Devo smettere di bere. Stamattina ho gli occhi bovini e il viso ridotto a un pastrocchio di muco.
Non mi curo molto della mia faccia, ma mai l‘avevo vista ridotta così.
Conosco il trucco, basta chiudere tutt’e due gli occhi, basta non vedersi , oppure strofinarli a fondo con acqua gelida, come si fa con una padella sporca.
Alle anime semplici conviene restare nella loro piccola isola, in penosa solitudine, l’isola non cresce e non annoia anche se è sempre la stessa, perché sta da sola e non cerca confronti.
Se appare Qualcuno, ci pensa lui a mettere a posto le cose.
Il vento si infila nella ringhiera dentro le sue sbarre sottili come gambe di cicogna,
fa scampanare le luci natalizie, il loro suono è più avvincente della loro pallida luce.
Ho dovuto fare due viaggi dal cinese per portarle a casa, me le merito tutte quelle lampadine sbiadite.
Giada mi abita vicino da un paio di anni. Nel periodo natalizio mi chiama sempre, e l’aiuto a attaccare le palline in alto sull’albero.
Non l’ho vista mai sorridere, né ringraziarmi, ma almeno non casca dalla sedia, come l’ultima volta.
Lo sappiamo tutt’e due che siamo gente da non frequentare per una questione di contagiosa tristezza. Non c’è niente di noi in giro appena divertente.
Non l’ho vista mai nemmeno piangere, Giada, sono convinto sia così fin dall’adolescenza, e io pure sono così.
Prendo una pallina, la lucido su un ginocchio, l’appendo.
Giada non riesce a dire nulla di interessante e questo mi strazia, provo pena, ma cosa posso fare di diverso oltre che attaccare palline e mangiare i leggendari biscottini senza frutta a guscio del forno sotto casa e chiedere ‘c’è nulla da bere altrimenti mi strozzo?’
Si è rotto il motore del mio frigo e lei si è imposta di tenermi almeno la birra in fresco.
Quando ha aperto il frigo e ha visto che le bottiglie di birra erano fitte come formiche e c’erano solo quelle, è rimasta male e mi ha invitato per la prima volta a un pranzo frugale con tutti i suoi ospiti: il padre e la madre.
Gli spaghetti con il tonno li mangio quasi tutti i giorni, ma i suoi sono più buoni, non sembrano semplici spaghetti con il tonno. Pure la mamma è buona e mi tratta come un figlio e mi ha regalato un pigiama color basilico che profuma di basilico, e dopo, mentre ancora masticava, ha detto: è stato un bel pranzo, non lo dimenticherò, ragazzi.
Io ho pensato…’ mi dici tu come faccio ora a allontanarmi da sua figlia che si è illuminata solo perché ho portato due birre, pure calde, e un pandoro del discount.’
Quando ho visto scendere le scale al padre e alla madre mi sentivo di dire ‘aspettate che vengo anch’io’, solo per quanto erano stati divertenti. Da dove è uscita fuori una figlia così triste proprio non lo so.
Mi imbarazzano i suoi sguardi sofferenti e il suo modo di stare seduta con le gambe scoperte e raccolte. Che se mi siedo io così ho dolori e cammino zoppo per una settimana. Ma devo essere onesto, ha gambe da ballerina e quella è la porzione di lei che preferisco. Quando sono solo a casa la vedo in ogni angolo, su ogni sedia con quelle gambe scoperte.
No, non mi piace spiegarla così la faccenda, sicuramente c’è qualcosa che va oltre.
- Questi dipinti sono tuoi?
- Sì, mi ci divertivo da ragazza.
- Dovresti divertirti ancora, stavo per stramazzare sul pavimento.
- Addirittura?
- Devi credermi sono bellissimi.
- Sono sempre gli stessi, li hai sempre visti, ma noi perché non ci siamo mai messi insieme?
- Sono sopraffatto dal loro incontro, i colori sembrano mordere le sbarre della cornice con i denti,
noi non ci siamo mai messi insieme per scaramanzia, per timore di perderci, abbiamo preferito essere buoni vicini.
- Non ti ho mai sentito parlare così, sei sorprendente. I quadri li ho dipinti per sentirmi a posto, meno ordinaria, meno miserabile, meno smarrita nelle mie storie, nei miei fallimenti.
- Mi dispiace non aver capito prima tutta questa tua profondità.
- Tu vai a cercare le donne lontano e quel lontano ti frega, poi davanti a un caffè si capisce poco,
è troppo scuro il caffè.
- Be’ abbiamo mangiato pure gli spaghetti con il tonno, no?
Ride.
Rido.
Pigolando come un pulcino ripete, tenendo un vecchio addobbo in mano, ‘questo già te l’ho raccontato, ma te la ripeto la sua storia, se vuoi, perché è bella.’
- Io non ho mai conosciuto una donna con tutti questi addobbi di Natale dolorosi, mi chiedo come fai a essere ancora viva. Rido.
- Io non sono una che va per fari, ma un po’ di luce ogni tanto mi arriva e sopravvivo, tonto.
Il mio unico e volgare pensiero ora è se ha la spirale o se avrei dovuto stare attento, ma non serve fare pronostici non l’ho ancora neppure baciata. In questo momento mi piacerebbe fare altro oltre che condividere le bollette del condominio.
Si rende conto dei miei loschi pensieri e dopo aver allungato la gonna sulle ginocchia scappa in cucina a preparare qualcosa di caldo, con una risatina provocante, mai sentita prima.
Le corro dietro per aiutarla, non mi piace essere servito. E poi a cosa serve una cucina se non c’è uno come me che ti piomba alle spalle.
La prima volta che ho visto papà in cucina lavare i piatti mi si è arrugginito di colpo il cuore, ho sentito i suoi battiti stridere, poi mi sono reso conto che mamma lo guardava stordita, come si guarda un eroe, e ero contento.
Papà abbandonata la figura alla quale ero abituato, rigorosa e prepotente, era diventato piccolo, dolce e tenero con la spugnetta insaponata tra le dita callose.
Pur’io avrei potuto essere dolce e tenero con Giada, tirare via gli spaghetti avanzati dai due piatti come si estirpa un groviglio di erbacce. Ma non ce la vedo Giada a considerarmi un eroe, non avrebbe potuto mai fare compagnia alla mia mamma in questo. Le donne sono una diversa dall’altra, anche se hanno lo stesso sangue materno che scorre, sono diverse.
Zoppicando per il peso delle stoviglie ancora tiepide in mano arrivo al lavandino. Intorno il silenzio assoluto e lo sguardo fisso della donna che non solo non piange di commozione, ma ridacchia scoprendo denti bianchi e gelidi come neve.
Non fa niente penso, finirò il mio lavoro, mi spetta un’imitazione di papà e la farò.
Una volta fuori dall’acqua i piatti sono un abbaglio luminoso e bianco.
Piove molto forte. Dopo il fragore di un tuono, Giada lancia un grido di spavento, un aiuto mica da niente per capire com’è cambiata la mia vita in un pomeriggio. L’abbraccio esageratamente.
Tutte le famiglie del modesto palazzone hanno abbassato le serrande. Non si è mai vista una vigilia natalizia così tremenda. Di tanto in tanto sfidando la pioggia vado a controllare le luci sui balconi, lei mi insegue con passi brevi e un ombrellino pieno di fior per non farmi bagnare.
Tornati dentro ci sediamo sul suo piccolo divano inglese. Le racconto che ieri parlavo con una vicina comune della morte di mia madre, e di come lei mi sembrava esageratamente addolorata. E più le parlavo e più somigliava a mia madre. A un certo punto ha detto tu sei un brav’uomo e la vita va avanti. E fin qui nulla di strano, ma poi ha aggiunto un nomignolo che solo mia madre usava, e mi sono spaventato, sono ancora spaventato. Le ho detto che avrei preferito vederla morire per un incidente stradale e non di quella brutta malattia. Ha detto e non si può scegliere come morire, si può scegliere di vedere morire e io l’avevo fatto, di più non avrei potuto.
La sua aggiunta è stata più tenera di cento carezze.
Indicando il piccolo divano, e spalancando gli occhi neri Giada detta il finale migliore:
- Se te la senti puoi dormire lì, le strade sembrano ruscelli, meglio se non ti muovi.
- Quasi al pianto per il ricordo di mia madre rispondo che da circa due anni vivo nell’appartamento accanto al suo.
- Lo so, ma è pericoloso spostarsi, penso che sia più sicuro stare insieme questa Vigilia.
- Lo dici come se quella del Natale fosse una notte pericolosa.
Guardo fuori, il cielo ha la mia stessa calma, non piove più. Pur inselvatichito dalla solitudine conservo una certa sensibilità che si occupa, in questo momento, dell’apprezzamento delle variazioni meteorologiche.
Io e Giada abbiamo sempre avuto un rapporto rispettoso e cauto, come due parenti che si stimano e mi sento strano a dover passare la notte rannicchiato su quel divano mentre a casa ho un bel letto confortevole.
Con una rassegnazione lunga quanto le sue belle ciglia, mi sorride. E penso che non c’è nulla di male a raccontarsi sempre le stesse cose, quelle che si conoscono, e che mai darebbero altro dolore.
Se ci fosse qualcuno a osservarci , direbbe: Siete formiche, minuscole formiche, che campate a fare voi senza guance, senza molari, senza occhi, senza narici, senza disperazione?
-A cosa pensi?
- Pensavo che noi non siamo nemmeno abbastanza disperati per volerci bene.
Ora la luce è sufficiente per guardarla in faccia. Getta via la sigaretta fumata fino all’unghia.
Reggendosi le guance con ambo le mani sussurra: non è vero che non siamo disperati, e tu guarda il presepe.
-Lo conosco, è quello dell’anno scorso.
- Non è vero ho aggiunto cose.
Ci accucciamo vicino al presepe rinnovato per osservarlo meglio.
Un laghetto, due pecorelle in più, un mendicante, un cagnolino che sembra abbaiare alle stelle.
Una culla con la paglia colorata di plastica, molto bella. Il Bambinello.
A Giada improvvisamente scendono le lacrime. La tiro per un braccio, la faccio sedere.
- Aspetto un bambino, - dice.
- Noi non abbiamo mai fatto l’amore, qualche stupido bacio mica fa nascere bambini.
- Infatti, tu non c’entri. E i nostri baci non sono stupidi.
- Scusami, mi sono espresso male, la nostra vita non è solo questa, lo so.
- Tanto domani sarà tutto finito, andrò a abortire in ospedale.
- Ma sei matta? E proprio il giorno di Natale?
- Proprio in quello c’era posto, e questa cosa prima la faccio meglio è.
- Non ci posso credere, altri non hanno rispettato quello che io rispettavo, perché piangi tanto allora?
- Sono una donna come tante, non mi sento in colpa, è che mi sono affezionata a un paziente che non ce la farà: il mio bambino.
- Piantala!...(e mollo un bestemmione.)
Il pensiero dell’aborto mi gela il cuore, non mi sembra una giusta soluzione. Devo calmarla, farla ragionare, soprattutto eliminare dalla mia mente ogni piccolo rancore, ogni accenno di rabbia.
Quando sono di fronte a una situazione complicata divento tristissimo, sono così fin dall’adolescenza.
- A cosa serve il Natale qui? - urlo. Ricordo che a Natale arrivavano regali uguali per me e mio fratello altrimenti litigavamo. Che io non ho mai visto nessuno litigare per un paio di ciabatte che si scalcagnavano al primo viaggio in bagno, o per un pigiama di flanella.
Ed eravamo comunque felici di stare svegli tutta la notte per quelle povere cose, quel pigiama che si sarebbe macchiato e strappato presto.
- Cosa vuoi farmi capire? Che sono una donna orrenda, insensibile? Tieni Il Bambinello con te, domani lo metteremo nel suo giaciglio, così ti calmi.
- Va bene, ma non spegnere la luce non sopporto il buio.
- Tu non sopporti me non ti piace quello che ti ho raccontato.
- Può essere! Non mi piace per niente, tu non hai fede, ti aiuto io con il bimbo se me lo permetti.
Lo dice una voce che non sembra la mia, tanto è amareggiata e consapevole di poter far poco.
- Ma se non hai nemmeno un lavoro affidabile. Senti, vuoi parlare di situazioni che non conosci e cos’è questa Fede che non conosco?
- La Fede non è solo un attestato di bontà, la Fede è amare e sentirsi amati. E non solo da chi sta in Cielo. La maggior parte delle persone copia le cose, tu prova a copiare la vita degli altri. La vita normale, la vita normale, Giada.
- Notte e Buon Natale.
- Notte.
Mi addormento sulle nostre voci e sul nostro profondo malessere senza preoccuparmi più di niente.
Al mattino il Bambinello sembra scomparso, lo cerco dappertutto.
- Facciamo colazione, Giada, ho troppa fame.
- Forse è meglio, per ascoltare la tua predica neppure abbiamo cenato ieri sera,
Il Bambinello l’hai messo nella culla? A quest’ora è già nato.
- Non lo trovo più, sarà finito sotto il divano, quando dormo mi muovo molto.
- Faremo un Natale senza Gesù. Cappuccino o caffè?
- Preparo io, dai, ieri ti ho trattata troppo male.
- Ma se hai lavato pure i piatti. Ride.
Dalla cucina sento un urlo.
- Vieni a vedere, mi hai fatto un bello scherzo. Mi sono impaurita davvero.
- Che è successo?
- Il Bambinello…
- Che ha il Bambinello?
- E’ nella culla.
- Mio Dio, non sono stato io, giuro.
Mi fissa con occhi nuovi, diversi, commossi, impauriti, straziati.
La fisso con occhi nuovi, diversi e commossi, pur’io.
Da qualche parte ho letto che il Presepe manifesta la tenerezza di Dio. E degli uomini.
Mi sa che è proprio vero.