Una scheggia in cielo riflessa sulle lenti scure dell'uomo.
«Una poiana» dice.
Nicola solleva la testa dal cellulare, sorride, poi torna gobbo.
«Era una poiana» insiste l'uomo. Con l'indice batte sul vetro della cabina e lascia delle impronte oleose.
«Non mi piacciono gli uccelli» dice Nicola, riponendo il cellulare nello zaino. Nella cabina sono soli.
L'uomo piega la testa, fino quasi alla spalla. Ha una ciocca nera che è scappata dal resto della pettinatura, una virgola che dondola a ogni oscillazione della funivia, della bava bianca ai lati della bocca e le labbra secche, come se non bevesse da mesi.
«Non le piacciono gli uccelli?» chiede.
«Diciamo che non mi appassionano.»
«Ah, ho capito» dice l'uomo, pare sollevato, «io invece ne vado matto. Ho una passione, sì? Vado spesso su per la montagna, con la macchina fotografica, faccio le foto. Birdwatching, sì.»
Al collo in effetti ha appesa una reflex.
«E quella… quella era una poiana» conclude battendo forte sul vetro, stavolta con la mano aperta. L'impronta che lascia è nitida.
«Certo, non ne dubito» mormora Nicola. Comincia ad avere una certa ostilità verso quel tizio. Si sporge, per vedere quanto manca ad arrivare.
«Oh, ancora venti minuti» dice l'uomo. Distende la bocca in un ampio sorriso e scopre i denti. Gli manca un incisivo superiore e il buco è una nera finestrella dove gli si può guardare dentro. Si mette a fischiettare "figli delle stelle", è piuttosto intonato.
«Lo sa quanto è alto qua? Quanto è lontano il suolo da dove siamo seduti?» chiede, finita la canzone.
Nicola scuote la testa.
«Ah, non lo so neppure io» l'uomo dà uno schiaffo in aria, «ma devono essere decine di centinaia... migliaia di metri, un abisso.»
«Un abisso» sussurra Nicola.
«Già.»
L'uomo comincia a tamburellare con le unghie sulla finta pelle del sedile, un ticchettio fastidioso. A Nicola cominciano a sudare le ascelle, nonostante faccia freddo. Quell'uomo lo rende nervoso. Il fatto che l'abisso, qualunque cosa sia, è sotto di lui, lo inquieta. Si affaccia: dove non c'è bosco, c'è roccia scura e qualche macchia di neve. Il suolo, per quello che può capirne, non sarà a più di cinquanta metri.
«Non ci siamo ancora presentati» dice l'uomo. Si allenta la cravatta tirando il nodo col dito, ha una macchiolina sul tessuto, una chiazza scura, forse caffè. «Non conosco il suo nome.»
«Il mio nome?»
Ha la cravatta sotto al giaccone da neve?
L'uomo fruga nella ventiquattrore di pelle e tira fuori un taccuino e una penna.
«Già, il suo nome.»
«Nicola.»
«Ok» l'uomo comincia a scrivere, «è pugliese?»
«Io no… non sono pugliese.»
«Niente, sa, era per via del nome. È sposato?»
«No.»
«Figli?»
«Io… non capisco...»
«Figli?»
«No.»
L'uomo prende appunti.
«Senta, lei sa cos'è il male?»
«Chi?»
«Il male.»
A Nicola comincia a girare la testa, sembra pure aumentato il vento, la cabina dà leggeri scatti, come se avesse il singhiozzo.
«Glielo dico io. Il male è stupido. È insensato, casuale, improvviso. Sì? Mi segue?»
Nicola si passa la lingua sulle labbra. Trattiene il fiato e tira fuori il cellulare dallo zaino. L'uomo ride, una risata che pare un rantolo, e fa uno scatto in avanti.
«Buh!» grida.
Nicola si spaventa, il cellulare gli sfugge dalle mani sudate, finisce in terra e scivola fino ai piedi dell'uomo, che lo ferma col tacco. In quel momento Nicola nota che l'uomo ha due scarpe diverse.
«Non può farmi del male» urla, «i cosi... la fermeranno subito, i poliziotti; la arresteranno!»
«Ah, ma io la ringrazio, davvero, lei si preoccupa per me, sì?»
Nicola si mette in piedi a fatica, si tiene con una mano al sedile e dà piccoli calcetti davanti a sé.
«Non avvicinarti, psicopatico del cazzo» dice e dà tanti calci al vuoto.
L'uomo sorride e stavolta scopre tutte le gengive e le labbra finiscono di creparsi e si ungono di sangue. Con la reflex scatta qualche foto a Nicola.
«La preferivo quando mi dava del lei» dice, «comunque siamo arrivati, farebbe meglio a sedersi, capisce, sì?»
La funivia frena e Nicola per poco non cade. La porta si apre con uno sbuffo asmatico.
«Non dimentichi il telefono» dice l'uomo chinandosi e raccogliendo il cellulare, «lo lascio sul sedile. Ci vediamo al rientro?»
«Col cazzo» dice Nicola, ancora scalciando.
L'uomo alza le spalle, prende la ventiquattrore e scende. Nicola lo vede infilarsi in un sentiero, con lo sguardo rivolto al cielo, forse in cerca di qualche uccello da fotografare, fischiettando "figli delle stelle".