Voi dove eravate voi quando hanno assalito le torri gemelle? Dove eravate quando il tritolo della mafia disfaceva Borsellino e la sua scorta? Voi dove eravate, quando vidi quella macchia di sangue?
Mi chiamo Ulisse e sono il padre di Matteo.
Io sono il padre di Matteo, quel Matteo di cui avete letto sui giornali e di cui avete sentito parlare in quei programmi televisivi che grufolano nella spazzatura della vita.
Mi chiamo Ulisse e sono il padre di un assassino.
Figlio e assassino. Quanto dolore provoca appoggiare queste due parole nella stessa frase.
Le colpe di padri non ricadono sui figli, sono d’accordo con voi. Ma quelle dei figli chiamano in correità i genitori. Essere il padre di un assassino vuol dire essere colpevole. Quale, in particolare, sia la mia colpa, ancora non lo so. Sono qui per capirlo insieme a voi. Aiutatemi a capire dove ho sbagliato, perché io ho sicuramente sbagliato.
Pensateci: se non ci fossero genitori di assassini, non ci sarebbero più assassini.
Dove eravate voi, quando vidi quella macchia di sangue?
Io ero in garage. Nel nostro garage, in via Lamarmora. Un box doppio in cui possono stare comodamente due auto. I miei genitori, al momento del rogito, nei primi anni Sessanta del secolo scorso, comprarono anche il box dei vicini, i signori Poli, che non avevano auto e che non pensavano che ne avrebbero mai avute. Se fossero stati loro, i miei genitori, a vendere, se papà fosse stato meno preveggente, o, a seconda di come volete vedere le cose, molto più preveggente, io non racconterei questa storia. O almeno non parlerei del garage.
Una macchia di sangue grande quando una torta. Una torta senza ciliegina, perché il sangue è già rosso amarena. Cosa ci faceva del sangue in garage? Lo toccai con una mano: era quasi totalmente rappreso. Mi guardai il dito e l’avvicinai al naso: non è piacevole, se lo volete sapere, l’odore del sangue.
Immaginai che un animale - un topo, forse? – avesse incontrato il suo tragico destino nel nostro box. Magari, investito mentre parcheggiavamo nell’autorimessa. Mi misi in cerca dei suoi resti. Guardai sotto il divano che dieci anni prima avevamo temporaneamente piazzato in garage. Quelle cose che sono temporanee nelle intenzioni e permanenti nei fatti. Non c’era nulla, solo il vecchio martello, scivolato chissà come sotto il divano. Presi il martello e la mia vita cambiò per sempre.
Era sporco di sangue e sulla testa di metallo c’erano dei lunghi capelli chiari insieme a qualcosa che sembrava essere materia celebrale. Almeno così speculai, visto che ignoravo come fosse fatta la materia celebrale.
Niente a che fare con il topo. L’unico animale da considerare era il più feroce di tutti: l’essere umano. Ma non un essere umano qualunque, non un mostro venuto da fuori, ma uno di noi. Meglio uno dei miei.
In quel garage entriamo in due: io e mio figlio, io e Matteo. Mia moglie, la mamma di Matteo, se n’è andata quindici anni fa. E’ tornata negli USA, insieme a un suo studente. Due anni fa sembra sia stata a un passo dal Nobel per la fisica, poi sfumato, all’ultimo.
Matteo aveva una ragazza, Giulia, una bella e simpatica ragazza bionda. La loro storia era finita un mese fa, più o meno, e lui ne era uscito malconcio. Lei mi aveva chiamato una settima fa. Ci conoscevamo bene, veniva spesso da noi, cenava a casa e poi rimaneva a dormire.
“Ulisse, deve parlare con Matteo. Mi telefona continuamente, mi intasa il telefono di messaggi. Mi aspetta fuori casa. Una volta mi ha seguito tutta la sera.”
La sua voce tradiva sia imbarazzo – chissà quando doveva esserle costato telefonarmi – sia preoccupazione, se non proprio paura.
“Ho voluto molto bene a Matteo, lei lo sa. Ma le storie d’amore, a volte, finiscono senza un perché, senza vinti e vincitori. E lui non vuole accettarlo.”
Cominciate a capire meglio, adesso, perché mi sento in colpa. Io sapevo che la cosa poteva degenerare, che stava degenerando. E non l’ho impedito.
Avevo parlato con Matteo. Certo che l’avevo fatto, ora non esageriamo.
“Ma perché le donne ci abbandonano?”, mi disse piangendo.
Non volli indagare, e fu uno dei tanti errori, se quel “ci” si riferisse a noi uomini, o a noi noi. Io e lui. Entrambi sedotti e abbandonati.
Non gli avevo mai parlato male di sua mamma, ve lo giuro. Né mi ero mai abbandonato a commenti neppure minimamente misogini. Ero sempre contento quando andava in America e lo incentivavo ad andare quando voleva. Le rare volte, spesso per ragioni di lavoro, che lei veniva in Italia la ospitavamo a Roma. Una volta siamo andati a cena tutti e quattro. Io, Matteo, sua mamma e lo studente.
Ma forse non era quello che avevo consapevolmente detto o fatto, ma quello che lui leggeva in me, fra le righe della vita, potremmo dire. Era evidente che avevo accusato il colpo della separazione e del divorzio. Nei mesi successivi al suo terribile annuncio - “Mi sono innamorata di un altro” – ero stato sulla soglia della depressione.
Aprivo la finestra della mia disperazione e passavo le ore a rimirare il mio dolore.
Forse anche per questo, Matteo non volle seguire sua madre in America, aveva deciso di rimanere con l’anello debole della catena, con il genitore più fragile.
Col tempo, le cose sono in parte migliorate, il dover essere genitore mi ha sicuramente aiutato e costretto a combattere la depressione e il dolore. Ma, lo capite anche voi, non è compito dei figli assistere i genitori, almeno non quando hanno poco più di dieci anni e i genitori hanno superato la quarantina.
Il problema è che non sono mai comunque tornato l’uomo di prima. Se adesso vi starete chiedendo come può un abbandono sentimentale, cambiare così profondamente il corso di un’esistenza, non so che dirvi. Forse non vi siete mai veramente innamorati o non siete stati mai lasciati dalla persona di cui eravate veramente innamorati.
Se fossi l’avvocato difensore di me stesso, vi suggerirei di considerare la mia vicenda passata come un attenuante per aver sottovalutato il rischio che mio figlio facesse delle assurdità. Io non avevo mai pensato di far del male a mia moglie; a me stesso, spesso, a lei mai. Infatti, io mi concentrai su di lui, stando attento che non facesse un altro tipo di fesseria.
L’accusa, a questo punto, obietterebbe, sostenendo che le persone sono diverse: Matteo ha preso molto da sua madre, ha un carattere più volitivo e proattivo. Avrà forse pensato di fare giustizia, per lui e per suo padre. Avrà pensato che la vita vada presa di petto. Non ti piace una cosa? Cambiala. Il tizio ti ha rubato il parcheggio? Bucagli le gomme. Tua moglie ti tradisce col suo studente, fai un casino inenarrabile. La colpa delle colpe per un genitore: non conoscere abbastanza suo figlio.
Alle colpe morali e educative, aggiunsi quelle legali e penali. Pulì con molta attenzione il martello. Poi lo misi, in acqua e candeggina. Con la stessa candeggina lavai accuratamente la macchia di sangue. Avevo visto sufficienti puntate di CSI per sapere che le macchie di sangue vengono facilmente trovate anche dopo lavaggio. Il pavimento del garage era semplicemente in cemento. Dopo averlo pulito molte volte, grattai la superfice e la coprì con del cemento fresco. In poche ore si sarebbe asciugato. Non avrebbero trovato tracce di sangue o di DNA. Almeno così speravo.
Dovevo salvare Matteo, a tutti i costi. Non ebbi il minimo dubbio.
Vi chiederei cortesemente, di tenere questa ultima cosa per voi. Il mio bambino ha protetto il suo papà fino in fondo. Al processo ha detto che ha fatto tutto lui. Amore di papà. Voi invece ora sapete come andarono le cose. Tenetevelo per voi.
Salì in casa e andai in camera sua. Lo trovai steso su letto in posizione fetale.
“Non ho voglia di parlare, papà.”
“Se mi dici come sono andate le cose, ti posso aiutare. Ho già sistemato tutto in garage.”
“Non ho voglia di parlare, ti ho detto!”
Lo lascia lì. Poi i fatti, come sapete, precipitarono.
Nonostante il mio intervento, come avete visto in televisione, lo arrestarono ugualmente. Molti testimoni confermarono che lui si faceva sempre più minaccioso e aggressivo nei confronti di Giulia. Dopo appena tre ore di interrogatorio serrato, Matteo crollò e confessò tutto. Quando sei un delinquente dilettante, confessare fa parte del gioco. L’aveva uccisa nel garage, caricata in macchina e sepolta in campagna. Ma voi tutto questo lo conoscete già.
Quello che nessuno sapeva è che sono anche io colpevole. Giulia sarebbe viva se avessi capito tutto prima. Se avessi fatto altre scelte, avrei potuto salvarla. Impugnavo anche io quel martello.
Ora conoscete la verità. Non vi nascondo che se non avessi mio figlio da andare a trovare in prigione, forse raggiungerei quella povera donna per chiederle perdono. Forse allenterei il morso doloroso del rimorso.
Ma devo essere qui fra trent’anni, anche meno ha detto l’avvocato, quando Matteo uscirà.
Fra trent’anni ne avrò appena settantasette. Potrò ancora fare il padre.
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Da Il Messaggero, 20 luglio 2023
Finalmente un po’ di chiarezza sull’orribile fatto di cronaca accaduto pochi giorni fa in via Lamarmora. E’ stato arrestato il professor Ulisse Mattei, già ordinario di Demografia alla Sapienza, il marito settantasettenne della donna trovata assassinata con ripetuti colpi di martello al capo. Interrogato dalle forze dell’ordine, l’uomo è apparso molto agitato e in evidente stato confusionale. Ha raccontato agli inquirenti una storia surreale e incredibile: sarebbe stato il figlio a compiere il delitto e lui avrebbe solo occultato le prove per aiutarlo.
La polizia ha piuttosto accertato che la coppia non ha figli.
Allo stato, nulla è dato sapere sul movente del delitto.
Il professore è al momento piantonato presso il reparto di psichiatria del Policlinico Gemelli. Intervistato dai giornalisti, il primario ha confermato che il professore mostra segni di demenza senile, probabilmente l’esito di un Alzheimer in uno stato avanzato.
Dall’archivio del nostro giornale è emerso un particolare dal passato che tuttavia molto probabilmente non è collegato ai fatti recentemente accaduti. La professoressa Giulia Helen in Mattei, la vittima, era stata una trentina di anni fa al centro di uno scandalo dal sapore boccaccesco. Pare che la professoressa fosse stata sorpresa in atteggiamento di inequivocabile intimità con un suo studente in un’aula della facoltà di fisica della Sapienza.
Il fatto, che non aveva dato luogo ad alcun provvedimento disciplinare, non sembra tuttavia aver compromesso il matrimonio con il professor Mattei che è continuato serenamente, come testimoniano i vicini di casa, fino al momento della tragedia.