare la verifica.
La voce infantile grida ancora “Pallina”, Pallina si agita, il bambino la lascia cadere, lei parte a tutta velocità, dopo pochi metri si ferma, si volta, al bambino sembra che voglia salutarlo, non ne è sicuro, gli piacerebbe davvero fosse così, riparte di corsa attraversando l’erba alta e rada del parchetto con lunghi balzi, lunghi in rapporto alle zampette corte, qualcuno potrebbe prenderla in giro paragonandola a un coniglio. Non il bambino che non ha mai visto correre un coniglio, anzi, non ha mai visto un coniglio vero.
Pallina è arrivata dall’altro bambino, gli sta saltando intorno come per arrampicarsi sulle sue gambe; il bambino qui, quello che conosce tutta la storia, li guarda. Un po’ è contento che Pallina abbia trovato un amico? Un padrone? Un po’ gli dispiace, un po’ tanto, che sia corsa via da lui.
L’altro sta guardando verso di lui, agita in alto un braccio, probabilmente sorride, lui non ne è sicuro ma lo spera. E’ un saluto? Un invito? Vorrebbe diventassero amici? Potrebbero diventare amici?
Lui è sicuro. Anche se è così piccolo di questo è sicuro. No! Non potrebbero.
L’altro è bianco.
https://www.differentales.org/t461-il-giorno-della-merla#5216
Ultima modifica di gdiluna il Dom Mar 28, 2021 4:30 pm - modificato 1 volta. (Motivazione : inserimento link al commento)