“Figuriamoci se quel maledetto non mi rinchiudeva come sempre in uno sgabuzzino, adesso che, con tutte quelle stanze della sua villa, ne avrebbe potuta dedicare una a me solo.” pensava Gigio che però oramai si era quasi abituato a quel trattamento crudele.
Lui e Mr. Topnotch (Nome d’arte. Il vero, che non rivelava a nessuno, era un banalissimo Giuseppe Rossi) erano una coppia legatissima sin dalla gioventù.
C’era però odio e amore tra di loro.
Forse come in tutte le coppie dall’unione prolungata negli anni.
Giuseppe (lui però lo chiamava Beppe), per una malformazione sin dalla nascita, delle ossa della mandibola inferiore, stentava a tenere la bocca chiusa e, per non avere quell’espressione sorpresa che, una bocca semiaperta, fa sembrare da idiota, aveva imparato, già da piccolo, cercando così di evitare i lazzi e le battutacce dei suoi coetanei, a tenerla chiusa rinforzando i muscoli orbicolari.
Questo gli aveva insegnato a parlare a labbra serrate e, invece di una carriera da banchiere che la sua ricca famiglia gli offriva praticamente su di un piatto d’argento, si era visto spalancare le porte dello spettacolo, nel quale era entrato come ventriloquo, con quel nome altisonante e con lui, Gigio: il simpaticissimo animale di peluche che parlava, cantava e dialogava con lui e il pubblico.
“Beh certo lui ci mette la voce ma la simpatia della gente è tutta per me” rimuginava Gigio guardandosi intorno in quello sgabuzzino che per una volta non era come quello dei camerini dei teatri di tutto il mondo: minuscolo e occupato da cosmetici e asciugamani che sì, anche loro, avevano delle storie da raccontare ma quasi sempre di sesso sfrenato altrimenti insipide e quindi poco interessanti.
Non come lui che oltre alle luci della ribalta aveva sfruttato anche quelle riflesse di Beppe.
Uno dei suoi ricordi più belli era quel lungo periodo d’esibizione al Moulin Rouge di Parigi.
Era l’anno 1980 e il cartellone prevedeva tutto il mese d’ottobre, con loro come parte centrale dello spettacolo. Tutto esaurito, come spesso accadeva quando c’erano loro.
Anche questa volta i nomi sulle affiches erano “Mr. Topnotch e Gigio”, mentre avrebbe dovuto essere, come la pensava lui, l’esatto contrario. Magari “Gigio and Beppe” che suonava addirittura meglio, tranne che negli Stati Uniti dove l’avrebbero storpiato in “Ghighio and Bipi” ma pazienza: gli americani li adoravano.
Lo sapeva, di essere lui quello che attirava il pubblico e quindi il più importante dei due.
Erano sue le riproduzione in vendita col suo nome nei negozi di giocattoli e non quelle del Mr. dei miei stivali! Non ci guadagnava però nemmeno il becco di un quattrino! Tutto nelle tasche del Topnotch!
Un cambio di livrea ogni decina d’anni era quello che gli aveva fatto avere il taccagno!
Stavolta era stato in coincidenza col Moulin Rouge e lui si sentiva in forma smagliante.
Saran stati i suoi grandi occhi azzurri, le sue mobili sopracciglia sinuose e la sua bocca un po’ sguaiata che avevano fatto innamorare di lui, Martine, una ballerina di fila, dalle lunghissime gambe affusolate, il visetto malizioso col classico nasino all’insù e il bel colorito creolo delle sue origini caraibiche. Da quando si erano visti per la prima volta, l’incanto dell’amore era sbocciato tra i due e per tutto quel mese non era mai cessato.
“È quell’egoista di Beppe che però approfitta di quest’amore” il pensiero attanagliava la mente di Gigio.
Era Beppe a stringerla tra le braccia e a baciarla con passione.
Lui, Gigio, a volte riceveva da lei solo una gentile carezza, quasi una grattatina, che gli arruffava tutto il pelo sulla testa e anche qualche bacetto distratto quando Beppe la intratteneva facendola conversare con lui. Era allora che dava il meglio di sé. La sua voce si arrochiva ancor più e i suoi occhi trasformavano in lampi d’amore quei riflessi delle luci delle camere e camerini dove i due s’incontravano spesso.
Quando poi il desiderio li travolgeva, Beppe, crudele e insensibile alle sue proteste, lo rinchiudeva nello sgabuzzino (ce n’era sempre uno maledizione!) e lui non poteva far altro che ascoltare quei gemiti e gridolini che non sarebbe mai riuscito a creare da solo.
Era geloso di Beppe e della sua vita fastosa.
La fama di grande ventriloquo l’aveva portato a girare il mondo e gli emolumenti erano aumentati spettacolo dopo spettacolo.
Non avrebbe avuto bisogno del contributo della ricca famiglia per vivere ma il destino, quello crudele, aveva fatto in modo che il ventisette di giugno, proprio di quell’anno in cui si sarebbe esibito al Moulin Rouge, i suoi genitori fossero su quell’aereo maledetto che, per ragioni sconosciute, forse una bomba terrorista posta all’interno o un missile sparato da una forza aerea amica per abbattere un caccia libico, fu colpito sopra Ustica mentre, proveniente da Bologna, si dirigeva all’aeroporto di Palermo, da dove i suoi si sarebbero spostati per una spensierata vacanza a Taormina.
Figlio unico, aveva ereditato il grande patrimonio e la vasta villa liberty di Bologna, residenza dei genitori.
Forse avrebbe smesso di fare il ventriloquo ma cos’altro avrebbe potuto fare?
Quando il suo agente gli aveva proposto il contratto col Moulin Rouge Beppe, malgrado il dolore per la perdita dei genitori non si fosse ancora attenuato, aveva accettato subito. Parigi era una delle città più attraenti e vivaci che avesse mai visitato e l’avrebbe senz’altro aiutato a passare quel triste momento.
Gigio che praticamente non li aveva mai conosciuti, esternava la sua felicità. Lui adorava la Ville Lumière.
Eran quasi due mesi che si ritrovava in quello sgabuzzino e ne aveva fin sopra i peli della testa delle storie che si raccontavano tra di loro le scope e pure quell’antiquato spazzolone che aveva solo l’aneddoto del papà di Beppe che un giorno l’aveva scambiato per un tosaerba e se l’era portato in giardino per dare una regolatina al prato. Per lui, lo spazzolone, era stato un momento esilarante, forse l’unico della sua lunga vita, ma per gli altri, una palla da sentire ogni volta che un nuovo elemento entrava a far parte dello sgabuzzino. Lo spazzolone era massiccio e lo usavano spesso per tirare la cera ma anche per pulire i tappeti. Le scope, quelle ormai inutili di saggina, non ci sarebbero mai arrivate a quello che riusciva a fare quello lì con i suo bei muscoli in ghisa. Oramai però anche lui si sentiva dimenticato. Apparecchi modernissimi affollavano quel posto e non avevano mai nulla da raccontare salvo pavoneggiarsi delle loro alte specializzazioni.
Meno male che era arrivato quel Gigio, con tutte le sue storie, a ravvivare l’ambiente.
Sembrava però che anche lui, come tanti fra di loro, fosse destinato a non muoversi più da lì.
La sua storia d’amore con la bella Martine era finita lasciando Parigi e, all’apparenza, Mr. Topnotch non aveva più voglia di girare per il mondo.
Nella vita di Giuseppe era entrata a far parte Maria, figlia di una coppia di benestanti proprietari di una grande casa farmaceutica e importanti lavori eran previsti nella villa in vista del fastoso matrimonio fra i due.
Tutti gli interni sarebbero stati rimodernati e lo sgabuzzino abbattuto.
“Che catastrofe!” fu il pensiero di Gigio, preoccupatissimo di essere destinato alla raccolta indifferenziata, come aveva sentito dire da quella senz’anima futura signora Rossi.
Giuseppe però aveva insistito per farlo mettere in bella vista nel proprio studio.
Gigio era sicuro che ogni tanto si sarebbero parlati di nuovo e questo gli era sufficiente.
Nessuno mai sarebbe riuscito a separarli.
Lui gli voleva bene come a un papà.