A due passi da Castel Sant'Angelo, proprio dove il Tevere vira verso sinistra mostrando tutta la sua imponenza, sorgeva un villino dall'aspetto particolare. Era difficile notarlo, nonostante l'architetto che lo aveva progettato avesse sperato con tutto se stesso che quell'insolita costruzione, quell'edificio non comune, lo avrebbe consegnato alla Storia.
Pover'uomo. Il suo cadavere infatti era la gloria dei vermi che se lo stavano mangiando. Se soltanto avesse saputo, Dio non voglia, chi era il principale frequentatore di quella casa, sarebbe resuscitato seduta stante, gridando al mondo tutta la sua indignazione. O soddisfazione.
Il villino pareva fantasma, non fosse per l'estrema cura degli ambienti esterni. Le ringhiere in ferro, sempre lucide e appuntite, sembravano essere appena state battute da un fabbro esperto. Il giardino era ornato da piante di rosa canina e limoni, che crescevano rigogliose su un prato sempre brillante di rugiada. La cura di quel verde era al limite del maniacale, come se una squadra di giardinieri se ne occupasse giornalmente. Eppure, in quel giardino misterioso, non si vedeva mai nessuno.
La casa, di due piani, non dava l'impressione di essere una grande dimora, una nobile tana, una culletta per qualche rampollo ricco e aitante.
I colori vivi delle pareti facevano a pugni con gli sguardi attoniti dei passanti che per caso se li trovavano davanti agli occhi. Lame di luce solare sbattevano a destra e a manca tra gli altorilievi delle pareti accecando i passeri, mentre di notte sinistre ombre lunari zittivano i grilli e facevano fuggire le civette.
Quattro pinnacoli dalle sproporzionate sembianze umane, posti alle estremità del tetto idealmente quadrato della casa, potevano sembrare Santi, o demoni, o giullari. Caricature che semplicemente vivevano nella fantasia dei vinadanti che passavano accanto a quella residenza, accompagnati dal dolce suono dello scorrere del fiume.
Un ulteriore aspetto, forse il più estremo, che aumentava l'inquietudine del curioso osservatore occasionale, era un gatto nero, dagli occhi gialli come la luna e magro come un chiodo, che era solito aggirarsi per lo splendido giardino.
“Mortacci tua!”
“A 'nfame!”
“Me voi mannà all'inferno? Vacce te! Tié!” gridava il mercante alla vista del felino mentre con la sua gerla carica di prodotti camminava affaticato sulla strada accanto al villino.
“Lucifero! Vieni dentro!”
“Vigliacchi, infami, vigliacchi e ancora infami! Ma ti rendi conto?”
“Non ci fare caso, mio diletto, ne abbiamo già parlato più volte.”
“Hai ragione, Achille, ma è più forte di me. Ogni volta è la stessa storia. Ma è possibile, al giorno d'oggi, essere discriminato per il colore del pelo?”
“Dai, Luci, stai tranquillo. Tu non sei mica un gatto qualunque” disse Achille con un sorriso a trentasei denti.
“Già,” sospirò Lucifero avvicinandosi al suo padrone, “detto da te, tutto vestito di bianco, fa un certo effetto.”
“Mi prendi in giro?” Birbone!”
“Chi ti prende in giro sono altri” bisbigliò Lucifero tra una fusa e l'altra. E aggiunse: “Quando mi porti a palazzo?”
“Ma sei matto? Mi vuoi far cadere dal soglio?”
“Giammai! Soltanto che ci tenevo.”
“Lucino! Anche di questo ne abbiamo già parlato mi pare.”
“Sì, Padre!” sbuffò Lucino.
“E non mi chiamare Padre, per favore!”
“Pio, Pio, Pio...Pio, Pio, Pio.”
“Va bene, va bene! Avrai le tue quaglie stasera, ma smettila! E comunque, pio pio, lo fanno i pulcini.”
“Ah, il mio piatto preferito!” rise Lucifero, “comunque anche i pulcini mi piacerebbe assaggiarli.”
Con un cenno della mano Achille zittì il felino poiché il suo segretario si stava avvicinando nel grande salone delle pitture, la stanza principale di quella segreta dimora papale, con le pareti quasi completamente ricoperte da copie dei quadri impressionisti più famosi.
“Santità. L'ambasciatore De Vecchi chiede d'incontrarvi al più presto.”
“A quale proposito?”
“Non mi ha riferito.”
“Ebbene, fatti riferire, sono molto impegnato con la preghiera come vedi.”
“Sia lodato Gesù Cristo!”
“Sempre sia lodato! Miaooo!”
“Taci!”
“Mica mi sente!”
“Hai ragione, Lucinetto mio!” disse compiaciuto Achille schiaffeggiando delicatamente Lucifero.
Il neretto si divincolò dalla presa candida di Achille e disse: “Benito quando viene?”
“Mai! Ha altro a cui pensare. Infatti manda quell'arrogante di De Vecchi. Peggio di lui” disse Achille stizzito.
“Peggio di lui ce n'è tanti altri. Non dirmi che...”
“Cosa?”
“Sei geloso di Benito?”
“Perché mi chiedi questo?”
“Per come l'hai detto.”
“Sai che ti dico? Hai ragione!”
“Non pensavo che il Vicario di Cristo potesse essere geloso.”
“Il Vicario di Cristo, prima di essere Vicario, è anche un essere umano!”
“E quindi?”
“Non mi è andata giù che durante quell'incontro segreto tra me e il Duce in queste stanze ti disse che saresti stato una perfetta camicia nera.”
“Ma pensa, io l'ho presa come un complimento!”
“Niente quaglie stasera!”
“Come sei suscettibile, Achille!” disse Lucifero balzando dalla poltrona alla credenza in legno di noce, “questa storia dei Patti deve averti proprio sconvolto.”
“Vorrei vedere te, diavolo d'un gatto!”
“Oui, c'est moi!” esclamò il micio ridendo. “Dai Achille, una volta per tutte, dimmi cosa ti turba. Poi ti dirò come la penso.”
“No, dico, ti pare normale?”
“Cosa?”
Che la Chiesa, quella con la C maiuscola, sia diventata lo sgabuzzino del Regno d'Italia!”
“Ma che t'importa, dico io, ora hai il tuo regno, ancorché ridimensionato.”
Non hai capito, Lucino. Che figura ci faccio con i miei predecessori che hanno tenuto testa al compiersi di questo funesto destino?”
“Tenuto testa? Mi sembra un eufemismo. Non mi pare che abbiano alzato la voce più di tanto. Non più di te almeno. E poi, comunque, era così che dovevano andare le cose, prima o poi doveva succedere.”
“Sai cosa penso?”
“Non mi dire.”
“Hai ragione, un'altra volta. Nella realtà la fine della questione romana poteva concludersi soltanto in questo momento. Mussolini ha saputo ben gestire i rapporti con la Santa Chiesa facendo leva sul radicato bisogno di fede che da sempre caratterizza il popolo italiano.”
“La persona giusta al momento giusto?”
“No, ma di certo una condotta strategica degna del suo nome.”
“Come se al posto tuo, ci fosse stata una ballerina del Moulin Rouge...”
“Esatto, hai capito bene. Non c'entrano i personaggi, ma il momento in cui si è deciso di agire. E' in quel punto che qualcosa diventa Storia. Il contorno non esiste, se non per giustificare o deplorare determinate azioni.”
“Mi piacciono le tue parole, riflettici su, potresti farne un enciclica.”
“Ma non dire stupidaggini, hai mangiato qualche topo di fogna? Dimentichi forse il ruolo che ricopro?”
Che mi stai dicendo? Certe cose le dici solo a me?”
“Ma rifletti, testa di fegatino!”
“Achille, stai esagerando!”
“Ma secondo te posso incazzarmi con Gasparri, o tirare le orecchie a De Vecchi o andare a sbattere i pugni sulla scrivania di mogano a Palazzo Chigi? O andare in giro a dire di essere d'accordo con Benedetto Croce?”
“Certo che uno con un nome così” sorrise il gatto, “scusami, mica sei un burattino, perdonami!” esclamò Lucifero drizzando i peli sulla schiena.
“Infatti! Mi sono rimasti gli stracci, le scope e qualche pezzo di sapone di Marsiglia per le lenzuola. Tutto accuratamente riposto in quello sgabuzzino che è ora la Città del Vaticano!”
“Falla finita, Achille, quante storie che ti fai!”
“Tu non puoi capire. E io sto ancora qui a parlare con te.”
“Qui sei libero, Achille, come non lo sei stato mai. Come mai ti capiterà tra le mura dello Stato che presiedi. Pensaci bene. Soltanto qui le tue parole non hanno un peso. Fuori di qui, ogni tua scoreggia potrebbe potenzialmente appiccare incendi devastanti.”
“Hai ragione, Lucifero mio. Soltanto con te posso esprimermi liberamente senza incappare in qualsivoglia giudizio o errata interpretazione.”
Il Pontefice era turbato, da troppo tempo era afflitto da un malessere interiore che né la fede né la preghiera erano riusciti a lenire. Difficile, quasi impossibile, accettare che uno tra gli uomini più potenti della terra fosse in realtà così fragile, che si sentisse così impotente di fronte al peso delle responsabilità. Da uomo di chiesa, aveva dunque cercato la soluzione attraverso l'unica strada possibile: Dio. Durante il suo cammino non aveva fatto altro che sentire lamenti, pianti, disperazione e veder scorrere fiumi di lacrime e sangue. Cosa significava tutto questo?
Il sogno era ormai ricorrente nelle notti tormentate di Papa Pio XI. Si ritrovava in abiti borghesi, in una stanza al buio. I suoi occhi tremavano cercando di abituarsi all'oscurità. Finché a un certo punto, gli oggetti posti intorno a lui cominciavano a prendere forma: scope, stracci, secchi, spugne, pezzi di sapone, sale. Tutto era fermo, inanimato, immobile. Ma tutto parlava, urlava, voleva spingerlo fuori.
Varcata la soglia della porta di legno, il Papa si voltava subito indietro: aveva appena oltrepassato la Porta Santa della Basilica di San Pietro. Di fronte a lui Gasparri, Mussolini, De Vecchi e il suo segretario personale lo guardavano ridendo. Cacciato dalla sua Chiesa, cacciato dalla sua casa.
“Achille, tutto bene?” disse Lucifero preoccupato.
“Scusami, ero sulle nuvole” rispose il Papa.
“Pensavi al solito sogno, non è vero?” lo incalzò il gatto.
“Sì!” esclamò Achille abbassando il capo senza nascondere tutta la sua amarezza.
E continuò: “Ti rendi conto che faccio una doppia vita? Ti rendi conto che soltanto tra queste mura mi sento vivo? Non mi sembra normale che un Papa venga a confessarsi con un gatto in una villa liberty sulle rive del Tevere. E non oso immaginare se quell'antipatico e impiccione del mio segretario sapesse qualcosa di tutto questo!”
“Quello dorme come un ghiro sul sofà accanto alla porta dello sgabuzzino, l'ho controllato varie volte.”
“Ecco, vedi? Pure il mio più stretto collaboratore mi prende in giro!”
“Achille, stai sereno. Ci saranno ben altri grattacapi da affrontare. E sarà sempre peggio.”
“Potrei scritturarti come oracolo.”
“Dico sul serio. E' in arrivo una delle crisi economiche più gravi della storia dell'umanità. All'inizio, noi subiremo soltanto l'onda lunga di questa crisi. Ma col passare del tempo tutto si trasformerà in qualcosa di veramente esplosivo, soprattutto in Europa, la culla del cristianesimo da te presieduto.”
“E tu, come fai a saperlo?”
“Achille! Non hai mai sentito che i gatti hanno sette vite?”
Pover'uomo. Il suo cadavere infatti era la gloria dei vermi che se lo stavano mangiando. Se soltanto avesse saputo, Dio non voglia, chi era il principale frequentatore di quella casa, sarebbe resuscitato seduta stante, gridando al mondo tutta la sua indignazione. O soddisfazione.
Il villino pareva fantasma, non fosse per l'estrema cura degli ambienti esterni. Le ringhiere in ferro, sempre lucide e appuntite, sembravano essere appena state battute da un fabbro esperto. Il giardino era ornato da piante di rosa canina e limoni, che crescevano rigogliose su un prato sempre brillante di rugiada. La cura di quel verde era al limite del maniacale, come se una squadra di giardinieri se ne occupasse giornalmente. Eppure, in quel giardino misterioso, non si vedeva mai nessuno.
La casa, di due piani, non dava l'impressione di essere una grande dimora, una nobile tana, una culletta per qualche rampollo ricco e aitante.
I colori vivi delle pareti facevano a pugni con gli sguardi attoniti dei passanti che per caso se li trovavano davanti agli occhi. Lame di luce solare sbattevano a destra e a manca tra gli altorilievi delle pareti accecando i passeri, mentre di notte sinistre ombre lunari zittivano i grilli e facevano fuggire le civette.
Quattro pinnacoli dalle sproporzionate sembianze umane, posti alle estremità del tetto idealmente quadrato della casa, potevano sembrare Santi, o demoni, o giullari. Caricature che semplicemente vivevano nella fantasia dei vinadanti che passavano accanto a quella residenza, accompagnati dal dolce suono dello scorrere del fiume.
Un ulteriore aspetto, forse il più estremo, che aumentava l'inquietudine del curioso osservatore occasionale, era un gatto nero, dagli occhi gialli come la luna e magro come un chiodo, che era solito aggirarsi per lo splendido giardino.
“Mortacci tua!”
“A 'nfame!”
“Me voi mannà all'inferno? Vacce te! Tié!” gridava il mercante alla vista del felino mentre con la sua gerla carica di prodotti camminava affaticato sulla strada accanto al villino.
“Lucifero! Vieni dentro!”
“Vigliacchi, infami, vigliacchi e ancora infami! Ma ti rendi conto?”
“Non ci fare caso, mio diletto, ne abbiamo già parlato più volte.”
“Hai ragione, Achille, ma è più forte di me. Ogni volta è la stessa storia. Ma è possibile, al giorno d'oggi, essere discriminato per il colore del pelo?”
“Dai, Luci, stai tranquillo. Tu non sei mica un gatto qualunque” disse Achille con un sorriso a trentasei denti.
“Già,” sospirò Lucifero avvicinandosi al suo padrone, “detto da te, tutto vestito di bianco, fa un certo effetto.”
“Mi prendi in giro?” Birbone!”
“Chi ti prende in giro sono altri” bisbigliò Lucifero tra una fusa e l'altra. E aggiunse: “Quando mi porti a palazzo?”
“Ma sei matto? Mi vuoi far cadere dal soglio?”
“Giammai! Soltanto che ci tenevo.”
“Lucino! Anche di questo ne abbiamo già parlato mi pare.”
“Sì, Padre!” sbuffò Lucino.
“E non mi chiamare Padre, per favore!”
“Pio, Pio, Pio...Pio, Pio, Pio.”
“Va bene, va bene! Avrai le tue quaglie stasera, ma smettila! E comunque, pio pio, lo fanno i pulcini.”
“Ah, il mio piatto preferito!” rise Lucifero, “comunque anche i pulcini mi piacerebbe assaggiarli.”
Con un cenno della mano Achille zittì il felino poiché il suo segretario si stava avvicinando nel grande salone delle pitture, la stanza principale di quella segreta dimora papale, con le pareti quasi completamente ricoperte da copie dei quadri impressionisti più famosi.
“Santità. L'ambasciatore De Vecchi chiede d'incontrarvi al più presto.”
“A quale proposito?”
“Non mi ha riferito.”
“Ebbene, fatti riferire, sono molto impegnato con la preghiera come vedi.”
“Sia lodato Gesù Cristo!”
“Sempre sia lodato! Miaooo!”
“Taci!”
“Mica mi sente!”
“Hai ragione, Lucinetto mio!” disse compiaciuto Achille schiaffeggiando delicatamente Lucifero.
Il neretto si divincolò dalla presa candida di Achille e disse: “Benito quando viene?”
“Mai! Ha altro a cui pensare. Infatti manda quell'arrogante di De Vecchi. Peggio di lui” disse Achille stizzito.
“Peggio di lui ce n'è tanti altri. Non dirmi che...”
“Cosa?”
“Sei geloso di Benito?”
“Perché mi chiedi questo?”
“Per come l'hai detto.”
“Sai che ti dico? Hai ragione!”
“Non pensavo che il Vicario di Cristo potesse essere geloso.”
“Il Vicario di Cristo, prima di essere Vicario, è anche un essere umano!”
“E quindi?”
“Non mi è andata giù che durante quell'incontro segreto tra me e il Duce in queste stanze ti disse che saresti stato una perfetta camicia nera.”
“Ma pensa, io l'ho presa come un complimento!”
“Niente quaglie stasera!”
“Come sei suscettibile, Achille!” disse Lucifero balzando dalla poltrona alla credenza in legno di noce, “questa storia dei Patti deve averti proprio sconvolto.”
“Vorrei vedere te, diavolo d'un gatto!”
“Oui, c'est moi!” esclamò il micio ridendo. “Dai Achille, una volta per tutte, dimmi cosa ti turba. Poi ti dirò come la penso.”
“No, dico, ti pare normale?”
“Cosa?”
Che la Chiesa, quella con la C maiuscola, sia diventata lo sgabuzzino del Regno d'Italia!”
“Ma che t'importa, dico io, ora hai il tuo regno, ancorché ridimensionato.”
Non hai capito, Lucino. Che figura ci faccio con i miei predecessori che hanno tenuto testa al compiersi di questo funesto destino?”
“Tenuto testa? Mi sembra un eufemismo. Non mi pare che abbiano alzato la voce più di tanto. Non più di te almeno. E poi, comunque, era così che dovevano andare le cose, prima o poi doveva succedere.”
“Sai cosa penso?”
“Non mi dire.”
“Hai ragione, un'altra volta. Nella realtà la fine della questione romana poteva concludersi soltanto in questo momento. Mussolini ha saputo ben gestire i rapporti con la Santa Chiesa facendo leva sul radicato bisogno di fede che da sempre caratterizza il popolo italiano.”
“La persona giusta al momento giusto?”
“No, ma di certo una condotta strategica degna del suo nome.”
“Come se al posto tuo, ci fosse stata una ballerina del Moulin Rouge...”
“Esatto, hai capito bene. Non c'entrano i personaggi, ma il momento in cui si è deciso di agire. E' in quel punto che qualcosa diventa Storia. Il contorno non esiste, se non per giustificare o deplorare determinate azioni.”
“Mi piacciono le tue parole, riflettici su, potresti farne un enciclica.”
“Ma non dire stupidaggini, hai mangiato qualche topo di fogna? Dimentichi forse il ruolo che ricopro?”
Che mi stai dicendo? Certe cose le dici solo a me?”
“Ma rifletti, testa di fegatino!”
“Achille, stai esagerando!”
“Ma secondo te posso incazzarmi con Gasparri, o tirare le orecchie a De Vecchi o andare a sbattere i pugni sulla scrivania di mogano a Palazzo Chigi? O andare in giro a dire di essere d'accordo con Benedetto Croce?”
“Certo che uno con un nome così” sorrise il gatto, “scusami, mica sei un burattino, perdonami!” esclamò Lucifero drizzando i peli sulla schiena.
“Infatti! Mi sono rimasti gli stracci, le scope e qualche pezzo di sapone di Marsiglia per le lenzuola. Tutto accuratamente riposto in quello sgabuzzino che è ora la Città del Vaticano!”
“Falla finita, Achille, quante storie che ti fai!”
“Tu non puoi capire. E io sto ancora qui a parlare con te.”
“Qui sei libero, Achille, come non lo sei stato mai. Come mai ti capiterà tra le mura dello Stato che presiedi. Pensaci bene. Soltanto qui le tue parole non hanno un peso. Fuori di qui, ogni tua scoreggia potrebbe potenzialmente appiccare incendi devastanti.”
“Hai ragione, Lucifero mio. Soltanto con te posso esprimermi liberamente senza incappare in qualsivoglia giudizio o errata interpretazione.”
Il Pontefice era turbato, da troppo tempo era afflitto da un malessere interiore che né la fede né la preghiera erano riusciti a lenire. Difficile, quasi impossibile, accettare che uno tra gli uomini più potenti della terra fosse in realtà così fragile, che si sentisse così impotente di fronte al peso delle responsabilità. Da uomo di chiesa, aveva dunque cercato la soluzione attraverso l'unica strada possibile: Dio. Durante il suo cammino non aveva fatto altro che sentire lamenti, pianti, disperazione e veder scorrere fiumi di lacrime e sangue. Cosa significava tutto questo?
Il sogno era ormai ricorrente nelle notti tormentate di Papa Pio XI. Si ritrovava in abiti borghesi, in una stanza al buio. I suoi occhi tremavano cercando di abituarsi all'oscurità. Finché a un certo punto, gli oggetti posti intorno a lui cominciavano a prendere forma: scope, stracci, secchi, spugne, pezzi di sapone, sale. Tutto era fermo, inanimato, immobile. Ma tutto parlava, urlava, voleva spingerlo fuori.
Varcata la soglia della porta di legno, il Papa si voltava subito indietro: aveva appena oltrepassato la Porta Santa della Basilica di San Pietro. Di fronte a lui Gasparri, Mussolini, De Vecchi e il suo segretario personale lo guardavano ridendo. Cacciato dalla sua Chiesa, cacciato dalla sua casa.
“Achille, tutto bene?” disse Lucifero preoccupato.
“Scusami, ero sulle nuvole” rispose il Papa.
“Pensavi al solito sogno, non è vero?” lo incalzò il gatto.
“Sì!” esclamò Achille abbassando il capo senza nascondere tutta la sua amarezza.
E continuò: “Ti rendi conto che faccio una doppia vita? Ti rendi conto che soltanto tra queste mura mi sento vivo? Non mi sembra normale che un Papa venga a confessarsi con un gatto in una villa liberty sulle rive del Tevere. E non oso immaginare se quell'antipatico e impiccione del mio segretario sapesse qualcosa di tutto questo!”
“Quello dorme come un ghiro sul sofà accanto alla porta dello sgabuzzino, l'ho controllato varie volte.”
“Ecco, vedi? Pure il mio più stretto collaboratore mi prende in giro!”
“Achille, stai sereno. Ci saranno ben altri grattacapi da affrontare. E sarà sempre peggio.”
“Potrei scritturarti come oracolo.”
“Dico sul serio. E' in arrivo una delle crisi economiche più gravi della storia dell'umanità. All'inizio, noi subiremo soltanto l'onda lunga di questa crisi. Ma col passare del tempo tutto si trasformerà in qualcosa di veramente esplosivo, soprattutto in Europa, la culla del cristianesimo da te presieduto.”
“E tu, come fai a saperlo?”
“Achille! Non hai mai sentito che i gatti hanno sette vite?”