Quel che rimane della città del vento è una fila di grattacieli spezzati.
Jurek guida veloce verso di loro, sollevando la cenere dal fondo di quello che un tempo era il lago Michigan. Alle sue spalle, nel cassone, sente tintinnare le pentole appese, come campanelle.
«Buon Natale» dice, mentre aumenta la velocità dei tergicristalli. Più si avvicinano a Chicago, più sono avvolti dal vorticare delle ceneri, «sembra proprio che nevichi.»
Keruj accavalla le piccole gambe rosse. Sta appollaiato sulla spalla del suo Alter, con lo sguardo in avanti.
«Quando inizierà a piovere» dice, «si ricoprirà tutto di melma appiccicosa.»
«Non lamentarti, ci pagano bene.»
L’ingresso alla città è preceduto da una fila di blocchi di cemento piantati sul terreno e migliaia di buchi, alcuni ricoperti da grate, altri fumanti. Condotti di aereazione e scarichi della città sotterranea. Li sormonta una collina artificiale sulla cui sommità spuntano decine di semisfere di vetro.
Jurek viene accompagnato fino a un parcheggio interrato da alcuni soldati. Sono tutti umani, indossano una divisa verde scuro a attorno alla bocca tengono avvolta una striscia di stoffa per difendersi dalla cenere. Nessuno di loro osa guardarlo in viso.
«Sono all’antica, da queste parti» dice.
«Un po’ di rispetto non gusta» sentenzia Keruj, emettendo qualche sbuffo di fumo dalle narici.
«Non dire sciocchezze» mugugna Jurek, legandosi i capelli bianchi in una coda prima di scendere dal furgone.
«Maestro Jurek!» sente urlare.
Si volta e si inchina, portando la mano alla fronte.
«Sindaco Fanim, è un piacere conoscerla» dice.
Fanim è circondato da una corte di umani, il suo Alter gli svolazza intorno alla testa, nero e lucido come ossidiana, dello stesso colore degli occhi del sindaco.
«Come ha intuito fossi io?» chiede.
«Signore, non sono poi tanti gli Alter d’ombra» dice Jurek.
«Oh, certo. Come non è facile incontrare un Alter di fuoco come il suo» Fanim scoppia in una bella risata.
«Lui è Minaf» continua Fanim, indicando il suo Alter, «e lei è la nostra Babaja, Eliza. Mentre lei è Aria, una delle Prime sacerdotesse.»
Una donna anziana e una giovane ragazza escono dal gruppo degli umani e si toccano la fronte.
«Saranno loro ad accompagnarla alla mia villa» conclude Fanim, «io sono qua di passaggio, mi hanno avvisato che stavate arrivando e ne ho approfittato. Sto lasciando la città, ma avremo piacere di rivederci alla cerimonia. Non vedo l’ora di assaggiare i suoi piatti.»
Fanim si allontana, non prima di aver lanciato uno sguardo fugace alla ragazza.
«Signore, per noi è un onore averla qua» mormora Eliza.
«La ringrazio, ma non sia troppo cerimoniosa, non serve. Piuttosto, ho portato con me dell’attrezzatura…»
«Non servirà» interviene Aria, «abbiamo tutto ciò che serve nelle cucine.»
Jurek si volta a guardarla bene. Per essere un’umana è piuttosto alta, tiene i capelli chiari ordinati in una crocchia. Gli occhi sono neri e non si abbassano nell’incrociare quelli rossi di lui. Quando sorride le si alza solo l’angolo sinistro delle labbra e le si forma una profonda fossetta impertinente.
«E allora andiamo» dice Jurek, battendo le mani e sprigionando una luce calda, intermittente come brace al vento.
La Babaja si inchina, mentre Aria continua a sorridere. Jurek le fa l’occhiolino.
Un passaggio coperto li porta sino in cima alla collinetta e poi attraverso un largo portone all’interno della cupola più grande.
Dentro cambiano la temperatura e l’odore dell’aria, che sa di gomma bruciata. Jurek storce il naso.
«Si abituerà presto» dice Aria, «qua poi l’odore è più forte perché siamo sopra l’Abisso. È il canale principale della città, l’unico che attraversa tutti i livelli.»
Il gruppo percorre una scala che scende fino al bordo della voragine. Il rumore che proviene dal fondo è un rombo costante, come un lamento. Jurek si sporge dalla ringhiera e guarda giù. Può vedere quattro, cinque livelli al massimo, il resto della città è solo un alone innaturale sul fondo. Centinaia di ascensori salgono e scendono per collegare i vari livelli e si fermano in piccole stazioni gialle che sembrano sospese nel vuoto.
«Questo è il primo livello» dice la Babaja, «l’unico che abbia un cielo.»
Jurek alza la testa e vede le nuvole muoversi lente oltre il vetro della cupola. Qualche fiocco di cenere ci si posa sopra, ma subito scivola via.
«Andate molto in profondità?» chiede Jurek.
«Trentadue livelli.»
«Però» esclama Jurek. Non si aspettava che Chicago fosse così grande, «dalle mie parti si sa poco del Midwest» confessa.
«Quanto è grande Baltimora?»
«È molto più piccola, un solo livello, molto esteso.»
«Alma e umani vivono tutti insieme?» chiede Aria, stupita.
Jurek annuisce.
Lasciano l’Abisso e si incamminano per un sentiero di ghiaia, lasciandosi alle spalle il rumore e addentrandosi in una zona ricca di vegetazione. Acqua pulita gocciola sulle piante tropicali e numerose cupole forniscono la luce naturale.
La villa del sindaco Fanim è una struttura dall’architettura antica, quasi gotica, così alta che arriva a toccare il soffitto del livello.
«La sala da ballo, dove si terrà la cerimonia della Rinascita, è all’ultimo piano» dice Aria, quindi si china verso Eliza, «signora, lei non salga» sussurra, «ci penso io.»
La Babaja si inchina e si allontana.
«Adesso che siamo soli puoi darmi del tu» dice Jurek, iniziando a salire i primi gradini della scalinata esterna.
«Preferirei di no, signore. Qua vigono ancora le antiche leggi. Non potrei neppure guardarla negli occhi.»
«Però lo fai.»
Aria si limita a scuotere le spalle e in silenzio finisce di salire le scale e spalanca la porta della sala da ballo, una stanza rotonda il cui soffitto altri non è che una delle cupole di vetro.
All’interno c’è confusione. L’orchestra sta accennando alcune sonate, mentre i bambini che dovranno partecipare alla cerimonia fanno le prove, controllati dalle Prime. Sono in fila e ridono, facendosi i dispetti. Le loro chiome bianche sono raccolte in piccole trecce decorate con i nastri che simboleggino il loro presunto Alter, ipotizzato dalla Babaja in base al colore dei loro occhi.
Mentre compiono il giro della sala, Jurek e Keruj discutono su come posizionare i tavoli per il buffet, sulle alzate e le decorazioni.
«Certo che è strano» dice Aria, d’un tratto, mentre osserva i bambini che fanno finta di bere il Latte del Cielo «non conosciamo quasi le nostre città eppure tutti conoscono lei.»
«Perché sono il migliore. Non troverà nessuno che cucina con la magia come me.»
«Di sicuro è il migliore a vantarsi.»
Jurek scoppia a ridere. La ragazza lo stuzzica e il gioco gli piace.
«Sono anche il migliore a ballare, vuoi provare?»
Aria lo guarda dritto negli occhi e Jurek ha uno strano tuffo al cuore. Nessuno lo aveva mai guardato così, neanche tra gli appartenenti alla sua razza.
«Perché mi fa questo?» chiede lei, «sa benissimo che non posso toccarla.»
«Ti do il permesso.»
«Non dica assurdità.»
L’orchestra sta suonando un valzer leggero.
«Balliamo senza toccarci. Dimmi di sì o lo dirò alla Babaja.»
Jurek la ammonisce con l’indice e sorride.
«E balliamo» sbuffa Aria.
I due si mettono uno di fronte all’altro, vicini, con i palmi a pochi centimetri. Jurek sente il profumo di lei e nota che i suoi occhi sono così scuri che non si distinguono le pupille.
«Un, du’…» dice e iniziano a danzare.
Dapprima sono rigidi, ma il valzer è lento e riescono a sincronizzare il respiro, il dai e vai dei piedi, i battiti delle ciglia. Le bambine li vedono, qualcuna sceglie una compagna e inizia a ballare. Keruj tiene il tempo battendo le piccole mani e produce una miriade di scintille. La gonna lunga di Aria si alza e lascia scoperte le caviglie. Lei sorride, di quel beffardo e malinconico sorriso storto con una fossetta sola.
Poi di colpo la musica finisce e loro si fermano, ansimanti.
«È quasi ora di cena» dice Jurek, «ti preparo qualcosa? Ci vuole un attimo, basta una bistecca, ci metto una mano sopra e il gioco è fatto.»
Aria lo fissa, come se stesse cercando di leggergli dentro.
«Ho un’idea migliore» dice.
Aria si è sciolta i capelli e veste un completo blu scuro, con una gonna aderente che le arriva alle ginocchia.
«Keruj è meglio si nasconda» dice, «dove stiamo andando gli Alma non si vedono spesso.»
«Mi devo travestire?» chiede Jurek.
«Mimetizzare» puntualizza Aria, aprendo la borsetta e tirando fuori una cuffia, «metti questa per non far vedere il colore dei capelli.»
Jurek sospira e indossa la cuffia, mentre Keruj s’infila nella borsetta.
Sono fermi a una delle tante stazioni poste a intervalli regolari lungo l’anello che circonda l’Abisso.
«Ci sono ascensori che fermano a tutti i livelli. Noi prendiamo il diretto per il ventunesimo…» spiega Aria, salendo su una cabina e sedendosi.
«Perché è dove si mangia meglio» conclude Jurek.
«Esatto.»
L’ascensore comincia la discesa con un lieve scossone. Dai vetri della cabina Jurek nota le diversità di ogni livello.
«Ci sono dei livelli quasi interamente agricoli» spiega Aria, «altri residenziali o commerciali.»
Jurek annuisce, ma non è attento come dovrebbe. È incantato da come lei muove le mani mentre parla e da come annuisce, dandosi ragione ogni volta che finisce un concetto.
«Parlami di te, invece» chiede Jurek, d’improvviso.
Aria si blocca, si morde un labbro.
«Inizi lei» dice.
«C’è poco da dire. Non ho parenti in vita, non ho affetti. Viaggio molto, ma alla fine sono sempre solo. Fine.»
«Non è solo, c’è Keruj.»
«Ma lui è me e io sono lui, non conta.»
«In che senso?»
«Siamo un’entità singola. Al punto che se si allontana troppo proviamo dolore.»
«Molto dolore?»
«Se ti staccassero un braccio, quanto dolore proveresti?»
«Parecchio.»
«Già. Ora però è il tuo turno, raccontami.»
«Vivo da sempre al convento delle Prime, ma sono ancora una novizia, non so neanche come distillare la pioggia per ottenere il Latte del Cielo. Mia madre è morta durante il parto, non ho mai conosciuto mio padre. Fine.»
«Ci somigliamo» sussurra Jurek, allungando la mano verso quella di Aria.
«Purtroppo no» dice lei, allontanando il braccio.
L’ascensore frena piano, con un leggero rinculo, e le portiere si aprono sibilando.
Il ventunesimo è un livello con il soffitto basso, le case sono tutte a un piano, di lamiera o muratura leggera. Le luci colorate dei negozi e dei locali si fondono con quelle bianche delle bancarelle lungo le strade strette. Una cortina di fumo copre ogni cosa, come una leggera nebbia mattutina.
«Cibo da strada» dice Jurek, entusiasta.
Passano diverse ora a passeggiare e a mangiare. Jurek sente sapori diversi, chiede indicazioni a chi prepara il cibo, prende appunti, trova idee.
«È bello qua, non trova?» chiede Aria, mentre finisce di leccarsi le dita.
«Sembra proprio che la gente sia felice.»
«Sì, ma è solo un’impressione. In realtà mancano un sacco di cose, a partire da quelle importanti, come diritto di voto o dal divieto di viaggiare, fino alle cose frivole, come doversi tingere i capelli quando diventano bianchi, per non confondersi con voi.»
«Non potete lasciare Chicago?»
«Solo gli Alma possono. Sarebbe bello se il Latte del Cielo donasse la magia anche agli umani, così saremo tutti sullo stesso piano.»
«Potremo esserlo comunque.»
«Non dica assurdità. La magia è un fattore che crea troppo squilibrio. Il sindaco Fanim può far sparire nel buio l’intera città in meno di un minuto. Da domani potrebbe revocare i privilegi degli Alma, ma saremo davvero uguali?»
Jurek sospira. Aria ha ragione.
«Qualche umano ha provato a bere il Latte» continua lei, fermandosi, «che io sappia, sono tutti morti. Ma potrebbe anche non essere vero, bugie per non farci nemmeno provare.»
«Mi spiace.»
«La verità è che siete figli maledetti. La pioggia bianca ha creato voi e ucciso tutto quello che stava in superficie. Ti sembra uno scambio equo?»
«Mi hai dato del tu.»
Aria alza le spalle e riprende a camminare.
«Varrà poco» dice Jurek, «ma mi piacerebbe se le cose cambiassero. Non so come, certo, ma un modo ci deve essere.»
Arrivano in una piazza, un lastricato regolare e una fontana, un gruppo di musicisti sta suonando per qualche spicciolo. Sono tutti concentrati e sudati, con una sigaretta spenta tra le labbra, come un vezzo.
«Cosa suonano?» chiede Jurek.
«È rock ‘n roll. Musica del secolo scorso, da queste parti va molto di moda.»
«Da queste parti se vedono una ragazza e un tizio con una cuffia ridicola che ballano si scandalizzano?»
Aria ride, si sistema una ciocca bionda dietro l’orecchio.
Jurek le stringe la mano e stavolta lei ricambia.
«Pensavo fossi molto più caldo» dice lei.
«Se vuoi posso esserlo» risponde lui.
Alcuni ragazzi ballano attorno alla fontana e si uniscono a loro. Danzano con le mani giunte, con una musica di tanto tempo prima, di prima del Disastro, quando gli Alma ancora non esistevano, quando la pioggia era solo acqua. Quando tutti gli uomini erano uguali.
Appena tornano al primo livello si accorgono che ha iniziato a piovere. Sulle cupole si vedono nitide le gocce dense e viscose che esplodono sul vetro e poi scivolano giù, bianche e appiccicose.
«Ci siamo» sussurra Aria.
L’orchestra smette di suonare e gli invitati, che prima danzavano al centro della sala, si dispongono in due ali, per lasciar passare i bambini.
Jurek sta finendo di rimpiazzare alcune portate del buffet, ma anche lui si ferma per guardare la cerimonia.
I bambini avanzano con passo cadenzato, le guance arrossate, gli occhi lucidi. Stringono tra le mani un bicchiere di cristallo. Non sono più i monelli della sera prima, ora si fa sul serio. Il sindaco Fanim li tocca sul capo, quando gli passano accanto. Circondata dalle Prime, la Babaja li aspetta su di un palchetto situato nella parte opposta da cui sono entrati.
Aria è accanto a lei, vestita con un lungo abito rosso. Regge la caraffa con il Latte del Cielo, trema un poco. Jurek le sorride, ma lei sembra non vederlo.
Uno a uno i bambini si inginocchiano davanti alla Babaja e porgono il loro bicchiere. Lei versa qualche goccia di Latte dentro il calice e invita il bambino a bere, con la preghiera di rito.
Il piccolo chiude gli occhi.
«È l’ora» dice.
Beve e rimane qualche attimo immobile, poi inizia a tremare. Le Prime lo circondano e lo sostengono. Posano una cesta con un cuscino davanti alle sue ginocchia. Il bambino ha una scossa che lo costringe a inarcare la schiena, poi si butta in avanti e vomita. Avvolto da una placenta sottile come una ragnatela, dalla bocca espelle il suo Alter. Le Prime lo recuperano dal cesto e lo lavano, quindi lo consegnano al bambino, che di solito piange.
Ogni bambino riceve un grande applauso e si ricongiunge alla famiglia. La maggior parte sono Alter di acqua e aria, come quelli dei loro genitori e come la maggior parte degli Alma. Solo una bambina dai nastri gialli, come aveva previsto la Babaja, espelle un luminoso Alter di luce e viene sommersa dagli applausi.
Jurek, però, ha occhi solo per Aria. È assente, molto composta, non certo come ha imparato a conoscerla in quei due giorni. Quando l’ultimo bambino ha finito, la vede sorridere e alzare lo sguardo alla cupola, dove la pioggia continua a battere. Quando riabbassa il viso lo cerca, dietro le alzate, e gli fa un occhiolino, come quello che lui le aveva fatto la prima volta che si erano visti. Chiude gli occhi e beve un sorso di Latte del Cielo.
Qualcuno la nota e inizia a urlare. Aria si accascia, con le mani strette al collo. La caraffa le si frantuma davanti alle ginocchia. Un rivolo di sangue le esce dal naso e ai lati della bocca si sono formate piccole bolle scure.
Jurek agisce in fretta, salta sul buffet, rovescia le pietanze a terra, si fa largo tra la folla e sale sul palchetto. Eliza è immobile, con la bocca spalancata. Le Prime hanno abbandonato il palco, tenendo il volto coperto dalle mani.
Jurek abbraccia Aria e la solleva da terra. Lei apre la bocca e inizia a vomitare un denso fiotto di liquido scuro. Lui le tiene la fronte, le pulisce le labbra con la manica della giacca, la ripara dalla vista degli altri. È allora che vede le ombre tremare intorno a lui e sottili filamenti uscire dagli angoli bui. Il sindaco Fanim è in piedi, con le braccia larghe, i palmi rivolti verso l’alto. Il suo Alter, Minaf, è una palla informe e vibrante di tenebra. Le braccia d’ombra si avvicinano striscianti ai piedi di Aria.
«Signore!» urla Jurek, «la prego, signore, la risparmi. Sta morendo, lo vede anche lei. Lasci un corpo da seppellire, la prego!»
Fanim abbassa lentamente le braccia e china il capo.
«Non dovrei…» sussurra, «portala via, falla sparire dalla mia vista!»
Jurek tiene Aria tra le braccia e si allontana svelto, con il corpo della ragazza che gli pare leggerissimo.
Quando Aria riprende conoscenza, Jurek le accarezza la fronte.
«Non agitarti» le dice, «e bevi un po’.»
Sta guidando già da un’ora, in mezzo al fango che si è formato sul fondo del lago Michigan.
«Sono viva?» mormora Aria, sedendosi meglio e dando una sorsata d’acqua dalla bottiglia che gli porge Jurek.
«Sì, sei viva e stai bene, nonostante tutto.»
«Quindi è possibile… bere il Latte e non morire.»
«Per te sì, per un umano penso di no.»
«Ma io…»
«Ho una teoria. Non sei umana, almeno, lo sei per metà. Penso tuo padre fosse un Alma. Sei il frutto di una relazione blasfema. La mia teoria però va oltre, credo che tuo padre sia Fanim.»
«Fanim?» esclama Aria.
«Lo penso seriamente. Ha esitato, prima, avrebbe potuto inghiottirci in un secondo, invece non solo ha aspettato, ma ci ha fatti andare via.»
«Non vuol dire nulla. Anzi, è una prova che non sia lui mio padre. Non avrebbe mai rischiato, sapendo che avrei potuto sopravvivere.»
«Il problema non è sopravvivere o meno. Ti ha lasciata andare perché non pensava che, nonostante fossi una meticcia, potessi avere un Alter dormiente dentro di te. Soprattutto uno del tipo che ti è uscito dalla bocca.»
Jurek indica dietro di sé, nel sedile posteriore. Aria si volta e vede Keruj che tiene sul grembo un piccolo batuffolo nero e tremante.
«Lei è Aira» dice, «il tuo Alter.»
Aria rimane un attimo zitta, senza quasi respirare, poi, piano, grosse lacrime le scivolano sulle guance.
Nel cassone, le padelle e le pentole tintinnano come campanelle. Forse le cose stanno per cambiare.
Jurek guida veloce verso di loro, sollevando la cenere dal fondo di quello che un tempo era il lago Michigan. Alle sue spalle, nel cassone, sente tintinnare le pentole appese, come campanelle.
«Buon Natale» dice, mentre aumenta la velocità dei tergicristalli. Più si avvicinano a Chicago, più sono avvolti dal vorticare delle ceneri, «sembra proprio che nevichi.»
Keruj accavalla le piccole gambe rosse. Sta appollaiato sulla spalla del suo Alter, con lo sguardo in avanti.
«Quando inizierà a piovere» dice, «si ricoprirà tutto di melma appiccicosa.»
«Non lamentarti, ci pagano bene.»
L’ingresso alla città è preceduto da una fila di blocchi di cemento piantati sul terreno e migliaia di buchi, alcuni ricoperti da grate, altri fumanti. Condotti di aereazione e scarichi della città sotterranea. Li sormonta una collina artificiale sulla cui sommità spuntano decine di semisfere di vetro.
Jurek viene accompagnato fino a un parcheggio interrato da alcuni soldati. Sono tutti umani, indossano una divisa verde scuro a attorno alla bocca tengono avvolta una striscia di stoffa per difendersi dalla cenere. Nessuno di loro osa guardarlo in viso.
«Sono all’antica, da queste parti» dice.
«Un po’ di rispetto non gusta» sentenzia Keruj, emettendo qualche sbuffo di fumo dalle narici.
«Non dire sciocchezze» mugugna Jurek, legandosi i capelli bianchi in una coda prima di scendere dal furgone.
«Maestro Jurek!» sente urlare.
Si volta e si inchina, portando la mano alla fronte.
«Sindaco Fanim, è un piacere conoscerla» dice.
Fanim è circondato da una corte di umani, il suo Alter gli svolazza intorno alla testa, nero e lucido come ossidiana, dello stesso colore degli occhi del sindaco.
«Come ha intuito fossi io?» chiede.
«Signore, non sono poi tanti gli Alter d’ombra» dice Jurek.
«Oh, certo. Come non è facile incontrare un Alter di fuoco come il suo» Fanim scoppia in una bella risata.
«Lui è Minaf» continua Fanim, indicando il suo Alter, «e lei è la nostra Babaja, Eliza. Mentre lei è Aria, una delle Prime sacerdotesse.»
Una donna anziana e una giovane ragazza escono dal gruppo degli umani e si toccano la fronte.
«Saranno loro ad accompagnarla alla mia villa» conclude Fanim, «io sono qua di passaggio, mi hanno avvisato che stavate arrivando e ne ho approfittato. Sto lasciando la città, ma avremo piacere di rivederci alla cerimonia. Non vedo l’ora di assaggiare i suoi piatti.»
Fanim si allontana, non prima di aver lanciato uno sguardo fugace alla ragazza.
«Signore, per noi è un onore averla qua» mormora Eliza.
«La ringrazio, ma non sia troppo cerimoniosa, non serve. Piuttosto, ho portato con me dell’attrezzatura…»
«Non servirà» interviene Aria, «abbiamo tutto ciò che serve nelle cucine.»
Jurek si volta a guardarla bene. Per essere un’umana è piuttosto alta, tiene i capelli chiari ordinati in una crocchia. Gli occhi sono neri e non si abbassano nell’incrociare quelli rossi di lui. Quando sorride le si alza solo l’angolo sinistro delle labbra e le si forma una profonda fossetta impertinente.
«E allora andiamo» dice Jurek, battendo le mani e sprigionando una luce calda, intermittente come brace al vento.
La Babaja si inchina, mentre Aria continua a sorridere. Jurek le fa l’occhiolino.
Un passaggio coperto li porta sino in cima alla collinetta e poi attraverso un largo portone all’interno della cupola più grande.
Dentro cambiano la temperatura e l’odore dell’aria, che sa di gomma bruciata. Jurek storce il naso.
«Si abituerà presto» dice Aria, «qua poi l’odore è più forte perché siamo sopra l’Abisso. È il canale principale della città, l’unico che attraversa tutti i livelli.»
Il gruppo percorre una scala che scende fino al bordo della voragine. Il rumore che proviene dal fondo è un rombo costante, come un lamento. Jurek si sporge dalla ringhiera e guarda giù. Può vedere quattro, cinque livelli al massimo, il resto della città è solo un alone innaturale sul fondo. Centinaia di ascensori salgono e scendono per collegare i vari livelli e si fermano in piccole stazioni gialle che sembrano sospese nel vuoto.
«Questo è il primo livello» dice la Babaja, «l’unico che abbia un cielo.»
Jurek alza la testa e vede le nuvole muoversi lente oltre il vetro della cupola. Qualche fiocco di cenere ci si posa sopra, ma subito scivola via.
«Andate molto in profondità?» chiede Jurek.
«Trentadue livelli.»
«Però» esclama Jurek. Non si aspettava che Chicago fosse così grande, «dalle mie parti si sa poco del Midwest» confessa.
«Quanto è grande Baltimora?»
«È molto più piccola, un solo livello, molto esteso.»
«Alma e umani vivono tutti insieme?» chiede Aria, stupita.
Jurek annuisce.
Lasciano l’Abisso e si incamminano per un sentiero di ghiaia, lasciandosi alle spalle il rumore e addentrandosi in una zona ricca di vegetazione. Acqua pulita gocciola sulle piante tropicali e numerose cupole forniscono la luce naturale.
La villa del sindaco Fanim è una struttura dall’architettura antica, quasi gotica, così alta che arriva a toccare il soffitto del livello.
«La sala da ballo, dove si terrà la cerimonia della Rinascita, è all’ultimo piano» dice Aria, quindi si china verso Eliza, «signora, lei non salga» sussurra, «ci penso io.»
La Babaja si inchina e si allontana.
«Adesso che siamo soli puoi darmi del tu» dice Jurek, iniziando a salire i primi gradini della scalinata esterna.
«Preferirei di no, signore. Qua vigono ancora le antiche leggi. Non potrei neppure guardarla negli occhi.»
«Però lo fai.»
Aria si limita a scuotere le spalle e in silenzio finisce di salire le scale e spalanca la porta della sala da ballo, una stanza rotonda il cui soffitto altri non è che una delle cupole di vetro.
All’interno c’è confusione. L’orchestra sta accennando alcune sonate, mentre i bambini che dovranno partecipare alla cerimonia fanno le prove, controllati dalle Prime. Sono in fila e ridono, facendosi i dispetti. Le loro chiome bianche sono raccolte in piccole trecce decorate con i nastri che simboleggino il loro presunto Alter, ipotizzato dalla Babaja in base al colore dei loro occhi.
Mentre compiono il giro della sala, Jurek e Keruj discutono su come posizionare i tavoli per il buffet, sulle alzate e le decorazioni.
«Certo che è strano» dice Aria, d’un tratto, mentre osserva i bambini che fanno finta di bere il Latte del Cielo «non conosciamo quasi le nostre città eppure tutti conoscono lei.»
«Perché sono il migliore. Non troverà nessuno che cucina con la magia come me.»
«Di sicuro è il migliore a vantarsi.»
Jurek scoppia a ridere. La ragazza lo stuzzica e il gioco gli piace.
«Sono anche il migliore a ballare, vuoi provare?»
Aria lo guarda dritto negli occhi e Jurek ha uno strano tuffo al cuore. Nessuno lo aveva mai guardato così, neanche tra gli appartenenti alla sua razza.
«Perché mi fa questo?» chiede lei, «sa benissimo che non posso toccarla.»
«Ti do il permesso.»
«Non dica assurdità.»
L’orchestra sta suonando un valzer leggero.
«Balliamo senza toccarci. Dimmi di sì o lo dirò alla Babaja.»
Jurek la ammonisce con l’indice e sorride.
«E balliamo» sbuffa Aria.
I due si mettono uno di fronte all’altro, vicini, con i palmi a pochi centimetri. Jurek sente il profumo di lei e nota che i suoi occhi sono così scuri che non si distinguono le pupille.
«Un, du’…» dice e iniziano a danzare.
Dapprima sono rigidi, ma il valzer è lento e riescono a sincronizzare il respiro, il dai e vai dei piedi, i battiti delle ciglia. Le bambine li vedono, qualcuna sceglie una compagna e inizia a ballare. Keruj tiene il tempo battendo le piccole mani e produce una miriade di scintille. La gonna lunga di Aria si alza e lascia scoperte le caviglie. Lei sorride, di quel beffardo e malinconico sorriso storto con una fossetta sola.
Poi di colpo la musica finisce e loro si fermano, ansimanti.
«È quasi ora di cena» dice Jurek, «ti preparo qualcosa? Ci vuole un attimo, basta una bistecca, ci metto una mano sopra e il gioco è fatto.»
Aria lo fissa, come se stesse cercando di leggergli dentro.
«Ho un’idea migliore» dice.
Aria si è sciolta i capelli e veste un completo blu scuro, con una gonna aderente che le arriva alle ginocchia.
«Keruj è meglio si nasconda» dice, «dove stiamo andando gli Alma non si vedono spesso.»
«Mi devo travestire?» chiede Jurek.
«Mimetizzare» puntualizza Aria, aprendo la borsetta e tirando fuori una cuffia, «metti questa per non far vedere il colore dei capelli.»
Jurek sospira e indossa la cuffia, mentre Keruj s’infila nella borsetta.
Sono fermi a una delle tante stazioni poste a intervalli regolari lungo l’anello che circonda l’Abisso.
«Ci sono ascensori che fermano a tutti i livelli. Noi prendiamo il diretto per il ventunesimo…» spiega Aria, salendo su una cabina e sedendosi.
«Perché è dove si mangia meglio» conclude Jurek.
«Esatto.»
L’ascensore comincia la discesa con un lieve scossone. Dai vetri della cabina Jurek nota le diversità di ogni livello.
«Ci sono dei livelli quasi interamente agricoli» spiega Aria, «altri residenziali o commerciali.»
Jurek annuisce, ma non è attento come dovrebbe. È incantato da come lei muove le mani mentre parla e da come annuisce, dandosi ragione ogni volta che finisce un concetto.
«Parlami di te, invece» chiede Jurek, d’improvviso.
Aria si blocca, si morde un labbro.
«Inizi lei» dice.
«C’è poco da dire. Non ho parenti in vita, non ho affetti. Viaggio molto, ma alla fine sono sempre solo. Fine.»
«Non è solo, c’è Keruj.»
«Ma lui è me e io sono lui, non conta.»
«In che senso?»
«Siamo un’entità singola. Al punto che se si allontana troppo proviamo dolore.»
«Molto dolore?»
«Se ti staccassero un braccio, quanto dolore proveresti?»
«Parecchio.»
«Già. Ora però è il tuo turno, raccontami.»
«Vivo da sempre al convento delle Prime, ma sono ancora una novizia, non so neanche come distillare la pioggia per ottenere il Latte del Cielo. Mia madre è morta durante il parto, non ho mai conosciuto mio padre. Fine.»
«Ci somigliamo» sussurra Jurek, allungando la mano verso quella di Aria.
«Purtroppo no» dice lei, allontanando il braccio.
L’ascensore frena piano, con un leggero rinculo, e le portiere si aprono sibilando.
Il ventunesimo è un livello con il soffitto basso, le case sono tutte a un piano, di lamiera o muratura leggera. Le luci colorate dei negozi e dei locali si fondono con quelle bianche delle bancarelle lungo le strade strette. Una cortina di fumo copre ogni cosa, come una leggera nebbia mattutina.
«Cibo da strada» dice Jurek, entusiasta.
Passano diverse ora a passeggiare e a mangiare. Jurek sente sapori diversi, chiede indicazioni a chi prepara il cibo, prende appunti, trova idee.
«È bello qua, non trova?» chiede Aria, mentre finisce di leccarsi le dita.
«Sembra proprio che la gente sia felice.»
«Sì, ma è solo un’impressione. In realtà mancano un sacco di cose, a partire da quelle importanti, come diritto di voto o dal divieto di viaggiare, fino alle cose frivole, come doversi tingere i capelli quando diventano bianchi, per non confondersi con voi.»
«Non potete lasciare Chicago?»
«Solo gli Alma possono. Sarebbe bello se il Latte del Cielo donasse la magia anche agli umani, così saremo tutti sullo stesso piano.»
«Potremo esserlo comunque.»
«Non dica assurdità. La magia è un fattore che crea troppo squilibrio. Il sindaco Fanim può far sparire nel buio l’intera città in meno di un minuto. Da domani potrebbe revocare i privilegi degli Alma, ma saremo davvero uguali?»
Jurek sospira. Aria ha ragione.
«Qualche umano ha provato a bere il Latte» continua lei, fermandosi, «che io sappia, sono tutti morti. Ma potrebbe anche non essere vero, bugie per non farci nemmeno provare.»
«Mi spiace.»
«La verità è che siete figli maledetti. La pioggia bianca ha creato voi e ucciso tutto quello che stava in superficie. Ti sembra uno scambio equo?»
«Mi hai dato del tu.»
Aria alza le spalle e riprende a camminare.
«Varrà poco» dice Jurek, «ma mi piacerebbe se le cose cambiassero. Non so come, certo, ma un modo ci deve essere.»
Arrivano in una piazza, un lastricato regolare e una fontana, un gruppo di musicisti sta suonando per qualche spicciolo. Sono tutti concentrati e sudati, con una sigaretta spenta tra le labbra, come un vezzo.
«Cosa suonano?» chiede Jurek.
«È rock ‘n roll. Musica del secolo scorso, da queste parti va molto di moda.»
«Da queste parti se vedono una ragazza e un tizio con una cuffia ridicola che ballano si scandalizzano?»
Aria ride, si sistema una ciocca bionda dietro l’orecchio.
Jurek le stringe la mano e stavolta lei ricambia.
«Pensavo fossi molto più caldo» dice lei.
«Se vuoi posso esserlo» risponde lui.
Alcuni ragazzi ballano attorno alla fontana e si uniscono a loro. Danzano con le mani giunte, con una musica di tanto tempo prima, di prima del Disastro, quando gli Alma ancora non esistevano, quando la pioggia era solo acqua. Quando tutti gli uomini erano uguali.
Appena tornano al primo livello si accorgono che ha iniziato a piovere. Sulle cupole si vedono nitide le gocce dense e viscose che esplodono sul vetro e poi scivolano giù, bianche e appiccicose.
«Ci siamo» sussurra Aria.
L’orchestra smette di suonare e gli invitati, che prima danzavano al centro della sala, si dispongono in due ali, per lasciar passare i bambini.
Jurek sta finendo di rimpiazzare alcune portate del buffet, ma anche lui si ferma per guardare la cerimonia.
I bambini avanzano con passo cadenzato, le guance arrossate, gli occhi lucidi. Stringono tra le mani un bicchiere di cristallo. Non sono più i monelli della sera prima, ora si fa sul serio. Il sindaco Fanim li tocca sul capo, quando gli passano accanto. Circondata dalle Prime, la Babaja li aspetta su di un palchetto situato nella parte opposta da cui sono entrati.
Aria è accanto a lei, vestita con un lungo abito rosso. Regge la caraffa con il Latte del Cielo, trema un poco. Jurek le sorride, ma lei sembra non vederlo.
Uno a uno i bambini si inginocchiano davanti alla Babaja e porgono il loro bicchiere. Lei versa qualche goccia di Latte dentro il calice e invita il bambino a bere, con la preghiera di rito.
Il piccolo chiude gli occhi.
«È l’ora» dice.
Beve e rimane qualche attimo immobile, poi inizia a tremare. Le Prime lo circondano e lo sostengono. Posano una cesta con un cuscino davanti alle sue ginocchia. Il bambino ha una scossa che lo costringe a inarcare la schiena, poi si butta in avanti e vomita. Avvolto da una placenta sottile come una ragnatela, dalla bocca espelle il suo Alter. Le Prime lo recuperano dal cesto e lo lavano, quindi lo consegnano al bambino, che di solito piange.
Ogni bambino riceve un grande applauso e si ricongiunge alla famiglia. La maggior parte sono Alter di acqua e aria, come quelli dei loro genitori e come la maggior parte degli Alma. Solo una bambina dai nastri gialli, come aveva previsto la Babaja, espelle un luminoso Alter di luce e viene sommersa dagli applausi.
Jurek, però, ha occhi solo per Aria. È assente, molto composta, non certo come ha imparato a conoscerla in quei due giorni. Quando l’ultimo bambino ha finito, la vede sorridere e alzare lo sguardo alla cupola, dove la pioggia continua a battere. Quando riabbassa il viso lo cerca, dietro le alzate, e gli fa un occhiolino, come quello che lui le aveva fatto la prima volta che si erano visti. Chiude gli occhi e beve un sorso di Latte del Cielo.
Qualcuno la nota e inizia a urlare. Aria si accascia, con le mani strette al collo. La caraffa le si frantuma davanti alle ginocchia. Un rivolo di sangue le esce dal naso e ai lati della bocca si sono formate piccole bolle scure.
Jurek agisce in fretta, salta sul buffet, rovescia le pietanze a terra, si fa largo tra la folla e sale sul palchetto. Eliza è immobile, con la bocca spalancata. Le Prime hanno abbandonato il palco, tenendo il volto coperto dalle mani.
Jurek abbraccia Aria e la solleva da terra. Lei apre la bocca e inizia a vomitare un denso fiotto di liquido scuro. Lui le tiene la fronte, le pulisce le labbra con la manica della giacca, la ripara dalla vista degli altri. È allora che vede le ombre tremare intorno a lui e sottili filamenti uscire dagli angoli bui. Il sindaco Fanim è in piedi, con le braccia larghe, i palmi rivolti verso l’alto. Il suo Alter, Minaf, è una palla informe e vibrante di tenebra. Le braccia d’ombra si avvicinano striscianti ai piedi di Aria.
«Signore!» urla Jurek, «la prego, signore, la risparmi. Sta morendo, lo vede anche lei. Lasci un corpo da seppellire, la prego!»
Fanim abbassa lentamente le braccia e china il capo.
«Non dovrei…» sussurra, «portala via, falla sparire dalla mia vista!»
Jurek tiene Aria tra le braccia e si allontana svelto, con il corpo della ragazza che gli pare leggerissimo.
Quando Aria riprende conoscenza, Jurek le accarezza la fronte.
«Non agitarti» le dice, «e bevi un po’.»
Sta guidando già da un’ora, in mezzo al fango che si è formato sul fondo del lago Michigan.
«Sono viva?» mormora Aria, sedendosi meglio e dando una sorsata d’acqua dalla bottiglia che gli porge Jurek.
«Sì, sei viva e stai bene, nonostante tutto.»
«Quindi è possibile… bere il Latte e non morire.»
«Per te sì, per un umano penso di no.»
«Ma io…»
«Ho una teoria. Non sei umana, almeno, lo sei per metà. Penso tuo padre fosse un Alma. Sei il frutto di una relazione blasfema. La mia teoria però va oltre, credo che tuo padre sia Fanim.»
«Fanim?» esclama Aria.
«Lo penso seriamente. Ha esitato, prima, avrebbe potuto inghiottirci in un secondo, invece non solo ha aspettato, ma ci ha fatti andare via.»
«Non vuol dire nulla. Anzi, è una prova che non sia lui mio padre. Non avrebbe mai rischiato, sapendo che avrei potuto sopravvivere.»
«Il problema non è sopravvivere o meno. Ti ha lasciata andare perché non pensava che, nonostante fossi una meticcia, potessi avere un Alter dormiente dentro di te. Soprattutto uno del tipo che ti è uscito dalla bocca.»
Jurek indica dietro di sé, nel sedile posteriore. Aria si volta e vede Keruj che tiene sul grembo un piccolo batuffolo nero e tremante.
«Lei è Aira» dice, «il tuo Alter.»
Aria rimane un attimo zitta, senza quasi respirare, poi, piano, grosse lacrime le scivolano sulle guance.
Nel cassone, le padelle e le pentole tintinnano come campanelle. Forse le cose stanno per cambiare.