Trovato!
Se scrivere storie è un pensiero fisso, il primo quando ti svegli la mattina e l’ultimo prima di addormentarti, ogni tanto fa bene tornare indietro nel tempo, a quando quel pensiero non ti sfiorava la mente, a quando non pensavi minimamente che un giorno avresti avuto qualcosa di tuo da raccontare.
Tutti gli scrittori ce l’hanno un momento così nella loro vita, e anche molti che a scrivere non ci proveranno mai: il momento in cui ti rendi conto di quanto contano le storie per te, di quanto ti facciano sentire vivo e parte di un universo che assomiglia solo vagamente a quello in cui sei costretto a vivere, in cui non faresti altro che leggere, divorare un libro dopo l’altro, spinto dall’assoluta certezza che non ti sentirai mai sazio.
Saccheggi la libreria dei tuoi genitori, la biblioteca del quartiere. Non hai pregiudizi, leggi qualunque libro. Vai avanti e indietro nel tempo, salti da un genere all’altro. Dalla storia di un burattino senza fili a quella di un robot positronico, dall’indagine di un investigatore belga al terrificante racconto di un clown assassino che appare ogni ventisette anni. Il concetto stesso di genere è qualcosa che inizi appena a comprendere. Hai il vago sospetto che sia importante, ma intanto pensi solo a finire il libro che hai in mano e iniziare il prossimo. Credi che siano soltanto storie quelle che stai leggendo, ma sono qualcosa di più: sono colori primari, i colori da cui un giorno attingerai per crearne di tuoi, la base di ogni possibile sfumatura che sarai in grado di produrre quando finalmente ti troverai davanti a una pagina bianca con il desiderio di riempirla, il giorno in cui passerai dall’altra parte della barricata e forse leggere non sarà mai più la stessa cosa.
Questo è stato INK più di ogni altra cosa: un viaggio alle radici del desiderio, un percorso alla riscoperta dei colori che hanno dato origine alle nostre sfumature.
Come si affronta un racconto di genere? Con rispetto, persino con timore reverenziale, almeno in principio. Davanti alla pagina bianca è difficile non pensare a chi ti ha preceduto. Quello che hanno fatto Christie e Conan Doyle per il giallo, Hammett e Chandler per il noir, Poe e Lovecraft per l’horror, Asimov e Bradbury per la fantascienza, solo per citarne alcuni, non è stato soltanto scrivere grandi storie, ma è stato definire l’esatta lunghezza d’onda del colore con cui riempire quelle pagine bianche. E se così stanno le cose, allora il modo migliore per provare a scrivere un racconto di genere è quello di farsi un po’ da parte, liberarsi di ciò che si è, strati su strati di colori mischiati tra loro, e cercare quella lunghezza d’onda, provando a dare lo stesso colore alle proprie parole.
Viviamo in un’epoca di contaminazioni, dove si cerca in ogni modo di creare ibridi, parole nuove che celebrino l’unione di più generi. In un‘epoca così un concorso come INK, che inviti a misurarsi con i pilastri su cui poggia la nostra immaginazione, è qualcosa di grandioso, una sfida contro corrente.
E questa sfida in mano a un gruppo di scrittori come SPS diventa qualcosa di ancora più speciale perché SPS è una scuola di scrittura e una scuola di umiltà, un luogo di condivisione e di confronto, un organismo vivo e in continua evoluzione.
C’è qualcosa di misterioso e magico in questo forum e la raccolta di racconti che state per leggere ne è la perfetta rappresentazione.
Qui si scrive e si legge, si legge e ci si confronta e da quel confronto vengono fuori idee a cui non avresti mai pensato, sfumature che nemmeno pensavi di avere.
Ogni volta che ho avuto bisogno di capire se davvero valesse la pena continuare a scrivere è stato qui che ho trovato la mia risposta.
Questo è SPS. E questo è INK. Qualunque colore cerchiate da una storia, qui li troverete tutti.