La parrucchiera di Kabul
Il romanzo è stato scritto a quattro mani da Deborah Rodriguez, una parrucchiera americana e dall’amica e scrittrice Kristin Ohlson.
L’uscita del libro, cui è seguito anche un film, è stata fortemente osteggiata dal governo afgano, tanto che Deborah, dopo il 2007, è dovuta fuggire dal paese, per non mettere in pericolo sé stessa, la sua famiglia, le allieve e le clienti della scuola per estetiste da lei fondata: La scuola di Bellezza.
Quando Deborah parte per Kabul al seguito di una missione umanitaria organizzata da una piccola O.n.g., ha cinquant’anni, due matrimoni falliti alle spalle e due figli, ed è una donna curiosa e determinata.
Con i limitati mezzi messi a disposizione da alcune aziende che forniscono prodotti ai saloni di bellezza, decide di mettersi in gioco in prima persona per dare alle donne afgane un mezzo per raggiungere l’indipendenza economia e vedere un futuro “libero”.
Fonda così la prima scuola per estetiste, “La scuola di Bellezza” – una denominazione tanto semplice quanto straordinaria - facendo di un rossetto e di una tinta per capelli strumenti di crescita, per quella società, “rivoluzionari”, formando giovani donne ad una professione che le affranchi dal dover dipendere da padri, mariti e fratelli.
In questa scuola toccherà con mano quanto queste donne così provate dalla guerra e dai dettami della cultura talebana, nell’intimità di un salone di bellezza, libere dal burqua e senza il controllo degli uomini, riescano a ritagliarsi dei momenti solo per sé, per ridere, scherzare, confidarsi, raccontare le loro storie, spesso molto dolorose. Come le donne di qualsiasi parte del mondo.
Fuori, la loro essenza viene annientata dall’asprezza di diritti negati alle donne, dalla sottomissione di uomini arroganti (ignoranti) e, secondo loro, depositari dell’unica verità applicabile alla vita delle donne stesse: essere invisibili, non alzare mai gli occhi da terra e non avere idee proprie. Obbedire. Essere oggetti.
In questa scuola incontrerà persone che le rimarranno nel cuore per sempre, diventeranno amiche, saranno le sue interpreti non solo per la lingua, ma anche per entrare in sintonia con una cultura così diversa.
Al termine di ogni corso, le ragazze che si diplomeranno, non avranno imparato solo a usare phon, bigodini, tinture, ma anche ad avere fiducia in sé stesse e nelle proprie capacità, oltre a vedersi come “persone” e non come oggetti.
Per raggiungere il suo obiettivo Deborah dovrà superare moltissimi ostacoli: convincere padri e fratelli a dare il permesso alle donne ad iscriversi alla scuola, trovare i locali adatti, muoversi in sicurezza in una città pericolosa, in cui le giornate sono legate dal ritmo del coprifuoco, dover cambiare spesso sede per la scuola, ottenere acqua ed elettricità...
Non da ultimo Deborah dovrà confrontarsi con tensioni e inimicizie di donne non abituate a relazionarsi con persone al di fuori della stretta cerchia famigliare: pettegolezzi, paure, pregiudizi, che Deborah combatterà anche con un poco di incoscienza, tanta pazienza e determinazione.
Pur di raggiungere il suo scopo, accetta di sposare Sam, un afgano uzbecho molto più giovane di lei, procuratole da Roshanna e Daoud, due amici: un uomo peraltro già sposato e con figli. Questo matrimonio le aprirà qualche porta in più, ci saranno anche momenti comici pur nella drammaticità di una situazione generata dallo scontro tra culture diverse. Alla fine, ci sarà posto anche per l’amore, in questa loro storia così strampalata.
La scuola, inizialmente sostenuta economicamente anche dal governo afgano, sarà poi lasciata a se stessa: l’uscita del libro, anziché aiutare l’iniziativa, ne precluderà il proseguimento.
Deborah e Sam troveranno aiuti da alcuni sponsor, con l’uscita del libro avevano sperato di trovarne altri ma purtroppo, senza fondi adeguati, la scuola finirà per dover essere abbandonata.
La difficile situazione nel paese aveva scoraggiato i possibili finanziatori, la scuola era diventata bersaglio dei kamikaze e Deborah finì per essere perseguitata dal governo centrale.
Una fine molto amara.
Deborah ora vive in Messico, non ha mai cessato di aiutare le donne afgane e spera di poter tornare a Kabul, una città che le è rimasta nel cuore
Il romanzo è stato scritto a quattro mani da Deborah Rodriguez, una parrucchiera americana e dall’amica e scrittrice Kristin Ohlson.
L’uscita del libro, cui è seguito anche un film, è stata fortemente osteggiata dal governo afgano, tanto che Deborah, dopo il 2007, è dovuta fuggire dal paese, per non mettere in pericolo sé stessa, la sua famiglia, le allieve e le clienti della scuola per estetiste da lei fondata: La scuola di Bellezza.
Quando Deborah parte per Kabul al seguito di una missione umanitaria organizzata da una piccola O.n.g., ha cinquant’anni, due matrimoni falliti alle spalle e due figli, ed è una donna curiosa e determinata.
Con i limitati mezzi messi a disposizione da alcune aziende che forniscono prodotti ai saloni di bellezza, decide di mettersi in gioco in prima persona per dare alle donne afgane un mezzo per raggiungere l’indipendenza economia e vedere un futuro “libero”.
Fonda così la prima scuola per estetiste, “La scuola di Bellezza” – una denominazione tanto semplice quanto straordinaria - facendo di un rossetto e di una tinta per capelli strumenti di crescita, per quella società, “rivoluzionari”, formando giovani donne ad una professione che le affranchi dal dover dipendere da padri, mariti e fratelli.
In questa scuola toccherà con mano quanto queste donne così provate dalla guerra e dai dettami della cultura talebana, nell’intimità di un salone di bellezza, libere dal burqua e senza il controllo degli uomini, riescano a ritagliarsi dei momenti solo per sé, per ridere, scherzare, confidarsi, raccontare le loro storie, spesso molto dolorose. Come le donne di qualsiasi parte del mondo.
Fuori, la loro essenza viene annientata dall’asprezza di diritti negati alle donne, dalla sottomissione di uomini arroganti (ignoranti) e, secondo loro, depositari dell’unica verità applicabile alla vita delle donne stesse: essere invisibili, non alzare mai gli occhi da terra e non avere idee proprie. Obbedire. Essere oggetti.
In questa scuola incontrerà persone che le rimarranno nel cuore per sempre, diventeranno amiche, saranno le sue interpreti non solo per la lingua, ma anche per entrare in sintonia con una cultura così diversa.
Al termine di ogni corso, le ragazze che si diplomeranno, non avranno imparato solo a usare phon, bigodini, tinture, ma anche ad avere fiducia in sé stesse e nelle proprie capacità, oltre a vedersi come “persone” e non come oggetti.
Per raggiungere il suo obiettivo Deborah dovrà superare moltissimi ostacoli: convincere padri e fratelli a dare il permesso alle donne ad iscriversi alla scuola, trovare i locali adatti, muoversi in sicurezza in una città pericolosa, in cui le giornate sono legate dal ritmo del coprifuoco, dover cambiare spesso sede per la scuola, ottenere acqua ed elettricità...
Non da ultimo Deborah dovrà confrontarsi con tensioni e inimicizie di donne non abituate a relazionarsi con persone al di fuori della stretta cerchia famigliare: pettegolezzi, paure, pregiudizi, che Deborah combatterà anche con un poco di incoscienza, tanta pazienza e determinazione.
Pur di raggiungere il suo scopo, accetta di sposare Sam, un afgano uzbecho molto più giovane di lei, procuratole da Roshanna e Daoud, due amici: un uomo peraltro già sposato e con figli. Questo matrimonio le aprirà qualche porta in più, ci saranno anche momenti comici pur nella drammaticità di una situazione generata dallo scontro tra culture diverse. Alla fine, ci sarà posto anche per l’amore, in questa loro storia così strampalata.
La scuola, inizialmente sostenuta economicamente anche dal governo afgano, sarà poi lasciata a se stessa: l’uscita del libro, anziché aiutare l’iniziativa, ne precluderà il proseguimento.
Deborah e Sam troveranno aiuti da alcuni sponsor, con l’uscita del libro avevano sperato di trovarne altri ma purtroppo, senza fondi adeguati, la scuola finirà per dover essere abbandonata.
La difficile situazione nel paese aveva scoraggiato i possibili finanziatori, la scuola era diventata bersaglio dei kamikaze e Deborah finì per essere perseguitata dal governo centrale.
Una fine molto amara.
Deborah ora vive in Messico, non ha mai cessato di aiutare le donne afgane e spera di poter tornare a Kabul, una città che le è rimasta nel cuore