Le fiamme del cammino illuminavano il suo volto. Il tepore del fuoco l’avvolgeva in un calore che sapeva di antico e il fatto di trovarsi lì, nella casa della sua infanzia, le infondeva un senso di sicurezza e di protezione.
Tra quelle mura un tempo era vissuta con i suoi genitori. Quante volte, mentre si trovava in città impegnata nel suo lavoro, aveva pensato di tornare al paese in collina per riabbracciarli, ma non l’aveva mai fatto, travolta da ritmi frenetici della sua nuova vita. Poi un giorno quella terribile notizia al telegiornale: una frana aveva trascinato a valle una valanga fangosa che aveva travolto case e persone e c’erano alcuni morti. Si era precipitata al telefono e le aveva risposto la zia che con voce tremante era riuscita a dirle che tra le vittime c’era anche suo padre. Le parole dell’anziana le erano arrivate frammezzate in sottofondo dal pianto e dai singhiozzi di sua mamma.
Era partita subito e quella notte era rimasta a vegliare il genitore, insieme alla madre e alle donne del vicinato; nel cuore la tristezza di non averlo potuto riabbracciare un’ultima volta. Nell’aria solo vaghi sussurri di persone che parlavano a bassa voce, interrotte dal canto stridulo delle cicale, che arrivava dalla finestra aperta; non capivano di dover fare silenzio. Non capivano che quella magnifica estate stonava col dolore immenso di quella famiglia.
Lei era sempre stata una ribelle. Era andata via di casa per studiare senza ascoltare i consigli di nessuno. Era riuscita a trovare lavoro in una casa di moda abbastanza nota e i modelli che creava erano molto apprezzati sul mercato.
Com’era diverso quel mondo ricco di luci e di colori da quel paese arroccato su strade impervie, dove la tristezza e la solitudine facevano stringere il cuore. Anche se d’estate era una meraviglia e aveva paesaggi da cartolina, si trattava solo di un piccolo centro indistinto, senza possibilità di evoluzione futura, come tanti paesi simili, dove persino i gatti accrescevano il numero dei residenti.
Ora, però, che non c’era più suo padre, sentiva che anche lei faceva parte di quel mondo. Le sue radici affondavano in quei muri scrostati, in quelle sedie di paglia fatte a mano, nei paramenti funebri di colore viola e in quel canto incessante delle cicale che piangevano una morte fatale.
A partire da quel triste evento, ogni volta che aveva del tempo libero tornava nella sua vecchia casa, dove in ogni pietra ritrovava la dolcezza di essere accolta e amata. Al calore del camino, sua madre Angela sferruzzava accanto a lei, il nero del vestito ne accentuava il pallore. Erano passati quasi cinque mesi dalla disgrazia e solo da quando Iris le aveva dato la bella notizia, la donna aveva sorriso: si sarebbe sposata al paese la Vigilia di Natale.
Qualcuno entrò seguito da un irruento folata di vento freddo.
«Iris, ho portato altra legna. La temperatura sta scendendo ancora.»
Era la sua unica zia, un’arzilla signora di mezza età che faceva compagnia a sua madre da quando era rimasta sola.
Iris guardava un catalogo con gli abiti da sposa.
«Mamma, zia Lena, ho deciso, prenderò questo!» disse, indicando alle donne un abito bianco dal taglio classico, con un lungo velo, come accessorio, impreziosito da ricami e perline. L’aveva disegnato lei stessa per la casa di moda in cui lavorava.
Con un moto di evidente commozione, Angela disse: «È bellissimo, ti starà d’incanto.»
Un bussare alla porta le distolse dal catalogo.
Erano Betty e Mara le amiche di Iris.
«Allora, signora sposa, sei pronta?» chiese Betty e Mara aggiunse: «Abbiamo preso appuntamento con il miglior ristorante dei dintorni. È stata una faticaccia trovare un giorno libero. Sai proprio nel periodo di Natale…»
«Ragazze, lo sapete bene che ho scelto di proposito di sposarmi in questo periodo e proprio qui, perché sapevo che avrebbe nevicato e il mio desiderio, nel giorno del matrimonio, era quello di vedere tutto magicamente bianco attorno a me. Lo sogno fin da bambina…»
Betty la guardò con affetto. «Beh, messa così la cosa ha il suo fascino. A proposito lo sposo quando verrà? Deve essere un uomo incantevole per aver potuto stregare te.»
Iris sorrise, anche se non era bellissimo, il suo Flavio era interessante, ma lei non era rimasta stregata, lo aveva accettato, in modo naturale, come il compagno col quale condividere la sua vita e questa unione la faceva star bene anche se non la mandava in estasi.
Betty si era fermata accanto alla finestra a osservare il vento che smuoveva i rami scheletrici e trascinava via carta e oggetti leggeri. D’un tratto esclamò: «Sta nevicando fitto! Ragazze, venite a vedere.»
Le amiche si avvicinarono e insieme rimasero a guardare i fiocchi che imbiancavano il paesaggio.
«Usciamo!» disse Iris, infilando il suo giubbotto; le altre la seguirono sul vialetto. Come tre bambine cominciarono a giocare con la neve.
Anche questa era una radice che Iris portava infissa ben salda dentro di sé.
A sera, tutto era imbiancato. Il paese sembrava uno scorcio di presepe e la ragazza era felice perché sapeva che il giorno del suo matrimonio avrebbe realizzato il suo desiderio. Non vedeva l’ora di dirlo al fidanzato che doveva arrivare proprio il giorno dopo. La sera gli telefonò emozionata.
«Amore, quando verrai troverai la neve. Vedessi che splendore… A che ora vengo a prenderti alla stazione?»
Dall’altro capo non ci fu lo stesso entusiasmo. Flavio le disse che non sarebbe venuto perché un imprevisto al lavoro lo tratteneva in città.
«Verrò sabato prossimo, piccola, e dopo non ci lasceremo più.»
Avrebbe voluto le coccole del suo uomo, accanto al fuoco, quella sera. Delusa chiuse il telefono.
La voce sottile della madre la distrasse dai pensieri.
«Facciamo le caldarroste, Iris?»
Ritornò il sorriso e il tepore di una volta: le castagne sul fuoco, il profumo delle bucce d’arancia.
Angela e Lena avevano preparato i dolci con la cannella e l’odore sembrava inebriare ogni angolo della casa. La madre e la zia la viziavano in ogni modo possibile e cercavano di esserle
I giorni passarono frenetici tra bomboniere, inviti, fotografo, prove in chiesa, addobbi con fiori bianchi.
Il sabato arrivò Flavio. Iris, entusiasta, gli mostrò la bellezza del suo paese innevato e gli elencò i preparativi in corso. Lui la guardò dubbioso, quando lei con un volto angelico disse:
«Pensa, per le prove in chiesa, la parte dello sposo ha dovuto interpretarla la mia amica Mara.»
«Non è che poi scappi con lei?» la istigò lui ironico.
«Impossibile non è affascinante come te!»
Poi gli illustrò come aveva organizzato la sua permanenza al paese fino al giorno delle nozze.
Secondo lei, non sarebbe stato carino uscire insieme dalla stessa casa, il giorno del matrimonio, per cui aveva prenotato un albergo nelle vicinanze.
Flavio la guardò scuro in volto. Lei si avvicinò e mettendo le labbra a cuore, nel modo che lui adorava e con una vocina tenera gli disse.
«Tesoro, non fare così! Sarà solo per pochi giorni. Ci andrai solo a dormire, per il resto non ci separeremo neanche un minuto.»
«Tanto non ti si può dire di no. Agli ordini, piccola!» esclamò lui, mettendosi sull’attenti.
La chiamava piccola perché lei era minuta di corporatura e, quando l’abbracciava, scompariva nel suo torace massiccio. Iris sembrava fragile, però, quando i suoi occhi si accendevano, diventava una donna capace di sfidare il mondo.
Arrivati sotto al portone di casa, lei gli mostrò il vischio e si baciarono teneramente, prima di entrare.
Il giorno prima delle nozze, per l’ennesima volta, la ragazza volle provare l’abito. Indossò persino la biancheria intima bianca, poi le scarpe e si guardò allo specchio. I tacchi erano un po’ alti, doveva provare a camminarci un poco per acquistare sicurezza. Fece qualche passo e pensò di scendere le scale per farsi vedere dalla madre, ma un tacco s’incastrò in un gradino di legno della scala a chiocciola, provò a tirarlo fuori e si staccò dalla scarpa. Al suo grido Angela e Lena corsero allarmate.
«Che succede?» chiese sua madre ansiosa.
«Si è rotto il tacco!» disse lei disperata.
«Calmati! In paese c’è un negozio di calzature nuovo, ne comprerai un altro paio.»
Tolto l’abito, in fretta infilò jeans e maglione, e indossato sciarpa, giubbotto e cappello si recò di volata al negozio di scarpe.
Il negozio era semivuoto, c’era una commessa con una cliente e al banco un bel giovane, dall’aria distinta con uno sguardo metallico, distaccato.
Si diresse verso di lui e chiese un paio di scarpe bianche.
Lui la guardava in un modo strano, come se la conoscesse.
Cercò sullo scaffale tra i vari scatoli sicuro di sé.
«Guardi il 36 non c’è ma posso procurarglielo per domattina.»
«Ma io, domattina mi sposo!»
«Che peccato!» mormorò lui sottovoce.
«Come dice?»
«A che ora deve sposarsi?»
«Alle 11,00. »
«Allora siamo a posto. Domattina presto faccio un salto in città dal nostro fornitore, e poi verrò io stesso a consegnarle le scarpe. Arrivederci!»
Si girò e continuò a rimettere a posto gli scatoli sullo scaffale.
Iris sbuffando uscì dal negozio, c’era qualcosa di strano. Aveva detto che il suo numero non c’era, ma lei non aveva detto qual era, come faceva lui a saperlo? E poi come le avrebbe consegnato le scarpe se non aveva lasciato alcun indirizzo?
Tornò indietro per chiarire i suoi dubbi, ma la serranda era stata bruscamente chiusa e le luci spente. Bussò con insistenza contro il negozio chiuso, ma nessuno si fece vedere.
A quell’ora non avrebbe trovato da nessuna parte le sue scarpe. Doveva solo sperare che quell’uomo le avesse detto la verità, altrimenti doveva indossare le scarpe rosse; erano le uniche che si adattavano alla lunghezza del vestito.
Quella notte non dormì, sentiva i nervi a fior di pelle.
La madre aveva fatto di tutto per calmarla. L’aveva persino rassicurata dicendole che il giovane del negozio era Nino e lo conosceva da quando erano piccoli, ma lei aveva passato in rassegna tutti gli amici d’infanzia e non si ricordava affatto di lui.
La mattina si alzò ancora prima del previsto. Degnò appena di uno sguardo la gustosa colazione, con i biscotti fatti in casa, preparati apposta per lei. La doccia calda per fortuna ammortizzò un poco la stanchezza, così cominciò a vestirsi con l’aiuto di sua madre e zia Lena che la guardavano con gli occhi lucidi.
«Smettetela, voi due, non vorrete mica farmi piangere, trovatevi qualcosa da fare e lasciatemi sola!»
Si osservò nello specchio, mancava solo l’acconciatura, il trucco e sarebbe stata perfetta.
“Era questo che voleva?”
Che domande stupide si faceva. Ogni tanto guardava l’orologio a muro tesa e preoccupata.
Arrivò la parrucchiera, con la borsa contenente tutto l’occorrente per renderla ancora più bella, con calma fece sparisce dal suo viso ogni traccia di stress e le sollevò i capelli ai lati in un’acconciatura che metteva in risalto i tratti del viso.
Quando finalmente fu pronta, Iria soddisfatta congedò la donna. Mancava ancora un’ora alla celebrazione e le scarpe non erano ancora arrivate. Intanto infilò quelle rosse.
Dalla finestra vedeva la neve fioccare e ricolorare di bianco le stradine che erano state appena sgomberate per permettere il passaggio.
La magia di quei fiocchi la rasserenò.
Fu allora che sentì con insistenza qualcuno suonare il campanello. Siccome nessuno andava ad aprire, si chiese dove fossero finite sua madre e sua zia. Sperando che si trattasse della consegna delle scarpe, scese precipitosamente le scale, con indosso l’abito da sposa.
Aprì la porta e si trovò davanti il giovane del negozio. Era vestito a festa, con uno smoking nero; sembrava lui lo sposo e le sorrideva.
«E le mie scarpe? Dove sono?» chiese, notando che in mano non aveva niente.
Lui la fissò con quegli occhi metallici, freddi, e le disse: «Non ne avrai bisogno, tesoro.»
«Ma come ti permetti?»
«Non crederai che ti lasci sposare un uomo che non ami?»
«Cosa? E tu come fai a dirlo?» allibita Ines lo guardò con misto di diffidenza e paura.
«Nei tuoi occhi non c’è gioia, tu non sei innamorata.»
Prima che lei potesse replicare, lui la prese in braccio e si avviò verso la sua macchina, a nulla valsero le grida della ragazza che si divincolava.
«Mettiti giù! Cosa vuoi da me?»
Non c’era nessuno in quel momento né in casa sua né in quelle vicine. Tutti erano in chiesa ad aspettare la sposa. Sua madre e sua zia erano state avvisate da un finto autista di cominciare ad andare, perché era stato stabilito che la sposa dovesse arrivare per ultima sul sagrato, con tutti gli invitati presenti ed essere accolta con foto e applausi.
Quando a casa di Iris arrivò l’auto, che era stata noleggiata per l’evento, l’autista trovò la porta aperta, la casa vuota, con le finestre che sbattevano, e una scarpa rossa che spuntava dalla neve; della sposa nessuna traccia.
Iris guardava terrorizzata il paese che si allontanava alle sue spalle, quel folle la stava portando verso la cima della collina. Aveva provato disperatamente ad aprire lo sportello, ma c’era la sicura. L’uomo per tenerla ferma le aveva legato le mani col suo velo da sposa e i movimenti che riusciva a fare erano pochi e maldestri.
«Perché mi stai facendo questo? Neanche ti conosco.»
Gli occhi d’acciaio dell’uomo la fulminarono con lo sguardo.
«Appunto per questo. Non mi hai riconosciuto… mi hai sempre disprezzato io ero una larva insignificante per te e lo sono ancora e tu la bella del paese.»
«Non so di cosa parli. Cosa posso averti fatto di così grave se neanche mi ricordo?»
«Dovrai capirlo da sola. Intanto ti porto in un bel posto.»
Dopo un poco arrivarono in cima alla collina. C’era un piccolo chalet innevato, quel posto d’estate doveva essere un paradiso. E come un lampo affiorò un ricordo.
Erano passati dodici anni e lei era una ragazzina, quattordicenne, presuntuosa e ribelle.
Quell’estate era andata con gli amici per una piccola gita. Erano un gruppo, folto, di ragazzi e ragazze. Avevano esplorato i dintorni, poi si erano fermati a mangiare e avevano ballato con la musica dello chalet. Ma non ricordava lo stesso questo ragazzo dagli occhi di ghiaccio.
«Ancora non ricordi?»
«No!»
«Ma come… uno con gli occhiali, brufoloso, l’apparecchio per i denti. Eri il mio sogno, quando ti venni vicino per invitarti a ballare mi dicesti: smamma sgorbio, me lo sono portato appresso tutta la vita.»
«Tu sei pazzo!99 Posso anche averlo detto, ma ero solo una ragazzina, come hai potuto covare tanto rancore per tutti questi anni?»
«Se tu mi avessi riconosciuto ti avrei perdonato, invece non lo hai fatto. Per te ero e resto uno zero. Tu sei senza cuore, infatti stavi per sposare un uomo che non ami.»
«Non è vero!».
«Io ti ho salvata da lui, ma tu non lo meriti e adesso ti disprezzo con tutto il cuore con la stessa forza con cui ti ho amata. »
La trascinò nello chalet aprendo la porta con uno spintone. Il luogo era gelido; in un angolo c’è una vecchia sedia dove la costrinse a sedere e le liberò i polsi legati col velo da sposa.
«Adesso non serve più. Da qui non puoi scappare. Lasciò un po’ da sola a riflettere. Addio Iris!»
Stava per raggiungere l’? uscita quando lei lo chiamò: «Nino, ti prego non andartene.»
La voce dolce con cui pronunciò il suo nome gli arrivò dritta al cuore.
La guardò in maniera diversa e lei si accorse che adesso quegli occhi di ghiaccio erano diventati teneri.
«Hai ragione non amo il mio fidanzato, mi hai aperto gli occhi, non lo sposerò più. Però ti prego, portami via di qui! Sto congelando. »
Lui si avvicinò e le fece una lieve carezza quasi avesse paura di toccarla.
«Abbracciami, per favore» lo pregò Iris.
Lui l’abbracciò e cominciò a singhiozzare come un bambino.
«Dobbiamo andare via di qui, Nino.»
«E poi sposerai me?»
«Chi può dirlo, forse sì.»
Stavolta l’abbraccio fu più intenso, le labbra di lui la cercarono e la trovarono dolce a corrisponderlo.
Come era possibile che un uomo l’amasse in quel modo pazzesco, si chiedeva Iris.
«Sono stata una stupida a non riconoscerti» mormorò.
Lui aveva riacquistato padronanza di sé e pensava a come uscire da quel posto.
«Ascolta vedo di recuperare una pala per spalare la neve, così proviamo ad aprirci un varco per scendere al paese» le disse. La portò in braccio in macchina e cominciarono a scendere percorrendo pochi metri per volta. A ogni fermata lui spalava altra neve e procedevano per qualche metro.
Resasi conto della situazione difficile lei gli chiese.
«Ma come diamine pensavi di scendere, ci vorrà un secolo!»
Lui non rispose. I fari illuminavano piccoli tratti di viottolo gelato e il percorso in discesa era arduo e lungo.
Nino aveva pensato di rimanere lassù con lei a lasciarsi morire e adesso invece che tutto era cambiato si rendeva conto che non sarebbe stato facile arrivare fino a casa salvi.
L’abbracciò per riscaldarla i loro corpi avevano ancora calore e quelle briciole dovevano bastare a tenerli in vita. Avrebbe fatto di tutto per lei e forse ora era troppo tardi. Un suono melodioso arrivò insieme alla bufera di vento.
«Ascolta!»
«Cosa?»
Con un braccio attorno alle spalle esili di lei con l’altro aprì una piccola fessura del finestrino.
«Sono gli zampognari che girano per il paese, Iris.»
«Sì. Oggi è la vigilia di Natale e io dovevo sposarmi…»
«Ricordi quando facevamo il presepe vivente da bambini, tu eri sempre la Madonna e io quel pastorello col cappellaccio che mettevano sempre in fondo.»
«Nino, mi ricordo di te! Dopo la rappresentazione ci rimpinzavamo dei dolci natalizi che le nostre mamme facevano, specie quelli ricoperti di cioccolato.»
«Hai ancora freddo?»
«Un poco di meno, ma stringimi forte.»
A pochi centimetri dal suo viso le sembrava di respirarla. Sarebbe rimasto abbracciato a lei per sempre.
«Credi che ci troveranno?» disse lei in un sussurro.
«È pieno giorno. Se hanno iniziato subito le ricerche credo che presto saranno qui.»
«Nino, non avevi un altro modo per dimostrarmi il tuo amore?»
«Perdonami! Non potevo lasciarti sposare un altro, avrei pianto per tutta la vita.»
L’abbracciò ancora più forte e poggiò la testa sul suo collo, cominciando ad alitare sul collo il suo fiato caldo.
«Che diavolo fai?»
«Ti scaldo come il bue e l’asinello, tu per me sei preziosa.
Improvvisamente due fari apparvero confusi col nevischio.
Una squadra di soccorso li liberò dall’auto semisepolta dalla neve e li portò al paese.
Iris raccontò che era stata una sua idea quella di voler rivedere lo chalet con la neve e il suo amico l’aveva accompagnata.
Accanto al fuoco dopo un bagno caldo, la ragazza sedeva circondata dall’affetto della madre e della zia. Le amiche si erano precipitate a casa sua appena saputo del ritrovamento e la riempivano di domande, alle quali lei rispondeva a monosillabi.
Flavio, il fidanzato, stava in un angolo con l’aria corrucciata. Un matrimonio da rimandare non era una cosa piacevole da digerire, allo stesso modo di quella strana fuga sulla cima della collina, per vedere cosa?
Quando rimasero soli sedette accanto a lei. Non l’aveva ancora abbracciata da quando era tornata a casa.
«Senti tesoro, appena ti sarai riposata dobbiamo risolvere tutti i nostri problemi. Non posso rimandare le nozze di molto, domani è Natale, ma il ventisei mi sembra giusto, così partiamo direttamente senza disdire il viaggio aereo. Devo tornare in tempo per la prossima presentazione del mio progetto e non posso spostare un giorno in più.»
Lei lo ascoltò, sorseggiando la sua tisana, senza interromperlo, quando lui finì di parlare sentì un brivido di freddo. Com’era distante da lei quell’uomo…
«Hai ragione domani è Natale e ti anticipo il mio regalo. Ti lascio libero Flavio, non ti sposo più, così non avrai più problemi.»
«Ma sei impazzita?»
«No, non sono stata mai più lucida di così. Adesso lasciami sola, per favore.»
Aveva bisogno del calore della sua casa. Per il momento non voleva sentir parlare di matrimonio, ma se un giorno avesse deciso, avrebbe scelto di farlo in estate e con qualcuno che l’amava follemente.