Questo non è un racconto.
Il 2 aprile 2006 scrissi queste righe ad un poliziotto che avevo conosciuto, uno che con le parole ci sa fare e che le parole le sa ascoltare. Non so se le abbia lette. Oggi le ho riprese perchè Tommy, non ogni anno ma ogni giorno, vive nei ricordi di tante persone che quella notte non volevano credere alla notizia del suo ritrovamento.
Ogni anno mi rileggo queste parole, mai abbellite o corrette, perchè non voglio dimenticare non solo quegli occhioni azzurri, ma il disgusto, la ripugnanza verso i suoi assassini, che purtroppo ancora respirano, ridono e sperano nel perdono.
Carissimo Mimmo, scuserai l’intrusione nella tua privacy ma oggi ho bisogno di… non lo di che cosa ho veramente bisogno, forse solo di provare a descrivere quello che sto provando, perché oggi solo le parole non bastano, ci vogliono anche i pensieri e bisogna metterli in ordine, perché sono troppo confusi.
E oggi non mi basta condividere queste cose con il mio compagno, che figurati se non mi capisce: ho bisogno di condividerle con un amico, forse una parola esagerata per quel poco che ci conosciamo, ma io ti considero così.
Ho bisogno di una persona che abbia vissuto cose simili sulla propria pelle, e che spero non mi giudichi ma comprenda.
Non posso chiederti come si fa a non farsi travolgere così tanto da certi sentimenti perché forse non lo sai neanche tu, nonostante le barriere che probabilmente hai dovuto imparare ad alzare in certe circostanze. Non che ci creda molto al fatto delle barriere, ma deve essere così altrimenti non ha senso che Voi poliziotti riusciate ad essere lì, ogni giorno.
Avrai già capito che si tratta di Tommaso. Ieri sera, quando ho sentito la notizia, a parte il non volerci credere subito, sono rimasta talmente attonita che mi sembrava di non provare niente.
Ma oggi i pensieri sono tutti per quell’esserino. È una bellissima giornata e non mi sembra giusto, N. è invasa dalle bancarelle, da auto, moto, gente impegnata fino allo stravolgimento nello “shopping”, e non mi sembra giusto. Dalle finestre aperte entrano risate, brontolamenti di bambini e mariti stanchi, un chiacchiericcio allegro e non mi sembra giusto.
Oggi niente mi sembra giusto.
Quanta rabbia ci può essere dentro una lacrima? E quante lacrime dietro la rabbia che sto provando in queste ore?
Troppa. Troppe. E inutili, perché Tommaso non tornerà mai in vita, per quante lacrime mamme e papà possano piangere e per quanta rabbia possano gridare silenziosamente.
Tommy aveva tanti papà e tante mamme che in queste settimane avranno ripensato alle sensazioni che si provano nello stringere un piccolo corpicino tiepido, sentirne l’odore, quell’odore straordinario che hanno i bambini, che sa di capelli finissimi, di pelle delicata, di borotalco, di pulito.
Pulito dentro e fuori, come vorrei sentirmi adesso.
Sto piangendo e non me vergogno ripensando all’immenso desiderio di protezione che senti quando vedi il tuo cucciolo tentare i primi passi, e lo vedi così fiero di quel primo traguardo che lo porterà lontano.
Lisa mi ha regalato una piccola targhetta, proprio nei giorni in cui la sua decisione di spiccare il volo mi stava facendo soffrire. C’è scritto: Le mamme stringono le mani dei loro bimbi per un po’ ed i loro cuori per sempre.
Non so chi l’ha scritta, magari per lui o per lei era solo lavoro: una frase scovata chissà dove, una foto di un bocciolo di fiore da abbinare, un cartellino con il prezzo e via.
Sto piangendo e non me ne vergogno. Piango pensando al gelo e al freddo che stanno provando Paolo e Paola: se Tommy fosse stato trovato vivo avrebbero attinto da quell’esserino la forza di superare lo stravolgimento delle ultime settimane, quel frugare nelle loro vite, nei loro errori e nelle loro debolezze, ma anche nella più ordinaria delle quotidianità. Ma Tommy questa forza non gliela può più dare. Dovranno trovarne altra, e sarà crudele.
Sto piangendo e non me ne vergogno, guardando gli occhioni di Tommy, splendidi e limpidi come solo gli occhi dei bambini possono essere, pieni di meraviglia per ogni cosa nuova, con la fiducia incrollabile verso le persone che li amano. Verso TUTTE le persone.
I bambini, per quanto timidi siano, non abbassano mai gli occhi, e se lo fanno è solo per un primo momento di timidezza: non hanno niente da nascondere, non hanno ancora imparato la vergogna della menzogna, la brutalità della cattiveria.
Si fidano: quello sguardo diretto si perderà col tempo, con le esperienze, le disillusioni, fino a quando non lo ritroveranno negli occhi di un bimbo, magari il loro bimbo.
Sto piangendo perché ho provato una voglia tremenda di vendetta: ho voglia di fare male a quelle persone, non una volta sola, ma tante volte quante sono le lacrime che in queste settimane sono state versate, vorrei che davvero scattasse quel “codice d’onore” che si dice ci sia tra i carcerati, giustizia assoluta verso chi fa del male a degli angeli.
Sto piangendo perché questa voglia mi fa sentire primitiva e barbara, come quando ancora gli uomini non avevano delegato alla “giustizia” il desiderio di vendicare un’offesa, ma il tutto semplicemente ad un boia e ad un processo dal risultato scontato. Sto male perché ho desiderato che chi si sta occupando di quelle bestie in queste ore potesse spogliarsi della divisa, dimenticarsi di avere un dovere e …
Lo sai quello che ho desiderato, vero?
Penso proprio di sì.
Ma sarebbero sempre mani di altri, che dovrebbero trovare quel coraggio che io non troverei mai, e questo non è giusto, forse non è neanche giusto pensarlo. Ma umano sì.
Sentirsi così è tremendo, ma se penso alla paura che deve aver provato quel bambino, che non aveva ancora del ragionamento suoi per poter comprendere cosa significasse essere strappato dal seggiolone, portato fuori al freddo, al buio, senza poter vedere in viso quelle persone, senza poterle magari riconoscere e tranquillizzarsi
Le mie paure sono insignificanti, mentre ci sono quelle di Paolo e Paola, inimmaginabili se non le provi sulla tua pelle e se non hai un figlio.
Ho paura, Mimmo, paura di pensare che, se le cose sono davvero andate come fino ad adesso sembra, sia stato un padre a uccidere un bambino, magari guardandolo negli occhi, e solo perché piangeva.
Un uomo, un padre, che non ritorna in sé neanche davanti ad un bambino che piange e che ha paura, ma che razza di uomo è?
E per che cosa poi? Per dei soldi? Per una manciata di maledetti, fottutissimi soldi, che sarebbero probabilmente volati via in debiti da pagare o nello sballo di qualche settimana di lusso, semmai fossero riusciti a ottenerli. E finiti quelli, di soldi?
È la grettezza delle motivazioni che ci deve far riflettere, perché di episodi come questi ne stanno succedendo troppi.
Adesso non piango più: mi sento vuota e indifesa. Indifesa perché questo orrore è stato commesso da una persona normale, che potrebbe essere il tuo vicino di casa, con cui magari avresti commentato le notizie giorno per giorno e che continuava a vivere giorno per giorno come se nulla fosse.
Mi sto anche chiedendo se davvero esiste quel Dio che ci hanno assicurato essere giusto e onnipotente ma che lascia succedere queste cose.
Tra qualche giorno queste emozioni si placheranno, perché la vita continua, perché è sempre così dopo qualunque tragedia che non ti tocchi veramente da vicino: magari rileggendo queste frasi mi verrà da dire che se non te le avessi mandate avrei fatto miglior figura.
Ma adesso non mi importa.
Perdona ancora di aver approfittato della tua cortesia e della tua pazienza.