1 - Operazione Barabba
È un palazzo di otto piani, contati e ricontati a uno a uno i giorni di guasto all’ascensore. A sinistra del portone d’ingresso, nella bacheca condominiale, si può leggere: «Avviso: indetta assemblea per il giorno martedì 27 dicembre. All’o.d.g. rifacimento della facciata. Si prega di confermare la presenza all’amministratore». Al primo piano, come a tutti i piani d’altronde, due appartamenti perfettamente simmetrici. Alla porta di quello di destra sono appesi vari addobbi natalizi tra i quali spicca una corona di Natale con pigne e bacche rosse.
La porta dell’appartamento di sinistra è molto più sobria. Nessun addobbo natalizio e niente zerbino con la scritta «Buon Natale» a rallegrare i cuori dei condomini e dei clienti alle prese con il 730, l’Isee, l’Irpef, l’Irap, l’Ires, l’Imu, la Tasi, la Tari, il Cosap e altre sigle strane. Una targhetta in ottone ricorda il nome del proprietario e la sua attività: Dario Giuliani, commercialista. Sotto la targhetta un foglio A4 attaccato alla porta con lo scotch avverte che lo studio rimarrà chiuso per tutto il pomeriggio del 20 dicembre e cioè in data odierna.
Se fosse da vendere l’annuncio direbbe che si tratta di un appartamento di 110 metri quadri, che il locale consta di una cucina, un salotto piuttosto ampio, due stanze da letto, due bagni e un ripostiglio. Preciserebbe che completano la proprietà un terrazzo, un posto auto e uno scantinato.
Giulio Giuliani, che approfittando della temporanea assenza dei genitori fa gli onori di casa, è un fanciullo di nove anni, arrotondabili a dieci per via dei baffetti alla Hitler che gli conferirebbero una decisa dimensione storica se non fosse per il suo marcato accento pugliese.
«Allora, Enrico, ci siamo tutti?»
Enrico, nove anni pure lui, è assorto nel difficile compito di contare la mandria in movimento dei bambini del condominio presenti alla riunione. «Quindici, sedici e diciassette! Dovremmo essere in diciotto, però.»
«Hai controllato in bagno?»
«Sì, non c’è nessuno.»
«Tu, ti sei contato?»
«Ah, no! Allora ci siamo tutti.»
Il salotto sembra quello di una baby gang di anarchici prima di un regicidio: caos, confusione, casino. Le tre C. Ma il destinatario delle tresche di quel giorno non sarà un re, o un vice re, o al limite un vice vice re. L’hanno chiamata «Operazione Barabba» e si tratta di rapire Babbo Natale.
Giulio Giuliani, annidato finora nella poltrona preferita del padre, si alza e squadra a uno a uno i partecipanti alla riunione producendo una dissolvenza audio che porta le tre C a due, poi a una, poi a più niente. Rimangono solo la voce del figlio del padrone di casa e gli sguardi attenti degli invitati alla riunione.
«Oggi il mio cervello mi ha parlato e sapete che cosa mi ha detto? Mi ha detto che se dobbiamo prendere Babbo Natale lo dobbiamo prendere qui, in questo appartamento. Non possiamo permetterci di catturarlo a casa di uno di voi e aspettarci che nessuno se ne accorga. I vostri genitori, i parenti vari che avete invitato per questo Natale, è tutta gente che non dorme mai. Basterebbe che uno solo di loro veda, o senta, Babbo Natale in trappola per dare l’allarme generale. E questo, mi ha detto il mio cervello, lo dobbiamo evitare. Lo aspetteremo in questo appartamento, che per la notte di Natale rimarrà vuoto. Prima o poi dovrà passarci. Non appena arriva usciamo dai nostri nascondigli, lo accerchiamo e lo prendiamo. Poi lo leghiamo bene bene, gli mettiamo del nastro adesivo per imballaggi sulla bocca per non farlo urlare, gli buttiamo una coperta addosso e lo portiamo in barella nello scantinato. Lì nessuno ci disturberà. A proposito, fate in modo che la lista dei regali che dobbiamo chiedere agli elfi sia pronta, altrimenti che lo prendiamo a fare?»
«Come faremo a sapere che lo abbiamo preso se l’appartamento rimarrà vuoto?» chiede Arturo.
«Allora non mi ascolti quando parlo! Ho detto che la mia famiglia non ci sarà ma noi sì. Loro trascorreranno la vigilia e il giorno di Natale da mia zia Caterina che sta a Santa Maria, ma noi staremo qui, ben nascosti, ad attendere l’arrivo di Babbo Natale. C’è qualche problema? Ci sarò pure io. Con una scusa o l’altra, convincerò i miei a lasciarmi a casa. Magari gli dico che ho la febbre e mal di pancia.»
«E come intendi catturarlo?» insiste Arturo.
“La modalità più semplice,» spiega Giulio Giuliani, “è quella che vi ho appena illustrato: Babbo Natale entra nell’appartamento, noi usciamo dai nostri nascondigli, gli immobilizziamo braccia e gambe, lo leghiamo e gli mettiamo del nastro adesivo sulla bocca. Ad ogni modo siamo qui per limare il nostro piano d’azione e vorrei da voi, oltre a tutta la vostra attenzione, anche qualche suggerimento.»
«Posso parlare?» chiede timidamente Enzo alzando la mano.
«Ne hai facoltà!» autorizza Giulio Giuliani.
«Babbo Natale è bello grosso. Più o meno come mio zio Orlando che fa il macellaio e ha, oltre al lardo, anche un bel po’ di muscoli addosso. I muscoli servono quando si deve sollevare un quarto di bue», dice Enzo.
«E allora?» s’innervosisce Giulio Giuliani. «Vogliamo venire al dunque?»
«Propongo di comprare una trappola per orsi», chiarisce Enzo.
«Non se ne parla neanche!» taglia corto Giulio Giuliani. Poi, rivolto a tutti i presenti: «Altre idee che non siano stupide?»
Giorgio, il più piccoletto del gruppo, alzando la mano: «Mio zio è pescatore. Un giorno mi ha spiegato che si prendono più pesci con la nassa che con la lenza…»
«Che cos’è questa nassa?» chiede Enrico.
«È una cosa strana per prendere i pesci», spiega Giorgio.
«Ah, ho capito…» mente Enrico.
«Possiamo costruirne una gigante… Mettiamo una bella cassoeula dentro, Babbo Natale, che è goloso, entra nella nassa e non può più uscire…» precisa Giorgio.
«Ma ti senti parlare?» interviene Giulio Giuliani. «Costruire una nassa gigante! E chi la cucinerebbe questa cassoeula? Non siamo mica a Milano, qui. Proposta bocciata!»
«Perché non proviamo con una botola?» propone Enrico.
«Non ci sono botole in questo palazzo. Bocciata pure questa!»
«Il cappio al piede va bene? Uno sta lì, appostato dietro il divano. Quando Babbo Natale passa tira il cappio e lo fa prigioniero», propone allora Walter.
I bambini si guardano in volto, soppesano le espressioni dell’uno e dell’altro e annuiscono.
«Approvato all’unanimità», concorda Giulio Giuliani. «Se tiriamo forte il cappio lo facciamo cadere, e una volta a terra lo potremo immobilizzare come si deve. Abbiamo ora il problema delle urla da risolvere. Il fatto è che, vedendosi prigioniero, urlerà come un dannato e non vorrei essere costretto a sgozzarlo per farlo smettere.»
«Il nastro adesivo non va bene?»
«Il nastro adesivo in bocca va bene, ma Babbo Natale, anche se immobilizzato, potrebbe avere il tempo di urlare e svegliare tutto il palazzo prima che gli venga applicato… Poi c’è un altro problema: Babbo Natale è già pesante così, e non sarà facile trasportarlo, ma è sicuro che sulla barella si dimenerà, e qui la situazione si complica…»
Giulio Giuliani passeggia nervosamente davanti al manipolo di fanciulli sull’attenti. I suoi capelli neri e lisci gli scendono in obliquo sulla fronte, in perfetta sintonia con i baffetti a spazzolino. Si ferma davanti ad Andrea squadrandolo dalla testa ai piedi: «Tuo padre è anestesista se non sbaglio…»
«Era anestesista», rettifica quest’ultimo. «Ora è in pensione.»
«In casa vi sarà sicuramente rimasto qualche flacone di cloroformio…»
«Credo proprio di no. Papà non portava mai niente dall’ospedale. Non ha mai voluto mischiare la famiglia e il lavoro.»
«Tuo padre è un coglione!» sentenzia Giulio Giuliani prima di rannicchiarsi nella poltrona ad ascoltare il suo cervello.
2 - Papà sarà contento
Babbo Natale col suo cannocchiale passa in rivista i tetti della città. Tutto sembra normale. È la tipica notte di Natale con gli adulti che dormono, i bimbi che non tarderanno a farlo e i comignoli senza fumo. Meglio, però, procedere con cautela. Non si sa mai che qualche ragazzaccio voglia fargli fare la fine di Masaniello. Per sicurezza decide di cominciare la sua distribuzione dalla periferia. Non perché i ragazzini della periferia siano meno malvagi di quelli del centro città, questo no. Il fatto è che non vuole seguire un percorso scontato, prevedibile, dando in tal modo un vantaggio ai cattivi. Sceglie una casa singola, piccola, con le tegole rosse e il classico comignolo. Il suo pesante mezzo trainato dalle renne si posa sul tettuccio, che un po’ scricchiola.
Paolo si sveglia, accende la luce fioca dell’abat-jour sul comodino, controlla l’ora nello smartphone, spegne la luce e rimane in agguato.
In sala, un rumore come di fuliggine che scende nel caminetto spento.
Si alza. In punta di piedi apre la porta della sua cameretta e va in sala. C’è poca luce proveniente dai led del presepe ma tanto basta per constatare che nel caminetto è scesa un po’ di fuliggine. Sente come un rumore di qualcosa, o di qualcuno, che si strofina nella canna fumaria provocando la caduta di altra fuliggine. Vede un piede, poi l’altro. Poi sente una voce.
«Paolo!»
«Sì?»
«Aiutami a scendere! Sono incastrato!»
Paolo afferra un piede di Babbo Natale e con tutto il suo peso lo tira giù. Il forte rimbombo di una scoreggia fa tremare la canna fumaria liberandola dall’ultima fuliggine che le è rimasta attaccata.
Babbo Natale, più nero che rosso, è ora in piedi al centro della stanza. Ride fragorosamente. «Ah ah ah ah! Ci caschi sempre! Mi fai morire dalle risate!»
«Dai, smettila, finisce che sveglierai mio papà! Ce l’hai il regalo?»
«Certo che ce l’ho. Eccolo!»
Babbo Natale tira fuori dal suo sacco un vecchio disco di Claudio Villa. Paolo accende la torcia del suo smartphone, la punta sul viso di Babbo Natale e s’accorge che anche quest’anno sulla barba del vecchio è colato un po’ di giallo d’uovo, poi dirige il fascio di luce sulla copertina del trentatré giri, percorre i titoli delle canzoni e, constatato che tra questi figura Granada, elargisce un gran sorriso a Babbo Natale.
«Grazie Babbo Natale, grazie. Papà sarà contento!»
3 - E ora cantiamo Bianco Natale
Mattina di Natale. Riunione. Sguardo inquisitorio, baffetti, capelli sulla fronte, cappottino sulle spalle, Giulio Giuliani passa in rivista i suoi ufficiali rimasti sull’attenti.
«Qualcuno ha fatto l’infame!»
«Io non sono stato!» nega uno.
«Neanche io!» aggiunge un altro.
«Fatto sta che qui Babbo Natale non si è proprio avvicinato e se non si è avvicinato è perché gli è stato detto di non avvicinarsi. Ma qualcuno è stato e quando scoprirò chi ci ha traditi gli strapperò le budella con queste mani.»
«Io di certo non sono stato!» dice Filippo, la voce tremante.
«Percepisco molta paura in questa stanza, molta. Una vocina, mi dispiace dirlo, mi sussurra che il colpevole è uno di voi. Io vorrei credere con tutte le mie forze che questa vocina sia una bastardella bugiarda, vorrei convincermi che nessuno di voi sia uno schifoso traditore, ma la vocina sussurra e sussurra ancora. Non è possibile farla zittire. Mi è entrata in testa e non ne vuole più uscire. Magari il colpevole non ha parlato direttamente con Babbo Natale. Potrebbe darsi che, distrattamente, lo abbia fatto con un cugino, un amico, un conoscente, uno sconosciuto…»
Lo sguardo di Hitler si posa su Walter.
«Walter, sei stato tu?»
«No!»
«Sicuro di non avere detto qualche parolina innocente al tuo cuginetto Flavio?»
«Non gli ho detto niente…»
«Vedremo, vedremo…»
Poi rivolto di nuovo a tutti i suoi uomini: «Siate certi che scoprirò la verità e che non avrò pietà per il colpevole. E ora cantiamo Bianco Natale.»
4 - Enrico, tagliagli un orecchio!
«Toc toc toc!»
«Chi sarà mai?» chiede Giulio Giuliani. «Aprite!»
Sulla soglia un Babbo Natale sorridente.
«Posso?»
Babbo Natale entra senza attendere la risposta.
«Mannaggia, prendetelo! Non ci deve sfuggire!» urla Giulio Giuliani.
I ragazzi si lanciano all’unisono sul corpulento uomo vestito di rosso. Gli afferrano gambe, braccia, testa. Lo immobilizzano, con le mani gli tappano la bocca.
«Dove sono finiti la corda e il cappio?» chiede Giulio Giuliani.
«Walter li ha riportati a casa sua. Qui non servivano più», risponde Enrico.
«E il nastro adesivo?»
«Pure quello!»
«Allora rimanete così, tanto non va da nessuna parte!»
«Mo che si fa? Non lo portiamo giù nello scantinato?» chiede Filippo.
«In queste condizioni, no ma forse non serve. Possiamo fare tutto qui, tanto i miei hanno deciso di rimanere a cena dalla zia e faranno tardi questa sera. Ora telefoniamo agli elfi e ci facciamo portare i regali! Datemi uno smartphone e la lista!»
Rivolto a Babbo Natale: «Qual è il numero?»
Walter e Enrico tolgono le mani dalla bocca di Babbo Natale per permettergli di parlare.
«Che te ne fai del numero? Gli elfi, sempre che vogliano parlare con te, non cederanno al tuo ricatto», risponde Babbo Natale.
«Enrico, tagliagli un orecchio!» ordina Giulio Giuliani.
«Non è necessario tagliarmi un orecchio. Basta fare la prova: fai lo zero nove volte e vediamo che succede!»
Giulio Giuliani compone il numero e porge il telefono a Babbo Natale.
«A me forse non risponderanno, ma a te sì!»
Su un cenno di Giulio Giuliani liberano un braccio a Babbo Natale che immediatamente afferra il telefono.
«Mi hanno fatto prigioniero! Come chi? I bambini del condominio Albanella Reale. Vogliono… A proposito, che cosa volete?»
«Metti il vivavoce!» ordina Giulio Giuliani. Poi, leggendo la lista: «Diciotto computer, diciotto iPhone, diciotto iPad, una bomba di Maradona, quattro pistole vere, venti coltelli affilati, tutti i giochi per la PlayStation e la Xbox che sono usciti quest’anno…»
5 - Sei almeno un metro più basso
Mezzogiorno. Bussano alla porta. I bambini aprono. Entrano gli elfi in un lento e disciplinato corteo.
Per essere certo che non si tratti di ologrammi o di proiezioni astrali Giulio Giuliani tende il braccio e tocca le spalle degli omuncoli che sfilano davanti a lui. Sono una buona ventina, tutti vestiti da maggiordomo, solo che sulle lettighe o a braccia non portano delle pietanze ma i regali richiesti nelle camere da letto.
Mentre aspetta il suo turno per depositare il suo fardello in una delle camere un elfo si volta verso un bambino che lo guarda con particolare insistenza: «Azzo c’hai da ridere?»
«Tu sei quello dell’edicola!» esclama Walter.
«E con questo? Ora sono un elfo!»
«Lo vedo che sei un elfo… È che… sei almeno un metro più basso!»
«Ora liberate Babbo Natale!» ordina un elfo ancora più basso dell’ex edicolante.
«Mi piacerebbe lasciarti andare, Babbo Natale, ma prima voglio sapere chi è stato l’infame», dice Giulio Giuliani.
«Secondo te ho bisogno di un infame per capire che in questo condominio mi vogliono catturare? Tu sei il figlio di Dario, dico bene? E Dario è il figlio di Beniamino. Beniamino io lo conoscevo bene. Era una canaglia come lo sei tu adesso. Aveva gli stessi baffetti, lo stesso ciuffo di capelli sulla fronte, la stessa espressione malvagia. Mi correggeva i congiuntivi, mi correggeva… E come te voleva più giocatoli. Ai bambini i giocatoli non bastano mai. Volete sempre di più. Bene, anche questa volta vi abbiamo accontentati…»
«Ci avete accontentati perché vi abbiamo fregato, mica perché ci volevate accontentare…»
«Ti sbagli, amico mio, ti sbagli. Io qui ci sono venuto perché ci ho voluto venire, non perché mi avete obbligato voi. Ora, ti prego, stammi a sentire. Voglio raccontarti una storia. Sessant’anni fa tuo nonno, proprio come hai fatto tu ora, aveva organizzato con degli amici del palazzo, i nonni di alcuni di voi, una trappola che mi è costato un bel livido sulla spalla destra…»
«Quale trappola?» chiede incuriosito Giulio Giuliani.
«Tuo nonno era molto meno sentimentale di te. In quanto a malvagità non gli arriveresti neanche alla caviglia. Era capacissimo di uccidermi per rubarmi tutto il contenuto del sacco. Mi avevano aspettato, lui e i suoi galoppini, tutta la notte con delle balestre e delle frecce belle appuntite. Una me l’hanno scoccata e per scansarla ho sbattuto contro lo spigolo del muro ferendomi alla spalla. Ma c’erano le altre balestre puntate su di me. Non avevo via di scampo. Se avessi chiamato aiuto mi avrebbero trafitto con le frecce e così me ne stetti buono buono in un cantuccio. Guardarono nel sacco, ma non sembrarono molto soddisfatti del suo contenuto: macchinine, puzzle, bambole, libri, pistole e pesciolini di plastica, tutta roba senza interesse per loro.
«Poi ci fu come un’illuminazione: anziché uccidermi e prendersi il contenuto del sacco optarono per una mossa più fruttuosa. In pratica hanno fatto quello che fate voi oggi. Mi hanno costretto a telefonare agli elfi per farsi portare i regali che volevano. Sai cosa mi aveva chiesto tuo nonno? Un trenino di latta, un trenino. Ti dice niente?»
«Dovrebbe significare qualcosa me?»
«Di che cosa è morto tuo nonno?»
«È morto in un incidente ferroviario…»
«Strano, no?»
Rivolgendosi a Enrico: «E il tuo, di nonno?»
«Grazie a Dio, il mio è ancora vivo.»
«Sì, ma è come se non lo fosse. Sapevi che aveva partecipato alla spedizione organizzata dal nonno di Giulio? Sai che cosa mi aveva chiesto? Un pallone da calcio. A me risulta che quattro anni fa si è preso una bella pallonata in faccia mentre passeggiava tranquillo e beato nel parco qui vicino. C’erano dei ragazzi che giocavano a pallone. C’è stato un tiro, una cannonata a quanto pare, che gli è arrivato dritto in faccia fratturandogli il setto nasale. Lo era già prima, ma da quando si è beccato il pallone in faccia si è scimunito completamente.»
«E tuo nonno, Walter, come è morto?»
«Perché lo chiedi? Lo sai già!»
«Certo che lo so. I mortaretti, i botti voleva. E io glieli ho dati. Poi tuo nonno è cresciuto, si è trovato un lavoro e se ne è andato ad abitare in una casa qua vicino. Ha messo su famiglia. Questi erano i giorni felici, ma presto arrivarono quelli della solitudine e della disperazione. La moglie morì, portata via da una misteriosa malattia, e il figlio unico, tuo padre, se ne tornò a vivere in questo palazzo. Non ignorerai che, una sera, mentre solo soletto stava cucinando, proprio l’ultimo dell’anno, tuo nonno ebbe un problemino con la bombola. Una fuga di gas. C’è stata un’esplosione, forte, talmente forte che è crollato il soffitto. La gente del quartiere aveva pensato che avessero anticipato i festeggiamenti. Per fortuna è morto solo lui. Poteva essere una strage.
«Voi che cosa avete voluto, quest’anno? Un computer, un iPhone, un iPad, delle armi, tutti i giochi per la PlayStation e la Xbox… A te Filippo piace The Giant, lo so. Nel gioco i giganti attaccano una fortezza e schiacciano gli umani che la difendono con i piedi. A te non dispiacerebbe schiacciare i tuoi simili come fai con le formiche, dico bene? Solo che morire a sua volta schiacciati non è l’ideale per uno schiacciatore. Se non da un gigante, da un trattore, un bue, un carro armato. Ma tu non vuoi morire schiacciato, non è vero Filippo?
«Tra i giochi per la Xbox mi ha colpito Joe Tagliabraccia, che piace molto a tutti voi, ma in modo particolare a te, Giorgio. Immagina un po’: ci sarà un po’ di foschia quella sera, passeggi tranquillo per le strade della città, una forma umana s’avvicina, ti chiede se hai da accendere, dal nulla tira fuori una motosega e, senza chiederti il permesso, ti confeziona un bel gilet… Quest’anno va di moda!»
«Un gilet?» chiede Giorgio.
«Sì, un gilet tagliandoti le due braccia al livello della spalla. Tu, Giorgio, preferisci continuare a metterti il dito nel naso e tirare le palline a tua sorellina o il gilet?
«Dimenticavo: tra i più recenti giochi per la playstation figura Side Car. Arturo, a te piacciono le corse, vero? Qual è il sogno della tua vita? Diventare pilota di una bella moto giapponese se non erro… Immagino la scena: quel giorno pioverà. Supererai la moto che ti precederà dall’inizio della corsa e senza capire come uno spruzzo di acqua sporca nella visiera ti impedirà di vedere la strada. Ti farai una bella scivolata e andrai a sbattere la testa contro un palo che, a dispetto di ogni logica, starà lì. Magari non morirai. Ci saranno però delle probabilità che tu non possa mai più camminare, o rimanga in coma per il resto della tua vita…
«A te, Giulio, quei giochi piacciono tutti quanti. Chissà come morirai? Schiacciato? In un incidente di moto? Dissanguato col gilet? Magari potresti anche tu pagare per le colpe del nonno e morire in uno spettacolare incidente ferroviario, che ne dici?
«Io ho un’idea, ragazzi. Ci riprendiamo tutti questi regali, ce ne andiamo e la chiudiamo qui», propone Babbo Natale.
Tutti gli sguardi sono ora puntati su Giulio Giuliani. È lui il capo. Lui deve decidere. Giulio Giuliani tenta disperatamente di ascoltare il suo cervello che parla, parla, ma che non riesce a farsi capire, come quando al telefono risponde la badante rumena di una sua vecchia zia. Poi, constatando che non c’è più nessuna comunicazione tra lui e il suo cervello, s’arrende allo sconforto e alla rassegnazione.
I ragazzi, dopo un cenno del loro capo, liberano Babbo Natale. Gli elfi tornano nelle camere e in una ordinata processione portano via tutti i regali.
«Giulio,» dice Babbo Natale, «un regalo te lo voglio fare lo stesso.»
«Quale regalo?» chiede Giulio Giuliani.
Babbo Natale fruga prima in una poi nell’altra tasca dei pantaloni e tira fuori un rasoio usa e getta che porge al bambino.
«Cosa me ne faccio di un rasoio?»
«Questi baffetti, Giulio, non ti donano molto. Fa’ come vuoi, ma al tuo posto io li raderei…»
Poi, senza aggiungere una parola, Babbo Natale esce dall’appartamento con gli ultimi elfi.
6 - Com’erano i muggini, Martino?
Una volta fuori. Un elfo, quello che da umano aveva l’edicola, gli chiede: «Davvero sono rimpicciolito di un metro? Non me ne sono mai accorto!»
«Ma no! Non stare ad ascoltare le stupidaggini di quei bambini. Tu non sei rimpicciolito affatto! Anzi, mi sembri ancora più alto di prima…» Poi, rivolgendosi all’elfo Camillo: «È vero che Martino è più alto di prima?»
E Camillo: «A voglia!»
L’elfo Martino, tranquillizzato dalle parole di Babbo Natale e dalla conferma del vecchio Camillo, emette un profondo sospiro di sollievo.
«Questi bambini,» dice dopo un attimo di silenzio, «sono sempre più bugiardi… Ma tu, perché hai detto tutte quelle balle? I nonni di quei bambini saranno morti come hai detto tu e hanno certamente cercato di catturarti, ma credo che non hanno mai ricevuto quei regali. Perlomeno, questo mi ha detto Camillo scendendo le scale. Ma anche se così fosse stato, se li avessero davvero ricevuti, il trenino, il pallone, i botti, non ci sarebbe stata comunque nessuna relazione con gli incidenti che hanno avuto da grandi. Scusa, ma perché mi guardi la testa?»
«Com’erano i muggini, Martino?»
«Che c’entrano i muggini?»
«No, niente. Hai un sacco di squame nei capelli…»
Martino si passa la mano nei capelli per controllare se davvero sono ricoperti di squame di muggine. Constatando che non si tratta di uno dei soliti scherzi di Babbo Natale: «Mi sa che questa sera ho fatto una figuraccia davanti a quei bambini…»
«Tranquillo, non è detto che abbiano capito che sono delle squame. Avranno pensato che hai la forfora… Per tornare a bomba, sì, lo so che la morte non ha nessun rapporto con i regali. Se tutti i bambini che hanno ricevuto delle macchinine dovessero morire in incidenti stradali a quest’ora il mondo sarebbe deserto.
«Perché ho detto delle bugie? Per recuperare i regali, ovvio. Hai visto come le mie storie li hanno impressionati? E poi volevo dar loro una bella lezione, di quelle da tramandare. C’è però una ragione più profonda. Babbo Natale non fa mai nulla senza che ci sia un valido motivo e questo motivo è quest’anno quei pezzi di merda mi hanno veramente rotto il cazzo!»
7 - Il naso adunco della Befana
Il naso adunco della Befana non è bello da vedersi, ma la cosa peggiore della vecchia strega non è il naso abbondante o la bocca sdentata. Quel che più orripila i bambini sono le sue dita nodose, che vanno a destra e a sinistra, piene di unghie dall’igiene sospetta, le dita con le quali schiaccia i punti neri e infila le caramelle nelle calze delicatamente posate ai piedi dell’albero di Natale, accanto al presepe o davanti al caminetto.
Al contrario di quel rimbambito di Babbo Natale non fa rumore, la Befana. Con lei non si è mai svegliato nessun bambino. Eccola che prende una bella manata di caramelle dalla sua Louis Vuitton nuova di zecca e le ficca nella calza dell’innocente bambino addormentato nel calduccio del suo letto. Ma poi succede una cosa strana: non riesce più a togliere la mano dalla calza e non riesce neanche a strappare la calza inchiodata all’enorme ceppo di legno che occupa buona parte del caminetto. Ha un bel tirare, non ce la fa. Prova e riprova, ma è tutto inutile. Dietro di lei un rumore. Si volta…
«Beccata!» dice Giulio Giuliani.