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Messaggio Da Different Staff Dom Dic 04, 2022 4:17 pm

Un corvo volava nel cielo della sera.
Il giovane uomo era in piedi al limitare del precipizio.
La luce del tramonto rendeva tutto acceso e caldo: le nubi sfilacciate, le rocce dall’altra parte dello strapiombo.
Bellissimo.
Mosse un passo avanti. Il corvo virò rapido e gli passò vicino gracchiando, poi scomparve.
L’uomo arretrò. Non ancora. Il tramonto era splendido e voleva goderselo tutto. Fino in fondo. Fino al buio.
O forse no. Era uno spettacolo, e spettacolare doveva essere guardarlo precipitando nel vuoto.
La cena è in tavola. Vieni.
La frase era stata pronunciata in tono basso e pacato, ma la voce, giunta all’improvviso alle sue spalle, l’aveva colto di sorpresa.
Si voltò. Un uomo anziano era fermo ad alcuni metri di distanza, un corvo sulla spalla.
Vieni. La cena è pronta. Si raffredda.
Un filo sottile, lanciato verso il baratro. Fragile. Pronto a spezzarsi.
Aspetto il buio…
Il tramonto ci sarà anche domani. E oggi tu hai fame.
Un brontolio arrivò dallo stomaco del giovane, a conferma di un’affermazione che poteva essere un azzardo, anche se non più di tanto. Parlavano gli occhi stanchi e già lontani, la barba di diversi giorni, la divisa sporca e logora, una delle tante divise delle tante guerre.
Il giovane rimase immobile.
Vieni.
A volte è un attimo, a fare la differenza.
Il giovane raggiunse lo sconosciuto, che si avviò a passo tranquillo.
Camminarono in silenzio fino a una radura, un po’ discosto dalla strada.
Per prime si videro le luci, disposte tutte attorno ad avvolgere lo spazio creato in mezzo agli alberi. Poi si sentirono le voci, un cicaleccio alternato a silenzi. I silenzi erano dovuti alle pause necessarie per masticare. Attorno a una lunga tavola imbandita sedevano alcune persone.
Insieme alle voci arrivavano i profumi del cibo.
Oh, Manuèl! Dove eri finito?
Roa ha trovato un nuovo ospite.
Per alcuni istanti gli sguardi si distolsero dalla cena. Cenni di benvenuto, lievi sorrisi.
Una sedia fu spostata, un piatto e delle posate sistemati nel posto preparato: ‒ Vieni. Siedi, ragazzo.
Il giovane rimase per un attimo sospeso in quello spazio di luce e profumi, di gesti una volta quotidiani e ora quasi dimenticati. Infine si decise e si sedette.
Con due battiti d’ala, il corvo volò a posarsi in fondo al tavolo.
Manuèl si rimise il grembiule, abbandonato in fretta quando Roa era arrivata a chiamarlo. Davanti ai fornelli, accese il fuoco sotto un paio di pentole.
Fornelli. E piani di lavoro. Scansie, cassetti, pentole, mestoli e coltelli.
Un furgone trasformato in una vera e propria cucina mobile, realizzò il giovane. Un lato aperto, due scalini a scendere verso il tendone che partiva dal tetto. Sotto il tendone, il tavolo.
Attorno al tavolo, le persone.
Manuèl gli riempì il piatto poi sedette anche lui.
Il buio scese, ma all’interno del cerchio di luce ci furono chiacchiere, calore e fame saziata. Nessuna domanda. Nessuno gli chiese di parlare e lui non lo fece. Rimase in silenzio, sospeso in quello strano tempo in cui si era ritrovato.
Un po’ alla volta il tavolo si vuotò. Qualcuno aiutò a sparecchiare, qualcuno ringraziò, qualcuno sparì rapido nella notte.
Rimasero infine solo Manuèl e il giovane, che non ebbe bisogno di dire che non sapeva né cosa fare né dove andare. Sentiva gli occhi chiudersi.
Ho una brandina in più. Va’ a dormire.
Non capisco… Non sai chi sono. Non sai nulla di me.
Nemmeno delle altre persone che erano a cena.
Non li conoscevi?
Un paio erano già passati. Gli altri, mai visti prima. Vieni.
Manuèl si alzò e lo guidò verso il letto.
Il giovane si abbandonò sotto la coperta e si addormentò cullato dal suono di Manuèl che sistemava la cucina.

Come mi hai trovato? ‒ chiese il giovane tra un morso e l’altro dato alla colazione.
Mi ha chiamato Roa. Lei mi ha portato da te.
Un corvo poco prima mi aveva fatto arretrare dal ciglio del burrone…
Forse le sei sembrato un piccolo in pericolo, non ancora pronto per volare. I corvi sono intelligenti e Roa credo lo sia molto. A volte mi sembra che capisca quello che dico. Alcune cose certamente.
Un altro morso alla colazione, un sorso di caffè.
Non vuoi sapere chi sono? Cosa sono? Cosa ho fatto?
Be’, conoscere il tuo nome mi farebbe piacere e comodo, ma per il resto, dipende da te.
Alejandro. Mi chiamo Alejandro.
Manuèl annuì.
Sono… ero… un soldato. Un soldato di fanteria. E ho…
La gola gli si chiuse. Riprese: ‒ Ho fatto molte cose.
Silenzio.
A me il resto non importa.
Sono stanco. Molto stanco.
Puoi viaggiare con me per un po’, se ti va.
Alejandro finì la colazione e il caffè, infine annuì.
Pensi che la divisa ti servirà ancora?
No, credo di no.
Allora la buttiamo. Ho degli abiti che ti possono andare.

Quando trovava un posto che gli sembrava adatto, Manuèl fermava il furgone.
Lui e Alejandro allestivano la cucina, aprivano il tendone, sistemavano il tavolo e accendevano le luci. Manuèl iniziava a cucinare. I profumi riempivano l’aria.
Dopo poco, arrivava sempre qualcuno.
Manuèl sorrideva, spostava una seggiola.
Siediti, ‒ diceva ‒ è quasi pronto.
Non chiedeva mai nulla. Erano gli altri, a volte, a raccontare. Non sempre. Alcuni mangiavano e se ne andavano senza dire una parola.
Ma attorno alla tavola, a volte si incrociavano gioia e dolore, storie tragiche e assurde. Memorie di piccoli, antichi attimi di felicità, risvegliati dai sapori della cucina di Manuèl.
Una sera una donna, al primo profumo della vaniglia e del latte, chiese di poter preparare lei la crema. Mescolò i tuorli, la farina, lo zucchero, versò il latte. Si mise a girare lentamente la crema sul fuoco basso, e mentre mescolava piangeva, lacrime silenziose, ma insieme sorrideva, di un ricordo dolce e triste insieme. Dopo raccontò di sua mamma e di lei bambina, che aveva imparato guardandola e aiutandola.
Una vita era trascorsa, dal tempo di quel ricordo, una vita che le era passata sopra, disse. Ma qualcosa le si era acceso in fondo agli occhi.
Un’altra volta giunse un uomo. Aveva fame e si vedeva, ma Manuèl ci mise un po’ per riuscire a farlo sedere a tavola. C’era una vergogna che gli faceva trattenere le mani davanti al piatto.
Mani quasi deformate, ma in cui ancora risuonava un’antica eleganza.
Manuèl aprì un ripostiglio, come a riordinarlo. Alcuni oggetti finirono sul tavolo.
Gli occhi dell’uomo si aggrapparono a un violino. Le mani lo sfiorarono.
Una volta ero un musicista ‒ mormorò quasi scusandosi.
Puoi suonare per noi, se ti va.
Un lieve sorriso incerto, le mani timide, l’uomo si alzò e iniziò a suonare. Un pezzo, poi due poi tre, come se una fame diversa fosse più potente di quella per il cibo.
Solo quando ebbe finito si sedette e mangiò, senza più vergogna.
Quando fece per andarsene, Manuèl gli allungò il violino: ‒ Prendilo. Sarà più felice con te che nel ripostiglio.
Guardare l’uomo allontanarsi con il violino e le spalle dritte fece d’un tratto vedere ad Alejandro qualcosa.
Ci mise altri giorni di viaggio a rendersene conto, anche perché gli sembrava assurdo, tanto che finì col chiedere.
Non ti fai pagare?
Manuèl fece un gesto noncurante con le spalle: ‒ A volte qualcuno lascia qui qualcosa. Oggetti. Il violino, ad esempio. A volte trovano una nuova vita. Alcuni li tengo fuori, in cucina, altri qui dentro.
Aprì il ripostiglio. Lo sguardo di Alejandro vagò fino a posarsi su un lungo fodero nero appeso alla parete.
Manuèl lo staccò e glielo mise tra le mani.
Una spada? ‒ chiese Alejandro sfilandola.
Ne contemplò la lama anch’essa nera, a contrasto con la linea di tempra bianca, con decorazioni che riprendevano quelle sul fodero e sulla guardia.
Manuèl annuì: ‒ L’uomo che me l’ha lasciata disse che era una katana, in una lingua che non conosco. Sembra quasi venire da un altro tempo, addirittura da un altro mondo. Anche lei ha un nome e una storia.
Un nome?
Il guerriero la chiamava Akimizu, nella sua lingua. Significa “acqua d’autunno”, nella nostra, mi disse. Un nome che doveva avere un significato all’inizio, nella terra da cui veniva, ma di cui non mi parlò. Mi raccontò invece che non era nata nera, lo era diventata dopo molte battaglie, ed era passata di guerriero in guerriero, fino ad arrivare a lui. E lui, quando ci incontrammo, stava cercando un’altra strada. Una spada potente, mi disse accarezzandola prima di partire, ma forse anche lei ora vuole una storia diversa.
Manuèl trovò gli occhi di Alejandro, nei quali per un attimo si erano affacciati gli incubi notturni da cui spesso lo aveva svegliato. Battaglie e sangue, che affioravano per alcuni istanti di notte ma di cui durante il giorno tacevano.
Come può essere diversa?
Una spada può uccidere, ma può anche tagliare un nodo o spezzare una catena.

Attraversavano città e villaggi, e lungo la strada incontravano ovunque i segni del dolore.
Gli strascichi lasciati dalle guerre, fame, violenza, esseri umani comprati e venduti, persone in cerca di sopravvivenza lontano dalla casa perduta.
Ogni giorno di più ad Alejandro la cucina e i pasti di Manuèl sembravano una goccia in un oceano di miseria e sofferenza.
Ti rendi conto, vero, che tutto quello che fai è inutile? ‒ si decise infine a dirgli una notte.
Io faccio quel poco che so e che posso.
Perché? Non capisco. È inutile. Non cambia niente. Non conta niente.
Sì, è vero, può essere, spesso nulla sposta il peso di una vita, e soprattutto di tutte le vite, prese insieme. Ma può anche capitare che una cosa molto piccola aiuti. Una vita alla volta. Qualcosa a cui noi non diamo importanza, di cui magari nemmeno ci accorgiamo. Una parola, uno sguardo. Il peso di una piuma che cambia un equilibrio.
Posò lo sguardo su Roa, accanto a loro sul tavolo.
L’ho trovata alcuni anni fa. Le avevano tagliato le penne, per gioco. E la stavano per bruciare viva. Non perché avessero fame, ma così, per divertimento. L’ho comprata. È sopravvissuta. Io ho trovato lei, e lei ha trovato te.
Alejandro per un istante rivide il baratro e il corvo che lo faceva arretrare.
Un pasto caldo, per un passo in più. Per affrontare il prossimo tratto di strada, arrivare alla prossima curva. Poi, cosa ci sarà? Io non posso saperlo. E tu?

Arrivarono infine davanti al mare.
Alejandro saltò giù dal furgone.
Camminava sulla sabbia, in silenzio, gli occhi puntati verso la distesa d’azzurro. Mentre camminava si spogliava. Camicia, scarpe, pantaloni, un pezzo dopo l’altro lasciato cadere alle sue spalle.
E così, nudo come un giorno era nato, entrò in acqua, in mezzo al luccichio del sole sulle onde.
Allora rise, e gridò, respirò.
Poi pianse.
Per il dolore e per la bellezza. Entrambi veri, forti e reali.
Pianse per chi non c’era più e per lui che ancora era vivo. Per la colpa e la gioia di sentirsi vivo. Così pieno di vita e di morte.
Insieme, nello stesso momento.
Si tuffò e nuotò. Aveva già nuotato in fiumi e stagni, ma mai dove lo sguardo non trovava confini.
Quando fu stanco, trovò Manuèl ad aspettarlo sulla riva.
Sedette accanto a lui.
I fantasmi non mi lasceranno mai.
Forse sì, forse no. Ma non è detto che tu debba essere loro prigioniero. Non sei il primo che deve viaggiare con questi compagni di strada.
Alejandro si voltò e vide gli occhi di Manuèl persi in una tristezza antica.
Manuèl non gli aveva mai chiesto niente, e così fece Alejandro.

Un mattino Manuèl non trovò più Alejandro. La brandina era stata rifatta. Mancavano uno zaino e qualche provvista.
La porta del ripostiglio era aperta. La katana non c’era più.
Manuèl a sera aprì la cucina e apparecchiò la tavola, scrutando di tanto in tanto nel buio.
Solo dopo diversi giorni, nelle chiacchiere di chi cenava, iniziò a trovare quello che cercava.
Scampoli di notizie.
Una guida nel buio, uno schiavo liberato. Una persona alla volta. Cose piccole.
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Messaggio Da Byron.RN Lun Dic 05, 2022 5:11 pm

È molto bello questo racconto, molto poetico.
Il diario di un viaggio fisico ma soprattutto spirituale.
Le cose non avvengono mai subito, ma per tappe.
 L’ho comprata. È sopravvissuta. Io ho trovato lei, e lei ha trovato te.
Alejandro per un istante rivide il baratro e il corvo che lo faceva arretrare.
Questa parte l'ho apprezzata molto, racchiude forse tutto il senso della storia.
Una piccola cosa. un piccolo gesto, non è mai inutile e nessuno può mai sapere se e quando potrà far germogliare un altro piccolo miracolo.
Non so se i complimenti ti fanno piacere, è probabile che non ci dai più nessun peso. Io che non ci sono abituato, talvolta sento la necessità di farli.
Come in questo caso.
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Messaggio Da Arunachala Mar Dic 06, 2022 11:10 am

piaciuto.
per ora è il migliore, tra quelli che ho letto.
ho l'impressione che manchi qualche virgola, nulla più.
ottime le descrizioni e la caratterizzazione dei personaggi, davvero ben presentati.
è il primo racconto in cui recepisco l'emozione dei protagonisti, e arriva bene, nitida, per cui mi complimento.
volendo, ci sono alcune incongruenze o, meglio, mancate spiegazioni.
è vero che il tempo in cui si svolge può essere qualsiasi, ma qualche elemento in più non sarebbe stato male.
Manuèl ha un furgone, ma non si parla di altri mezzi, magari incrociati, pare essere l'unico.
questi gli unici appunti che faccio, il resto mi pare perfettamente integrato.

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Messaggio Da Petunia Mar Dic 06, 2022 2:45 pm

Un racconto così non si può non amare. Credo che mi porterò diverse frasi nel cuore.
Idea strepitosa, scrittura impeccabile e la dimostrazione che anche paletti in apparenza impossibili possono dar vita a racconti di grande spessore. 
Ti ringrazio autore per averlo scritto. Una voce che si leva in punta di piedi ma che è in grado di compiere un viaggio straordinario. Penso che ogni lettore tragga un qualche insegnamento o sia stimolato a riflettere su ciò che conta davvero nella vita e quanto preziosi siano certi incontri durante il cammino. Un racconto, forse, oltre la gara.
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Messaggio Da Fante Scelto Ven Dic 09, 2022 11:56 pm

Penso che la storia non sia reale ma surreale, perché non c'è praticamente nulla di concreto, nessun appiglio alla realtà, solo qualche frammentario indizio che può essere lì per un motivo come per un altro.
Più che un viaggio è un sogno, un percorso spirituale, fuori dal tempo.
Nessuno dei personaggi ha un volto o una descrizione.
C'è un furgone, che può appartenere agli anni '30 come ai giorni nostri.
C'è un soldato che indossa "una delle tante divise delle tante guerre", affermazione che forse ha un senso ai tempi del Medioevo, ma che perde di concretezza nella contemporaneità.
C'è questa cucina mobile che, ovunque si fermi, attira queste persone bisognose, come la luce fa con le falene; le sfama, le rincuora in qualche modo, fa loro ritrovare amore per la vita.
Qualcuno torna in seguito, i più no.
Alcuni lasciano oggetti, o un'offerta.
Mi ricorda molto certe usanze giapponesi antiche, e forse non è un caso.
Anche il mondo in cui questo viaggio si svolge, fatto di guerre, sofferenza, addii: è tutto evanescente, come se personificasse "il mondo" e non un luogo fisico.

Funziona?
Non te lo so dire.
Mi ritraggo un po' di fronte ai temi molto generici della sofferenza, del mondo che va a rotoli, perché mi sembrano un po' didascalici, anche quando sono inseriti in una storia curata e delicata come la tua.
La scelta onirica, a me personalmente, non fa impazzire.

Certamente la scrittura è molto valida e questo non si discute, anche se la prima parte mi sembra più sottotono: ci sono delle ripetizioni, dei soggetti evitabili, alcune frasi un po' basiche.
Poi nella seconda tutto diventa più fluido ed efficace.

Bene i tre elementi, e mi piace molto il nome del corvo.
Un buon lavoro che, per semplice questione di gusti personali, non mi ha preso fino in fondo.
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Messaggio Da tommybe Sab Dic 10, 2022 10:05 am

Una cosa sola mi scoccia in questo racconto: sei molto bravo e lo mostri, lo dimostri. Non riesci a tenere nascosta la tua qualità, la sbatti subito in faccia al lettore, fin dalle prime righe, senza manierismi inutili. 
La cucina mi ha ricordato un racconto dove c'era una libreria aperta al mondo dove tutti potevano leggere e lasciare i loro racconti che nessuno aveva mai letto e volendo portarli via tutti, come la 'katana' che non vuole più storie diverse, non vuole più disprezzo, indifferenza e violenza.
E forse qualcosa cambierà davvero.
Vero è che è tutto troppo generalizzato, ma è anche vero che buona parte appartenga ai personaggi, che più tristi non si può. Complimenti, autore.
.
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Messaggio Da FedericoChiesa Sab Dic 10, 2022 4:12 pm

"All'ombra dell'ultimo sole": ecco, questo mi ha ricordato l'inizio del tuo racconto. Non si chiede, si aiuta. Non si parla, è inutile.
"Into the wild": con questo film ho vissuto la fine della storia.
In mezzo, poche parole e tante emozioni.
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Messaggio Da Antonio Borghesi Dom Dic 11, 2022 6:28 pm

Bellissimo e tu sei bravissimo (autore è neutro). Io chiuderei i mei commenti in queste due sole parole ma ne meriti delle altre che probabilmente non so scrivere e che non sarebbero all'altezza del tuo scritto. Non bado mai ai paletti anche perchè se tu, autore, non li avessi rispettati non saresti stato ammesso. Sul mio podio ci sei senz'altro. un piccolo passo alla volta.
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Messaggio Da Molli Redigano Lun Dic 12, 2022 11:26 pm

Circa la scrittura non ho niente da dire se non inchinarmi a cotanta cura. Ritengo che l'Autore abbia dapprima creato la trama, poi plasmato ad essa la scrittura. Ma per avere un ottimo risultato ha dovuto percorrere la strada anche al contrario, sondando la scrittura adattata a una trama così particolare.

Tale particolarità narrativa, non aiuta il buon commentatore. Io, che un primo passaggio lo faccio ai limiti del disinteressamento, mi sembrava di trovarmi di fronte al furgone di Mimmo il porcaro (che in realtà è egiziano) all'angolo tra via Cigna e Corso Novara. Indagando i paragrafi, le righe, ogni parola, può tuttavia svelarsi una sorpresa che a mio avviso sta nel metodo con il quale è stato costruito questo racconto. Dimostrazione, senza dubbio, di come la scelleratezza dei paletti (in senso buono, non me ne voglia il CdL) sia capace di dar del concreto a certi stimoli. E qui, meno male, il merito è tutto dell'Autore. 

Sopravviverebbe questo racconto fuori dal paradiso nel quale è stato concepito? Onestamente, non saprei. Perché sinceramente se lo leggessi senza cucina, senza corvo, senza fante, senza Akimizu forse non mi impressionerebbe allo stesso modo. Non possiamo far finta di niente: il nostro giudizio è influenzato dagli stessi paletti. E se così è, allora io ti faccio i complimenti. 

O forse no.

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Messaggio Da Danilo Nucci Mar Dic 13, 2022 1:50 pm

Ecco un altro racconto nel quale i vincoli si sciolgono impercettibili in mezzo alle parole e alle atmosfere.
Non ho molto da dire sul brano se non che ho trovato in esso tutto quello che posso aspettarmi da un racconto breve: una storia, un’atmosfera, un messaggio carico di immagini simboliche, una forma e uno stile senza sbavature.
Fra i vari dialoghi prediligo questo:
‒ I fantasmi non mi lasceranno mai.
‒ Forse sì, forse no. Ma non è detto che tu debba essere loro prigioniero. Non sei il primo che deve viaggiare con questi compagni di strada.

Sarà difficile scalzarti dai miei primi posti.
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Messaggio Da ImaGiraffe Gio Dic 15, 2022 2:05 pm

Un racconto che definirei senza appigli. il messaggio è bello, la scrittura pure ma non mi suscitato nulla.
Va bene puntare su un messaggio emotivo ma poi il testo deve essere anche accattivante.
I paletti sono inseriti bene nel testo perché il testo parla di altro. la spada poteva essere una pistola e il corvo poteva essere un pappagallo.
La cucina poi è bella mi piace così ma rimane sullo sfondo di una storia che appunto vuole raccontare altro.
Un altro difetto, per me, è la mancata collocazione temporale e spaziale. Anche da questo punto di vista il racconto non ha appigli e questo di certo confonde e allontana un lettore come me. 
Credo che sia una viaggio simbolico ma anche in quel caso non mi convince. 
In conclusione un racconto che vuole emozionare mandando un messaggio che io ho trovato forzato e non accattivante per uno step.
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Messaggio Da Achillu Sab Dic 17, 2022 6:02 pm

Ciao Aut-

All'inizio ero un po' perso; in particolare ho fatto fatica ad associare il corvo al suo nome, Roa. Con la seconda lettura sapevo cosa mi aspettava e mi sono goduto di più l'inizio.
Suppongo, dal nome Alejandro, che il racconto sia ambientato in Spagna o qualche nazione ispanofona; faccio notare che in spagnolo Manuel si scrive senza accento, ma casomai sarebbe Manuél con l'accento acuto.
"I corvi sono intelligenti e Roa credo lo sia molto." Verissimo. Ho letto di tanti corvi ma Roa è stato il primo a essere intelligente.
Mi è piaciuto molto il racconto basato praticamente sul non detto, dall'inizio alla fine. Non sappiamo perché Alejandro voleva buttarsi, non sappiamo perché Manuèl vada in giro con la sua cucina, non sappiamo nulla di nessuno degli ospiti se non l'attimo in cui incrocia le vite dei due protagonisti. E pure il senso dei due protagonisti è solo nel momento presente.
Il finale cambia punto di vista: da Alejandro a Manuèl. Ma sai cosa? Roa è assente in mezzo al racconto; se il racconto si mantenesse come punto di vista sul corvo, direi che il cambio di punto di vista nel finale non si noterebbe nemmeno (e comunque ti dico un segreto: quasi non si nota lo stesso; forse perché in mezzo al racconto il punto di vista è su entrambi i protagonisti).
La cucina come servizio l'ho vissuta in prima persona, è proprio così come l'hai descritta, mi ci sono ritrovato e riconosciuto. Il corvo, se escludiamo la parte centrale, c'è. Mi è piaciuto molto l'episodio del violino che è servito per introdurre la katana Akimizu in un modo praticamente naturale; senza violino avrebbe suonato di sicuro artificiosa, quindi molto bene. Il fante è uno dei protagonisti, sia pure disertore. Paletti promossissimi.

Grazie e alla prossima.

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Messaggio Da tommybe Sab Dic 17, 2022 7:11 pm

Secondo giro di letture, un passo obbligato per uno come me che ha i commenti brevi, rattrappiti nell'incompetenza del farli. Una commentatrice con vivace e bella voce ha scritto che questo racconto va oltre la gara.
E io sono d'accordo con lei, l'autore è un fuoriclasse, uno dei doni di Dio a Different Tales.


Ultima modifica di tommybe il Dom Dic 18, 2022 10:01 am - modificato 1 volta.
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Messaggio Da Susanna Sab Dic 17, 2022 11:12 pm

Sto andando un po’ a rilento con le letture, non essendo tanti i racconti li sto leggendo con calma: è uno step in cui ho trovato qualcosa di diverso. Non saprei cosa, è una sensazione, forse solo un momento così…
Questo racconto è tra quelli letti finora quello che più mi ha colpito. È un racconto tranquillo, non accade nulla di eclatante, tranne il salvataggio iniziale, ma al pari di un altro racconto che parla di un viaggio - anche lì con un corvo fuori dall’ordinario - “accadono” persone più che avventure o peripezie. Questa frase mi era sfuggita nell’altro commento: accadono persone, là su un treno, qui seduti a un tavolo. Ci sono i posti - indefiniti - , le soste in posti isolati, ma soprattutto ci sono le persone, col loro bagaglio di dolori, amarezze, con vite stravolte per sempre da guerre o violenze. La mia personale interpretazione è che siano persone che vogliono “non vivere” più, essere invisibili: basta loro un po’ di cibo e di calore umano, anche il silenzio di una vicinanza che nulla chiede in cambio, per poi riprendere il loro viaggio, alla ricerca di qualcosa per cui valga la pena di non abbandonarsi alla morte o all’indifferenza per tutto.
Un racconto che mi ha emozionato molto: scritto davvero superbamente, nella semplicità di una trama senza picchi la Penna ci ha messo un mondo, con personaggi ben tratteggiati attraverso i dialoghi.
Se proprio vogliamo parlare dei paletti… la cucina c’è, eccome, poi abbiamo un corvo che riconosce il dolore e il sollievo di essere salvato, l’ha provato; una spada che ha bisogno di una nuova vita, al pari delle persone che si fermano a mangiare. Un soldato, che la guerra e le sue inutili violenze hanno svuotato.
Un racconto che sa anche di speranza: un violino, un pentolino per preparare la crema, il mare… occasioni per riprendersi un pezzetto di vita.
Bravissima Penna.

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"Quindi sappiatelo, e consideratemi pure presuntuoso, ma io non scrivo per voi. Scrivo per me e, al limite, per un'altra persona che può capire. Spero di conoscerla un giorno… G. Laquaniti"
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Messaggio Da caipiroska Mar Dic 20, 2022 1:17 am

Ma che bello questo racconto!
Una storia che rimane sospesa, indefinita, fuori dallo spazio e dal tempo, in un luogo vicino e allo stesso tempo lontano, con personaggi sfuggenti eppure saldi. Un racconto che non ha punti di riferimento e per questo parla con un linguaggio universale perchè parla di emozioni, di quello strano perdersi e di quel ancora più misterioso ritrovarsi.
Il testo ha lo strano merito di disorientare, perchè non offre i soliti appigli concreti sui quali si srotola un racconto, ma appunto, togliendo i perchè, limando al minimo le informazioni sui personaggi e le loro storie, diventa in automatico un brano nel quale ci si può identificare, in quello scomodo specchiarsi e riconoscersi vinti in alcuni frangenti tossici della vita.
Riconosco anche il merito della "cura" di Manuel (bel personaggio, al limite tra sciamano e psicologo): dare valore agli altri nei discreti gesti dell'ascolto e dell'accoglienza.
Un bel racconto con un bel messaggio!

fino a una radura, un po’ discosto dalla strada. discosta, perchè i riferisce alla radura.
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Messaggio Da Nellone Mer Dic 21, 2022 10:44 am

Un racconto che vuole introdurre argomenti forti e suscitare emozioni nel lettore e in questo ci riesce, devo essere onesto. Però mi pare che, affrontando tematiche del genere, si cerchi di impressionare il lettore più con i sentimenti che con il testo: sembra difficile parlare di morte, sofferenze e angoscia ma alle volte si riesce più efficacemente a fare ciò che inventarsi una barzelletta. La scrittura, per quanto formalmente corretta e abbastanza scorrevole, non mi ha colpito particolarmente. La trama e la conduzione sanno un po’ di Piccolo Principe, con qualche trovata originale. Il lessico è semplice e puntuale e anche la forma è corretta ma manca qualche cambio di ritmo: ad esempio, l’episodio della signora che prepara la crema viene liquidato secondo me troppo in fretta e, così come il violinista, non lascia grande traccia di sé nel resto del brano. Peccato che si vada a capo pressoché ogni riga, quindi senza una grande gerarchizzazione fra periodo e capoverso.
Nel complesso non è proprio il mio genere ma non lo trovo male. Arriviamo all’uso dei paletti: interessante il corvo, che ha un ruolo determinante, la spada la vedo un po’ forzata… Il fante riscopre la sua natura nel finale e questo è decisamente un bene. L’uso della cucina è molto azzeccato anche se forse non centralissimo: questa sì che è un’idea originale! Nel complesso, quindi, un brano ben riuscito ma che, forse per gusti personali, non riesco ad apprezzare fino in fondo.

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Messaggio Da paluca66 Gio Dic 29, 2022 7:39 pm

Mi tolgo subito il pensiero segnalando l'unico refuso che ho trovato:
Battaglie e sangue, che affioravano per alcuni istanti di notte ma di cui durante il giorno tacevano.
Errore che salta tanto più all'occhio in rapporto alla perfezione, all'eleganza, allo splendore di una scrittura che affascina e cattura.
I paletti, sono inseriti con una tale naturalezza da non sembrare... paletti.
Essere riuscit* a scrivere un racconto così perfetto con i terribili paletti di questo step fa di te un/a campion* di scrittura e che ci regala un racconto da leggere e rileggere e da tenere sempre ben presente per chi, come me, ha ancora tanto da camminare e imparare.
Posso solo dirti grazie per le emozioni e per le splendide sensazioni che hai saputo trasmettermi.

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Messaggio Da Arianna 2016 Ven Dic 30, 2022 11:10 pm

Leggere l’incipit di questo racconto mi ha fatto venire in mente un mucchio di cose, ma qui non importano, sono cose mie.
Di persone che il salto l’hanno fatto ne ho conosciute diverse, tra amici, parenti e conoscenti. Mi sembra di avere capito che, se uno è davvero convinto, non c’è proprio niente che conti per tirarlo indietro.
Ma esiste una zona grigia. Una zona grigia di cui di solito quasi nessuno si accorge, e in quella zona grigia c’è ancora un margine di manovra, di intervento.
Leggere il resto del racconto mi ha fatto venire in mente la vita, la vita che, anche se perduta e soffocata, cerca la sua strada, come i semi che, caduti tra le fessure, germogliano e spaccano l’asfalto. E le cose che nutrono la vita sono molte, diverse, a volte inaspettate.
La fine mi dà una speranza: che forse camminare – e vivere –  con le proprie ombre, come fanno Alejandro e Manuèl, sia possibile.
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Messaggio Da Asbottino Sab Dic 31, 2022 10:38 am

Un racconto sospeso. A iniziare dal titolo. Quel "forse" dice tante cose.
Quando scrivo mi accorgo che lo uso troppo. Per me è una forma di insicurezza. Se sono sicuro di quello che scrivo perché usare la parola "forse"? E allora cerco di eliminarlo. Il più delle volte ci riesco. Il più delle volte le frasi possono vivere anche se un "forse".
Tu ci costruisci sopra la tua storia, un viaggio che non è un viaggio ma uno spostamento nel tempo, dove le tappe sono incontri, cene cucinate e consumate, oggetti che cambiano padrone e trovano una vita nuova.
C'è molta poesia, un significato profondo. Forse non particolarmente originale, ma c'è. L'atmosfera sospesa lo rende meno concreto di quanto potrebbe essere, però.
La scrittura è splendida, molto ispirata. Un po' chiusa in sé stessa, va detto, un po' incurante che ci sia qualcuno dall'altra parte ad ascoltare. Di nuovo quel "forse"...
Nel complesso non posso dire che non sia un racconto affascinante, che gestisca molto bene i paletti. La cucina resta un po' sospesa anche quella, è una stanza itinerante che serve come luogo di incontro, ma di nuovo non posso dire che non sia una parte importante.
Quanto al racconto di viaggio direi che ti muovi davvero sui confini del genere. Non c'è un posto riconoscibile in tutto il racconto. Il racconto parla di un percorso, di cambiamento, ma non di un viaggio vero. Avresti potuto inserire la stessa storia in un viaggio fatto di posti dove sei stato. La storia non avrebbe perso la sua poesia, ma avrebbe guadagnato in concretezza.

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Messaggio Da Akimizu Mer Gen 04, 2023 10:33 am

Ciao autore, davvero un racconto potente il tuo. Mi piace anche pensare che il nome Roa, visto che la katana Akimizu è centrale nella narrazione, sia un omaggio al suo proprietario: Roronoa Zoro. Sciocchezze a parte complimenti davvero. Le atmosfere sospese di questo testo, senza tempo e luogo, ne fanno una grande metafora, un monito ma soprattutto una speranza. Eppure, paradossalmente, questa sospensione è la forza del testo e al contempo la sua più grande debolezza. Per due motivi: uno riguarda il genere. È un racconto di viaggio, ci sta, in effetti è un viaggio, ma anche nel "signore degli anelli" c'è un viaggio (è un esempio estremo eheh), ma nessuno si sognerebbe mai di definirlo odeporico. Quello che voglio dire è che il tuo viaggio non ha nulla di concreto, non ho visto i luoghi visitati e non potrò mai vederli perché non esistono. Il secondo riguarda la reale partecipazione emotiva. Nel senso, se tutto è solo accennato, fantomatiche guerre, povertà, addirittura schiavi, ecco, mi tocca vederlo da lontano, non ne sento il sangue vero. Per dire, anche un viaggio tremendo come quello de "la strada" di McCormick, che è ugualmente sospeso e indefinito (e finisce al mare tra l'altro), ha comunque delle coordinate, sappiamo che siamo in Nordamerica, costa ovest. È comunque contestualizzata. In "Anna" di Ammaniti ci troviamo in Sicilia. Il paesaggio e gli ambienti sono distorti, distopici, distrutti, ma quanta forza hanno rispetto agli stessi ma eventualmente decontestualizzati? Spero di essermi spiegato. A rileggerci!
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Messaggio Da tommybe Mer Gen 04, 2023 3:57 pm

Forse riesco a scriverlo.
'La strada' l'ha scritto Cormac McCarthy.
E il tuo commento a questo racconto è comunque meraviglioso.
Caro Akimizu.
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Messaggio Da SuperGric Mer Gen 04, 2023 8:28 pm

Bello bello. Molto toccante. Un messaggio chiaro, ecumenico, quasi una parabola. Se devo dirlo, e mi dispiace, forse un po’ troppo edificante. Ma la sua forza è il linguaggio semplice fatto di sensibilità e di sottrazione, e la potenza dei personaggi con i loro carichi di dolore.
Alejandro è particolare. È l’unico che viene salvato direttamente, che viene chiamato e che segue Manuèl per un tratto del cammino. Gli altri arrivano da soli e se ne vanno. Alejandro è una sorta di discepolo, infatti alla fine segue le orme del maestro e va a compiere a sua volta (forse) piccoli gesti con la spada (che prima era stata di Manuèl?). La katana, come il soldato, da strumento di morte diventa portatrice di bene.
Ottimo racconto! C’è da imparare tanto, nella forma, nel linguaggio e nella complessa semplicità di questa splendida scrittura.
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Messaggio Da vivonic Dom Gen 08, 2023 11:41 am

Ciao, Autore. A me questo racconto è piaciuto fin dalla prima lettura, e mi piace ancora adesso a distanza di più di un mese. 
Cito Achillu solo per chiederti perché hai scritto Manuel in quel modo... Poi ce lo spiegherai, perché non trovo riscontri in nessuna lingua che conosco.
Ho poco da dirti, perché quando un racconto piace così tanto non c'è niente che puoi dire che sia utile all'Autore. Resta da fare i complimenti e poi, se si tratta di un concorso, restano i punti che puoi conferirgli...

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Un giorno tornerò, e avrò le idee più chiare.
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Messaggio Da Menico Lun Gen 09, 2023 4:50 pm

Emozioni, no: di più! Leggendo mi è venuta in mente una frase dell'ultima lettera di lord Baden Powell ai suoi ragazzi: "preoccupatevi di lasciare questo mondo un po' migliore di come lo avete trovato".
Non importa in che tempo è ambientato, non importano i luoghi che attraversa: è importante il messaggio che trasmette nell'intimo del lettore.
Complimenti, autore!

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Messaggio Da Arianna 2016 Ven Gen 13, 2023 12:42 am

Questa volta faccio un ringraziamento collettivo qui a tutti, anche perché il racconto è piaciuto molto e in tantissimi lo avete votato, spesso piazzandolo al primo posto: grazie mille!
Non mi è sembrato vero, quando leggendo i parametri dello step ho visto che questa volta non c’erano determinazioni temporali o spaziali da rispettare: sono cose che ogni volta mi mettono in grande crisi, perché la mia mente, come altre volte ho detto, le considera non essenziali. Come in diversi avete notato, quello che ho raccontato è universale, ed è così che di solito lavora la mia mente: va a cogliere gli elementi essenziali e quindi universali di un’esperienza, di un’emozione.
Per qualcuno questo è un difetto del mio modo di scrivere, per altri è un pregio, e per fortuna questa volta ha prevalso l’idea che fosse un pregio.
Mi sono ridotta, come sempre, un po’ all’ultimo, anche se questa volta a causa di una delle mie feroci crisi di vertigini: mi hanno salvato i giorni di proroga per la consegna.
Così ho deciso che, dato che mi era stata data questa occasione, come paletti e come tempo, avrei scritto quello che mi pareva e come mi pareva, senza stare a preoccuparmi di quello che sarebbe arrivato in fase di commento. Diverse volte ho pensato “Pinco criticherà questo, Pallo criticherà quest’altro, quindi lo cambio o non lo scrivo”, e ho combattuto ogni volta questi pensieri, li ho lasciati andare via, ho lasciato che venisse quello che doveva venire.
E quello che è venuto è piaciuto molto quasi a tutti, per questo sono contenta e davvero vi ringrazio.

Di dubbi ne sono saltati fuori pochi. Provo a sciogliere quelli che riesco.
Primo fra tutti, il nome Manuèl scritto così.
Faccio una premessa. I nomi propri sono per me sempre un altro grosso problema: sono determinazioni di cui la mia mente non sente il bisogno, tanto che spesso, se posso, non li uso. Se sono obbligata a usarli, ne uso il minor numero possibile.
Se però li uso, di solito hanno un senso.
Mi stupisce che nessuno mi abbia criticato come un’ovvietà il nome del corvo, Roa, ma per me il corvo non poteva chiamarsi che Roa: il nome mi è apparso in mente nel momento in cui ho deciso di usare il corvo.
Roa era il corvo di Konrad Lorenz, il corvo di cui racconta ne L’anello di Re Salomone, un corvo molto intelligente che aveva capito che “Roa” era il suo nome e che usava per distogliere il suo amico umano, Lorenz, da situazioni che lei percepiva come pericolose.
Uguali critiche, che invece non sono arrivate, mi aspettavo sul nome Alejandro, che credevo qualcuno avrebbe considerato banale, abbinato ad Akimizu, dato che appunto Akimizu si chiama Alessandro. Per questo motivo non avrei voluto usarlo, per giorni ho cercato un nome alternativo, che però non è arrivato: il ragazzo doveva chiamarsi Alejandro, per la suggestione legata ad Alejandro Murieta, che nel film La maschera di Zorro raccoglie l’eredità di don Diego De La Vega, il primo Zorro. C’è un’eredità di intenti che passa da una persona all’altra, così come una spada, e non si pensa a Zorro senza una spada.
Infine Manuèl.
Questo non lo spiego, perché è una cosa un po’ personale, ma era importante per me che questo nome venisse letto con l’accento sulla “e” e non all’italiana, con l’accento sulla “a”. Io non conosco lo spagnolo, ma in effetti avevo trovato che, per rispettare la grafia corretta, avrei dovuto scrivere il nome senza accento. Mi sono presa una piccola licenza grafica, per far sì che il nome venisse letto da tutti nel modo corretto.
Ho scelto l’accento aperto perché corrispondeva di più alla pronuncia che avevo in mente.

Non aggiungo niente sui significati del racconto, perché li avete colti tutti molto bene:
- Byron: il viaggio spirituale, la gradualità, la vita che è fatta di piccoli gesti mai inutili, anche quando invece temiamo lo siano; e sì, io do peso ai complimenti, non sono scontati, sono di quelle piccole cose che fanno andare avanti, quindi grazie.
- Arunachala: sono contenta che le emozioni siano arrivate
- Petunia: sì, cosa conta davvero nella vita? Che cosa ha valore? Quest’anno come non mai ho sentito l’importanza della rete di relazioni
- Fante: i tuoi commenti mi lasciano sempre di stucco, perché apparentemente il racconto non ti piace, poi però dici cose che ne colgono davvero il significato: “le sfama, le rincuora in qualche modo, fa loro ritrovare amore per la vita.”
- Tom: l’apertura del bene a chi ne ha bisogno
- Federico Chiesa: “Il pescatore” è stata la mia canzone preferita da ragazzina, quando negli scout scoprii i cantautori
- Antonio Borghesi: grazie
- Molli: non è che io usi del gran metodo, quando scrivo, diciamo che forma e contenuto vanno insieme, senza starci a pensare troppo; sono contenta di esserti piaciuta!
- Danilo: sì, devo imparare a camminare con le mie ombre e i miei fantasmi, finché la strada non sarà finita, e si aprirà (spero) su un’altra
- Imagiraffe: la cosa buffa è che io non scrivo mai con un’intenzionalità: io non “voglio” emozionare né “voglio” mandare messaggi; se succede, è qualcosa che succede e basta
- Achillu: vedi sopra per il nome Manuèl; sai che non avevo notato il cambio del punto di vista? E hai colto una cosa di cui non mi ero accorta: l’accento sul momento presente, che in effetti è importante per vivere e mi dice qualcosa di me adesso
- Susanna: sì, “accadono persone”, e alle persone accade di non volere vivere più, allora si cercano piccole cose che permettano di riprendersi pezzetti di vita
- Caipiroska: sì, sentirsi ascoltati e accolti è una gran cosa, ora me ne rendo conto più che mai; spero di non causare danni, rientrando nella vita normale
- Nellone: un’altra delle mie letture che affiora: Il Piccolo Principe
- Paluca: sono contenta che le mie emozioni e sensazioni passino in quello che scrivo
- Asbottino: un viaggio che è uno spostamento, un racconto sospeso… come sospesa è la vita…
- Akimizu: per Roa, vedi sopra; una speranza… sì, è vero, nonostante tutto, ancora entra nei miei racconti, cosa che in effetti mi stupisce
- Supergric: “un linguaggio fatto di sottrazione”: hai colto quello che davvero cerco di fare, di togliere le parole che sono di troppo; il passaggio delle consegne da Manuèl ad Alejandro, la morte che diventa vita e bene…
- Vivonic: ecco spiegata la grafia di Manuèl
- Menico: eh, sì, sono stata scout, quella frase la conosco; e la Promessa è per sempre, almeno per quanto mi riguarda
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