"«Finalmente questo maledetto caldo potrò lasciarmelo alle spalle, è insopportabile, Mary. Tutta questa polvere, la sabbia, questo secco»
«Si, signor S: me lo dice tutti i giorni, da settimane ormai.»
«Fai meno la spiritosa, ti pago per ascoltarmi. Anche per questo, diciamo.»
«Mi porterete con voi, signor S?»
«Dipende. Soprattutto se, almeno per oggi, riuscirai a non distruggermi la schiena con quello strumento di tortura che chiami spazzola.»
Non appena Mary inizia a lavare la schiena di mister S, nel piccolo villaggio di Travis, nel Massachusetts, si odono urla poco mascoline, dovute allo strofinare di quelle dure setole su una pelle troppo delicata per appartenere a un uomo.
S era arrivato a Travis con una nave mercantile inglese partita da Liverpool diversi anni prima; in città era conosciuto con la sola lettera iniziale del suo cognome, così come aveva prepotentemente (preferirei fortemente o nessun avverbio) voluto. a
Alto e biondo, sulla quarantina, era il perfetto stereotipo dell’inglese altolocato che in quel periodo attraversava il grande mare in cerca di fortune in una terra che aveva dato e continuava a dare molto.
Non ("molto" conclude già il paragrafo precedente) avvezzo al lavoro manuale, con i risparmi che si era portato dietro aveva aperto la Tower Bank, diventandone proprietario, direttore e unico lavorante ("impiegato" sta meglio. "Lavorante", con tutto il rispetto, pare uno sguattero); non si fidava di nessuno, soprattutto se si parlava dei suoi soldi.
A Travis, chi più chi meno, aveva avuto a che fare con lui direttamente. Cinico e affarista, concedeva prestiti di denaro con altissimi interessi e, ben presto, divenne l’uomo più ricco della città. Talmente ricco che un gruppo di cittadini lo spinse a candidarsi a (candidarsi a, non candidarsi come) sindaco, contro il parere della restante frangia cittadina, spalleggiata (frangia è singolare anche se indica più persone) dal sindaco uscente e dallo sceriffo, che notava in lui qualcosa di spregevole. (osservazione: spregevole è un'opinione. Forse meglio dire "qualcosa di sospetto")
«Donna! Accidenti a te e alle tue maniere, se non mi uccide il caldo mi ucciderai tu!»
Mary ride sguaiata, come al solito. Era ormai la compagna di vita del signor S, salvata da una vita(ripetizione) da barista in uno dei saloon della città poco dopo il suo arrivo. Le aveva concesso di vivere con lui. Dapprima (In principio) nel piccolo appartamento sopra la banca, poi nella casa padronale costruita all’ingresso della città: enorme, dava l'impressione a molti di essere un pugno nell’occhio rispetto complesso delle alle altre strutture cittadine. La donna ebbe l'opportunità di crearsi, grazie a un fondo dell'uomo, una sua scuola, la Marygold School, da ciò che rimaneva di un vecchio deposito di carbone ormai in disuso. La scuola aveva una sola aula e accoglieva tutti i ragazzi di ogni età della cittadina. Mary si scoprì portata all'insegnamento e sopperiva, con metodo e savoir faire, ad alcune mancanze, con il saperci fare. Insegnava a fare di conto, a scrivere; spiegava la geografia e la storia del vecchio mondo e nel giro di un anno dalla sua apertura, la scuola contava già trenta presenti alunni. e Per questo, il preventivo per ampliare la struttura era al vaglio ormai da tempo e prevedeva un progetto di aprire un'aerea per insegnare a sellare e ferrare i cavalli. La donna teneva molto alla scuola, tanto da passarci molto tempo, anche oltre l'orario di apertura. Più volte, si era lamentata di quei buchi di proiettile sui muri, che spaventavano i bambini.
La cultura e l’eleganza inglese dell’uomo, avevano portato freschezza sia nella scuola, dove ogni parte era a portata di ragazzino: giochi, mappe, fogli per scrivere; esisteva persino un corso per stenografi e addetti al telegrafo. Le possibilità economiche, si intravedevano anche nella casa della coppia, dove il legno, materiale di norma utilizzato abbondantemente, lasciava spazio in alcune zone a inserti tipicamente da vecchio continente. Per esempio, nel bagno, dove la classica tinozza di legno utilizzata dagli abitanti del nuovo mondo, si era trasformata in una vasca da bagno sospesa su quattro zampe imponenti di un qualche animale che Mary non aveva capito ancora. La brocca e la tinozza per lavarsi faccia e mani, erano state sostituite da una toilette in stile francese, completa persino di specchio. S curava l’immagine della casa in ogni particolare e Mary era da tutti ormai considerata la Signora S. Lei, d'altra parte, doveva ancora abituarsi a quel riconoscimento.
«L’incontro di oggi potrebbe cambiare la nostra vita. Se dovesse andare in porto l’affare, potremo finalmente lasciare questo sputo di città.»
«Ma potremmo farlo comunque, con tutti i soldi che possiedi…»
«Non si tratta di miseri soldi. Non solo per lo meno. Qui parliamo di fama, misticismo, storia. La grande pipa potrebbe farci raggiungere vette economiche e sociali che nemmeno possiamo potremmo immaginare.»
S si tira in piedi nella vasca, sgocciolando scrollandosi i residui di dosso come un cane. Mary raccoglie un telo di lino abbastanza grande da avvolgerlo per asciugarlo con cura. S sorride e si dirige verso la zona notte, dove sul letto a barca sono poggiati i suoi abiti migliori: pantaloni neri, camicia marroncina, panciotto nero e giacca del medesimo colore dei pantaloni. Accanto a tutto questo, un Boss of the Plains bianco con rifinitura nera e il suo T.C.Skarrats in argento, appartenuto a suo nonno. Appeso ai piedi del letto, un cinturone nero di pelle con fondina; all’interno, in sicura, una LeMat con tamburo da nove colpi calibro .32, ad azione singola ed avancarica, comprata nel negozio di Mister Jameson per sostituire la vecchia Colt a sei colpi. (ultima proposizione è superflua, secondo me)
«Con questi, farò una splendida figura!»
«Vado a prepararmi.»
«No, tu rimani qui.»
«Ma signor S, eravamo d’accordo.»
«Gli accordi cambiano, andrò solo. Tu passa dalla banca, prendi il denaro nella cassaforte e ritorna qui. Ah, prima di andare, ricordati di lasciarmi le chiavi della scuola.»
Quando S era così serio e perentorio, Mary non poteva fare altro che chinare il capo e annuire. Seppur rancorosa per quei suoi sbalzi d’umore, non aveva intenzione di farglielo più notare; la prima e l’unica volta che successe (meglio: accadde), si ritrovò ricoperta di pugni e schiaffi.
Dopo essersi preparato a dovere, S si dirige al luogo dell’incontro in sella al suo Dred, un aphaloosa nero e bianco di cinque anni, acquistato all’arrivo in città. Percorre al passo tutta la via principale di Travis, lasciandosi andare in saluti teatrali(meglio: plateali) ai compaesani e una volta arrivato alla Marygold School, scende da cavallo e attende come concordato l’arrivo della diligenza, dalla quale sarebbe sceso un tale conosciuto per caso durante una mano poco fortunata a poker, che allora si era presentato come il benefattore. Si faceva chiamare Harris, ma il signor S era quasi certo che non fosse il suo nome reale, e forse anche per questo, lo aveva ascoltato con piacere, davanti a un buon bicchiere di torbato e al camino acceso, nella sua casa padronale.
«Vede mister S, quello che le ho proposto è uno scambio più che equo. Sempre che lei comprenda la grandezza di quello che le sto offrendo.»
«Signor Harris, lei per ora mi ha proposto solo di sborsare una cifra astronomica di denaro, per sponsorizzare una ricerca a dir poco stramba e senza punti certi, – sorride sotto i baffi i grigi, facendo roteare il bicchiere di whisky con le dita – chiedendomi di accettare che questo manufatto indiano, possa portarmi più in alto di ciò che sono ora. Non di meno, io dovrei consegnarvi alla fine tutto, il mio impero, la mia banca e la mia città, recandomi altrove. E ha pure approfittato della mia ospitalità, oltre ad avermi vinto a poker.» (Ultima frase del paragrafo è superflua, per me)
«Lei è l’unico che può accedere a questa offerta mister S, sia a livello economico che a livello intellettuale. Le posso garantire che la riuscita di questa spedizione è assicurata, non ci saranno intoppi. E si, per accedere a questo affare, lei dovrà lasciare Travis e tutto ciò che le appartiene a me. Solo così potrà accedere (ripetizione) godere della ricchezza della grande pipa.»
«Sembra quasi un nome inventato.»
«Lei ne sa qualcosa di nomi posticci, vero mister S?»
L’uomo sorride e annuisce soddisfatto, e . Dopo aver ingerito l’ultima parte di whisky, si alza e raggiunge un grosso quadro sopra il camino. Dopo averlo spostato ed Harris nota subito una grande cassaforte, sulla quale S inizia ad armeggiare.
«Quasi nessuna certezza, solo leggende. Poche probabilità di riuscita. Più varie problematiche che rendono la sua impresa pressoché impossibile.»
Un rumore metallico scandisce l’apertura della cassaforte, S recupera una mazzetta di dollari e si volta verso Harris, lanciandogliela sulle gambe.
«Quando parte, mister Harris?»
Si erano accordati di ritrovarsi alla scuola dopo tre settimane, e S non aveva la minima idea del tragitto che avrebbe fatto l’uomo. O cosa avrebbe dovuto fare per recuperare il manufatto. O dove, lo avrebbe recuperato. O da chi. Non aveva voluto saperne nulla, così da non doversi preoccupare di un’etica già malaticcia.
In quelle settimane, Harris raggiunse la città di Salem, sulla costa. Da lì, a cavallo, raggiunse la parte a nord del fiume Naumkeag, dove resisteva una piccola parte dell'antica comunità indigena locale. Naumkeake non era morta con la colonizzazione, ma era destinata alla rovina dopo le conquiste. (Ultima frase superflua, secondo me)
Nel teepee del capo tribù, Harris attende di essere ricevuto dall’ultimo erede dei wampanoag, un guerriero anziano, leggendario e ormai votato a proteggere i sopravvissuti in quella piccola colonia nascosta al limitare dei boschi. La tenda era addobbata da pelli di animali, corna di bufalo, ciondoli, coltelli e altri ninnoli. Al centro, un piccolo buco nel terreno fungeva da “contenitore” per il fuoco.
Il capo arrivò infine accompagnato da sua moglie e da un guerriero armato di arco e frecce. Dopo essersi accomodato e sistemato con cura il suo copricapo formato con decine e decine di piume bianche di aquila, attende che sua moglie prenda posto accanto a lui, accendendo il kalumet che viene offerto prima ad Harris.
«Takoda, missione è conclusa?»
«Si, Wakan. L’uomo bianco che si fa chiamare S, ha accettato.»
«Tu essere davvero degno di tuo nome.»
L’inglese forzato, Il capo tribù lo aveva imparato l'inglese, a tratti stentato, proprio da Harris, per comunicare potersi capire meglio circa loro affari. Nel teepee cala il silenzio per diversi minuti e i presenti si concentrano nell’uso del kalumet. Harris è poi il primo a parlare, tirando fuori dalla sua sacca le banconote ricevute in pagamento.
«Questa è la prima parte, sufficiente per armarvi a dovere. Il resto, ve lo consegnerò a tempo debito. Come da accordi, Jameson vi aspetterà fuori città con le armi che volevate, nella discrezione più totale.»
«Tu sarai con noi, Takoda?»
«Come sempre. Non appena S è i suoi soldi saranno fuori dalla città, nessuno potrà fermare la vostra rivalsa.»
Il capo annuisce convinto, e a quel cenno, il guerriero al suo fianco esce dalla tenda senza aggiungere una sola parola. La donna recupera dal lato destro delle sedute, della carne essiccata, frutta e verdura, tutto disposto su un piatto di legno. Lo posiziona tra i due uomini, che insieme cominciano a mangiare.
«Simbolo di pace questo. Tu aiutare noi, tu sarai ben compensato.»
«Tutto quello che desidero, è liberare questa terra dai miei simili per lasciarla a voi.»
«Tu ricorda che grande pipa, deve tornare in mie mani alla fine di tutto.»
«Si, questo è chiaro.»
Pochi istanti dopo, nuvola grigia ritorna con un fagotto tra le mani. Usa estrema calma (delicatezza?) nel posare davanti al capo il pacco, che con altrettanta cura, afferra i lembi della stoffa per liberare ciò per cui era lì l'uomo bianco. La grande pipa non era altro che un kalumet profetico e leggendario, donato da capo in capo dei wampanoag da tempo immemore. Si dice che prima dell’arrivo dei bianchi, capo orso che dorme ricevette la visione dell’arrivo del pericolo. Ricoperto di lame d’oro, era probabilmente l’unico oggetto di vero valore per la tribù, che poneva in quel artefatto (oggetto?) il destino completo della loro vita. Harris li aveva convinti che grazie a quello, avrebbero potuto riavere parte della terra tolta e fare ripartire proprio da Travis la loro storia centenaria.
In silenzio religioso, l’uomo prende dalle mani del capo l’oggetto e china il capo.
«Non ve ne pentirete.»
«Io credo questo.»
«Ci vedremo fuori dalla città tra 10 giorni.»
Harris riprende il suo viaggio a ritroso, fermandosi a Salem dove soggiorna per qualche giorno per perdere un po' di tempo. Prima di ripartire, spedisce un telegramma a Washington:
Oggetto recuperato. Stop. Tutti mi hanno creduto. Stop. Missione quasi terminata. Stop. Seguiranno mie per incontrarci. Stop.
Mister S era fermo davanti alla scuola, mano sinistra nella piccola tasca del panciotto e mano destra che continuava a portare alla vista l’orologio. Il viso era preoccupato e nella sua mente si faceva strada l’idea di aver preso un abbaglio nel fidarsi di quell’uomo. Proprio mentre stava imprecando per andarsene, in lontananza scorge (tempo verbale) una nube di polvere che si alza dall’orizzonte. Rinfrancato in parte, apre il portone e lo lascia socchiuso, raggiungendo l'unica aula, oltre l'atrio. Ampia e colma di banchi, era avvolta da un silenzio assoluto, rotto solo dal nitrire dei cavalli. Ode i passi rumoreggiare nell'atrio, fino a ritrovarsi davanti Harris, che ha tra le mani un fagotto di tela rossa: lo srotola in silenzio su un banco liberando l'oggetto. S non crede ai suoi occhi, sorride e da una pacca sulla spalla all’uomo.
«Non mi tocchi, non siamo così amici. Rimango sempre un mercenario, assoldato da lei per trafugare questo oggetto.»
«Io avrei assoldato lei? Ma è stato lei ad offrirsi! E cosa sarebbe questa storia del mercenario?» (Non so, forse all'epoca ci si dava del voi)
«Mai fidarsi di chi non si conosce - detto fatto, Harris estrarre velocemente la sua Colt, piazzando la canna sulla fronte di S – ora le spiego cosa è successo. Io ho fregato lei e gli indiani nello stesso tempo. Lei non prenderà questo oggetto, ma lascerà comunque la città come da patti.»
«Se lo può sognare!»
«Le conviene ascoltarmi. Entro due giorni, gli indiani saranno qui per sterminare tutti. Non essere in zona sarà essenziale per sopravvivere, ed è un consiglio totalmente gratuito, non così scontato da parte di gente come me. Ma lei mi sta simpatico, dopotutto.»
Il classico rumore del cane che carica il colpo, risuona nella stanza. La mano libera di Harris estrae l’arma dal cinturone di S, posandola sullo scrittoio poco distante.
«In tutta questa storia c’entra anche quel maledetto di uno sceriffo? È stato lui ad assoldarla?»
«No, io lavoro da solo. Non mi interessa di chi fotto con le mie azioni, lo faccio solo per me. E in questo caso, ho soldi contanti, un reperto che vale oro quanto pesa e il piacere di sapere che verrà versato molto sangue. Mi hanno chiamato “amico di tutti”, sono riuscito a fottere anche loro senza utilizzare la forza.»
Ride, indicando con un cenno del capo una trave nel mezzo della stanza. Tenendolo sotto tiro, recupera la stoffa del pacco e lo spinge verso questa e S, con le mani alzate e a passo lento, si dirige li. Si' inginocchia, lasciando che l’altro gli legghi le mani e i piedi tra loro. Solo ora, S si accorge dei fori sui muri di cui le gli parla spesso Mary, resti di una sanguinosa sparatoria, l'ultima di cui avere degna memoria li in città.
«Avviserò la sua donna di venirla a recuperare entro sera. Per quell’ora, sarò già lontano con i miei soldi. Anzi, i suoi soldi.»
Ride di nuovo mentre colpisce alle tempie S con il calcio della pistola, stordendolo tanto da fargli perdere i sensi. Nel silenzio della stanza, Harris accatasta sedute sedie e banchi sopra e tutto intorno al povero S, creando un trambusto non indifferente e rompendo anche qualche banco. Quindi recupera la pipa e la LeMat, lasciando poco dopo la stanza. All’esterno, sale su Dred e si allontana al trotto dalla scuola, in una delle mattine più calde di quel periodo estivo, tra le salsole che vengono mosse dal vento.
Sulle rive del Naumkeag, sorge un hotel, un casinò e un luna park a tema indiano. Di quelli veri, dei superstiti wampanoag, non si sa più nulla da anni ormai. A Travis, ora disabitata, si è raccontato per anni di quella sanguinosa mattina, dove centinaia di bianchi vennero trucidati da un gruppo di indiani armati e di come poi questi ultimi, presero possesso della città, svanendo negli anni per la poca conoscenza di una vita “da bianco”. La Marygold School è una delle poche strutture ancora in piedi, restaurata e trasformata in museo. I fori di proiettile sono ancora lì.
A Washington, Harris il mercenario, era finito in bancarotta: il suo affare con la grande pipa, non era decollato. Aveva subito cercato di piazzarla a S. P. Langley, direttore del famoso museo della città, che però aveva valutato il reperto come un gran bel falso. In seguito, dopo aver estratto le foglie d’oro vendendole poi a peso, aveva scoperto che il kalumet era composto da catlinite. Dopo aver cercato di vederlo per materiale, lo dona allo stesso museo, nella sezione dedicata agli indiani ad opera di George Catlin.
A Londra, S era invecchiato abbastanza da essersi perso qualche particolare, ma in quei quasi vent’anni passati, era riuscito a passare (ripetizione. Raccontare?) la vera storia a suo figlio Robert, avuto con Mary. I pochi risparmi che aveva nascosto, avevano consentito alla coppia di investire nuovamente in una banca a conduzione famigliare. Mary era tornata a insegnare in una scuola primaria. Avevano una bella casa vicino a Buckingham Palace, un appezzamento di terra fuori città e una vettura. La villa colonica l’aveva scelta Mary, poiché in qualche modo le ricordava la casa di Travis. Al secondo piano della struttura, l’ampio bagno adornato da drappeggi e ceramiche e profumava di uno spiccato sentore di rose; nel loro atto odierno, la coppia si trovava lì in quel momento.
«Alla fine, siamo riusciti ad andarcene, questo era l’importante, no (non mi convince) Albert?»
«Più o meno. Fossi stato più furbo, avremmo vissuto decisamente meglio. Se quel maledetto non mi avesse fregato come un fesso.»
«Si. Jackson, me lo dici tutti i giorni, da settimane.»
«Scusa Mary, le abitudini sono dure a morire. Passa bene la spazzola dietro la schiena, mi raccomando.»
«Ti sei abituato alla fine eh!»
«No. È che alcune cose cambiano. Altre, per fortuna, no. E se devo proprio essere sincero, la grande pipa a me ha portato fortuna, con te e Robert. Non posso proprio lamentarmi.»
«Via signor S, così mi fai arrossire. Chiudi gli occhi, che il sapone poi ti brucia.»"
Giuro, una faticaccia. Ma ne è valsa la pena. Domani, comunque ci ritorno.