Gustavo Lanotte si alzò mal volentieri dal divano allo squillo del campanello, nonostante sapesse cha da un momento all’altro sarebbe accaduto. A ogni movimento brusco sentiva i cerotti sulla schiena tirargli la pelle e i punti chirurgici pareva si volessero dividere.
Con lentezza calcolata arrivò al citofono, esattamente un istante prima che la persona fuori premesse di nuovo il pulsante.
«Chi è?»
Rispose un voce squillante: «L’infermiera che la deve medicare è qui per lei.»
Gustavo aprì la porta e si trovò davanti un viso femminile ma non troppo, a dispetto della voce, poggiato su di un corpo dalle linee mascoline infilato in un celeste vestito senza maniche e lungo fino al ginocchio; ebbe la forza di non ribattere e fu la sua fortuna.
Infatti la donna ebbe un piacevole impatto: «Bonjour, monsieur Gustave. Lei è Gustavo Lanotte, vero? Sono qui tutta per lei.»
Lui si spostò per farla entrare dicendo: «Sei francese? Come ti chiami?»
«Oh, je m’appelle Embolie, monsieur.»
«Ma cristo, una francese mi dovevano mandare… perché non è venuto Mario, come le altre volte? Embolie poi è significativo.»
La guardò, preoccupato e lei esplose in una risata: «Mi chiamo Teresa e sono di Cremona, sono l’anti embolia per eccellenza, come può vedere.»
Rise anche lui, felicemente colpito dall’autoironia della donna.
«Mario ha avuto problemi in casa e l’ambulatorio mi ha chiesto se lo potevo sostituire per qualche giorno, per questo sono qui. Passiamo ai fatti, su, medichiamoci. So che ha già tutto quanto serve, dove lo trovo?»
Lanciandole uno sguardo poco convinto, Gustavo le disse: «In camera da letto, mi segua.»
«Wow, mi invita in camera da letto? È sicuro? Mi guardi bene, su…»
La voce era sempre gioiosa, non rispecchiava il fisico, e forse questo contribuì a far cadere le difese del paziente: «In camera mia ci porto chi voglio, non le pare?»
Voleva essere una battuta e lo fu, ma non si aspettava la risposta: «Beato lei, piacerebbe farlo pure a me.»
Entrarono, lui davanti e lei a seguire.
Teresa si guardò intorno e poi si volse verso di lui: «Scusa Gustavo, ti do del tu, ma per caso sei ipocondriaco?»
«Ipo che?»
«Ipocondriaco, uno che ha terrore delle malattie.»
«Ma figurati se io…»
«Allora spiegami qualcosa, se ti va.»
Da un lato del letto c’era una piantana con annessi attrezzi per enteroclisma, dall’altro una per fleboclisi.
Per nulla imbarazzato, rispose: «A me piace tenere il corpo sotto controllo, intestino compreso, quindi mi faccio periodicamente dei lavaggi per ripulire il tratto finale, tutto qui.»
Sorridendo: «Capito. Beh, non esagerare altrimenti rischi la stitichezza cronica. E la flebo? Che te ne fai?»
«Beh, non si sa mai, può sempre servire. Le ho comperate in coppia.»
Scosse la testa, Teresa: «Certo, certo. Vabbè, dov’è il materiale? Ah, eccolo. Spogliati da bravo che la tua Embolie ti sistema.»
Trattenendo un sorriso, Gustavo si tolse la maglietta e si sdraiò prono sul lettone rivelando agli occhi dell’infermiera una schiena ricoperta da garze e cerotti.
«Per la miseria, Gustavo, ma che hai fatto, lo posso sapere?» chiese cominciando a inumidire con il disinfettante per agevolare il distacco dalla pelle.
«Prima togli tutto e poi ti spiego.»
Obbediente e in perfetto stile professionale, Teresa poco a poco liberò la schiena del povero Gustavo, trovandosi a osservare una serie di ferite, alcune delle quali ricucite chirurgicamente, che l’attraversavano in ogni senso.
«Non è che sei un sadomaso? Ci sono segni notevoli» sghignazzò dopo aver visto cuciture e mezze cicatrici «però a questo livello saremmo al top. Hai una mistress che ti domina? Non sembri il tipo, ma l’apparenza inganna, si sa.»
Sbuffando forte, la inchiodò: «Come mistress andresti bene tu, ma adesso fai quello per cui sei venuta, poi potremo parlarne.»
Colpita sul vivo, Teresa disinfettò le ferite e rifece le medicazioni senza più dire parola fino alla fine: «Ecco, tutto a posto, ti puoi alzare.»
Bestemmiando tra sé per il dolore, Gustavo si mise a sedere e si lasciò aiutare a rimettere la larga maglietta, unico indumento in grado di portare senza soffrire troppo. La guardò in volto e rise: «Embolie, non sono masochista, ma un’esperienza la farei, con la donna giusta. Che mi dici, ti va?»
L’imbarazzo la colse e balbettò: «Ma ma ma… lei, tu, scusa, non sei sposato?»
«Ma chi vuoi che sposi uno come me, uno che le donne le divora, nel senso che le consumo e poi le mollo quando non c’è più niente da spolpare, come una costoletta d’agnello.»
«Io… io devo andare, s’è fatto tardi» sussurrò Teresa uscendo dalla camera e andando verso la porta d’entrata, «torno giovedì.»
Una risata satanica la bloccò, risata seguita dalle parole: «Certo che basta poco a sconvolgerti, mi parevi più forte, Embolie. Oh, torna solo se oggi battiamo il Brasile, altrimenti non farti vedere.»
Senza dire niente, uscì, quasi piangendo. E non ne capiva il motivo esatto. Tutto sommato lui si era adeguato al suo approccio, ribattendo senza problemi a ogni discorso. Doveva riflettere.
Premette il pulsante e sentì il trillo.
Niente. Stava per premere di nuovo quando il citofono gracchiò: «Chi è?»
«Sono Teresa, l’infermiera.»
«No, guardi, non che farne di una Teresa, io sto aspettando una medicatrice.»
Frustrazione mista a stupore… «Ma sono io, Gustavo, sono Embolie e l’Italia ha vinto.»
La porta si aprì e ne uscì il volto sorridente e un po’ marpione di Gustavo Lanotte: «Ciao, Embolie, vieni, andiamo subito in camera.»
Memore della volta precedente, la donna si limitò a qualche sorriso e lo seguì.
Gli tolse la maglietta poi, una volta che fu sdraiato sul letto cominciò le operazioni.
Visto che non parlava, ci provò lui. «Ehi, bella, sei rimasta scioccata dalle mie parole o hai un improvviso mal di gola?»
«Fermo, non muoverti.»
«E chi si muove, sono nelle tue mani e puoi fare di me quel che vuoi.»
Non ricevendo risposta, proseguì: «Hai dato un’occhiata al giardino di latto all’entrata o sei passata diretta come un treno?»
«Ho visto solo che ha un bel cespuglio di rose canine, sul resto non mi sono soffermata.»
«Ah, ma allora la voce c’è ancora, niente raucedine. Meno male, mi mancava questo trillo.»
«Non prendermi in giro o ti faccio male.»
«E chi ti prende in giro? Hai una voce splendida, Embolie. Comunque la causa delle mie ferite sulla schiena sono proprio quelle rose canine.»
Sollevandosi, lei chiese: «Davvero? Com’è possibile?»
«Non ci crederai ma è vero. Ero a torso nudo e stavo innaffiando il giardino e, per quanto assurdo possa apparire, sono inciampato nella canna arretrando. Prima di cadere ho fatto alcuni passi senza equilibrio e sono finito con la schiena contro il cespuglio che, non so se hai visto, oltre che di rose canine è composto di rovi non da poco.»
«Chissà che male…»
«Già. E siccome non sono normale, anziché cercare di sollevarmi ho mosso la schiena più volte e alcuni rovi mi sono entrati lacerandomi. Ed è andata bene che il resto del corpo si è salvato, a parte qualche segno da poco sulle braccia. Niente sado maso, solo coglioneria.»
Rinfrancata dalle parole di Gustavo, Teresa terminò la medicazione parlottando della partita vinta col Brasile e dei gol di Pablito.
«Anche per oggi abbiamo finito, ora è meglio che vada. Ci vediamo lunedì.»
«Aspetta un momento. Intanto mi metti la maglietta, per cortesia, e poi ci facciamo una birretta.»
«Di mattina? No, meglio di no» rispose mentre gli infilava la maglia.
«Non avrai paura di me, vero? Ti ho detto che le donne le spolpo e poi le butto, ma mica è vero, sai? Anzi, di solito mi buttano loro…»
Teresa esplose in una risata liberatoria, quasi avesse scoperto chissà che, lasciandolo attonito.
«Beh, dai, siamo due piuttosto simili. Ci presentiamo in un modo per mascherare quel che siamo. In ogni caso preferirei un bianco, se ce l’hai.»
«Prosecco va bene?»
«Ottimo, direi.»
Stapparono la bottiglia e si scolarono un paio di calici a testa ma poi lei dovette andare a un altro appuntamento.
«Visto che hai portato fortuna col Brasile e che stasera si gioca con la Polonia, ti aspetto domenica per la medicazione. Dovremmo essere in finale.»
«Mi spiace ma domenica non lavoro, passo lunedì.»
Gustavo non fu insistente e l’accompagnò alla porta: «Come vuoi. La mistress comanda sempre lo schiavo».
Risero entrambi.
Appena fuori, Teresa si soffermò a guardare il cespuglio di rovi e rose autore del misfatto scuotendo la testa, pensierosa. Se ne andò.
Dopo aver scolato una confezione da sei di Beck’s, euforico per la vittoria mondiale dell’Italia sulla Germania, Gustavo Lanotte si avviò verso la porta, avendo sentito lo squillo del campanello.
Aprì direttamente, senza chiedere al citofono chi fosse, e rimase di stucco: «Teresa, che ci fai qua, hai detto che di domenica non lavori…»
«Oggi non sono Teresa, sono solo Embolie e non sono qui per lavoro ma per festeggiare la vittoria.»
Felice e sorpreso, la fece entrare e chiuse la porta.
«Ho finito le birre, ma di prosecco ne ho ancora, vado a prenderlo.»
Così fece, ma al ritorno ebbe una nuova sorpresa.
«Tere…Embolie, che stai facendo?»
Si era tolta il vestitino leggero, rimanendo con pantaloncini e reggiseno in lattice.
«Voglio festeggiare da mistress» disse sbattendo lievemente il frustino tricolore, «caro schiavo.»
Sbottò in una risata enorme, Gustavo, poi mise la bottiglia sul tavolo: «Un’altra volta, Embolie, magari domani. Ora sono mezzo ubriaco e ho solo voglia di far festa così.»
Quella frase ebbe un effetto micidiale sulla donna, facendola crollare.
«Lo sapevo» esordì singhiozzando, «nessuno mi prende mai sul serio neppure se voglio fare la cattiva.»
Lui si avvicinò, sempre ridendo, le tolse il frustino e la prese per mano facendola poi accomodare sul divano. Versò due calici di prosecco e gliene passò uno gridando: «Campioni del mondo, siamo campioni del mondo, Embolie, festeggiamo.»
Riprendendosi poco a poco anche lei, finirono per scolare la bottiglia e con l’ultimo goccio nei bicchieri uscirono in giardino.
Uno dei due, non si sa chi, inciampò e fece cadere anche l’altro. Ovviamente finirono insieme sul cespuglio di rose canine e rovi.
Gustavo Lanotte si alzò mal volentieri allo squillo del campanello, lamentandosi non poco per il dolore. Teresa non si mosse dal divano.
«Chi è?»
«Sono Mario, l’infermiere che vi deve medicare.»