- Ci pensi mai che potresti essere al Truman Show? Ci pensi mai che potresti essere Truman, tu? O io?
- Non ci avevo mai pensato, in effetti.
Avevo cominciato a selezionare gli uomini così, con questa domanda. Laura mi prendeva in giro.
- Non è molto diverso da quello che fai tu, Laura cara, quando chiedi il segno zodiacale.
- Ma smettila, cretina. Mica uno te lo dice così, se è un pazzo invasato come te. Tu che ancora controlli se ci sono le telecamere a casa mia.
- Non l'ho più fatto, dai. È che ti conosco dall'asilo nido, che ne so che non siamo tutte e due invischiate in qualche reality maxi?
- Siamo state a Londra, a Parigi, a Berlino. Intanto Truman non è mai stato in nessun posto che non fosse il suo misero paesello. A noi chi cazzo dovrebbe seguirci accaventiquattro?
- Infatti nessuno. Cosa credi, che sono pazza sul serio? Diciamo che ci penso, dai. Almeno due o tre volte (almeno quindici, in realtà) nell'arco della giornata.
- Periodo nero, eh, Agnese?
Il suo tono è annoiato, anche se in maniera velata. Come posso darle torto? Non mi sopporto io stessa, spesso e volentieri.
- Con il tipo com'è andata? - continua, con un tono più dolce.
- E come vuoi che sia andata? - vorrei dirle che è andata benissimo, che finalmente mi sento davvero felice, in quella maniera leggera delle prime uscite andate alla grande, che ti lasciano un sapore di casa - Male, è andata male. Quando gli ho fatto la domanda, mi ha guardata come se mi fosse spuntata una merda sulla fronte. Tempo cinque minuti e ha accampato una scusa; sparito.
- Be', non riesco a biasimarlo. - di nuovo lo stesso tono, che comincia a darmi fastidio.
- Ah, quindi sei dalla loro parte?
- Tu sei proprio cretina, lasciatelo dire.
- Grazie, lo so.
- Va be' dai, lasciamo perdere, scusa. Lo so che è difficile, lo so.
- No, Laura, non lo sai. Ma grazie lo stesso.
Sono dura come una roccia. Fuori. Ma dentro sono gelatina. Tremo tutta. Fuori roccia, dentro gelatina tremolante.
- Sono passati tre anni, Agnese.
- Lo so bene quanto è passato. Conto i minuti, cristo santo. I minuti. Lo so, lo so, che non lo troverò un altro come lui. E chi lo vuole, poi, uno come lui? Ma ne vorrei trovare uno che almeno riuscisse a stupirmi, proprio come faceva Marco. Poi magari torna, e mica mi posso innamorare di qualcun'altro così, senza pensarci.
- Non tornerà più, e devi smetterla di pensare che sia tutto un reality alla Truman Show o una roba virtuale alla Matrix. - non la conoscevo dura, Laura. Ora sì. - Questa è la realtà, Agnese. Marco è scomparso durante la sua ultima missione, Marco non tornerà. È praticamente certo che sia morto.
- Ma praticamente di cosa? Hai visto un corpo, tu? - sento che comincio a sfaldarmi, me ne devo andare – Dai, me ne vado a casa. Col tipo è andata male, con te pure. Oggi mi sa che non è giornata, Laura.
Ci salutiamo con un abbraccio tiepido e mi stringo nella giacca leggera mentre soffoco un insulto fra i denti. Si stancano tutti, di un amico fragile, prima o poi.
Perché, diciamocelo, siamo delle piaghe, grumi di bipolarità a spasso nel mondo. Liberi. Senza controllo.
Inseguo un amore che potrebbe essere morto. Che dovrebbe essere morto. Forse. Chissà. Truman.
- Potrebbe essere morto, Agnese. Hai capito? È praticamente certo che lo sia.
Assunta mi stringeva le mani, inondandole di lacrime. Un fiume di lacrime, le mie e le sue mescolate a bagnarci come pioggia acida.
- Ho capito, Assunta, ho capito.
Si è rotto qualcosa dentro, in quel momento. Disperso. Che parola ridicola. Grottesca. Vuol dire tutto e anche niente. Non ho capito del tutto, ecco la verità. Non voglio capire. Truman.
Ma intanto lui non c'è più, in un modo o nell'altro. Questo è.
Provo a farci i conti.
Ho provato a vivere di nuovo. Ma non posso fare a meno di pensare, al margine del mio cervello, che deve essere tutto un grande, enorme, bluff.
Perché proprio disperso?
Perché non posso vederlo, il suo corpo?
Se non lo vedo, non è vero.
Se non lo vedo, non può essere vero.
Punto.
Truman.
E come fai a vivere, come fai a voltare pagina?
Quale cazzo di pagina volti, se non sai che fine ha fatto il libro?
Allora ho pensato che effettivamente potrei essere in un reality o magari (questo fa più male, però) che sia morto davvero.
Alla fine preferisco vivere nella pazzia.
Preferisco. Posso sopravvivere, così.
Per tutti gli altri ormai è morto. Praticamente certo.
Non per me.
Truman.
Stamattina ci sono calata, nel mio reality. Tutto mio.
Mi sorprendo a salutare un'ipotetica telecamera. A ripetere quello che dice Truman nel suo show. Buongiorno e se non ci vedessimo più buon pomeriggio buonasera e buonanotte.
La risata mi sorprende, e per un attimo mi sento bene. Davvero bene.
Quasi in pace.
Se penso che sei morto quasi non riesco a respirare. E invece guardami adesso. Rido. Saresti fiero di me, lo so.
- Sarebbe bello invecchiare insieme.
Diceva.
- Basta trovare la formula giusta.
Rispondevo io, dentro felice ma anche, non lo so, potrei dire adesso che me lo aspettavo? Ma cosa, mi aspettavo?
Semplicemente avevo paura che non lo avremmo fatto. Non saremmo invecchiati insieme. Non noi.
Lui ne rideva, del mio pessimismo. Pessimismo cosmico, lo definiva. E mi chiamava Giacoma, quando esageravo.
Era fantastico, a volte.
Spesso, era solo un gran rompicoglioni. Spinoso, brusco, perso in altri problemi, altre questioni. Non era perfetto. Non è perfetto. Non lo è stato quasi mai.
Però… E basta solo il però, contiene tutta la nostra vita insieme.
Tutti hanno sofferto per Marco, ovvio che sì. Potrei dire: non quanto me. Ma chi sono io per giudicare il dolore degli altri?
Però loro ne sono usciti, in qualche modo, e invece io sono ancora qui, che affondo.
Devo fare qualcosa per uscirne.
Devo partire, posso partire. Posso trovare il corpo di Marco. Oppure no...
Truman.
Devo andare, cercare, indagare.
Non posso farne a meno.
Il mio nuovo mantra, che mi aprirà tutte le porte.
Non posso farne a meno.
Lo ripeto molte, moltissime volte.
A tutti quelli che mi chiedono perché. In ambasciata. Mentre organizzo il viaggio.
Lo dico con un sorriso mesto, di chi porta una croce troppo grande da raccontare.
E così mi sento.
“Non posso farne a meno” è il mio scudo contro la razionalità.
E mi basta.
Oh, se mi basta.
Ci sguazzo nel mio dolore, nelle mie angosce. Nella mia pazzia. Ci sguazzo beata. Sono a un passo dal perdermici, per sempre.
Devo darmi una scossa, devo andare.
Truman.
Se sei morto davvero devo saperlo, Marco.
E se non sei morto ti riporto a casa, maledetto Truman show delle mie tasche.
Un rumore di passi interrompe le mie invettive. Sicuramente sembro una intenta a pregare, non una che sta bestemmiando e maledicendo la qualunque davanti a una tomba vuota.
Sono fiera della mia apparente dignità perbenista, quasi un filo bigotta. Se fosse un Truman show, sarei perfetta per la parte della protagonista.
- Hey, fiorellino.
Chi, chi si permette di chiamarmi come mi chiamava Marco, con la sua stessa inflessione forse quasi con la sua stessa voce?
Non mi volto, ho paura, non mi volto.
Ho paura.
- Si tratta di una cosa tipo Truman Show o più tipo schizofrenia galoppante?
Sento la mia voce, come lontana in un'altra dimensione.
Ho paura. Ancora.
- Direi più Chi l'ha visto? versione guerriglia quando il disperso non è più disperso, fiorellino.
- Quindi sei tu?
- Sono io.
- Perché?
E dentro ci metto tutto, tre anni nel fango a soffrire, a sperare, a sputare dolore. A diventare pazza.
- Era l'unico modo - gli trema la voce - dovevo capire la verità, arrivarci vicino, trovare una chiave… Era l'unico modo, fiorellino. L'unico… Ma ci sarà tempo, ne parleremo. Adesso, puoi voltarti?
È dietro di me, quasi a un passo.
- Gli ideali rovinano sempre le storie d'amore, e io ormai sono pazza, questo lo sai, sì? Pazza.
- Lo so. Ma guarirai, o magari no e allora saremo pazzi insieme. Puoi voltarti, fiorellino?
Cominciano a tremarmi le spalle.
- Agnese, fiorellino? Ti prego. La missione è finita. Sono qui e non me ne andrò più.
- Io lo sapevo, ah, come me la godo. Io lo sapevo che eri ancora vivo, brutto bastardo!
Mi volto.
È a un passo.
- Oramai, tra di noi, solo un passo, io vorrei non vorrei ma se vuoi…
Canticchio, sottovoce.
- Sei bello. Ancora.
- Anche tu.
- Sono anche pazza.
- Lo so. È praticamente certo che tu lo sia.
- Voglio che ti sia ben chiaro.
Allungo una mano, la guancia è ruvida al tatto. Come una cosa vera.
- Sei vero? Non sei un'allucinazione?
- Sono vero, fiorellino. Sono tornato.
Sicuramente domani gli rinfaccerò il silenzio, tombale proprio, nel quale mi ha lasciata marcire per tre anni. Lo farò, certo. Non posso farne a meno.
Ma ora lo abbraccio, sì. Ora lo abbraccio.
Vaffanculo, Truman.