Abeti rossi
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Abeti rossi
La pioggia scende sempre più violenta e io la osservo dalla finestra.
Come ogni sabato sono in attesa di andare nel bosco a trovare il “mio” albero.
Normalmente arrivo e appoggio le mie mani sul suo tronco, lo accarezzo con dolcezza; poi mi siedo sulle sue radici, appoggio la schiena al fusto e rimango in silenzio ad ascoltare.
So che il mattino è il momento migliore, il vento leggero muove appena le fronde ma si insinua nel bosco tra le migliaia di tronchi facendoli risuonare.
È un suono particolare, vibra tra i tronchi e si propaga per chilometri trasmettendosi di albero in albero.
Solo pochi esseri umani hanno quello che io definisco “il dono” e riescono a sentire il suono; non so dire se sentono esattamente tutti allo stesso modo, ma “sentono” e questo è quello che conta: io il dono ce l’ho, forse, da sempre; mi ha insegnato mio padre a scoprirlo e da quando ho trapiantato il “mio” albero non lascio passare un solo sabato senza venirlo a trovare.
Guardo dalla finestra e penso che forse oggi sarà più difficile sentirlo risuonare perché il rumore della pioggia sui rami, sulle foglie e sul terreno fangoso renderanno ogni altro rumore ovattato.
Comincia a imbrunire mentre la pioggia continua a scendere inesorabile.
Non sono andato.
Lo immagino bagnato in ogni singola fogliolina, Chissà se avrà avvertito l’assenza delle mie mani sul suo tronco.
Oggi non ho sentito gli alberi risuonare, la pioggia ha sconfitto anche me!
Posso solo pensare al bosco che osserva silenzioso l’acqua che scende sempre più forte, sempre più intensa.
“Papà domani lo portiamo nel bosco, allora?”.
“Sì Fabio, me lo hai già chiesto almeno dieci volte oggi; ora vai a prepararti, metti il pigiama e fila a letto”.
Mi ero avvicinato all’albero e gli avevo parlato a bassa voce, per non farmi sentire dai miei genitori, chissà poi perché...
“Domani ti riportiamo vicino alla tua mamma, sei felice?”
Allora non mi ero posto il dubbio se “Felicità” fosse un concetto che un albero potesse comprendere, a malapena riuscivo a elaborarlo io: ero ancora troppo piccolo.
“Nel bosco diventerai sempre più alto, forte e bello, me lo ha detto il papà; non devi essere triste, lo facciamo per il tuo bene”.
Io non ero triste perché la mamma mi aveva spiegato che ormai era diventato troppo grande per stre in un vaso e che nel bosco sarebbe cresciuto sempre più forte e bello.
Avevo sentito la mamma avvicinarsi e dirmi: “Forza Fabio, a nanna adesso; domani è una giornata importante, devi essere in forma”. E poi la sua mano che scorreva dolce sulla mia schiena mentre con l’altra accarezzava il tronco dell’albero seguita subito dopo dalla mia.
“Buonanotte” gli avevo detto prima di allontanarmi; avevo otto anni.
La notte è stata lunghissima con la pioggia che non ha mai smesso di scendere con intensità sempre maggiore.
Il terreno è sempre più pieno d’acqua, sembra perdere consistenza; mi aggiro per il giardino di casa, introno c’è un silenzio irreale, si sente solo il rumore ruggente, incessante, della pioggia che appare sempre più arrabbiata e non sembra proprio voler cessare o, almeno, rallentare un po’.
L’operazione di carico aveva richiesto un po’ di tempo in quanto l’albero era già diventato piuttosto grande e avevano dovuto stenderlo sul cassone del camion.
Io ero stato in casa a osservare dalla finestra per tutto il tempo in cui gli uomini avevano trafficato in quanto avevano detto a mia mamma che poteva essere pericoloso avermi tra i piedi e lei non aveva ceduto alle mie continue preghiere.
Poi quando tutto era stato pronto per la partenza mi avevano chiamato.
Ero uscito correndo, ero saltato in braccio a mio papà e, appena prima di salire sul camion avevo appoggiato la mia piccola mano sul suo tronco steso.
“Tra poco sarai a casa” gli avevo detto.
Eravamo arrivati a metà mattina e c’era voluto quasi tutto il giorno.
Avevo saltellato intorno agli uomini al lavoro che spesso mi avevano rimproverato; ero troppo impaziente per starmene fermo da una parte e alla fine il trapianto si era concluso felicemente e il mio si era ritrovato con le radici affondate in una terra morbida con tantissimo spazio intorno.
Prima di salutarlo lo aveva cinto con entrambe le mie piccole braccia, una cosa che finché era stato in un vaso a casa mia non avevo mai fatto.
“Ti abbiamo messo accanto alla tua mamma, è proprio dietro di te” gli aveva detto prima di salutarlo anche se mio papà, sorridendo, mi aveva spiegato che probabilmente il concetto di “mamma” era molto difficile da comprendere per un albero.
È trascorsa un’altra giornata e la pioggia non ha mai smesso di scendere; ma ora c’è anche il vento, sempre più forte, non l’ho mai sentito così.
Non è il vento cui siamo abituati, quel vento che fa risuonare gli abeti rossi, è un vento sconosciuto, cattivo, violento, un vento che fa paura.
Cerco di ragionare andando avanti e indietro in soggiorno, guardando dalla finestra la violenza di una natura che ora mi sembra lontanissima da quella cui sono abituato qui tra le mie montagne.
Non riesco più a trattenermi, indosso il giaccone pesante, gli stivaloni, prendo le chiavi del pick up ed esco.
Il terreno è fradicio, il vento sempre più forte, so che è irrazionale ma temo per il mio albero, penso che in questo momento possa provare un sentimento che è solo umano: la paura.
Era un sabato di piena primavera, un bel sole scaldava il bosco e, come ogni settimana, eravamo arrivati a salutare il mio albero; quella mattina con me e papà c’era anche la mamma.
Avevamo appoggiato le mani sul suo tronco e ci eravamo seduti; dopo un po’ mi ero alzato ed ero andato accanto alla mamma.
“mamma ho paura che un giorno anche il mio albero verrà abbattuto per farne tanti violini come con gli alberi che papà e gli altri uomini hanno tagliato la settimana scorsa”.
Papà aveva riso forte: “Fabio non devi temere, quegli alberi avevano quasi centocinquant’anni”.
“Erano vecchi come il nonno?” avevo chiesto.
“Molto di più, il nonno non è così vecchio” aveva risposto Fabio mettendosi nuovamente a ridere.
“Sarà meglio che il nonno non sappia cosa hai appena detto”, aveva concluso la mamma anche lei ridendo.
Poi papà si era fatto nuovamente serio e mi aveva spiegato che per costruire degli strumenti musicali di valore ci voleva un legno molto particolare, che non tutti gli alberi erano adatti e che, come mi aveva appena finito di dire, dovevano avere un’età tra i centotrenta e i centocinquant’anni.
“Quando il tuo albero verrà abbattuto per farne legna da strumenti, tu non ci sarai più” aveva concluso.
Mi ero alzato e avevo accarezzato il tronco con le mie manine delicate e poi, come facevo sempre prima di andarmene, lo avevo circondato con le mie braccia.
* * *
Aveva smesso di piovere e anche il vento era cessato completamente.
Eravamo senza luce, completamente isolati; i mezzi non potevano muoversi a causa delle strade interrotte, le nuvole basse impedivano anche agli elicotteri di alzarsi in volo.
Un pensiero lontano, in una parte sepolta della mia mente, mi agitava.
Ricordo che mi ero stretta a mio marito sussurrandogli “ho paura”.
Lui mi aveva guardata e mi aveva detto “non devi temere, è stato brutto ma per fortuna ora è finito”.
Ricordo un brivido scorrermi lungo la schiena.
Erano trascorsi due giorni e due notti e finalmente la corrente era tornata.
D’istinto, come prima cosa avevo chiamato Fabio al telefono ma non mi aveva risposto.
Mio marito aveva cercato di tranquillizzarmi dicendomi che probabilmente non ancora dappertutto le linee erano ripristinate e che sarebbero state sicuramente ampie zone ancora senza campo.
Ma avevo scorto nei suoi occhi una paura che non gli apparteneva.
Aveva raccolto gli uomini e si erano avviati verso il bosco: “Sono sicuro che lo troveremo là” mi aveva detto salutandomi mentre si chiudeva l’uscio di casa alle spalle.
Non avevano più trovato il bosco, erano rimasti in piedi solo pochissimi alberi, sparsi qua e là.
Gli altri uomini mi hanno raccontato che una volta arrivati, mio marito si era diretto deciso verso un punto che solo lui sembrava conoscere in mezzo a quell’immane disastro, qualcosa che non si era mai visto.
Lo avevano visto fermarsi improvvisamente, crollare sulle ginocchia e portarsi le mani al volto.
Quando si erano avvicinati avevano visto che piangeva in silenzio; davanti a lui, sotto il suo albero, quasi a volerlo ancora circondare, abbracciare, proteggere con le sue braccia, il mio Fabio.
.
Fabio…
Compiva quattro anni la mattina in cui era venuto per la prima volta nel bosco con me e suo papà.
Avevamo appoggiato una scala al tronco.
“Fai attenzione caro, mi raccomando”.
“Stai tranquilla, la scala è ben ancorata al terreno”.
Mio marito si era arrampicato sulla scala fino a raggiungere i rami più bassi.
“Papà, prendi quella!” aveva gridato Fabio da terra.
“Questa?”.
“No, quella più grande di sopra” aveva ribadito il nostro bambino.
Mentre suo padre staccava una pigna da uno dei rami e poi scendeva la scala Fabio non aveva smesso un attimo di gridare di gioia.
“È piena di semi, ne pianteremo un po’, vedrai che qualcuno attecchirà” gli avevo detto.
Poi suo padre ci aveva detto di sederci appoggiati al tronco ed eravamo rimasti in silenzio in attesa che il vento rinnovasse il miracolo di far risuonare gli alberi del bosco.
“Mamma, papà, lo sento…” aveva detto Fabio con un filo di voce.
“Lo sapevo…” si era limitato a replicare mio marito con il suo splendido sorriso a illuminargli il volto.
Mi avevano portata dopo due giorni, cedendo alle mie insistenze: volevo vedere.
Il sole splendeva e scaldava il mio corpo mentre dentro morivo anch’io un po’ alla volta.
Mi ero appoggiata all’albero da cui avevamo preso la pigna tanti anni prima, l’unico rimasto miracolosamente in piedi in mezzo a tutta quella devastazione.
Avevo guardato gli uomini che mi avevano aiutata a salire, mio marito non ce l’aveva fatta: “non c’è niente da fare, vero?”.
“No, signora, era troppo giovane; non c’è nulla da fare, non potrà mai diventare uno strumento musicale”.
Avevo gironzolato attorno per un po’ osservando gli incredibili danni fatti dal vento; il bosco non esisteva più, solo pochi alberi in piedi, sparsi qua e là.
“Mi è venuta un’idea. Andiamo!” avevo detto improvvisamente.
E per la prima volta, mentre ci allontanavamo, avevo provato come un leggero senso di sollievo.
Prima di ripartire Fabio si era avvicinato al grande albero che si trovava dietro al suo e lo aveva cinto con le sue piccole braccia.
“Ti ricordi la prima volta che sono venuto nel bosco e mio papà si è arrampicato con la scala a prendere una pigna dal tuo ramo? Ecco, uno dei semi di quella pigna è diventato l’albero che abbiamo appena piantato qui davanti a te, è tuo figlio”.
Avevo sorriso immaginando quel grosso albero che provava a capire il concetto di “mamma” e “figlio” e avevo sentito un profondo affetto per quel bambino che stava crescendo con lo stesso amore per la natura di suo padre.
Quante volte, negli anni, avremmo sentito quei due alberi insieme a tutti gli altri del bosco, risuonare all’unisono, proprio come madre e figlio! avevamo risuonato all’unisono.
È passato un anno da quando il vento ha distrutto il nostro bosco prendendosi nostro figlio: stamattina il sole splende come se fosse ancora estate.
Il vento arriva leggero come tutte le mattine e come tutte le mattine dell’ultimo anno non c’è nulla che risuoni, solo silenzio.
Stanno arrivando in tantissimi, molto più di quanti mi sarei aspettata e arrivano da tante parti della regione, non solo dal nostro paese.
Quasi in processione, prima di andarsi a sedere, passano accanto all’unico albero rimasto e vi appoggiano una mano in una sorta di rito a metà tra il pagano e il religioso.
Mio marito sale sul podio in legno, il legno che abbiamo salvato dall’albero di Fabio e, trattenendo a stento la commozione, comincia a parlare.
“Ringrazio tutti per essere qui in questo giorno così importante per la nostra famiglia; mia moglie ha voluto fortemente questo concerto in ricordo di nostro figlio Fabio. Avremmo tanto voluto che con il legno di quello che fu il “suo” albero si potesse costruire uno dei violini per cui il nostro bosco è tanto famoso nel mondo, ma l’albero era troppo il giovane e il legno inadatto.
Abbiamo perciò deciso di invitare dei musicisti che sono saliti portando alcuni dei tanti violini costruiti nel tempo con il legno del nostro bosco e di dedicare questo concerto alla memoria di nostro figlio Fabio e al bosco che lui aveva tanto amato e che, assieme a lui, è scomparso.
Ora vi chiedo di accomodarvi, di fare silenzio e di godervi questo concerto unico nel suo genere.
Scende dal podio e lascia posto al maestro.
E, improvviso, un suono dolce, melodioso, si leva dai violini costruiti con gli alberi del nostro bosco negli anni; finalmente, dopo lunghi mesi, sento nuovamente risuonare il legno come faceva il vento quando ancora era bosco: quello stesso vento che in una lunga giornata di follia lo ha distrutto per sempre.
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Re: Abeti rossi
È sempre molto difficile commentare un racconto quando i refusi e gli errori sono in quantità che (io almeno) reputo inaccettabile per quanto li si possa attribuire alla fretta di consegnare e a una chiara mancata revisone finale.
Rapidamente:- in ogni singola fogliolina, Chissà se avrà avvertito maiuscola dopo la virgola
- troppo grande per stre in un vaso manca una "a": stare
- introno c’è un silenzio irreale intorno
- si era concluso felicemente e il mio si era ritrovato con le radici manca "albero"
- è proprio dietro di te” gli aveva detto prima avevo
- “mamma ho paura che un giorno anche mamma con la minuscola a inizio frase
- aveva risposto Fabio mettendosi nuovamente a ridere. refuso: Fabio è il bambino
- e che sarebbero state sicuramente ampie zone manca "ci"
- risuonare all’unisono, proprio come madre e figlio! avevamo risuonato all’unisono.?????
- ma l’albero era troppo
Peccato perché l'idea del racconto non è affatto male con chiaro riferimento alla tempesta Vaia che nell'autunno del 2018 fece strage degli abeti rossi a Paneveggio e in Val di Fiemme (quanti ricordi che mi hai suscitato car* aut*! Quanto volte sono stato nei boschi dei violini con mia figlia e mia moglie!).
C'è qualche ingenuità come la morte del protagonista sotto al suo albero che sembra più un tributo al paletto richiesto che alla veridicità del racconto (ho cercato in rete e la tempesta ebbe un tributo drammatico in termini di alberi abbattuti ma non fece vittime umane) ma lo spirito di Pachamama in questo racconto l'ho trovato forte con quel legame tra l'uomo e l'albero, con il vento protagonista prima in positivo e poi in maniera drammaticamente crudele.
Ma alla fine resta la difficoltà nella lettura per i veramente troppi refusi.
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paluca66- Maestro Jedi
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Re: Abeti rossi
Segnalo una serie di refusi, segni che il testo difetta di un'ultima rilettura:
C'è una , tra "fogliolina" e "Chissà". Dato che "Chissà" è maiuscolo deduco che la , dovesse essere un .
"troppo grande per stre", credo fosse stare
"introno c'era un silenzio irreale", credo fosse intorno
"Il trapianto si era concluso felicemente e il mio si era ritrovato". Mio cosa? Credo "albero"
"Prima di salutarlo lo aveva cinto". Non è Fabio che parla? Quindi "lo avevo cinto"
"Gli aveva detto prima di salutarlo". Idem come sopra
Questo dialogo è poco chiaro:
"Papà aveva riso forte: - Fabio, non devi temere, quegli alberi avevano quasi centocinquant'anni -.
"- Erano vecchi come il nonno? - avevo chiesto."
"- Molto di più, il nonno non è così vecchio - aveva risposto Fabio mettendosi nuovamente a ridere."
Il dialogo è papà - Fabio - papà. Quindi è il papà che risponde "il nonno non è così vecchio".
"che sarebbero state sicuramente ampie zone ancora senza campo". manca un ci
"proprio come madre e figlio! avevamo risuonato all'unisono". Questa frase è esteticamente orribile.
"era troppo il giovane".il
Nelle parti in corsivo ho notato un massiccio utilizzo del trapassato prossimo. Per carità, non mi sembra scorretto ma di certo non facilita la lettura.
Quanto al racconto, non mi lascia particolarmente soddisfatto. Credo che la trama sia costruita su un evento realmente accaduto qualche anno fa in Trentino, dove alberi belli spessi furono abbattuti dal vento come fuscelli. Tuttavia, il riferimento non mi basta per appagare la mia fame di leggere una storia che mi catturi e che mi porti con sé.
Arvedse!
C'è una , tra "fogliolina" e "Chissà". Dato che "Chissà" è maiuscolo deduco che la , dovesse essere un .
"troppo grande per stre", credo fosse stare
"introno c'era un silenzio irreale", credo fosse intorno
"Il trapianto si era concluso felicemente e il mio si era ritrovato". Mio cosa? Credo "albero"
"Prima di salutarlo lo aveva cinto". Non è Fabio che parla? Quindi "lo avevo cinto"
"Gli aveva detto prima di salutarlo". Idem come sopra
Questo dialogo è poco chiaro:
"Papà aveva riso forte: - Fabio, non devi temere, quegli alberi avevano quasi centocinquant'anni -.
"- Erano vecchi come il nonno? - avevo chiesto."
"- Molto di più, il nonno non è così vecchio - aveva risposto Fabio mettendosi nuovamente a ridere."
Il dialogo è papà - Fabio - papà. Quindi è il papà che risponde "il nonno non è così vecchio".
"che sarebbero state sicuramente ampie zone ancora senza campo". manca un ci
"proprio come madre e figlio! avevamo risuonato all'unisono". Questa frase è esteticamente orribile.
"era troppo il giovane".
Nelle parti in corsivo ho notato un massiccio utilizzo del trapassato prossimo. Per carità, non mi sembra scorretto ma di certo non facilita la lettura.
Quanto al racconto, non mi lascia particolarmente soddisfatto. Credo che la trama sia costruita su un evento realmente accaduto qualche anno fa in Trentino, dove alberi belli spessi furono abbattuti dal vento come fuscelli. Tuttavia, il riferimento non mi basta per appagare la mia fame di leggere una storia che mi catturi e che mi porti con sé.
Arvedse!
Molli Redigano- Maestro Jedi
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Re: Abeti rossi
Il primo brano che ho letto ha saputo suscitare in me molta emozione.
Mi sono piaciuti la storia, la delicatezza del racconto, i flashback che hanno dato profondità alla vicenda.
Mi è piaciuta anche la modalità scelta dall’autore/autrice di passare dalla narrazione del figlio a quella della madre.
Ho apprezzato anche lo stile, adeguato al testo; per un attimo mi è parso perfino di sentire il suono del vento tra gli alberi.
La sospensione dell’incredulità, però, resta inficiata dalla presenza di diversi refusi, dovuti forse a una rilettura frettolosa:
- “stre” al posto di “stare”;
- “introno” invece di “intorno”;
- “mamma” a inizio frase con l’iniziale minuscola invece che maiuscola,
- ““Molto di più, il nonno non è così vecchio” aveva risposto Fabio”, dove mi è sembrato di capire che in realtà a parlare era stato il padre.
Peccato, perché il racconto secondo me merita.
Mi sono piaciuti la storia, la delicatezza del racconto, i flashback che hanno dato profondità alla vicenda.
Mi è piaciuta anche la modalità scelta dall’autore/autrice di passare dalla narrazione del figlio a quella della madre.
Ho apprezzato anche lo stile, adeguato al testo; per un attimo mi è parso perfino di sentire il suono del vento tra gli alberi.
La sospensione dell’incredulità, però, resta inficiata dalla presenza di diversi refusi, dovuti forse a una rilettura frettolosa:
- “stre” al posto di “stare”;
- “introno” invece di “intorno”;
- “mamma” a inizio frase con l’iniziale minuscola invece che maiuscola,
- ““Molto di più, il nonno non è così vecchio” aveva risposto Fabio”, dove mi è sembrato di capire che in realtà a parlare era stato il padre.
Peccato, perché il racconto secondo me merita.
Albemasia- Padawan
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Re: Abeti rossi
Il paletto del vento si inserisce alla perfezione e la connessione tra uomo e natura è sicuramente molto stretta.
Però, al di là dei refusi su cui non mi soffermo, non sono stato catturato dal racconto.
Forse è un mio problema o forse, il voler ripetutamente legare il protagonista all'albero, con il tatto, con il suono, il volerlo sempre umanizzare, me lo lasciato al contrario più distante.
Però, al di là dei refusi su cui non mi soffermo, non sono stato catturato dal racconto.
Forse è un mio problema o forse, il voler ripetutamente legare il protagonista all'albero, con il tatto, con il suono, il volerlo sempre umanizzare, me lo lasciato al contrario più distante.
FedericoChiesa- Cavaliere Jedi
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Re: Abeti rossi
Sono in difficoltà a commentare questo racconto perché ho fatto fatica a leggerlo. Nulla da dire sulla storia, anzi, è meritoria di ogni plauso, ma a mio modesto parere, oltre ai refusi servirebbe una riscrittura che aiuti a fare emergere la bellezza della trama.
Adoro il Trentino-Alto Adige, mi ospita tuti gli anni e ho visto di persona lo scempio causato dal vento sulle foreste di abeti. Il racconto ha buone potenzialità perché parla di un fatto realmente accaduto e dell’anima degli abitanti che amano il territorio che li ospita.
Mi piacerebbe rileggere di nuovo il testo, riscritto.
Adoro il Trentino-Alto Adige, mi ospita tuti gli anni e ho visto di persona lo scempio causato dal vento sulle foreste di abeti. Il racconto ha buone potenzialità perché parla di un fatto realmente accaduto e dell’anima degli abitanti che amano il territorio che li ospita.
Mi piacerebbe rileggere di nuovo il testo, riscritto.
Giammy- Younglings
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Re: Abeti rossi
A me il racconto è piaciuto.
È vero, ci sono parecchi refusi, roba da niente che un pò disturba la lettura, però il senso e la drammaticità della storia mi è arrivata.
Forse, nonostante il corsivo, l'alternarsi del passato col presente certe volte può rallentare e confondere il lettore, forse avresti potuto spezzettare un pò meno, fare dei blocchi più corposi per quanto concerne il passato, ma è solo un'idea per rendere il tutto ancora più scorrevole.
Nonostante i refusi la reputo una buona prova.
È vero, ci sono parecchi refusi, roba da niente che un pò disturba la lettura, però il senso e la drammaticità della storia mi è arrivata.
Forse, nonostante il corsivo, l'alternarsi del passato col presente certe volte può rallentare e confondere il lettore, forse avresti potuto spezzettare un pò meno, fare dei blocchi più corposi per quanto concerne il passato, ma è solo un'idea per rendere il tutto ancora più scorrevole.
Nonostante i refusi la reputo una buona prova.
Byron.RN- Maestro Jedi
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Re: Abeti rossi
Per me che abito in Trentino, il titolo ricorda immediatamente la tempesta Vaia, che causò danni immani nella Val di Fiemme e non solo. Le immagini dei boschi distrutti, con alberi maestosi sparpagliati a terra come bastoncini dello Shangai lasciarono davvero il segno su chi ama la montagna e in quei boschi magnifici magari ci era stato. Per fortuna vittime non ce ne furono, almeno qui in Trentino.
Un racconto delicato, in cui i momenti di quei giorni terribili si alternano ai ricordi: l’amore di un bambino cui è stata insegnata la bellezza dei boschi, il miracolo della vita che passa attraverso qualche piccolo seme ma soprattutto apprezzare la fortuna di poter ascoltare la musica di quei boschi.
Una madre trova il coraggio di far convivere un dolore che mai l’abbandonerà con l’organizzare un concerto, proprio là dove tutto era iniziato.
Una prova discreta, uno stile pulito e una scrittura abbastanza scorrevole ma che non mi ha emozionato come mi aspettavo.
Inoltre ci sono molti refusi, piccoli inciampi presi singolarmente, che però si notano e quando nell’economia del racconto sono molti, alla fine un peso ce l’hanno.
Le riletture a volte servono, ma può capitare di passarci sopra e proprio non rilevarli.
Le mie note, personali ovviamente:
in alcuni punti la punteggiatura è ballerina
…chilometri, trasmettendosi di albero in albero - …lavoro, che spesso mi avevano rimproverato
… morbida, con tantissimo spazio intorno - sono abituato qui, tra le mie montagne In questi punti avrei inserito una virgola.
per stre in per stare
e il mio albero si era ritrovato - manca albero
“mamma ho paura – ci vuole la maiuscola
e altri che probabilamente ti avranno segnalato (gli altri commenti li leggerò dopo).
accarezzato il tronco con le mie manine delicate e poi, come facevo sempre prima di andarmene, lo avevo circondato con le mie braccia: le mie manine/le mie braccia le toglierei perché è scontato, dato i verbi utilizzati, anche in altri punti.
Un racconto delicato, in cui i momenti di quei giorni terribili si alternano ai ricordi: l’amore di un bambino cui è stata insegnata la bellezza dei boschi, il miracolo della vita che passa attraverso qualche piccolo seme ma soprattutto apprezzare la fortuna di poter ascoltare la musica di quei boschi.
Una madre trova il coraggio di far convivere un dolore che mai l’abbandonerà con l’organizzare un concerto, proprio là dove tutto era iniziato.
Una prova discreta, uno stile pulito e una scrittura abbastanza scorrevole ma che non mi ha emozionato come mi aspettavo.
Inoltre ci sono molti refusi, piccoli inciampi presi singolarmente, che però si notano e quando nell’economia del racconto sono molti, alla fine un peso ce l’hanno.
Le riletture a volte servono, ma può capitare di passarci sopra e proprio non rilevarli.
Le mie note, personali ovviamente:
in alcuni punti la punteggiatura è ballerina
…chilometri, trasmettendosi di albero in albero - …lavoro, che spesso mi avevano rimproverato
… morbida, con tantissimo spazio intorno - sono abituato qui, tra le mie montagne In questi punti avrei inserito una virgola.
per stre in per stare
e il mio albero si era ritrovato - manca albero
“mamma ho paura – ci vuole la maiuscola
e altri che probabilamente ti avranno segnalato (gli altri commenti li leggerò dopo).
accarezzato il tronco con le mie manine delicate e poi, come facevo sempre prima di andarmene, lo avevo circondato con le mie braccia: le mie manine/le mie braccia le toglierei perché è scontato, dato i verbi utilizzati, anche in altri punti.
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"Quindi sappiatelo, e consideratemi pure presuntuoso, ma io non scrivo per voi. Scrivo per me e, al limite, per un'altra persona che può capire. Spero di conoscerla un giorno… G. Laquaniti"
Susanna- Maestro Jedi
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Re: Abeti rossi
Visto dall'alto il bosco era diventato una distesa di giganteschi stuzzicadenti, impossibile non restare colpito da quella tragedia, un vero disastro che per fortuna non sacrificò vite umane. Quindi un bel dieci allo scrittore che ha scovato questa storia immortalata da un centinaio di servizi televisivi.
Anche se raccontata in una versione fiabesca, non passa inosservata.
Non ho trovato errori. ' Alla faccia del bicarbonato di sodio' direbbe Totò '. Rimetto la penna rossa nel cassetto.
Sto scherzando, ma in realtà ne faccio sempre un casino io di errori e non mi accorgo di quelli degli altri.
Che poi a un editore interessa la storia, gli errori ci vuole un nanosecondo a correggerli.
Giuro.
Anche se raccontata in una versione fiabesca, non passa inosservata.
Non ho trovato errori. ' Alla faccia del bicarbonato di sodio' direbbe Totò '. Rimetto la penna rossa nel cassetto.
Sto scherzando, ma in realtà ne faccio sempre un casino io di errori e non mi accorgo di quelli degli altri.
Che poi a un editore interessa la storia, gli errori ci vuole un nanosecondo a correggerli.
Giuro.
tommybe- Maestro Jedi
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Re: Abeti rossi
Ci ho messo un po' a capire il riferimento alla vicenda degli abeti del Trentino di qualche anno fa, ma quando l'ho compreso ho realizzato che la scelta del paletto "vento" fosse azzeccatissima, e questo è il principale pregio del racconto.
Purtroppo ci sono anche dei difetti, e piuttosto importanti.
Sono stati segnalati molti dei refusi, io mi soffermo solo su quel "Fabio rise", a un certo punto, quando Fabio è il narratore stesso: un errore che non mi spiego, dato che non compaiono altri nomi di protagonisti, quindi non so da dove nasca la confusione.
Più dei refusi, comunque, a me hanno colpito due altri aspetti formali del racconto:
- le ripetizioni; ce ne sono un'infinità, soprattutto nella prima parte e in quella finale. Credo che le parole "bosco", "legno", e molte altre, compaiano troppissime volte e troppo ravvicinate tra loro. Lo so, non hanno molti sinonimi, o forse non ne hanno proprio, ma il punto è che bisognerebbe cercare di costruire le frasi in modo da non cadere in quel problema lì.
Non è facile neppure questo, comunque, me ne rendo conto.
- il passaggio di narratore tra figlio e madre. Credo sia il primo racconto in cui questa cosa, per qualche motivo che non so spiegarti, non è riuscita bene. Ho dovuto rileggere tre volte lo stacco perché, pur sapendo che a un certo punto subentra giocoforza il pdv della madre, non riuscivo a capire chi stesse parlando in quel momento. Per un attimo ho addirittura creduto di aver equivocato il sesso del protagonista, che fosse cioè una ragazzina e non "Fabio", complice quel "Fabio rise", che compare poco prima e che ha contribuito a ingenerare il caos.
Insomma, un cambio di pdv problematico che forse avrei reso più evidente in qualche modo, magari anche grafico. Altri commentatori non lo hanno riscontrato, quindi forse è stato un problema solo mio, ma in quel punto la lettura mi ha crashato brutalmente.
L'altro aspetto che non mi ha convinto è quello emozionale.
Tutto mi è apparso molto innaturale, molto forzato; questo abbracciare l'albero, questo umanizzarlo, questo andarlo a trovare ogni sabato, non so, magari qualcuno al mondo fa anche una roba del genere, però l'ho trovato tanto cartone animato. E questo ha reso meno credibile la storia in sé.
Mi è invece piaciuto il finale, con l'idea del concerto che si lega all'ambito dei violini pur non avendo potuto ricavarne uno dal fatidico albero di Fabio.
In definitiva, un'idea molto interessante, un ottimo uso del paletto "vento", ma una storia che ho trovato troppo lontana dal mio gusto e dalla realtà per essermi congeniale.
Refusi e ripetizioni hanno dato il colpo di grazia al tutto, purtroppo.
PS - mi ha fatto sorridere quel "Vi chiedo di fare silenzio" nelle righe finali, perché mi è suonato un pelino autoritario, ma è solo un dettaglio.
Purtroppo ci sono anche dei difetti, e piuttosto importanti.
Sono stati segnalati molti dei refusi, io mi soffermo solo su quel "Fabio rise", a un certo punto, quando Fabio è il narratore stesso: un errore che non mi spiego, dato che non compaiono altri nomi di protagonisti, quindi non so da dove nasca la confusione.
Più dei refusi, comunque, a me hanno colpito due altri aspetti formali del racconto:
- le ripetizioni; ce ne sono un'infinità, soprattutto nella prima parte e in quella finale. Credo che le parole "bosco", "legno", e molte altre, compaiano troppissime volte e troppo ravvicinate tra loro. Lo so, non hanno molti sinonimi, o forse non ne hanno proprio, ma il punto è che bisognerebbe cercare di costruire le frasi in modo da non cadere in quel problema lì.
Non è facile neppure questo, comunque, me ne rendo conto.
- il passaggio di narratore tra figlio e madre. Credo sia il primo racconto in cui questa cosa, per qualche motivo che non so spiegarti, non è riuscita bene. Ho dovuto rileggere tre volte lo stacco perché, pur sapendo che a un certo punto subentra giocoforza il pdv della madre, non riuscivo a capire chi stesse parlando in quel momento. Per un attimo ho addirittura creduto di aver equivocato il sesso del protagonista, che fosse cioè una ragazzina e non "Fabio", complice quel "Fabio rise", che compare poco prima e che ha contribuito a ingenerare il caos.
Insomma, un cambio di pdv problematico che forse avrei reso più evidente in qualche modo, magari anche grafico. Altri commentatori non lo hanno riscontrato, quindi forse è stato un problema solo mio, ma in quel punto la lettura mi ha crashato brutalmente.
L'altro aspetto che non mi ha convinto è quello emozionale.
Tutto mi è apparso molto innaturale, molto forzato; questo abbracciare l'albero, questo umanizzarlo, questo andarlo a trovare ogni sabato, non so, magari qualcuno al mondo fa anche una roba del genere, però l'ho trovato tanto cartone animato. E questo ha reso meno credibile la storia in sé.
Mi è invece piaciuto il finale, con l'idea del concerto che si lega all'ambito dei violini pur non avendo potuto ricavarne uno dal fatidico albero di Fabio.
In definitiva, un'idea molto interessante, un ottimo uso del paletto "vento", ma una storia che ho trovato troppo lontana dal mio gusto e dalla realtà per essermi congeniale.
Refusi e ripetizioni hanno dato il colpo di grazia al tutto, purtroppo.
PS - mi ha fatto sorridere quel "Vi chiedo di fare silenzio" nelle righe finali, perché mi è suonato un pelino autoritario, ma è solo un dettaglio.
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Re: Abeti rossi
Seppur gravato da diversi refusi (credo che a questo giro molti racconti siano arrivati sul filo di lana, o anche dopo) ho trovato questo racconto piacevole e poetico. Si legge bene e senza annoiare. E ha il vantaggio, in uno step dove comunque la morte era un paletto vincolante, di non essere particolarmente "disperato" ma pieno di pace.
Composto da una parte "pescata" dalla cronaca degli ultimi anni, mescolato come un abile chef con una parte romanzata e di fantasia, il mix che ne deriva è decisamente buono.
Mi è piaciuto. Complimenti.
Grazie.
Composto da una parte "pescata" dalla cronaca degli ultimi anni, mescolato come un abile chef con una parte romanzata e di fantasia, il mix che ne deriva è decisamente buono.
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Re: Abeti rossi
Lo spunto del racconto - la strage di abeti di Vaia - è notevole e importante: è bene che certi disastri restino nella memoria. Lo svolgimento presenta invece molte criticità, a partire dal numero considerevole di errori e imprecisioni che costellano il testo e rallentano parecchio la lettura.
- Ci sono, specialmente all'inizio, molte parole virgolettate, ma non essendo citazioni dovrebbero essere in corsivo e senza virgolette (mio albero, il dono, sentono...);
- c'è un uso davvero eccessivo dei possessivi: mio albero, mie mani/manine, sue radici ecc...
- "fogliolina, Chissà": ci vuole il punto al posto della virgola;
- "troppo grande per stre in un vaso": stare;
- "introno c’è un silenzio irreale": intorno;
- "in quanto avevano detto": non è un errore, ma visto che a parlare è un bambino avrei preferito un semplice "perché";
- "e il mio si era ritrovato": manca albero;
- "lo aveva cinto" / "gli aveva detto": avevo;
- "mamma ho paura": l'iniziale deve essere maiuscola;
- "aveva risposto Fabio": la risposta è del padre (al limite bastava scrivere "aveva risposto a Fabio");
- "che sarebbero state": manca ci;
- "risuonare all’unisono, proprio come madre e figlio! avevamo risuonato all’unisono": risuonare e unisono, messi accanto, suonano proprio male e "avevamo", dopo il punto esclamativo, vuole la maiuscola;
- "l’albero era troppo il giovane": il è di troppo;
- "lascia posto al maestro": qui invece il lo avrei messo (lascia il posto al maestro).
Difficile godersi un racconto con tutti questi inciampi.
Inoltre, anche se funzionale alla trama, appare un po' eccessivo il regolare e continuo pellegrinaggio di Fabio nel bosco pure in età adulta. Il profondo senso di preoccupazione per il suo albero e il bosco intero che lo spinge verso la sua fine, vista l'intensità del maltempo, sarebbe stato plausibile anche senza la routine del sabato mattina. Tutto questo voler enfatizzare il rapporto tra l'uomo e l'albero, tra l'uomo e la natura, finisce per suscitare un effetto contrario e tenere il lettore più distaccato. Almeno per me, la sensazione a fine lettura è stata questa.
Molto bella invece l'idea del concerto di violini nel luogo del disastro, anche se non è proprio farina del sacco dell'autore.
Insomma, un altro caso in cui una bella storia non ha avuto il trattamento che avrebbe meritato.
M.
- Ci sono, specialmente all'inizio, molte parole virgolettate, ma non essendo citazioni dovrebbero essere in corsivo e senza virgolette (mio albero, il dono, sentono...);
- c'è un uso davvero eccessivo dei possessivi: mio albero, mie mani/manine, sue radici ecc...
- "fogliolina, Chissà": ci vuole il punto al posto della virgola;
- "troppo grande per stre in un vaso": stare;
- "introno c’è un silenzio irreale": intorno;
- "in quanto avevano detto": non è un errore, ma visto che a parlare è un bambino avrei preferito un semplice "perché";
- "e il mio si era ritrovato": manca albero;
- "lo aveva cinto" / "gli aveva detto": avevo;
- "mamma ho paura": l'iniziale deve essere maiuscola;
- "aveva risposto Fabio": la risposta è del padre (al limite bastava scrivere "aveva risposto a Fabio");
- "che sarebbero state": manca ci;
- "risuonare all’unisono, proprio come madre e figlio! avevamo risuonato all’unisono": risuonare e unisono, messi accanto, suonano proprio male e "avevamo", dopo il punto esclamativo, vuole la maiuscola;
- "l’albero era troppo il giovane": il è di troppo;
- "lascia posto al maestro": qui invece il lo avrei messo (lascia il posto al maestro).
Difficile godersi un racconto con tutti questi inciampi.
Inoltre, anche se funzionale alla trama, appare un po' eccessivo il regolare e continuo pellegrinaggio di Fabio nel bosco pure in età adulta. Il profondo senso di preoccupazione per il suo albero e il bosco intero che lo spinge verso la sua fine, vista l'intensità del maltempo, sarebbe stato plausibile anche senza la routine del sabato mattina. Tutto questo voler enfatizzare il rapporto tra l'uomo e l'albero, tra l'uomo e la natura, finisce per suscitare un effetto contrario e tenere il lettore più distaccato. Almeno per me, la sensazione a fine lettura è stata questa.
Molto bella invece l'idea del concerto di violini nel luogo del disastro, anche se non è proprio farina del sacco dell'autore.
Insomma, un altro caso in cui una bella storia non ha avuto il trattamento che avrebbe meritato.
M.
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Re: Abeti rossi
Questo è un racconto che mi lascia un po' di rammarico, perché l'idea è a parer mio tra le migliori dello step, ma la sua messa su carta non è perfetta al 100%. Mi è piaciuto parecchio il desiderio dell'autore di spingere sul rapporto quasi simbiotico tra abete e Fabio, che diventa per espansione un invito a tutti ad adottare un albero, bella anche l'idea dei violini e della musica del vento tra i rami, ma la prima diventa a un certo punto una pratica quasi meccanica, perde un po' di sentimento, mentre la seconda aveva bisogno a parer mio di molta più poesia. Il racconto arriva quindi al punto in cui interviene la madre senza la spinta emotiva giusta e il linguaggio non troppo partecipe adottato smorza ancora di più il tutto. Insomma, io avrei calcato di più sul piano emotivo per rendere al meglio la splendida idea che hai avuto. A rileggerci!
Akimizu- Cavaliere Jedi
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