Si sporse oltre la balaustra, per sentire sul muso la brezza marina. Qualche spruzzo la raggiunse. Stizzita fece ritorno sui suoi passi: voleva evitare che la salsedine facesse perdere la lucentezza al suo morbido pelo color nocciola.
«Vieni qua, Noisette!»
Un marinaio era arrivato sul ponte a cercarla: «Dobbiamo rientrare… fra poco attracchiamo».
Salì in braccio a Bernard per scrutare l’orizzonte dall’alto. Si intravedevano alcune palme, quasi emergessero direttamente dal mare turchese. Più lontano, solo i bassi edifici in cemento, quelli del poligono nucleare francese.
«Vedi quell’isola? È l’atollo di Mururoa, sarà la nostra nuova casa.»
La cagnolina lo guardò con occhi dolci e fare vezzoso. Lo leccò al collo e saltò giù. I motori giravano al minimo ora. La sirena suonò, forte e acuta, e sul ponte un via vai di marinai iniziò le manovre di attracco. Un nuovo mondo le si spalancava davanti.
«Sei arrivata ieri con la nave?»
Noisette non gli diede retta e continuò a camminare lungo la spiaggia. Quel cane non le ispirava neanche un po’ di simpatia. Era ridotto proprio male: ciuffi grigi si alternavano a chiazze in cui la peluria se ne era andata da parecchio tempo. Non si riusciva più neanche a capire di che razza fosse.
«Mi spiace ti abbiano portato qui. Farai parte anche tu dell’esperimento quindi?»
Ma cosa stava dicendo? Se era un modo per abbordarla, non avrebbe funzionato, soprattutto provenendo da uno ridotto in quelle condizioni.
«Lo so, anche io non ero stato informato di nulla quando mi hanno portato qui. Fortuna che c’era Baguette che mi ha spiegato tutto… anche se forse sarebbe stato meglio non sapere niente.»
«Ma sapere che? Sono venuta con Bernard e gli altri militari della base in scorta ad un gruppetto di scienziati. Sono la loro mascotte… questo è tutto. Non c’è altro da sapere!»
«Ma sì, dai. Come dicevo, forse è meglio non saperne niente», e si voltò per allontanarsi.
«Scusa, forse sono stata antipatica. Magari tu volevi solo fare quattro chiacchiere… chissà da quanto tempo non parli con nessuno. Mi chiamo Noisette, e tu?»
«Balzac, ma non so perché mi hanno chiamato così. Certo per te è più evidente… N-o-i-s-e-t-t-e», rispose piccato, scandendo le lettere una ad una.
«Ti ho già chiesto scusa!»
«E poi non è vero che non parlo con nessuno. Ci sono molti animali che arrivano qui e io faccio due chiacchiere con tutti.»
«Vabbè… adesso vuoi burlarti di me, me lo sono meritata. Con quali animali parleresti? E in che lingua?»
«E’ una storia lunga: sicura di volerla ascoltare?»
La piccola cocker si sedette sulle gambe posteriori: «Solo se la smetti di prenderti gioco di me!»
«Sono arrivato qui tre anni fa. Mi sembrava un paradiso, finché Baguette mi ha spiegato cosa ci facciamo noi qui. Non gli credevo, ma quando ci hanno rinchiusi per tre giorni in quella specie di sgabuzzino ho iniziato a temere che dicesse sul serio. Dopo due o tre esplosioni non potevo più fare finta che non fosse vero. Dopo un anno, il povero Baguette non ce l’ha fatta più e sono rimasto solo. Ogni volta, quando venivano a tirarmi fuori da quel bugigattolo di cemento, mi sembrava fosse passato un anno… non due o tre giorni.»
Noisette lo guardò con sospetto: «Tu mi vuoi solo spaventare! Non credo a una parola di quello che dici… e che parli con gli altri animali, poi! Questa è proprio bella!»
«Tu devi sapere che noi ora siamo sulla cima di un vulcano estinto che si estende sotto il livello del mare fino a una profondità di 3000 metri. Gli scienziati e gli ingegneri della base hanno perforato fino a 500 metri di profondità, ci buttano le bombe e… boom!»
«Boom cosa?»
«Il mare trema, la terra trema, l’aria trema. E fino a qualche anno fa era anche peggio! Baguette mi ha raccontato che prima che arrivassi io le facevano scoppiare anche in superficie. Si creava un enorme fungo luminoso, alto fino al cielo, talmente caldo che il poverino si sentiva andare arrosto anche all’interno dello sgabuzzino, nonostante le pareti di cemento fossero spesse più di un metro e la porta sigillata con lastre di piombo.»
«E tu… come fai a sapere tutte queste cose?»
«Te l’ho detto, riesco a parlare e a capire la lingua di tutti gli animali, uomo compreso, ma non l’ho mai detto… a loro», disse volgendo lo sguardo verso i bunker della base militare.
Balzac lesse negli occhi della cagnolina i più diversi sentimenti: terrore, incredulità, diffidenza, angoscia.
«È stato l’anno scorso: era il luglio 1979. Qualcosa deve essere andato storto e la bomba si è bloccata a metà, all’interno del pozzo, così è scoppiata troppo presto e troppo vicino alla superficie. Si è creata un’onda altissima, l’acqua è penetrata anche all’interno dello sgabuzzino: a momenti ci rimanevo secco… o meglio, annegato! Parecchi di loro non erano riusciti ad abbandonare l’atollo in tempo e sono morti, spazzati via dall’onda del mare e dall’onda delle radiazioni. Ecco… da allora riesco a capire tutti, e a parlare con tutti. Ma loro non lo sanno. Non fanno caso a me, mi lasciano andare dappertutto… ma io ascolto, mi informo. Questo è quanto!»
Non poteva essere vero! Non doveva essere vero!
«Ti diverti a terrorizzarmi, eh! Mi hai preso per una stupida smorfiosetta che crede a tutte le fandonie del primo venuto?» e prima che Balzac potesse aggiungere altro, corse a cerare Bernard.
«Vieni qui piccina. Lascia che ti rimetta a posto il fiocco». Il marinaio si chinò, le allungò il dorso della mano per farselo annusare, massaggiandole con l’altra nuca e coppino. «Dove sei stata? Oh, mi mancavi!».
Ma si, aveva ragione lei, l’aveva presa in giro. Che scherzo di cattivo gusto!
Gli era stata alla larga per una settimana, ma ora se lo era ritrovata di fronte, con le quattro zampe a mollo nell’acqua bassa.
«Vieni qui a darmi una mano.»
«Non vengo fin lì. Il sale mi dà fastidio, mi appiccica il pelo.»
Qualche metro più al largo, l’acqua si agitò: un delfino prese lo slancio per arrivare fino a riva.
Noisette fece un salto all’indietro, nascondendosi dietro a un tronco.
«Me l’hai spaventata. Balzac!», si presentò allungando la zampa al delfino. «Secondo me la mia amica pensa tu sia uno squalo».
«Sono Vick, in mare adesso non ci torno, ho già fatto troppa fatica ad arrivare fino a qui.»
Il delfino si contorse per mostrare la coda. Un rivolo di sangue sgorgava da una ferita.
Balzac avvicinò il muso, per scrutarlo da vicino. Poi, preoccupato gli disse: «Il taglio è profondo. Cosa ti è capitato?»
«Sono finito nelle reti di pescatori, a qualche miglio da qui. Le trascinano con le loro barche e se ci finisci dentro non riesci neanche più a venire a galla a respirare. Più mi dimenavo più rimanevo impigliato, senza riuscire a muovermi. Devono avere avuto un problema, forse la rete si è impigliata nell’elica. Hanno iniziato a tagliarla, con un grosso coltello fissato in cima ad una pertica. Così ne ho approfittato per liberarmi, ma nella foga hanno ferito anche me. Fortuna che sono riuscito ad arrivare fin qui.»
«Ma io non so cosa fare per aiutarti»
«Devo riposarmi qualche giorno e aspettare che la ferita si rimargini e la smetta di sanguinare. Se solo tu riuscissi a procurarmi un po’ di cibo!»
«Questo non è un problema… ma tu non poi stare qui. Fra due giorni hanno programmato una nuova esplosione, se stai qui non te la caverai sicuramente», e così gli spiegò il terribile segreto che custodiva quell’angolo di paradiso.
Si voltò verso Noisette, che assisteva dal suo nascondiglio a quella strana conversazione.
«Senti bella, oggi me ne stanno capitando di tutte» disse in tono deciso. «Non vorrai mica lasciarlo in questo stato? Stamattina mi sono arrangiato da solo, ma ora ho bisogno del tuo aiuto: mi è venuta un’idea!»
«Perché… cos’altro ti è successo stamattina?»
«Lo vedi Bach, quel cormorano laggiù?» e le indicò un pennuto accovacciato dall’altro lato della spiaggia. «È letteralmente precipitato ai miei piedi. Si era immerso a beccare del pesce a poppa di una petroliera che navigava qua vicino. Sono furbi i cormorani, e lo sanno che i pesci seguono le navi per mangiare gli scarti che i marinai buttano a mare. Ma questa volta, oltre agli scarti, avevano scaricato anche le acque usate per lavare le cisterne, così la frittata è stata fatta. Mentre volava il petrolio è diventato via via più denso e appiccicoso, finché non è stato più in grado di governare le piume sulle ali e… puff, mi è caduto qualche metro più avanti.»
«E tu chi sei, il buon samaritano?» lo schernì Noisette.
La guardò turbato: «Ma tu hai capito che fra due giorni ne fanno scoppiare un’altra? Noi saremo nello sgabuzzino ma quelli che staranno fuori… sono fritti!»
«E cosa possiamo farci noi?»
«Sono entrato al magazzino stamattina. Nessuno mi presta mai attenzione: ho preso una latta di diluente e qualche straccio. Adesso è là che si sta ripulendo le penne una per una; non penso ci metterà molto.»
«E per il delfino?»
«Una volta loro mi hanno medicato una zampa, so come fare. Ho un piano!»
Noisette era nascosta dietro l’angolo, nel corridoio; fortunatamente non c’era nessuno in vista. Balzac si piazzò di fronte all’infermeria. Le fece segno di tenersi pronta poi, di colpo, iniziò ad abbaiare e a graffiare con violenza la porta. Bastarono pochi secondi: il dottor Giraud apparve sull’uscio, sbigottito.
«Balzac, cagnaccio, ma che ti prende?»
Invece di calmarsi, il cane digrignò i denti e si avventò sull’orlo dei pantaloni del medico, addentandolo e tirandolo verso il corridoio. Giraud scrollò con forza la gamba, proiettando Balzac contro la parete.
Rimessosi in piedi, Balzac, ancora stordito, riprese ad abbaiare.
«Brutta bestia, te la faccio passare io ora la voglia di attaccar briga» e afferrata una scopa, lo inseguì per un labirinto di corridoi.
Era il momento! Aveva poco tempo. Noisette entrò nella stanza: Balzac le aveva descritto con precisione quello che doveva prendere e dove trovarlo. Cacciò tutto nel sacchetto e scappò appena in tempo per sentire i passi del dottore che tornava, senza smettere di imprecare verso quello stupido animale.
La polvere medicinale sulla carne viva ebbe un effetto miracoloso. Il sangue smise di colare e dopo qualche ora i due cani fasciarono la pinna caudale con garze e bende per proteggere la crosta che si era formata sulla ferita.
«Riposati fino a domani» consigliò Balzac «così recuperi le forze. Hai perso parecchio sangue.»
Anche il cormorano si era ripulito di tutto punto e le penne delle ali, color bronzo, splendevano creando un contrasto cromatico col corpo nero dell’uccello. Zampettava goffo, rullando lungo la battigia come fosse un aereo, con le lunghe ali spiegate come a collaudare che tutti gli equipaggiamenti fossero in ordine prima di spiccare il volo. Quando si sentì pronto, si avvicinò al terzetto che lo scrutava dalla riva del mare.
«Che ne sarà di voi?» chiese ormai pronto al decollo.
«Il solito! Sgabuzzino, esplosione, misura delle radiazioni, un altro poco di libertà» disse Balzac con voce rotta, cercando di non farsi accorgere da Noisette. «Per lei sarà la prima volta… non sarà facile! Ma quest’anno sono programmati ben undici test… e non siamo neanche a metà.»
I pochi uomini rimasti erano scesi nella zona di sicurezza del bunker. Gli altri, la maggior parte, si erano allontanati dall’isola, in direzione della base di Hao, a circa 300 miglia di distanza.
Bernard si incamminò verso la parte dell’isola dove normalmente era proibito l’ingresso. Noisette gli stava in braccio e Balzac camminava a fianco. Un silenzio irreale li accompagnava nel tragitto.
«Aspetta, vengo anch’io». Il dottor Giraud si unì alla comitiva: «È la prima volta per Noisette… può darsi che tu abbia bisogno di aiuto».
Quando lo vide Noisette realizzò. Il bugigattolo li aspettava, angusto e spoglio. Non una finestra. Una sola luce all’interno, fioca. Una cuccia, due ciotole con del cibo, altre con l’acqua, una cassetta per i bisogni. Il mondo le crollò addosso all’improvviso. Azzannò una mano a Bernard che, colto alla sprovvista, se la lasciò scappare.
«Ma che hanno questi cani in questi giorni?» inveì il dottore. «Su, vedi di bloccarla nell’angolo, io preparo la siringa». Non ci impiegarono molto: la lasciarono addormentata nello sgabuzzino, con Balzac a farle da guardia, e chiusero la pesante porta alle spalle.
«È tutto finito!»
Noisette aprì gli occhi a fatica. Aveva dormito per un giorno intero, eppure si sentiva stanchissima.
«Ti sentirai debole… è normale.»
«Quand’è che ci fanno uscire da qui?»
«Di solito in un paio di giorni. Devono aspettare che il livello di radiazioni diminuisca.»
«E io, stupida, che non ti credevo! E che mi fidavo di loro!»
«È normale, è capitato a tutti. E cosa sarebbe cambiato? Saresti scappata? Dove? Come? Una volta che arrivi in questo paradiso non puoi più andare via… e ti diventa pesante come un inferno.»
Le sembrarono mesi, ma furono solo altri due giorni. Entrarono in due, con tute speciali che li coprivano dalla testa ai piedi. Passarono i contatori Geiger lungo il corpo degli animali, lungo le zampe, lungo la coda, sulle orecchie. Scrissero numeri su tabelle, poi uscirono dallo sgabuzzino per confabulare tra loro.
Solo allora spalancarono la porta per farli uscire.
Noisette lo precedette, respirò l’aria libera, il profumo del sole, della salsedine apprezzandoli come mai le era capitato prima. Rientrò nello sgabuzzino a chiamare Balzac. Lo vide uscire con passo lento e stanco. Poi guardò verso l’angolo: molti peli color nocciola giacevano sul pavimento dove era stata accucciata per tre giorni.
«Balzac, seguimi. Sto cercando di allontanarla, ma non riesco a farmi capire.»
Il cane era accovacciato nella cuccia, assalito da un insano torpore. Passava sempre più tempo a dormire, nella speranza di recuperare le forze. La seguì stancamente: una tartaruga era risalita lungo l’arenile e stava scavando nella sabbia con le zampe posteriori.
«Le ho abbaiato, per spaventarla e farla tornare in mare… ma niente. Ho provato a spingerla con il muso, a tirarla pe la coda, ma questa, cocciuta ricomincia subito a trascinarsi su per il bagnasciuga. Spiegale tu che non può stare qui!»
Dopo un fitto conciliabolo con la tartaruga, Balzac scosse le spalle: «Non può! È venuta qui per deporre le uova: non farà in tempo a raggiungere un’altra isola».
«Ma se lo fa, i suoi piccoli moriranno prima di nascere!»
«E se non lo fa moriranno comunque. Non posso farmi carico dei problemi del mondo» rispose indispettito.
«Ce ne faremo carico noi: ho portato rinforzi!»
Vick aveva spiccato un gran balzo, fin quasi sulla riva: «Un’entrata in grande stile, non vi pare? Io e i miei amici delfini siamo tornati per portarvi via da qui!»
«Ma sei matto? Anche se ci aggrappassimo alla vostra schiena, non riusciremmo a stare in mare a lungo», replicò Balzac appena si riprese dallo spavento.
«Avremo anche il supporto dell’aviazione», e agitò la coda giusto in tempo per mostrare il morbido atterraggio di Bach, proprio di fianco a loro.
«Farò ricognizione dall’alto, indicandovi le isole più vicine: così ci allontaneremo un poco alla volta, riposandoci tra un tratto e l’altro.»
Gli occhi di Balzac di riempirono di grosse lacrime di commozione.
«Ma con la tartaruga, come facciamo?»
«Ci penso io» disse Noisette che, dall’espressione di Balzac, aveva intuito il senso della conversazione.
Quando la videro tornare, stringeva soddisfatta tra i denti un grosso catino ed una corda di canapa.
«Dille di riempirlo con uno strato di sabbia. Dopo che avrà deposto le uova, le copriremo con un altro strato. Penso riesca a galleggiare fino alla prossima isola».
All’alba, la strana compagnia si era radunata sulla battigia.
La tartaruga aveva terminato da poco il difficile compito.
«È ora!» sentenziò Vick.
Noisette legò un capo della corda al catino e l’altro alla coda del delfino. Il cetaceo si spinse in mare aperto con cautela, tirando dietro di sé la precaria imbarcazione, sotto lo sguardo vigile della tartaruga.
«Funziona!», gridarono in coro al colmo dell’eccitazione.
Il cormorano era già in volo, disegnando con eleganza grossi cerchi nel cielo, in attesa che la truppa si allontanasse dall’isola.
«È il tuo turno» gridò Balzac.
Urla disordinate giunsero della base militare: «Presto… da quella parte!». Un manipolo di marinai correva di gran carriera verso di loro.
«Svelta!» urlò Balzac, e Noisette, con una bella rincorsa, saltò in groppa ad uno dei delfini.
Si voltarono tutti verso Balzac, sulla riva, con le quattro zampe immerse nel basso fondale, ben più lento nei movimenti dell’agile cagnolina.
Non fece in tempo… in tre gli furono addosso e lo bloccarono prima che potesse fare un altro passo. Un quarto marinaio imbracciò il fucile, piantò con forza i piedi nella sabbia, mirò e partì un colpo. Il proiettile sfiorò l’orecchio di Noisette senza colpirla, ma subito il militare riarmò il fucile.
“Ora o mai più!” pensò Balzac. Chiamò a raccolta tutte le sue energie, divincolandosi dalla presa e avventandosi sul tiratore, giusto in tempo per fargli sparare a vuoto verso il cielo.
I marinai non ebbero altre occasioni: i suoi amici erano ormai a distanza di sicurezza.
Balzac li guardò allontanarsi, con malinconia, senza invidia, senza rancore.
Quando scomparvero dalla sua vista si voltò, dirigendosi verso la cuccia. Un’altra giornata, un’altra dormita… in attesa di un’altra esplosione.