UN GUARDAROBA DI CAPPOTTI ROSSI
C'era una volta un principe che voleva avere per sé una principessa, ma doveva essere una vera principessa. Perciò viaggiò per tutto il mondo per trovarne una, ma ogni volta c'era qualcosa di strano: di principesse ce n'erano molte, ma non poteva mai essere certo che fossero vere principesse; infatti sempre qualcosa andava storto. Così se ne tornò a casa ed era veramente molto triste, perché desiderava di cuore trovare una vera principessa.
Il libricino sfugge dalle mani di Edmea, un tonfo leggero che nessuno ascolta.
Niente più parole scritte, solo parole pensate.
Ehi, signora dal cappotto rosso, ti puoi fermare un attimo? Scusa se ti disturbo, se ti do del tu: ma potresti essere mia figlia, forse anche mia nipote! Che bello, una nipote!
Perché, signora dal cappotto rosso, stasera non di sei fatta i fatti tuoi?
Anzi, come si dice? Sì, i cazzi tuoi?
Non mi piace quella parola lì, ma sono tanto, tanto in collera che la voglio proprio usare!
Stavo dicendo? Ah sì, che non mi piace quella parola lì, ai miei tempi non si usava, era proibita, ma oggi si usa tanto che pare non sia più volgare! Sai, io ho 83 anni e ho studiato dalle suore: certe cose non le capisco e non le voglio proprio capire.
Comunque, signora dal cappotto rosso, stasera mi avresti fatto un gran bel favore se fossi stata meno impicciona!
Stasera era proprio la sera giusta per una bella passeggiata. Lo so che c’è nebbia, ma io sono nata nella Bassa, sai dov’è no? Lì la nebbia è di casa, se non c’è alla fine ti manca, e ci si abitua fin da bambini a non perdere la strada di casa! Se capita, o hai bevuto o hai pensieri tanto grandi per la testa che lei non riesce a occuparsi di tutto!
Lo so, signora dal cappotto rosso, che fa freddo! Non sono mica stupida: siamo in gennaio, è inverno quindi fa freddo, magari domani mattina sugli alberi ci sarà la galaverna, che con il sole diventa rosa! L’hai mai vista? Starei delle ore a guardarla.
Mio nipote mi ha detto che in gennaio, dall’altra parte del mondo, fa caldo come in luglio qui da noi! Se lo dice lui ci credo, studia tanto, ha tanti libri, e c’è anche stato da quelle parti!
Mi ha fatto vedere le fotografie dentro in quella scatola che si apre e di vedono le cose, si scrive anche dentro, senza carta… il compiutero mi sembra che si dice.
Io ne ho tante sai, signora dal cappotto rosso, di fotografie: ma sono di carta e non sono colorate. Mi piace guardarle, mi vengono in mente tante storie: una per ogni faccia che c’è sulle fotografie. Mio nipote invece le guarda nel compiutero, e c’è anche la musica insieme alle foto! Che bella la musica! Mi piace sentirla alla radio. Mica quella moderna, mi piace di più quella antica. Ma adesso non la fanno più!
Cosa stavo dicendo? Ah sì, come ti dicevo, stasera dovevi fare solo quello per cui eri uscita, non so cosa dovevi fare, ma era importante, andavi di fretta!
Io non avevo proprio voglia di starmene in salotto a guardare la tivù, quel canale stupido, dove ti fanno vedere solo le marche di birra, di telefonini, tutta quella gente finta, che è contenta solo perché ha un telefonino.
Io lo so, signora dal cappotto rosso, cosa sono i telefonini. Ce l’ha anche mio nipote: è un telefono senza filo, così se ti cercano ti trovano dappertutto.
E lui, eh lo cercano in tanti! Anche l’Angela e il Piero lo usano, ma per litigare con qualcuno.
Allora, ti stavo dicendo: stasera non avevo proprio voglia di guardare la tivù, e neanche di andare a dormire. Non sono mica una gallina per andare a dormire alle otto: mi piacerebbe leggere un po’, mio nipote mi porta dei libri piccoli ma scritti in grosso, così non faccio fatica, ma poi l’Angela mi spegne la luce. Dice che costa troppo e che do fastidio all’Alfreda, una mia cugina che abita con me, dorme nella mia camera da letto.
Eh, la memoria! Cara la mia signora dal cappotto rosso, la memoria! Quando avrai la mia età anche tu avrai paura se non ti ricordi perché sei andata in cucina, o il nome del gatto: io per esempio non mi ricordo di mia cugina Alfreda. Ma prima o poi me lo ricorderò!
Sai, signora dal cappotto rosso, se non era per te stasera sarei andata a trovare le mie amiche Giuditta e Viola. Abitano in quel condominio grande, vicino al distributore del Luigi. Avremmo chiacchierato un po’, è tanto tempo che non ci vediamo, ma sai, loro sono anziane e fanno fatica a camminare. Che bello, spettegolare un po’!
Sai cosa c’è in quel condominio che non mi piace? Primo è troppo grande e sbaglio sempre il vialetto! E poi hanno dei problemi con la luce e io ci vedo poco. Ma fa lo stesso: per parlare si usa la bocca, non gli occhi.
Invece, signora dal cappotto rosso, sono dovuta tornare a casa: e per di più, con la scusa della bronchite, mi hanno messo a letto. È un letto strano, con le sponde, come quello di Aldo, il mio bambino.
Perché, signora dal cappotto rosso, non sei andata dove dovevi andare e basta, magari poi dovevi stirare, o lavare i piatti. Magari sei anche arrivata in ritardo dove dovevi andare, però hai cercato l’Angela, per dirle che mi hai incontrato vicino al cassonetto della spazzatura, che non mi avevi mai visto prima lì intorno, e che ti è venuto il dubbio che potevo essere una delle sue ospiti.
Ospiti ? Gli ospiti non si trattano mica così!
Il Piero mi è venuto a cercare con l’auto: era arrabbiato, questa sera era di turno con l’Angela e sai, signora dal cappotto rosso, devono sempre mettere in ordine le lenzuola e gli asciugamani, nel ripostiglio grande.
Ecco, adesso la memoria mi è tornata, signora dal cappotto rosso: aspetta, aspetta che ne approfitto. Uh, quanti bei ricordi che ho adesso! Fermati un po’ con me, signora, fermati che poi i pensieri mi scappano ancora!
Vedi che la memoria ogni tanto funziona? Ci vuole pazienza!
Ma io lo so che è tutto una balla, non la pazienza, la storia del ripostiglio: ci vanno a fare le sporcaccionate, là dentro, di tutti i colori. Non mi far parlare, per carità! Pensano che sia rimbambita, loro. Ma io …
Io mi chiamo Edmea, un nome strano, vero? Abito alla Casa del Cielo Azzurro: il cielo sarà azzurro, ma la casa è un ospizio. Mica posso a stare a casa di mio figlio Aldo: eh non si può!
Lui è una persona importante, ha sempre gente che conta per casa e io, per colpa della memoria, qualche volta giro in vestaglia o mi dimentico di mettermi in ordine: dicono che straparlavo, che dicevo le parolacce, proprio io che ho studiato dalle suore!
Mia nuora, l’ho sentita una volta che lo diceva a suo figlio, dice che mi sporco anche.
E quando si sporcavano loro, da piccoli? Non è la stessa cosa? Può capitare, alla mia età.
Mah, da quanto ho avuto l’ictus… questa parola la so dire bene, mi piace anche: è corta e secca... dicono che non parlo più bene, che non capisco più niente, che sono fuori dal mondo. Gli dà fastidio che cammino male, perché sembro ubriaca!
Che stupidaggine! Io penso e anche molto, ho tanto di quel tempo! Magari faccio fatica con la memoria, ma i pensieri sono giusti sai, signora dal cappotto rosso? È che non riesco a dirli quei pensieri! Non riesco neanche a brontolare quando la minestra è troppo calda, o a chiedere aiuto quando dovrei andare al bagno, ma cosa ci posso fare, santo cielo? Si vede che l’ictus funziona così: un po’ di cose le fai ancora e un po’ no.
Dov’ero rimasta? Ah si? Scusami sai, ma se trovo qualcuno con cui scambiare due parole!
Ecco perché stasera volevo andare a trovare le mie amiche: per stare in compagnia.
Lo so che sono morte e che il cimitero è lontano, ma almeno con loro posso parlare senza usare la voce. Poi stasera era proprio la sera giusta: c’è nebbia, c’è freddo, c’è buio.
Lo so, signora dal cappotto rosso, che è pericoloso girare per strada con la nebbia, lo so che chi è dentro le automobili non riesce a vederti bene! Però non è vero che il cimitero è chiuso, c’è sempre una porticina aperta, solo che dopo mi confondo e non le trovo mai, le mie amiche.
Di solito ce la faccio a tornare in tempo prima che chiudono il portone, alle undici.
Tanto l’Angela e il Piero non controllano mai prima: hanno le loro cosacce da fare, il telefonino, la televisione con i canali belli.
Stasera invece c’eri tu in giro, signora dal cappotto rosso, e mi hai proprio rovinato tutto.
Perché stasera, stasera avevo preso la pila del Piero, quella che usa quando di notte viene a guardare se dormiamo e poi fruga anche nei nostri cassetti: con la pila avrei trovato la Giuditta o la Viola, mi sarei seduta vicino alla sua foto e… e basta, cosa avrei dovuto dare dopo? Siccome prima morivo, dopo non avevo niente da fare, signora dal cappotto rosso.
Adesso invece devo continuare a pensare: a pensare che non ho più voglia di pensare, che non ho più voglia di vedere, di sentire, perché non riesco più a capire quando devo ridere o quando devo piangere… perché non…
Che bel cappotto rosso che hai signora!
«Grazie signora per averci avvisato!»
L’infermiera della casa di riposo era un po’ scarmigliata, forse anche per via dell’ansia: dover dire a dei figli affettuosi che la loro cara mamma se n’era andata in giro per il paese come se niente fosse, con quella botta di retta che pagavano non era proprio il caso! No. Proprio no.
«Era davvero una nostra ospite: avevamo lasciato aperto il portone le dico... due minuti, non di più, doveva entrare l’auto della guardia medica. Sono come dei bambini! Pensi che era già arrivata fino al semaforo, come abbia fatto in due minuti, in ciabatte e con quella gamba messa male! Due minuti le dico! Mah! Tante grazie ancora!»
La donna chiuse per bene il portone, prese il carrello della lavanderia e di diresse verso il guardaroba. Lenzuola, federe, salviette: da sistemare in bell’ordine. Ma prima pensò bene di dare un’occhiatina a tutte le stanze: fuori c’è nebbia, buio, freddo.
La signora dal cappotto rosso tornò nella nebbia, nel buio, nel freddo.
Scosse la testa, delusa di sé stessa: chissà perché non si era fermata, prima, a chiedere alla vecchietta se avesse bisogno, o perché gironzolasse in vestaglia per il viale!
Si era fatta bastare che, avendola incontrata vicino ai cassonetti, abitasse in una delle palazzine vicine e fosse andata a buttare i rifiuti, si era fatta bastare che quel saluto un po’ bofonchiato fosse perché non si conoscevano, si era fatta bastare la sua fretta per l’appuntamento col medico, si era fatta bastare… cosa si era fatta bastare? Cosa!?
Un attimo di egoismo, di indifferenza, di insofferenza per un qualcosa qualsiasi che non la riguardasse? Per un attimo, con angoscia, pensò persino di essersi fatta bastare di essere ancora giovane e piena di energie, lei. No, questo non voleva farselo bastare!
La signora dal cappotto rosso tornò lentamente a casa, avvolta dal ricordo sempre intenso di nonno Gino: anche lui ogni tanto se ne andava dal “pensionato”, in quella città lontana, per un giro al mercato, per andare a vedere se le sue mucche stavano bene, per andare a trovare la sua nipotina insieme al cane Tosvir. Una volta si era persino fatto un giretto in Questura.
Quando la figlia, sua madre, era andata a prenderlo, stava chiacchierando sereno con gli agenti della volante che lo avevano trovato sul viale del Castello: loro si stavano godendo l’entusiasmo del “nonno” per i nuovi amici, per il giro in macchina con lampeggiante e sirena che gli avevano regalato, erano dentro quelle storie di galli stizzosi e di cavalli pazienti, di grano da mietere, di camini e tabarri, del cane Tosvir che col muso spingeva in acqua gli stivali lasciati dai contadini sul ciglio dei fossi…
Capelli bianchi e tanti, tanti ricordi da mettere in fila.
Camicie azzurre con negli occhi la malinconia per affetti troppo lontani.
Cappotto rosso con ancora la voglia di un abbraccio tiepido e sereno, odoroso di vecchiaia.
Ehi, signora dal cappotto rosso! Da dietro le tende di una finestra senza maniglia, mani rugose con la voglia di stringere mani giovani, lisce e morbide.
Mani calde e forti. Mani stanche e con un freddo strano. Lacrime calde che non consolano.
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