Egli abitava nel luogo stesso dove lavorava e consumava solamente grano inumidito, frequenti bicchieri di vino annacquato e qualche piccione selvatico arrostito, ma solo la domenica. Ciò faceva non per gusto ma per serbare denaro, seppur poco, per la sperata realizzazione di sognate avventure in luoghi arcani e remoti.
Il pertugio dov’egli dormiva, leggeva e sognava, tra un periodo lavorativo e il seguente, era un’anticamera senz’altre aperture se non le due porte e le tante tane dei topi che facevano lì compagnia a insettoni sgambettanti su muri tra variopinte macchie di umido.
Quando il nostro, si fa per dire, giovane non mangiava o leggeva o sognava o dormiva, egli faceva il portiere nella chiesa con annesso albergo in cui viveva. Era questa una chiesetta con un bianco chiostro colonnato dove pellegrini e viandanti potevano per pochi soldi trovare alloggio. Vi transitavano avventurieri e chierici e mercanti che recavano visita a quella città sabauda adagiata sulle rive del maestoso, si fa per dire, fiume Po.
La sua stanzetta era l’anticamera della portineria ed egli raramente percorreva più di dieci passi per spostarsi dal letto al luogo di lavoro. Non gli dispiaceva quella sua anticamera, che considerava prodromo inequivocabile dell’avverarsi dei suoi sogni di avventura.
L'età del nostro galantuomo da poco superava all’epoca i quarant’anni; era di corporatura vigorosa, secco, col viso asciutto e l’espressione attenta. Vogliono alcuni che portasse il soprannome di Smollo o Rediagano, nel che discordano gli autori che trattarono delle sue imprese; ma per verisimili congetture si può presupporre che fosse denominato Molli Redigano; nessuno conosce il significato di questo appellativo, né dove debbano essere posti gli accenti tonici, il che però poco torna al nostro proposito; e basta soltanto che nella relazione delle sue gesta non ci scostiamo dal vero.
Bisogna dunque sapere che il nostro Redigano, nei momenti che trascorreva senza lavorare, si dedicava a leggere libri e ad ascoltare storie con tanto gusto che arrivò quasi a trascurare l’albergo e la chiesetta che gli erano affidati. Insomma, tanto s'immerse nelle sue letture, che passava le nottate a leggere dal crepuscolo all’aurora; e così, dal poco dormire e il molto leggere gli si fiorì il cervello di sogni di mirabolanti avventure.
In quel suo fantasticare era aiutato, non da poco, dalle stravaganti frequentazioni di quella sua particolare chiesetta, dove sostavano le più sbalorditive persone che in quell’epoca erano quanto mai svariate.
Molli Redigano, che era di indole ciarliera abbinata a un’attenta capacità nell’ascoltare e nel memorizzare, raccoglieva dai pellegrini racconti e volumi da leggere, e li rimuginava fino a farli propri fin nelle più recondite profondità del suo pensiero e della sua memoria.
Un dì, ci è di esempio, capitò in quel luogo un mercante riccamente vestito di seta della più fina, calzoni di velluto e scarpette di capretto. Costui era un gran viaggiatore e (come tutti i mercanti) un generoso parlatore che si era recato, così diceva, sino nell’estremo oriente, nelle remote lande cinesi. Raccontava di aver conosciuto colà persone eccezionali, visto templi grandiosi e mangiato pietanze sopraffine. Rimase nella stanza che si affacciava al chiostro per più di un mese intero, inondando il famelico Molli Redigano di racconti, di dettagli e minuzie sui costumi e sugli usi cinesi, sugli abiti che quegli esotici orientali usavano indossare e sul cibo bizzarro di cui si pascevano. Molli ascoltava e di notte, nella sua oscura anticamera in quella umida chiesetta, fantasticava e rielaborava.
Partito che fu il mercante per i suoi viaggi, Molli, che era anche un grande intrattenitore, iniziò a raccontare quanto appreso dal mercante a ogni nuovo viandante che gli capitasse a tiro. Nel ripetere queste storie di viaggi cinesi, nell’arricchire le chiacchere con dettagli appresi da libri o attinti dalla fantasia, nel rimaneggiare la narrazione con propri contributi, arrivò a cambiare il soggetto dei racconti, sostituendo il mercante con la sua stessa persona. E giunse così, anche nel suo cervello, a essere convinto di esserci stato veramente, in Cina, e di aver vissuto di persona queste grandi avventure in quei luoghi di cui andava narrando. Avventure di cui in seguito scrisse anche uno dei suoi celebri volumetti di cui, credo, ognuno sia a conoscenza.
Ma non tutti i suoi viaggi e le sue avventure furono frutto della sua ricca, seppur forse distorta, inventiva; o almeno così gli eruditi, quelli di allora come quelli di oggi, sono convinti che sia.
Uno dei viaggi di Molli Redigano che si presume fosse realmente accaduto fu quello che lo vide protagonista nel percorrere le aree siderali per mezzo di stupefacenti artifici, e di cui di seguito andrò narrando.
Giunse nel febbraio di quell’anno presso quel luogo sabaudo uno studioso in fuga dal Gran Ducato di Toscana, tale Achillu di Polesine, esimio matematico e pregiato filosofo. Egli apparve subito a Molli Redigano come sommamene colto e dal linguaggio forbito, seppur dal fare schivo e timoroso. Difatti, alle domande che la curiosità insaziabile di Molli faceva prorompere in continuazione, lo studioso veneto rispondeva con silenzi e sguardi impauriti.
- Messere, vi prego, – insisteva Molli Redigano, con voce bassa e complice, da dietro il bancone all’entrata. – raccontatemi l’oggetto del vostro studiare e i motivi che vi hanno spinto a fuggire dal ridente e ricco Granducato.
- Sono argomenti eretici di cui a stento capiresti il significato e che minano le basi medesime della nostra dottrina, - rispondeva Achillu. – Fuggo prima che sia tardi. Già Giordano Bruno è stato testé bruciato sul rogo, non voglio incorrere nella medesima sorte.
Queste argomentazioni non potevano che far esplodere la curiosità di Molli. Il nostro impiegò tutte le sue abilità e ogni sotterfugio per scardinare il portone di silenzio dietro cui si celavano tali segreti. Fu così che fece giungere dai colli sovrastanti la cittadina di Biella un’abile persuaditrice, la bella Hellionor da Pettinengo, di cui per altro Molli era da tempo segreto e saltuario amante. Era bella, madama Hellionor, portatrice di una grazia antica e di un fascino prorompente. Costei, che si nascondeva sotto le fittizie vesti di nutrice di infanti, con argomenti e tecniche i cui dettagli, per sfortuna o per fortuna, non sono giunti fino a noi e che nemmeno gli studiosi sono ancora riusciti a svelare, fece breccia nelle paure di Achillu di Polesine e ne carpì i segreti così timorosamente celati.
L’erudito Achillu, dopo essersi confessato con l’avvenente Hellionor, sparì dalla sua stanzetta senza lasciar traccia alcuna né, aimè per Molli, neanche un soldo di mancia.
Nel lettino di Molli, dopo che attoniti insetti furono testimoni di incredibili quanto rapide gesta d’amore, Hellionor narrò all’amante i dettagli di quanto abilmente appreso poc’anzi: - Si dice che una scoperta eccezionale sia stata fatta in terra di Toscana dal maestro di Achillu da Polesine. Questo saggio maestro, tale Galileo, o Galilei, è un matematico e filosofo che scruta il cielo con prismi e vetri ricurvi. Grazie a questi strumenti portentosi è stato abilmente in grado di scoprire pianeti che circolano nei cieli come mondi lontani mai scorti prima. Dice che tra questi astri e la nostra terra non ci siano differenze immaginabili.
- Dunque sono luoghi che nessun umano ha mai percorso prima? – Chiese Molli cercando di trovare una posizione comoda nell’angusta anticamera occupata in gran parte dalle leggiadrie della donna.
- Così pare, - rispose lei.
- Ti ha anche detto dove sono e come si chiamano questi astri?
- Sono mondi che prillano intorno al grande Giove. Non hanno informato alcuno di codeste osservazioni, ma dice che li abbia per sé denominati Io, Europa, Ganimede e Callisto.
Gli occhi del Redigano si spalancarono e le sue membra tutte furono percorse da un fremito che provocò il sollevarsi di crini, peli e capelli. Ecco finalmente la più mirabolante e fantastica delle avventura che gli veniva porta in una coppa d’argento e che lui non poteva non accettare di buon grado.
- Sarò io il primo a toccare quei luoghi lontani! Andrò su Europa! – disse con slancio epico.
- Come farai, mio Molli? – rispose la bella Hellionor con un soave sorrisino assecondante.
- Ho la conoscenza di un valente esperto di cannoni, bombarde e macchine meccaniche. Mi farò realizzare da lui il più potente marchingegno mai costruito. Tu mi aiuterai, mia dolce Hellionor?
- Come si chiama costui? E da dove proviene?
- Viene anche lui dalle solide terre Sabaude, e si chiama messer Scelto Fante o, come tutti lo chiamano, Fante Scelto. Mi aiuterai?
- Ti aiuterò. – rispose la sublime Hellionor. E gli insettini sparsi sui muri e i topolini scodinzolanti sul pavimento di quell’angusta anticamera dovettero assistere ammirati al ripetersi di quelle imprese amorose, tanto straordinarie sia per l’intensità e il fantasioso fervore con cui venivano compiute, sia per l’incredibile rapidità con cui si concludevano.
Nei giorni seguenti il fervente Molli fece chiamare messer Fante Scelto presso la chiesetta, con la promessa di un lauto guadagno in cambio dei suoi servigi. Costui era un giovin signore dalle molte risorse economiche, esperto di armi, di mezzi meccanici semoventi e di gesta eroiche e che, si diceva, più del denaro amava le arti persuasorie di giovani e soavi signore, sublimi arti in cui la leggiadra Hellionor eccelleva.
- Messere – lo accolse Molli nella sua anticamera. – Le vostre valentissime conoscenze in fatto di balistica, armi, mezzi meccanici e affini sono riconosciute in tutto il regno sabaudo, e anche oltre. Ho bisogno dei vostri servigi per recarmi in un luogo al di là del cielo, mai raggiunto prima, si spera, da essere umano.
- Per arrivare al di là del cielo non c’è bisogno di un marchingegno speciale, - lo schernì messer Fante. – È sufficiente un colpo di pistola. Alla testa.
- Vossignoria, siate serio, vi prego. Vi posso ricompensare. Ho accumulato in questi anni tanti soldi, limitando i miei cibi a sole granaglie inzuppate e piccioni arrostiti.
- Non so, ci devo pensare, mi sembra un’impresa alquanto ardua.
- Saprò ricompensarvi adeguatamente, - insistette Molli.
- Non è al denaro che anelo, - rispose Fante Scelto.
- Lo immaginavo, - rispose Molli con un eloquente occhiolino.
In quel momento di indecisione, con un dolce ondeggiar di membra e un frusciar di candide vesti, fece la sua comparsa l’eterea Hellionor. Ella subito si avvicinò al valente Fante e lo prese sottobraccio. Questi sul momento rimase stupito ma poi, di fronte al malizioso sorrisino che lasciava intravedere tutte le misteriose arti persuasorie della sublime Hellionor, si lasciò condurre via di buon grado.
Prima di varcar la soglia, Fante si girò verso il nostro Molli lanciandogli un eloquente cenno di intesa. Il patto era chiuso.
Dopo più di qualche giorno, quando già Molli iniziava a reputare le capacità arcane della sua leggiadra Hellionor non all’altezza del difficile compito, rifece la sua comparsa nell’anticamera messer Fante Scelto.
- Le abilità convincenti della sua suadente amica, - diss’egli, - hanno compiuto miracoli. Grazie ad ella il mio intelletto, e non solo quello, si è attivato prodigiosamente. Ecco qui tre progetti con cui la Signoria Vostra potrà recarsi sul lontano, quanto probabilmente inesistente astro denominato Europa. Potete scegliere se avvalervi di una catapulta, di una ballista o di una bombarda. Voi vi adagerete in una capsula che sarà lanciata con uno di questi tre strumenti che saranno all’uopo potenziati. A voi la scelta.
Molli studiò gli schizzi propostigli dallo, si fa per dire, scienziato e scelse, con deliberata casualità, la bombarda.
- Ottima scelta, - continuò Fante. – Vi chiedo solamente il saltuario contributo della splendente Hellionor. Ella è in grado, solo lei, di attivare in me capacità tecniche, e non solo, che credevo sopite, o addirittura spirate, da tempo.
Impiegò qualche mese più di pochi, messer Fante, a realizzare il portentoso cannone in grado di spedire Molli su Europa, mesi in cui Molli continuò a fantasticare, nella sua anticamera di quella candida chiesetta, dell’incredibile avventura che avrebbe per primo vissuto su quell’arcano mondo, e di come avrebbe potuto poi raccontarne al ritorno. La melliflua Hellionor, da parte sua, non lesinava nell’offrire le sue capacità all’esperto Fante che accettava di buon grado.
È giusto interrompere qui per un istante la narrazione delle prodi gesta del nostro galantuomo, solo per un istante, per indugiare sulle ragioni che muovevano l’armoniosa Hellionor. Sono concordi gli eruditi che dissertano di codeste imprese nel reputare la quasi non più giovincella Hellionor profondamente innamorata del valente Molli. Per questo motivo ella accettava di prestare le sua abili capacità persuasive a questi personaggi variamente assortiti; questo al sol fine di permettere il compiersi dei sogni del suo innamorato. Di quale sublime sacrificio siamo qui testimoni!
E giunse infine il giorno in cui il portentoso armamento fu concluso. Senza fanfare né liberazioni di colombe, senza far parola a persona di quanto aveva divisato, e senza essere veduto da alcuno se non da Hellionor e da Fante, la mattina del primo giorno (che fu uno dei più glaciali) del mese di dicembre, Molli si accomodò nella capsula, che egli notò essere appena poco più piccola della sua anticamera e, con un rombo che fu udito lontano, fu fatto partire per Europa.
Il viaggio durò per qualche giorno ch’egli trascorse leggendo e fantasticando, cose di cui era sommo cultore ed esperto. Atterrò infine con uno schianto sul quel lontano pianeta, ma dal rimbalzare non ricevette alcun danno essendo la navicella ben progettata anche per resistere a scossoni e urti.
Pronto a meraviglie indicibili, a colori mai veduti da occhio umano, a profumi suadenti in grado di sciogliere le volontà più solide; apprestato a mirare edifici portentosi, a udire canti di sirene e di ninfe; preparato a tutto ciò e anche a qualcosa di più, egli aprì la porta della capsula.
Ciò che si trovò di fronte lo lasciò di gesso e di stucco. Un pallido sole, forse leggermente più fievole di quello a cui era abituato, illuminava un fiume simile al maestoso, si fa per dire, Po, ma più modesto e ingiallito. Sulle rive del corso d’acqua era adagiata una città analoga, ma in apparenza più scialba, al borgo sabaudo che tanto conosceva bene. In un breve camminare incrociò varie figure che non si discostavano sostanzialmente dalla persone che incontrava nelle sue terre natie, solo che queste erano un po’ più curve e con lo sguardo più mesto e basso.
Sentiva il Molli nella gola, nell’aggirarsi per quei luoghi, un magone quasi doloroso, non si sa se cagionato dalla delusione per ciò che mirava, o dall’aria ammalorata e forse non del tutto respirabile che colà soffiava.
Giunse infine alla chiesetta con il bianco chiostro colonnato tanto ben conosciuta. Volle provare a chiedere alloggio, ma con grande sorpresa non trovò nessuno ad accoglierlo. Si aggirò per le stanze, qui deserte, che si affacciavano tra le colonne e giunse infine all’anticamera che, in quell’altro suo mondo, ospitava il suo letto. Questa stanzetta gli parve ancor più angusta, ma gli insetti che vivevano sulle pareti, in un gioco di urticanti paradossi, parevano più grandi. Quel luogo sembra attirarlo a sé. Aveva compiuto tutto quel viaggiare per poi ritrovare gli stessi dettagli e per provare le medesime sensazioni? Per ritornare a fare ancora gli stessi (inutili, si rese conto!) sogni di avventure? Ovunque si vada, pensò, per quanto si viaggi lontano, forse si possono trovare solo le stesse cose che già abbiamo dentro?
Corse via il Molli. Questo luogo che egli sperava da sogno incominciava ad assumere i tratti e il sapore amaro dell’incubo. Corse fino a raggiungere il medesimo sito dove, sulla sua terra, era installata la bombarda che lo aveva sparato sul quel deludente astro mediceo. Primo sentimento positivo da quando era giunto su Europa, provò sollievo nel vedere che anche qui il grandioso cannone era presente e pronto a sparare. Senza indugio, spinto dalla delusione e dalla malinconia, accese la miccia, salì sulla navicella, salutò con un cenno Europa, e fece fuoco.
Il viaggio di ritorno durò suppergiù gli stessi giorni di quello dell’andata, forse qualcuno in più per via della fattura leggermente più scadente di quest’altro cannone.
Non trascorse però questa volta il tempo a fantasticare o a immaginar mirabolanti avventure o esotici viaggi, ma a pensare con struggente malinconia alla dolce realtà che l’attendeva.
La sua terra sabauda lo accolse con qualche scossone che egli accettò con un sorriso, sorriso che perdurò anche dopo l’aperura del portello, che rimase mentre mirava il fiume, si fa per dire maestoso, e che sbocciò quando giunse alla sua chiesetta dove trovò la dolce Hellionor che si struggeva nell’attesa del suo ritorno.
Si abbracciarono i due innamorati, si guardarono con occhi colmi di gioiose lacrime e si abbracciarono ancora. Molli non volle neanche entrare nella sua anticamera. Aveva vissuto quella sua stanzetta come un luogo di passaggio verso avventure straordinarie, ma egli finalmente aveva capito di essere dove voleva, senza più bisogno di fantasticare.
Con l’angelica Hellionor si trasferirono nel borgo sopra Biella di cui ella era originaria. Egli si dedicò all’amore per lei e all’allevar dei piccioni, che tanto amava mangiare arrosto soprattutto di domenica. Ella ritornò felice alla sua attività di nutrice di infanti, accompagnata da un frequente disegnare di cui ci resta memoria in meravigliosi calendari che ancor oggi adornano le più fortunate magioni.