Respiri piano per non far rumore
Ti addormenti di sera e ti risvegli col sole
Sei chiara come un'alba
Sei fresca come l'aria
Vasco Rossi - Albachiara
La veranda è stata ciò che più ti ha colpito di quella casa di campagna, ciò che ha convalidato la tua decisione di affittare il vecchio rudere, ristrutturato e ben fornito sì, ma non certo comodissimo. Ma il piccolo annesso con le pareti quasi completamente in vetro, affacciato sui campi coltivati a zafferano e le montagne ancora parzialmente coperte di neve sullo sfondo, ha fatto pendere l’ago della bilancia decisamente a favore di quel luogo sperduto; lo ha reso il posto ideale dove trascorrere le tue meritatissime due settimane di relax dopo gli ultimi mesi così impegnativi, spezzata fra casa e ufficio. Già il paesaggio ti era apparso incantevole dalle immagini sul sito dell’agenzia immobiliare. E appena arrivata hai pensato che, per una volta, la realtà non ha per niente sfigurato nel confronto con le foto (spesso ritoccate ad hoc) che ti erano scivolate davanti agli occhi sullo schermo del computer al momento della prenotazione.
Riposo e benedetta monotonia. Quelle erano state le parole d’ordine, il mantra che ti eri imposta per ridare fiato al tuo corpo e soprattutto al tuo cervello dopo tutto lo stress accumulato in questo scorcio di 2023, quando gli ultimi – si spera – colpi di coda del virus avevano di nuovo causato guai a diversi livelli e nemmeno la piccola società per la quale lavori ne era rimasta esente. Senza contare poi gli alti – pochi – e i bassi – parecchi – nei rapporti col tuo compagno, con il quale è un bel po’ che non passi una notte come si deve… Riposo, dunque, e monotonia hanno davvero caratterizzato i primi tre giorni che hai trascorso qui: iPhone in modalità aereo per quasi tutto il tempo; un bel sonno ininterrotto (ma quanto era che non riuscivi a dormire così bene?) fino alle nove o giù di lì; una ricca colazione a base di latte, pane fresco e marmellate provenienti dalla fattoria vicina; lunghe passeggiate per i sentieri che si snodano tra i campi fino a raggiungere il paese, dove ti fermi a pranzare, con ritrovato gusto, nell’unica trattoria. Una mezz’ora a scambiare quattro chiacchiere con la figlia dei proprietari, una ragazzina parecchio sveglia e affascinata dal tuo aspetto e dai tuoi modi cittadini, e poi, sempre a piedi, ritorni verso casa per gustarti quello che ti appare come il momento più bello della giornata: doccia e lunga sessione di lettura seduta nella comoda poltrona piazzata al centro della veranda, dove ti basta alzare un attimo gli occhi dalle pagine per riempirli del violetto dei crochi di zafferano che si perdono in lontananza, fin quasi alle pendici dei monti imbiancati che risplendono nell’abbraccio dei raggi del sole pomeridiano. È appena il quarto giorno e ti rendi conto che già ti senti meglio. La camminata di andata e ritorno ti è sembrata meno impegnativa e il grande specchio della camera, mentre ti asciugavi dopo la doccia, nella sua algida obiettività ti ha restituito un’immagine anche troppo lusinghiera. Il viso è disteso e i lineamenti quasi addolciti. I tuoi seni, arrotondati e sodi, sembrano sfidare senza fatica la forza di gravità; la pancia è piatta e le gambe, dopo che hai messo da parte i tacchi d’ordinanza, sottili e smisurati, appaiono decisamente più toniche e ben tornite. I tuoi trent’anni – o poco più – sembra si siano nascosti parecchio bene.
Ti sistemi un asciugamano in testa a mo’ di turbante, indossi l’accappatoio e, sull’onda di ciò che lo specchio ti ha mostrato, ti incammini con passi ondeggianti verso la veranda e la tua
solita poltrona, come fossi una modella al clou della sfilata, ma con solo la soffice spugna candida allacciata in vita ad accarezzarti la pelle.
Prendi il libro dallo scaffale e ti lasci cadere nell’abbraccio schietto del vecchio cuoio imbottito, mentre ti godi una volta di più la magnifica vista che ti si offre davanti. Con una piccola differenza, però: questa volta, in mezzo alla distesa di zafferano c’è una figura china, un contadino, probabilmente intento a liberare dalle erbacce quei magnifici fiori viola. Be’, pensi, meno male è così assorto. Sennò sai che figura ci facevo con le mie mossettine.
È una preoccupazione che comunque dura poco. Poche pagine e tutto intorno a te sembra perdere consistenza, quasi svanire, sostituito nella tua mente da paesaggi esotici e lussureggianti, pirati dallo sguardo ammaliatore e giovani capitani coraggiosi alla via per mari e cuori in tempesta… Almeno finché, per un movimento un po’ troppo repentino delle gambe in cerca di una posizione più comoda, i lembi dell’accappatoio si aprono e lasciano in bella mostra il tuo sesso, tenero, roseo, sormontato da un fitto boschetto di riccioli scuri.
Sei sola, ma un istintivo pudore ti impone di porre rimedio. E poi oggi c’è anche un contadino nei pressi. Appoggi il libro sul pavimento e cerchi di ricomporti chiudendo l’accappatoio. Ma nell’attimo stesso in cui sollevi il capo ti rendi conto di un paio di cose non proprio tranquillizzanti. La prima è che sei certa di aver scorto all’esterno della vetrata un movimento veloce nonché il lampo di due occhi sgranati, subito scomparsi dietro la massa del tendaggio oscurante raccolto in un angolo della veranda; e, seconda, sei quasi altrettanto certa di sapere a chi appartengano quegli occhi, dato che il contadino non è più là, chino nel campo, a curare lo zafferano.
Sei pronta a scattare in piedi, ora che si è rintanato e non può vederti, e correre a chiudere la tenda e poi in casa a prendere il telefono per chiedere aiuto; ma qualcosa inaspettatamente ti frena e un luccichio malandrino brilla per un secondo nel tuo sguardo. L’ombra di un sorriso malizioso increspa appena le tue labbra, mentre un’idea un po’ pazza ti attraversa la mente: E se…
Raccogli il libro e, come niente fosse, lo tieni aperto davanti a te, appoggiandolo sulle cosce ancora scoperte e leggermente aperte. Eccoti di nuovo immersa nella lettura, ma, di sottecchi, la tua attenzione ora è tutta concentrata verso quel punto preciso coperto dalla tenda, dietro la quale non tardi a intravedere un movimento furtivo. È proprio in quel momento che la tua mano destra si stacca dal libro e comincia a salire verso la bocca, con l’indice proteso verso la lingua come se volessi umettarlo per voltare pagina. Fra dito e lingua sembra però nascere una piccola disputa, un’amichevole schermaglia, con quello impegnato a spingere l’altra all’interno della bocca, mentre la sottile punta rossa, tutt’altro che arrendevole, para e risponde alle stoccate e preme per ottenere l’esatto contrario. E alle tue labbra, impotenti spettatrici, non resta altro che disegnare una piccola “o” intorno ai due contendenti.
Non dura molto l’alterco e l’indice sembra lo sconfitto che batte in ritirata, tutto bagnato. Lo fai scendere giù allora, lento, umido, lungo il mento, il collo, lo sterno, la curva morbida del seno, lasciando che, raggiunto il culmine, possa indugiare intorno e sopra all’aureola e al capezzolo. La carezza prolungata ti strappa un gemito, lieve, appena percettibile, al quale fa eco un respiro, no, più un sospiro, un ansito quasi, che filtra attraverso la finestra aperta.
Come se avessi colto un segnale, fai scivolare di nuovo la mano verso la bocca. Le labbra si schiudono in un bacio alla punta delle dita e lasciano loro accesso a incontrare la lingua. Poi la porti giù, la mano, lungo il tuo corpo, più veloce questa volta, giù oltre la pancia, fino ad attraversare un ciuffetto di ricci e incontrarsi con un’altra umidità, calda, palpitante, ansiosa. Il libro cade, mentre ti sfiori, ti accarezzi. E ti accarezzi e ti sfiori. E le carezze si fanno più forti, più profonde. E il tuo respiro accelera, si affanna, all’unisono con un altro, quello che ti
arriva alle orecchie dall’esterno. E la tua mano accelera, le vostre mani accelerano, sempre di più… Finche, un labbro stretto fra i denti a strozzare a stento la voglia di gridare, entrambi inarcate la schiena – e te lo immagini, curvo all’indietro come un arco teso, con la mano che ancora stringe il suo sesso – tutti e due attraversati da un brivido caldo e pulsante che parte da lì, in mezzo alle gambe, si irradia per tutto il corpo e arriva fulmineo fino al cervello, lasciandovi spossati, smarriti, prede di un’ineffabile, dolce debolezza che vi invoglia ad abbassare le palpebre.
Il respiro rallenta ora, si fa più profondo e il tuo petto si alza e si abbassa seguendo il suo ritmo. Il cuore, lentamente, sta regolarizzando il proprio battito e la coscienza sta tornando in superficie, facendosi largo a fatica attraverso gli ultimi batuffoli di piacere, riluttanti a disperdersi. La tua mano ancora non riesce a staccarsi dal nido caldo e morbido che così volentieri l’ha ospitata, a conferma che no, non hai sognato e che, sì, lo hai fatto davvero, e proprio mentre qualcuno ti guardava. E il rossore che ti è salito alle guance, lo capisci, non è solo una conseguenza fisica.
Facendo forza sui braccioli finalmente riesci ad alzarti. Appagata, ma altrettanto confusa, il tuo unico desiderio adesso è tuffarsi nuovamente sotto la doccia e cercare di annegare tutto quanto in un oblio di acqua e vapore. Dimenticare? Ti rendi conto che non sarà per niente facile. Tant’è che, mentre i getti sottili ti pungono la pelle, un piccolo pensiero invadente prende forma: Però, in fondo, sono stata davvero scortese. La prossima volta devo proprio invitarlo a entrare…