I primi fiocchi di neve iniziavano a scendere pigri sulle guglie del Duomo. Milano era pronta ad addormentarsi in questa notte magica e a risvegliarsi la mattina di Natale coperta da una bianca e soffice coltre.
Nando rientrò infreddolito nella sua abitazione a due passi dalla Stazione Centrale, nelle mani un piccolo cartoccio marrone, obiettivo di quella sua sortita serale: un bel pacchetto di erba di qualità, presa dal suo spacciatore di fiducia. Oddio, questa volta il suo fidato fornitore, Er Puzza, un romano trapiantato a Milano che lavorava vicino alle colonne di San Lorenzo, aveva mancato l’appuntamento in quanto impegnato in una villeggiatura forzata in quel di San Vittore. Non aveva però scordato i suoi amati e affezionati clienti. A sostituirlo vi era infatti uno strano tipo, alto e segaligno, con i capelli rasta e un copricapo giamaicano. Anche l’erba non sembrava la stessa. Quella del Puzza era scura, questa del rastone molto più chiara e profumata.
Nando tolse il giubbotto e lo appoggiò in qualche modo sulla cassapanca all’ingresso, lanciò le scarpe nel bagno e si stese sul divano senza nemmeno accendere la luce. Chiuse gli occhi e provò a rilassarsi. Ne aveva davvero bisogno. Ma subito il pensiero volò verso Elisa e sua madre. Domani sarebbero dovuti andare a pranzo da lei e questo bastava a rovinare ogni tipo di rilassamento. “Perché cavolo dobbiamo andare da quella strega ogni santa festa comandata? Non possiamo starcene tranquilli e beati a oziare tutto il giorno sotto il piumone?” Ma Elisa ci teneva tanto e quindi al povero Nando non restava altra soluzione che quella di accettare e ingoiare l’amaro boccone. Amaro in ogni senso, perché la suocera era tutt’altro che una cuoca provetta. Ah no! Questa volta avrebbe detto la sua! Perché passare il Natale dalla suocera? Ormai era deciso. Si sarebbe imposto con Elisa anche a costo di litigare.
Dopo questo pensiero ogni tentativo di relax era naufragato. Voleva tenersi l’erba per il giorno di festa ma questa era una situazione di impellente necessità. Accese la luce, prese le cartine dalla tasca del giubbotto, mise il pacchetto di erba sul tavolo e iniziò a prepararsi una succulenta canna rilassante. Il profumo sprigionato dal pacchetto aveva già riempito la stanza ancor prima di accendere. “Questa deve essere proprio roba buona, di prima qualità”. Azionò l’accendino, chiuse gli occhi e inspirò con ingordigia. “Ahh, sublime”. Tossì. “Un po’ forte ma sublime”. Forse un po’ troppo forte perché la stanza attorno a lui iniziò a girare vorticosamente. Nando si lasciò cadere sul divano e si abbandonò, rapito da un sonno improvviso.
Venne svegliato dal suono del campanello. Elisa ha scordato le chiavi? Non può essere, troppo presto, il turno serale non era ancora terminato. Chi può essere a quest’ora? Si alzò a fatica e si trascinò fino alla porta. Aprì e si trovò faccia a faccia con il rasta che gli aveva venduto l’erba. “E questo che ci fa qui?” pensò, ma l’altro rispose come se fosse in grado di leggere il suo pensiero.
“Sono venuto a prenderti.”
“A prendermi?”
“Non fare domande e seguimi.”
“Seguirti dove?”
“Ho detto niente domande” e iniziò a scendere le scale. Nando lo seguì rapito da quella strana figura, o forse dall’effetto dell’erba, e si trovò seduto a bordo di una Camaro rossa del ‘69 ad ascoltare musica reggae a tutto volume.
“Adesso posso chiederti dove stiamo andando?”
“In un viaggio nel tuo subconscio.”
“No perchè se si tratta di un rapimento io di soldi non ne ho, non lavoro, e la mia compagna fa l’infermiera in ospedale. Non abbiamo ricchezze. Sua madre poi pagherebbe per non farmi tornare libero.”
“Non è un rapimento, stiamo per fare un viaggio che cambierà la tua vita.”
La neve aumentò di intensità trasformandosi in una fitta coltre di nebbia attraverso la quale era impossibile vedere alcunché. Il rastone fermò l’auto con una frenata improvvisa.
“Scendi.”
“Cosa?”
“Scendi dalla macchina.”
Nando aprì lo sportello e si ritrovò investito da una luce fortissima. Era giorno. Una di quelle giornate invernali nelle quali il sole spezza la grigia monotonia milanese e riempie il cielo di un azzurro inebriante. Una di quelle giornate in cui le Alpi sono così vivide e chiare che ti sembra di poterle toccare con un dito. Eppure fino a qualche secondo prima era notte fonda.
“Dove siamo?”
“Non la riconosci?”
“Questa casa…”
Nando varcò il portone che dava sulla strada. Da bambino gli sembrava molto più grande. Entrò nel cortile e si guardò attorno, incredulo. Era la casa di ringhiera dove era cresciuto.
“Ma l’hanno abbattuta una ventina di anni fa”.
“No, l’abbatteranno tra una ventina d’anni, più o meno.”
“Ma…”
“Ti ricordi di questo Natale?”
Un gruppo di ragazzini uscì da una porticina in legno. Il primo, alto e biondo con un pallone in mano, lo riconobbe subito.
“Quello sono io.”
“Sì, esattamente.”
“Il Natale del 1982, quando mi regalarono il Tango del Mundial di Spagna. Volevamo essere come gli azzurri campioni del mondo. Io ero Paolo Rossi.”
Il rastone sorrise.
“Michele, Paolo, Vincenzo.”
“Li ricordi tutti?”
“Sì, come posso dimenticarli? Sono stati dei grandi amici.”
“Sai cosa fanno oggi?”
“Beh. No, onestamente no.”
“E lui? Lui te lo ricordi?”
Indicò un ragazzino sovrappeso seduto in un angolo, su alcuni scalini.
“Ciccio Graziani!”
Nando sorrise.
“Come mai non era con voi a giocare.”
“Era uno scarpone. E poi non correva.”
“Nemmeno a Natale? Avresti potuto invitarlo.”
“No, avevamo un Mundial da vincere!”
L’accompagnatore scosse la testa e si voltò verso il portone.
“Andiamo!”
“Non possiamo fermarci un altro po’? Mi piacerebbe giocare con loro un’ultima volta.”
“Non possono vederti. Dobbiamo andare.”
Nando si incupì e guardò per l’ultima volta quel mondo che non era più suo.
Raggiunse lo spacciatore sulla Camaro. Chiuse la portiera. La macchina partì a grande velocità lungo il viale.
“Ehi, non correre così.”
“Non sto correndo, stiamo viaggiando solo a 88 miglia all’ora.”
“Rallenta, rallenta! La strada! Gli alberi!” Nando, terrorizzato, chiuse gli occhi.
“Ora puoi riaprirli.”
Nella notte si stagliava imponente la figura dell’ospedale in cui Elisa lavorava.
“Qui lavora la mia compagna.”
“Lavora anche la sera della vigilia?”
“Sì. È infermiera nel reparto di oncologia.”
“E tu?”
“Io. Beh, io sono in cerca di lavoro.”
“Da quanto?”
Nando si vergognò e abbasso la testa.
“Da troppo.”
In effetti il lavoro non l’aveva mai cercato. Si barcamenava tra espedienti più o meno leciti. Ma questo Elisa non lo sapeva. Lo credeva un professionista con partita IVA. Un giorno le avrebbe detto tutto. Forse.
“Sarebbe ora di mettere la testa a posto. Non trovi?”
“Mi piacerebbe ma…”
“Niente ma! Volere è potere. E tu non vuoi.”
“Non è così…”
“Tieniti forte!”
“Cosa?”
Il rasta ingranò la marcia e partì facendo stridere le gomme sull'asfalto. A Nando sembrò che puntasse verso il portale a vetri dell’ospedale e… Cavoli, lo stava puntando veramente!
“Frena!”
La Camaro attraversò il portale e iniziò a salire le scale. Nando era troppo terrorizzato per rendersi conto di quanto stava accadendo attorno a loro. Si vedeva già schiantato contro qualche parete o, nell’ipotesi migliore, in galera per i prossimi quindici o venti anni. L’auto si fermò in una stanza, accanto a un letto.
“Scendi!”
Nando eseguì senza fiatare. Aprì dolcemente la portiera. Come se anche un piccolo rumore avrebbe potuto compromettere la pace di quel luogo. Si guardò attorno. L’auto era all’interno della stanza ma non vi erano danni alle pareti. E neppure all’auto. Non riusciva ad abituarsi a quella strana sensazione.
“Lo riconosci?”
Nando guardò l’uomo nel letto accanto a lui. Un fantasma. Magro, con il viso scavato dal dolore.
“No.”
Si aprì la porta e nella stanza entrò un’infermiera. Era Elisa. Nando si premurò di trovare una scusa per giustificare la sua presenza in quel luogo.
“Non c’è bisogno. Ricordati che non può vederti.”
Osservò la propria compagna avvicinarsi al letto e prendersi cura di quell’uomo con tutto l’amore possibile. Gli carezzò il volto, controllò il livello della flebo, prese nota dei farmaci necessari. A Nando scese una lacrima.
“Lo fa tutti i giorni, sai. Lei si prende cura di queste persone. Ogni persona per lei è importante. Anche se è uno scarpone e non corre.”
“Ciccio…”
“Non era facile riconoscerlo, vero?”
“No…” Nando abbassò la testa.
Elisa rimboccò le coperte. Quanto è importante un piccolo gesto.
“Vedi, non è difficile far felice una persona. Anche nelle situazioni più difficili.”
“Sì” la risposta di Nando uscì flebile, come il respiro di quell’uomo sdraiato nel letto.
“Andiamo.”
“Solo un minuto.”
Nando si avvicinò al letto.
“Scusami.”
E gli sembrò di scorgere un sorriso sul volto del suo vecchio amico.
“Ora mi porterai a visitare il Natale futuro?”
“Per chi mi hai preso? Non siamo mica in un racconto di Dickens. Il Natale futuro è quello di domani. Ed è solo nelle tue mani.”
Nando cercò di seguire il proprio accompagnatore a bordo della Camaro ma trovò la portiera chiusa.
“È chiusa!”
“Non hai più bisogno di me. Ora la strada la conosci.”
“No! Non mi abbandonare!”
Il rasta non rispose. Ingranò la prima e partì di slancio verso il finestrone, che oltrepassò senza causare danni evidenti. Nando si sentì solo.
Provò a inseguire la macchina rossa che si allontanava nel buio della notte nevosa. La finestra non aveva un’apertura. La oltrepassò non senza timori. Non era abituato a quell’assenza di materia. Si trovò sul cornicione. La Camaro ora era solo un puntino lontano. Nando si disse che in questo assurdo universo parallelo sarebbe sicuramente riuscito a volare e a raggiungere la macchina, anche a piedi. Si lanciò nel vuoto e… no, anche in questo mondo non riuscì a volare e iniziò a cadere nel vuoto.
“Aiuto! Aiuto!”
Il terreno si avvicinava sempre più, Nando si preparò all’impatto.
“Che cos’hai?”
Udiva lontana la voce di Elisa.
“Aiuto! Aiuto!”
“Sei caduto dal divano. Hai fatto un brutto sogno?”
“Ma, sono vivo. È bellissimo tesoro! Sono vivo!”
“Sei vivo, sei vivo. Non sei caduto da un’altezza così esagerata.”
“E tu sei bellissima!”
“Mi prendi in giro?”
“No tesoro! Non ti prendo in giro. Sono serio.”
“Sei euforico. Cos’è questo strano profumo?”
“Nulla. Mi sono fatto una tisana.”
“Una tisana? Tu? Ma non stai bene?”
“Sto benissimo! Anzi, ti prometto che di quelle tisane non avrò mai più bisogno. Mai più!”
Nando nascose il sacchetto prima che a Elisa venisse il desiderio di indagare più in profondità.
“Se non stai bene, domani possiamo rimanere a casa. Avviso mia madre.”
“Domani passeremo una stupenda giornata da tua madre. Tutti assieme.”
“Ma sei sicuro di stare bene?”
“Non sono mai stato meglio. Dammi il cappotto, ti aiuto.”
“Grazie. Come sei premuroso.”
“Mettiti sul divano. Riposati. Te lo meriti. Penso io a tutto.”
“Posso chiederti un favore?”
“Tutto quello che vuoi.”
“La prepareresti anche per me una delle tue tisane? Hanno un profumo buonissimo e ho proprio bisogno di rilassarmi.”